56. Addio al calcio ✓

Tiziano non si era mai reso conto di quanto gli fossero mancati i secondi che precedono il calcio di inizio. Aveva sempre pensato che ci fosse una strana elettricità nell'aria, in quel momento in cui tutto può ancora succedere e i giocatori sono immobili, recintati nella propria metà campo.

Da piccolo, quando era ancora bravo, prima di Simone, prima del desiderio che gli aveva tolto tutto, li batteva sempre lui, i calci d'inizio.

Erano due anni che non scendeva in campo dal primo minuto e Valerio, nella sua partita di addio al calcio, gli aveva affidato quel compito, la cui sola idea gli faceva tremare le ginocchia, di paura e di emozione. Paura di rovinare tutto subito. Emozione perché era tanto tempo, troppo tempo che non assaporava quel momento.

Claudio era lì accanto a lui. Gli fece uno dei suoi sorrisi stronzi. Tiziano abbassò gli occhi perché non voleva fargli capire che gli piaceva così tanto, dopo che erano passate solo poche ore dal momento in cui l'aveva capito lui stesso. Non voleva essere così ovvio.

E voleva concentrarsi sulla partita, su quelle ultime sensazioni. Che non erano di Claudio, non erano della squadra. Erano solo sue.

Si ripeté un mantra, in testa: È solo il calcio d'inizio

I passaggi semplici riesco ancora a farli. Non devo avere paura.

E finalmente l'arbitro fischiò.

Claudio gli appoggiò la palla e Tiziano la tirò indietro, a Marco, centrocampista.

Ci riuscì. Sapeva che ci sarebbe riuscito. I passaggi semplici riusciva ancora a farli.

Scattò in avanti per prendere posizione in attacco, mentre tutti gli altri giocatori si distribuivano nel campo.

Era riuscito a portare a termine almeno un passaggio. Forse, pensò, avrebbe dovuto evitare di toccarla di nuovo, rimanere con quel bel ricordo: Claudio accanto a lui, l'erba morbida sotto i tacchetti, il vento che gli attraversa i capelli mentre correva.

Sto bene.
Sono triste, ma sto bene.

Gli avversari erano già riusciti a prendere possesso della palla. «Claudio! Tiziano! Scendere!» gridò Valerio.

Stupido, Valerio. 
I difensori avversari sono rimasti nella propria area, se Claudio rimanesse a ridosso del fuorigioco sarebbe un'ottima occasione per sfruttare la sua capacità a ricevere i lanci lunghi. 

Ma Claudio obbedì, e obbedì anche Tiziano: si avvicinarono alla linea di centrocampo. Gianluca fece un tackle e recuperò la palla. Poi corse verso di loro. «Salire! Salire!» gridò Valerio. Tiziano obbedì nuovamente. 

Non è uno stratega molto raffinato, Valerio.

Gianluca triangolò con Michele, poi si allungò sulla fascia, a ridosso dell'angolo.

«Gianluca, accentrati!»

Ma figuriamoci! Gianluca era abituato a crossare dalla fascia. Non era male a crossare, ma era una frana a dribblare, quindi si affidava sempre al cross, in qualsiasi situazione.

E infatti crossò. E, come al solito, il suo cross non fu un brutto cross, ma c'era un problema: la palla era diretta a Tiziano.

Tiziano sentì che stava per rovinare tutto con uno dei suoi stop mal calibrati. Ma non era colpa sua, era colpa della maledetta magia. La palla stava per arrivare, Tiziano si fece assalire dal panico, la schivò, e fu un centrocampista avversario, a recuperarla.

«Ma cazzo, provaci almeno, no?» gli gridò Claudio.

Gianluca, tornando in difesa, scosse la testa.

«Daje Tizio! Provaci! Prendila!»

Chi è che grida? 

Tiziano aveva riconosciuto la voce, ma non voleva crederci. Si girò in direzione del grido per esserne sicuro. Ed era proprio chi pensava: Simone, dal pubblico, a ridosso della recinzione. C'era anche Karen, accanto a lui. 

Tu quoque, Simone?
Proprio tu che mi hai trasformato in una schiappa mi dici di provarci?

Sentì una mano afferrargli la nuca e spingerla verso il basso.

«La prossima palla che t'arriva la piji. E se fai una figura di merda chi se ne fotte, ok?» disse Claudio, incazzato.

