9. Attento a cosa desideri ✓


«Be'? Tutto qui?» Tiziano guardò demoralizzato lo schermo nero del suo cellulare

Ci picchiettò sopra con il dito un paio di volte e gli cascarono le braccia. Il cellulare "magico" si era comportato nello stesso identico modo in cui si era comportato quando aveva pronunciato frasi senza senso: si era spento. Quindi era questo il trucco: era stato programmato per accendersi quando captava la "formula magica" e spegnersi dopo aver captato qualsiasi altra frase.

Non era un cellulare magico, era solo un oggettino tecnologico. E con una tecnologia ridicola, per giunta.

Si sentì imbarazzato dal se stesso di qualche secondo prima. Aveva sinceramente creduto di poter esprimere un desiderio.

Ho il cervello di un bambino.

«Quanto sono cretino...» disse sconsolato, ad alta voce.

«Oh, finalmente qualcosa su cui andiamo d'accordo» disse qualcuno alle sue spalle.

Tiziano si voltò di scatto, spaventato. Era Claudio. 

Aveva assistito alla scena? Un brivido gli percorse la schiena al solo pensiero.

«Non sono venuto di mia sponte, sia chiaro. Me ci ha mannato Valerio» ci tenne a precisare Claudio.

Tiziano rimase incerto su cosa dire, per qualche secondo. Che cosa aveva visto Claudio? Non sembrava intenzionato a prenderlo in giro, quindi forse era arrivato solo in quel momento e non aveva assistito alla parodia dell'Incantevole Creamy.

«E perché te ci ha mannato? Guarda, prima che ti disturbi a convincermi: non sono un bimbominkia dodicenne che fa le scenate per farsi desiderare. Me ne sono andato perché me ne volevo andare. Ora preparo il borsone, chiamo mia madre col mio Motorola Razr all'ultima moda e la avviso che torno a casa.»

«Ma che ci hai ner cervello, coriandoli? Valerio non ti può far tornare a casa da solo. Se ti capita qualcosa è responsabile lui.»

Claudio aveva ragione e Tiziano si sentì ancora più idiota. Si lasciò cadere all'indietro per sedersi sul letto, ma si dimenticò di calcolare l'altezza del piano superiore del castello e sbatté la testa contro la struttura di legno.

«Ah, cazz...» si portò una mano alla nuca, si girò di scatto, esasperato, e con tutta la forza che aveva lanciò il cellulare contro l'asse del letto. «Vaffanculo!»

Il cellulare rimbalzò con violenza e cadde a terra. Tiziano, non soddisfatto, tirò qualche calcio al materasso. Claudio ridacchiò. «E finiscila di ridere!» gli urlò addosso Tiziano con la voce rotta.

Claudio alzò le mani: «Che ce posso fà se sei impedito?» disse. «Oh, mo' nun te mette a piagne, pure, ché rido ancora de più.»

«Non sto piangendo» sbraitò Tiziano, la voce ancora rotta e un gigantesco groppo in gola che minacciava di esplodere in un torrente di lacrime. E in pochi secondi il torrente esondò. «Vai fuori, cazzo!» gridò, in lacrime. 

Claudio: proprio la persona ideale davanti a cui farsi venire una crisi isterica. 

Tirò un altro calcio al cellulare a terra, che andò a sbattere contro il muro. Cercò di dire qualcos'altro, di insultare Claudio, ma i singhiozzi di pianto non ne volevano sapere di calmarsi. Patetico, ridicolo, impedito, credulone, stupido.

Claudio non ebbe il buon gusto di uscire dalla stanza, ma per lo meno aveva smesso di ridere.

Quella dannata camera non aveva neanche un bagno, quindi era costretto a restare lì, a piangere, in presenza dello stronzo. Tiziano avrebbe potuto andarsene e scappare in paese o nel bosco, ma pensò di aver già esaurito i bonus di uscite di scena melodrammatiche, per la giornata.

Sussultando per i singhiozzi sedette sul letto. Piano, stavolta, e facendo attenzione a non sbattere la testa. Claudio si appoggiò al muro davanti a lui e incrociò le braccia, fissandolo dall'alto in basso.

Passò qualche minuto.

«C-come...» Tiziano tirò su col naso. «Qu-quale... sarà il» prese un respiro spezzato «mio nuovo... soprannome? Frignetta?»

