40. Deteriora probo ✓
Tiziano ebbe l'impressione di trovarsi dentro un sogno. Un lungo sogno delirante.
La maga, i desideri, il corpo di Simone stretto al suo. E ora quella frase. Assurda, incomprensibile.
Tutto era, improvvisamente, così irreale.
Si guardò la mano sinistra. La mano ferita che Claudio gli aveva medicato qualche giorno prima.
I tagli stavano guarendo. Si passò le unghie sulle ferite con un gesto brusco e qualcuna si riaprì, causandogli un dolore bruciante. Ma nemmeno quello servì a levargli il senso di stordimento e allucinazione.
«Che cosa hai appena detto?» chiese infine Tiziano, a Simone, stringendo a pugno la mano dolorante.
«I tre desideri» disse Simone, con gli occhi colmi di lacrime, «li ho espressi anch'io. Due anni fa.»
La schiena appoggiata al muro, Tiziano scivolò lentamente a terra. «Non può essere...»
«Hai ragione. Non può essere» s'intromise Claudio. Poi lo raggiunse, si inginocchiò accanto a lui. C'era rabbia nei suoi occhi. «Non ci credo. Non è possibile. Non ho mai creduto a lui e non credo adesso a te. Ti hai raccontato qualcosa, vero? L'altra sera da ubriaco. Te l'ha detto, e tu ti stai inventando delle cazzate per prenderlo per il culo. Dimmelo adesso, confessa, e giuro che non ti menerò.»
«Non mi sto inventando niente» ribatté Tiziano con un filo di voce.
«Ma non capisci?» disse Simone, tirando su col naso. «Torna tutto! Tutto!»
«Finiscila con questa storia assurda, la magia non esiste!» gridò Claudio.
«Credimi, cazzo! Sono due anni che cerco di convincerti! Mi crederai adesso? Non ti ricordi come giocavo il primo giorno? Come inciampavo sulla palla? Non ti ricordi che non riuscivo a muovermi? Non sembravo io! Non ci volevi credere nemmeno tu, pensavi che fossi ubriaco o che mi fosse venuto un ictus. Non ti ricordi? Come altro te lo spieghi?» Si rivolse a Tiziano: «Non puoi immaginare... non puoi immaginare il peso che mi stai togliendo dal cuore.» Si asciugò le lacrime dalle guance. Non piangeva più. «C'erano dei momenti che credevo avesse ragione Claudio. Credevo di essere impazzito, di essermi sognato tutto... ma è successo davvero... e lunedì, quando non riuscivo più a giocare, credevo che dopo due anni l'incantesimo mi si stesse ritorcendo contro...»
«Di cosa stai parlando? Quale incantesimo?» chiese Tiziano. «Cosa avevi desiderato?» Ma Simone non rispose, si rivolse di nuovo a Claudio, che scuoteva la testa, ma aveva uno sguardo incredulo, titubante. Sembrava indeciso se credere o meno a quella storia assurda.
«E poi il talento è tornato,» schioccò le dita, «così come se n'era andato, all'improvviso. Perché Tiziano ha espresso il secondo desiderio.» Simone guardò Tiziano con un'espressione triste. «Come se buono... tu... tu sì che sei una bella persona. Hai buttato un desiderio, un desiderio che avresti potuto usare per te stesso, solo per rimediare al tuo errore, mentre io...»
«Come sono buono?!» Tiziano era incredulo. «Ma sei impazzito? Ti ho sconvolto la vita per un cazzo di capriccio! Ti ho fatto diventare gay!»
Simone scosse la testa. «Non m'importa. Ora che ho capito cosa mi sta succedendo... Non è niente, mi ci abituerò. Come ti ci sei abituato tu.»
Ma che cazzo sta dicendo?
«E il tuo primo desiderio... anche quello... tu non volevi togliermi il talento, volevi solo...» riprese a singhiozzare. «Volevi solo rimediare al mio torto» gli prese una mano.
Tiziano non capiva, o forse non voleva capire. Le parole di Simone lo spaventavano. Avrebbe voluto ritrarre la mano, il contatto lo metteva a disagio. Ma Simone era così disperato che non se la sentì, e rispose alla stretta, per consolarlo.
«Di che torto stai parlando?» chiese.
«Potrai mai perdonarmi?»
Di nuovo quella richiesta. Glielo aveva detto anche due sere prima, mentre era ubriaco.
Un'idea si stava formando nella mente di Tiziano. Un'idea vaga di quello che poteva essere successo, ma non voleva crederci. «Di cosa stai parlando?» chiese di nuovo.