«Che senso ha?» ribatté Tiziano.

«Che senso ha che Valerio ti ha fatto giocare? Almeno provaci!»

Tiziano annuì.

Be', non ha tutti i torti. Devo almeno dimostrare di impegnarmi.
Come i bambini stupidi a scuola.

La palla, intanto, era finita in fallo laterale. Rimessa per gli avversari vicino all'area dell'AS Castrum. Tiziano indietreggiò per aiutare la difesa. Per fare almeno finta di aiutarla.

Il pallone carambolò tra quattro o cinque giocatori delle due squadre, Tiziano aveva un avversario a pochi metri e la palla andò proprio verso di lui.

Tiziano decise di provarci. Si avvicinò rapidamente alle spalle del giocatore, infilò un piede tra le sue gambe e riuscì, non seppe nemmeno lui come, ad allontanare la palla. Per qualche istante Tiziano fu certo che quell'azione avrebbe messo un avversario in condizione di segnare, perché aveva tirato verso la propria area.

Ma fortunatamente ciò non accadde. Alessandro, uno dei due centrali, recuperò il pallone e scambiò con Andrea, il loro incertissimo e inedito secondo portiere.

«Hai visto che ce sei riuscito?» gridò Claudio. Sorrise e gli mostrò un pollice rivolto verso l'alto.

«Botta di culo» ribatté Tiziano. «Ogni tanto capitano!»

Salirono in attacco, lui e Claudio. Melina in difesa, per una trentina di secondi, lamentele dagli spalti. C'erano parecchi tifosi locali, venuti a vedere l'amichevole. Parecchi per essere una amichevole giovanile tra due squadre sconosciute. C'erano anche tutte le ragazze della squadra femminile. Loro rimanevano fino a domani, e quel giorno avevano deciso di andare a fare un po' di tifo ai ragazzi. Anche perché stavano occupando il campo su cui avrebbero dovuto allenarsi, non avevano molte alternative.

La palla tornò a muoversi verso l'area avversaria. Era sempre Gianluca a farla salire, era il loro terzino più forte e il novanta per cento delle azioni d'attacco passava dalla sua fascia. 

Questa volta si accentrò, ma decise di ignorare Tiziano e tirò un filtrante per Claudio. Claudio scattò in avanti approfittando della stortissima linea del fuorigioco avversario, stoppò la palla al volo e tirò in porta, col suo stile un po' goffo. Sembrava sempre una specie di grosso dinosauro, in area, non era aggraziato. A Tiziano ricordava un po' Luca Toni: stilisticamente brutto, ma efficace. Il suo tiro fu fortissimo, ma centrale, e finì dritto addosso al portiere.

Che però non trattenne, respinse coi pugni, e la palla volò verso Tiziano.

Il cuore prese a battergli fortissimo, e gli sembrò quasi che il tempo rallentasse, mentre la palla arrivava. Fu una sensazione strana, per un attimo gli sembrò di essere di nuovo bambino. Da piccolo gli sembrava sempre che tutti andassero più lenti, gli sembrava di essere Flash in un mondo di persone che si spostavano a rallentatore, gli sembrava che persino la palla rallentasse, mentre decideva in pochi istanti cosa doveva fare. 

E fu quella la sensazione che provò, mentre saltava per stopparla di petto con un gesto la cui spontaneità lo sorprese. 

Mentre saltava e la stoppava, perfettamente. E la palla cadde esattamente ai suoi piedi.

E Tiziano fu talmente sconvolto da quello che era appena successo, dal fatto che fosse riuscito a stopparla, fu talmente sconvolto che si fermò, il difensore avversario arrivò e lo falciò. Tiziano cadde a terra e udì l'arbitro fischiare.

È un calcio di punizione per noi.

Tiziano non riuscì ad alzarsi da terra, stava ancora pensando allo stop.

Come ho fatto? Come ho fatto a stopparla così bene?

«Perché cazzo te sei fermato?» Claudio gli porse una mano per tirarlo su.

Tiziano afferrò la mano, si alzo.

Ma pensava ancora allo stop, e pensandoci continuò a stringere la mano di Claudio, e rimasero così per qualche secondo. «Piacere, Claudio» disse lui scuotendola.

Tiziano avrebbe voluto ridere. Faceva ridere. Era una delle battute idiote di Claudio che facevano ridere proprio perché erano idiote. Ma non ci riuscì.