Claudio alzò gli occhi al cielo, come per pensarci su: «Frignetta non è male» disse. «Fiorellino però fa più ride.»

Tiziano si asciugò le guance con la maglietta. 

Claudio scosse la testa. «Io non capisco com'è che nun te sei ancora rotto er cazzo de venì ad allenamento, a fà figure de merda un giorno sì e l'artro pure.»

Tiziano si strinse nelle spalle, tirò su col naso. «Ogni tanto lo penso anch'io.»

«E poi però ce torni.»

«I sogni non si abbandonano tanto facilmente.» Quelle parole un po' drammatiche gli salirono alle labbra distrattamente, quasi come stesse parlando tra sé e sé. Per qualche istante si era dimenticato di chi aveva davanti: Claudio il bullo troglodita maschio alfa. 

Ma che cazzo sto dicendo?
E soprattutto
a chi lo sto dicendo?

Fece un sospiro, tirò su col naso per l'ennesima volta, tossì, e infine alzò lo sguardo per affrontare a testa alta la presa in giro che sarebbe di certo arrivata.

Ma Claudio lo stava guardando con un'espressione che sembrava quasi incuriosita. «Senti, mmm...» Si schiarì la voce e guardò fuori dalla porta. «Cambiando argomento... te lo posso dà un consiglio? Cerca de esse un po' meno ovvio con chi ti piace. Cerca di non farlo capire, altrimenti altro che Fiorellino e Frignetta: hai finito de vive. Ma che ci hai l'ebola cazzo? Stai a morì? Non ce l'hai un fazzoletto per smoccolarti?»

«Karen non mi piace» disse Tiziano chinandosi a cercare un pacchetto di fazzoletti nel suo borsone. «Cioè, non mi piace in quel senso. È una mia amica d'infanzia. Mi secca che ho fatto una figura di merda, tutto qua.»

«Sì, sì...» Claudio esitò. Poi sbuffò. «Lo so...»

Tiziano lo guardò storto. «E allora se lo sai che cazzo parli? Sta' un po' zitto.» Aprì un pacchetto di fazzoletti e si soffiò rumorosamente il naso.

«Vabbò, se semo capiti» disse Claudio chinandosi a raccogliere il cellulare di Tiziano. Ridacchiò guardandolo: «Ma de che so' fatti 'sti cosi? De adamantio?» Lo lanciò a Tiziano che riuscì miracolosamente (considerati i suoi riflessi) a prenderlo al volo.

Tiziano lo osservò con meraviglia: nonostante l'avesse sbattuto con violenza contro i montanti del letto e contro il muro, il vetro dello schermo era intatto. Nemmeno un graffio.

«Ok, mo' datte 'na sciacquata alla fontanella qua fori artrimenti se ne accorgono tutti che hai frignato. E poi tornamo ar campo.»

«Non mi va. Senti...» si scaccolò col fazzoletto. «Non vado via, ovviamente. Hai ragione che sono un coglione. Domani riprendo gli allenamenti, ma oggi nun ja'a faccio.»

Si rese conto che Claudio lo stava contagiando con il dialetto romanesco.

«E domani che cambia?» ribatté Claudio «Guarda che te pijamo per il culo uguale oggi e domani. Anzi se mo' non vieni è pure peggio perché alle undici, quanno finimo, Stefano, Paolo e Federico te vengono a stanà in stanza e te buttano ner laghetto.»

«Mi chiudo a chiave.»

«E io je do le mie chiavi.»

Tiziano guardò di nuovo storto Claudio e lui rispose con un ghighetto idiota.

Tiziano fissò il pavimento. Si sentiva spossato. Apatico. Ma sì, che senso ha rimandare? Andiamo a farci umiliare subito.

Si alzò senza dire nulla. Non voleva più pensare al magico cellulare di adamantio, quindi lo lanciò nel borsone. Uscì dalla stanza e prese un gran respiro, appena fuori dalla porta.

Claudio gli si affiancò. «Allora stai a venì o no? Che je devo dì a Valerio?»

«Vai avanti e digli che arrivo tra cinque minuti» rispose Tiziano. «Giuro che arrivo.»

«Che devi fà? Una telefonata ar papa?» Claudio rise.