«Non è possibile...» bisbigliò Claudio. Tiziano si era per qualche istante dimenticato della sua presenza nella stanza.
«Io ti odiavo» disse Simone. Inghiottì un grumo di lacrime. Tirò su col naso e si pulì il moccio col dorso della mano. «Ti detestavo. Avevi tutto quello che volevo.»
Una morsa strinse il cuore di Tiziano. Si sentì in affanno.
Simone proseguì. «Eri bravo a calcio, e io ero una schiappa. Tutte le ragazze ti venivano dietro...»
«A me?» chiese Tiziano incredulo.
«Vedi? Nemmeno te ne rendevi conto! Tutte ai tuoi piedi, e tu... sembrava che nemmeno ti interessasse. E avevi sempre quell'aria... dio come te la tiravi!»
«Quello lo fa ancora» commentò Claudio sottovoce.
«Io sono sempre stato un rosicone. E un invidioso. E un codardo» proseguì Simone.
«Non è vero...» disse Tiziano.
«Non mi conosci!» Simone lo interruppe bruscamente. «Lo sono! E lo sono sempre stato! E tu eri l'oggetto principale della mia invidia.»
«Parlava male di te da mattina a sera. Non lo sopportavo più, sembrava ossessionato» aggiunse Claudio.
Quelle parole causarono a Tiziano fitte di dolore. Dolore vero, fisico, una sensazione di malessere lancinante alla bocca dello stomaco. Simone non era così. Simone era buono, si preoccupava per lui. Stava dipingendo un ritratto di se stesso che non corrispondeva alla verità. Alla verità di Tiziano.
«E poi... il provino con la Roma...» proseguì Simone. «Saresti andato a giocare in una squadra di serie A, nella mia squadra, quella che tifo da quando sono bambino. Saresti diventato un calciatore famoso. Avresti avuto ancora più ragazze. E successo, e soldi. E io pensavo: perché proprio lui? Perché lui e non io? Perché a lui viene tutto facile e io faccio fatica a fare un cazzo di stop decente? Cos'ha più di me? È antipatico, presuntuoso, rompicoglioni. Non se lo merita. Dio, quanto ti odiavo!»
«Basta, per favore...» disse Tiziano. Non credeva di riuscire a sopportare oltre quella confessione. Più che gli insulti lo feriva vedere un Simone così diverso da quello che si era sempre immaginato.
«Ti prego, ascolta. Ho bisogno di confessartelo. Sono due anni che mi sento in colpa.»
Tiziano inspirò lentamente, per cercare di calmarsi. Fece un debole cenno di assenso.
«E poi, il giorno prima del tuo provino. Ero in bici, tornavo da allenamento e... passo davanti al parco, vicino alle altalene vedo te. Con Beatrice. Che era la ragazza che mi piaceva, da più di un anno. E vi baciate. E cazzo se ti ho odiato! Credo di non aver mai odiato tanto qualcuno come te in quell'istante. Era la ciliegina sulla torta di merda, ti eri preso anche la ragazza che mi piaceva. Tra tutte quelle che ti venivano dietro, avevi scelto la mia Beatrice.»
Tiziano scosse la testa.
In realtà nemmeno mi piaceva...
«E stavo ancora guardando, avevo la testa girata, e all'improvviso...»
«Hai investito Sibilla Cooman» disse Tiziano. Era la stessa identica scena che aveva vissuto lui.
La stessa.
Identica.
Scena.
«Sibilla...? Oh...» Simone sorrise debolmente. «Sì, l'indovina di Harry Potter... sì, in effetti le somiglia: i capelli gonfi, i bracciali, i vestiti assurdi...»
«Gli occhiali...»
«Gli occhialini rossi? Li ha indossati anche con te?» chiese Simone.
«Sì.»
«E a me ha detto... vedo un'ombra su di te, qualcosa ti turba...»
«Qualcuno ti ha fatto un torto...» proseguì Tiziano.
Simone si rabbuiò. «No, quello a me non l'ha detto.» Abbassò la testa. «Credo si riferisse a me. Sono io che ti ho fatto un torto.»
Tiziano avvertì l'ennesima fitta di dolore allo stomaco. Non voleva più ascoltare quella confessione.
«Senti, Simone, basta. Non voglio sapere. Non me lo dire.»
«Lo devi sapere. Devi sapere che razza di persona di merda sono» disse Simone guardandolo con un'espressione disgustata. Proseguì il racconto. «Cadendo dalla bici mi si era rotto l'orologio. Era un vecchio Casio digitale di mio padre, che avevo da quando ero piccolo. Maga Magò fa una specie di incantesimo ridicolo al mio Casio rotto... ah sì, io la chiamo Maga Magò, per via della formula...»