«È successa una cosa strana...» disse Tiziano lasciando la presa. Guardò finalmente Claudio negli occhi. Aveva un sorriso enigmatico sul volto.

«È successo...» cominciò Tiziano.

Ma Claudio lo interruppe. «È successo che hai preso un fallo al limite dell'area e siamo proprio sulla tua mattonella.»

Tiziano scoppiò a ridere. «Io non ho una mattonella.»

«Claudio, tiri tu o tiro io?» gridò Gianluca correndo verso di loro. Non era uno specialista delle punizioni, ma si arrangiava. Tiravano sempre lui o Claudio, quando non tirava Simone.

«Tira Tiziano.» Il tono di Claudio era risoluto.

Gianluca fece cadere le mani lungo i fianchi. «Eddaje, no! Ho capito che è il tuo tesoruccio e gli devi fare i regalini, ma se tira lui è un'occasione buttata!»

L'arbitro indicò un punto sul prato, Claudio prese la palla e la posizionò. «Ho detto: tira Tiziano.»

Lo disse con uno sguardo e un'autorità a cui nessuno avrebbe mai potuto dire di no. Gianluca allargò le braccia in un gesto di resa.

Tiziano sentì il cuore battere nel petto, nello stomaco, nella gola, in ogni singolo muscolo del corpo.

Vide la porta. La vide.

La vedo!

Gli sembrò di non averla mai vista così bene in vita sua. Sentì riaprirsi nel cervello collegamenti sinaptici rimasti chiusi, bloccati, inaccessibili per tanto tempo. Sembrava un secolo.

Tutto sparì. Sparì l'erba. Sparì il cielo. Sparirono gli spalti. Sparirono i compagni. Rimasero solo la porta, il portiere, la barriera. Il vento leggero che soffiava da destra e, Tiziano lo sapeva, non avrebbe interferito. 

Il pallone. La valvola.

Uno, due, tre, quattro, cinque passi indietro.

Il proprio respiro nelle orecchie.

Il fischio dell'arbitro.

Prese la rincorsa.

Tiziano sentì la gamba andare dove sapeva di dover andare, il piede colpire la palla nel punto in cui sapeva di doverla colpire.

Il piede lo sapeva, l'aveva imparato, tanti anni fa, l'aveva saputo per tanto tempo e poi l'aveva dimenticato per tanto tempo.

E adesso lo sapeva di nuovo.

La palla si alzò sopra la barriera, virò un po' a lato quasi a voler uscire, poi all'improvviso rientrò, sembrò accelerare, nella parabola discendente.

E si infilò nel sette.

E la selva di mani che spinsero Tiziano, e lo toccarono, e il concerto di urla nelle orecchie, furono una cosa talmente bella che gli venne da piangere.

«Ma che cazzo di tiro hai fattooooooo!» gridò Gianluca.

«Tizio, ma da dove ti è uscito quello?» disse qualcun altro.

Tiziano si sentì confuso, gli sembrò di essere di nuovo ubriaco, come qualche sera prima. 

Come è possibile? Come è potuto succedere?

Due mani gli afferrarono i capelli sulla nuca, il viso di Claudio si avvicinò al suo. Il ragazzo gridò, a pochi centimetri di distanza da lui: «Che cazzo ti avevo detto?! Provaci, almeno, no?!»

«T-tu.. sapevi?»

Claudio allontanò il viso, gli sorrise. «Non ero sicuro... ma avevo il dubbio... dal momento in cui hai tirato il calcio d'inizio.»

Poi mollò la stretta sui capelli, e se ne andò saltellando a passo laterale. Si voltò verso il pubblico. Guardò Simone e annuì verso di lui con aria serena, soddisfatta.

Anche Tiziano guardò Simone. Rideva. Festeggiava insieme a Karen, l'abbracciava. Era contento. Perfettamente contento. Tiziano si rese conto di non averlo mai visto contento come in quel frangente. Sembrava essersi tolto un peso dal cuore. 

Poi, come se si fosse magicamente reso conto che Tiziano lo stava guardando, si voltò verso di lui. Strinse un pugno e lo scosse, in un gesto di esultanza.

Simone aveva espresso il desiderio. 

Simone, dopo due anni, era finalmente riuscito a restituire a Tiziano il talento che gli aveva rubato.

E io, adesso, sono la persona più felice del mondo.

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