Tiziano lo guardò storto per la terza volta. «Dammi un attimo per ripigliarmi»

Claudio alzò le mani. «Ok, ok, fai con comodo. A me non me ne frega un cazzo se vieni o non vieni. Me frega solo che Valerio me rompe i cojoni perché sò er capitano e quindi devo farvi da baby sitter a tutti» disse allontanandosi.

Tiziano sedette sul gradino di ingresso alla sua stanza. Osservò Claudio che camminava lungo il vialetto con la sua andatura dinoccolata e infine scompariva dietro il capannone delle cucine. Era molto alto e non troppo muscoloso. Aveva un bel fisico asciutto che però, a causa dell'altezza e degli arti lunghissimi, gli dava un'aria un po' allampanata, a volte quasi goffa. Era un po' goffo nei movimenti persino quando giocava, ma incredibilmente efficace. Dopo Simone era il più bravo, in squadra. E la cosa suscitava una certa invidia, in Tiziano.

Io mi ammazzo di esercizi di coordinazione e in campo non combino niente. Lui, coi suoi movimenti tutti storti, segna, crossa e pressa come non ci fosse un domani.

Tiziano rimase seduto sul gradino d'ingresso per un po', prendendo lunghi respiri, cercando di rilassarsi.

Non avrebbe saputo dire quanto tempo era passato, forse dieci minuti, forse venti, quando decise finalmente di tornare al campo e affrontare i compagni. Si avvicinò alla fontanella per sciacquarsi il viso, come gli aveva consigliato Claudio: doveva essere in uno stato pietoso, dopo il pianto che aveva fatto.

Mentre si incamminava verso il campo sportivo pensò che Claudio aveva certamente già raccontato la scena del pianto isterico ai suoi beta.

Che stupido era stato: prima a scappare come un bambino capriccioso, poi a piangere davanti a Claudio. Mostrarsi nel momento di massima debolezza davanti al proprio predatore: che errore imperdonabile.

Nei pressi del campo, che era ancora nascosto alla vista dalle abitazioni del paese, si iniziarono a udire grida eccitate di ragazzi e ragazze. Si stavano divertendo. Perché non poteva divertirsi anche lui allo stesso modo?

Avvicinandosi di più, però, gli sembrò che i toni delle urla fossero arrabbiati, più che allegri. Affrettò il passo, tra l'incuriosito e il preoccupato, e quando, girando l'angolo delle gradinate, vide finalmente i compagni, notò che Claudio stava trattenendo per un braccio Simone. I due discutevano animatamente. Era proprio Simone il principale responsabile delle urla che aveva sentito.

Erano tutti talmente impegnati a osservare le escandescenze di Simone e Claudio che quasi ignorarono l'arrivo di Tiziano.

«Non raccontarmi palle!» stava gridando Claudio. «Sempre la stessa storia!»

Di cosa sta parlando?

«Lasciami andare, cazzo! Non vedi che sto a posto?» gridò Simone. «E fammi andare in spogliatoio, oggi non è giornata!»

«Ma che ci hanno tutti oggi?» commentò Gianluca proprio mentre Tiziano arrivava. Il compagno gli lanciò un'occhiata: «Oh, ecco che arriva l'altro mestruato» aggiunse.

«Simone, smettila, sei nervoso. Siediti un attimo, bevi un po' d'acqua e tra cinque minuti rientri in campo» disse Valerio.

«No!» gridò lui. Diede uno strattone a Claudio, che lo teneva saldamente e non lasciava la presa. «E mollami, cazzo!»

Tiziano notò solo in quel momento che il campo era stato diviso e nella metà superiore si stavano allenando le ragazze, in quella inferiore i ragazzi. I suoi compagni indossavano delle pettorine: era la fase finale dell'allenamento, la partitella di calcetto.

«Tu a me nun me freghi...» disse Claudio a Simone socchiudendo gli occhi e osservandolo con uno sguardo indagatore.

Simone riuscì finalmente a liberarsi. Si sfilò la pettorina con gesti concitati e la lanciò a terra, mentre camminava con decisione verso lo spogliatoio. «Vado a farmi la doccia».

Vicino all'ingresso degli spogliatoi c'era Tiziano. Quando Simone si accorse di lui gli lanciò un'occhiata che trasudava rancore.

Tiziano rimase stupito: Simone non l'aveva mai guardato così. Non seppe come reagire e si ritrovò a dire, impacciato: «Oh, scusami per prima, ma...»