«Quale formula?»
«Per chiamare il genio» fece una risata triste. «Non hai usato anche tu la formula de La Spada nella Roccia? Come fai a prendere sul serio una tizia che ti dice... "Stringi l'orologio nella tua mano dominante e pronuncia le parole magiche: Hockety Pockety Wockety".» Un'altra risata, che terminò in un singhiozzo. Simone fece un evidente sforzo per trattenere una nuova crisi di pianto.
«La mia era diversa. La mia era Pampulu Pimpulu Parimpampù» anche Tiziano rise. Senza un briciolo allegria.
«Come cazzo sperate che uno vi creda se raccontate minchiate del genere?» disse Claudio. Ma il suo viso diceva che ci stava credendo. Dopo due anni, stava finalmente iniziando a crederci.
«Cos'era Pampulu Pimpulu Parimpampù? Mi pare di averla già sentita...» chiese Simone.
«Un vecchissimo anime di maghette.»
Simone annuì. «Una maga fissata coi cartoni animati» commentò. «Anche le regole, erano quelle di Aladdin.»
«Non uccidere, non resuscitare, non innamorare» Tiziano terminò la frase.
«Esatto. Ma sto divagando. Perché mi vergogno. Ed è giusto che me ne vergogni. Ma devo raccontarti cosa ho desiderato. Devo dirti qual è stato il mio primo desiderio. Così potrai disprezzarmi anche tu, allo stesso modo in cui mi disprezzo io.» Era risoluto, ora.
«Non voglio...» disse stancamente Tiziano.
«È successo quella sera stessa. All'inizio non ci credevo, ovviamente. Però, sai com'è, è come quando sei piccolo e ti metti a pregare... ti prego Signore fa che il papà vinca la schedina così mi compra la nuova Playstation... che non ci credi che succederà, ma allo stesso tempo un po' ci credi. Ecco, così, allo stesso modo, stringo l'orologio nella destra e dico quella formula ridicola. E l'orologio si illumina...»
«...di una luce rosa» terminò la frase Tiziano.
Simone sorrise. «Esatto. Rosa. Blu. Giallo. E senza crederci, pensando che sia solo un giocattolo, esprimo il desiderio.» Simone chiuse gli occhi. Il suo petto cominciò ad alzarsi e abbassarsi vistosamente. Sembrava stesse prendendo coraggio per lanciarsi da un dirupo.
«Non me lo dire, Simone. Fai finta che me l'hai detto, non voglio sapere. Tanto l'ho capito. Hai desiderato la stessa cosa. Hai desiderato di diventare più bravo di me a calcio, vero? E il desiderio è andato male e sono diventato una pippa. È andata così, vero?»
«No.» Simone singhiozzò. «È peggio. È peggio di così. Perché io ti volevo distruggere! Volevo solo quello, in quel momento, quella sera, e allora ho chiesto...»
«Non voglio sentire!» Tiziano pressò le mani sulle orecchie. «La la la la!» cominciò a urlare. Chiuse gli occhi, non voleva nemmeno leggere il labiale.
Due mani si strinsero dolcemente attorno ai suoi polsi. Fu una presa così gentile, così delicata, che paradossalmente Tiziano non riuscì a resisterle. Smise di urlare e allentò la pressione sulle orecchie. Aprì gli occhi, aspettandosi di vedere Simone, invece davanti a lui c'era Claudio. Per un attimo, per un brevissimo istante, si sentì tranquillo. Era quasi felice di vedere il suo viso. No, non quasi. Era felice. Sollevato. Non voleva vedere Simone. Non voleva sentirlo.
«Lasciaglielo dire. Per favore» disse. «Sta a pezzi da due anni, e forse se lo merita. No, anzi, sicuramente se lo merita. Ma non ce la faccio più a vederlo così. Lascialo sfogare. Tanto l'hai capito già, cosa ha desiderato. Lascia che lo dica.»
Quella richiesta quasi lo commosse. Claudio voleva così disinteressatamente bene al suo amico. Tiziano annuì. «Va bene» disse. Continuando a guardare Claudio negli occhi.
«E allora... ho chiesto...» cominciò Simone. Un altro singhiozzo lo interruppe. «Ho chiesto: voglio che Tiziano diventi una schiappa a calcio.»
Morto.
Simone, il buon Simone, il cavaliere in armatura scintillante che salvava Tiziano dai nemici malvagi. Il Simone che abitava nei suoi sogni era appena morto.
E quella morte aprì un vuoto, nel cuore di Tiziano.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top