«Ma scusa 'sto cazzo!» disse lui. Poi passandogli vicino gli tirò uno spintone. Tiziano, sbilanciato, fece due passi all'indietro ma riuscì a tenersi in piedi.

Era esterrefatto. Il ragazzo che stava entrando in spogliatoio non era Simone. Il bel Simone, il buon Simone. Un demone malvagio si era impossessato del suo corpo.

Il demone col corpo di Simone si voltò e puntò un dito contro di lui. «È colpa tua, cazzo. Mi hai contagiato!» Sembrava davvero sconvolto.

«Ma che è successo?» chiese Tiziano.

«Ma niente...» rispose Gianluca. «Cinque minuti fa abbiamo cominciato una partitella e Simone ha fatto un paio di errori e si è innervosito, non so manco io perché.»

«Lo so io perché si è innervosito» si intromise beta Stefano. «Simone è taaaanto sensibile e ci è rimasto male che Tiziano lo ha insultato.» Fece un ridicolo broncetto e mimò un pianto. «Pooovero, pooovero Simone, buhuuu.»

«E finiscila di fare il cojone» disse Claudio tirandogli un ceffone sulla nuca. Non stava scherzando, era davvero seccato dagli atteggiamenti del suo beta. Evidentemente quando i beta se la prendevano col suo migliore amichetto non gli andava bene.

«Sì, però lo capisco che s'è incazzato, poraccio. Certe figure di merda davanti alle ragazze...» commentò Gianluca.

Tiziano lanciò un'occhiata in direzione della metà campo femminile: stavano facendo un torello. Erano brave.

«Ma perché? Che ha fatto?» chiese Tiziano.

«Ma niente, non gliene veniva una!» Gianluca scosse la testa con aria divertita.

«Sembrava ubriaco!» disse Federico.

Tiziano osservò attentamente Claudio: stava digrignando i denti mentre fissava la porta dello spogliatoio. Sembrava estraniato dal contesto. Si rese conto solo in quel momento di non averlo mai visto tanto arrabbiato. Anzi, di non averlo mai visto veramente arrabbiato, punto. Non riusciva a spiegarsene la ragione. Non riusciva a capire il senso del litigio tra lui e Simone. Cos'era successo?

«Ha fatto un liscio, a un certo punto, che pareva uno dei tentativi di tiro con sfragnata finale stile Tizio» disse beta Stefano, continuando a parlare degli errori di Simone.

«Sì, ecco!» disse Gianluca battendo un pugno sul palmo della mano e rivolgendosi a Tiziano. «Sembrava che all'improvviso si fosse trasformato in te. Gli hai mica lanciato un malocchio prima?» Rise.

Tiziano sentì le ginocchia che cedevano. Il cuore prese a battergli all'impazzata.

Il desiderio! pensò.

Poi scosse la testa: Ma no, che c'entra il desiderio? Io ho chiesto di diventare più bravo di lui non...

Ma i pensieri si incepparono. Tutto gli sembrò bloccarsi: il suo respiro, il suo cuore, il tempo stesso intorno a lui.

Il desiderio era stato esaudito con assoluta precisione: lui era diventato davvero più bravo di Simone.

Ma era stato esaudito al contrario: non era la sua abilità calcistica a essere aumentata, era quella di Simone a essere diminuita.

Sentì un'improvvisa voglia di vomitare.

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Le utilissime note dell'autrice che non legge mai nessuno
E al capitolo 9 finalmente si avvera il primo desiderio :)
Devo dare un credito, per questa idea, al bravissimo R.L. Stine e a un suo libro della serie "Piccoli Brividi", La sfera di Cristallo (titolo originale: Be careful what you wish for, che è il titolo di questo capitolo). In quel romanzetto una fattucchiera regala alla bambina protagonista tre desideri, e il primo che esprime è molto simile a quello che ho fatto esprimere io a Tiziano: quindi complimenti a Stine per la buona idea, non a me. È stato, tra l'altro, lo spunto da cui ho elaborato tutta la storia: un ragazzo schiappa che per conquistare il ragazzo che gli piace desidera di diventare più bravo di lui nello sport.
Se avete il libro in casa dai tempi della vostra infanzia e vi è appena presa una botta di nostalgia, potete rileggerlo senza problemi: la storia, a parte questo piccolo punto in comune, è completamente differente. Non potrebbe essere più diversa.
Ci vediamo tra qualche giorno per il seguito!

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