38. Provare cosa si prova ✓
Il giorno dopo, Valerio si presentò di buon'ora in camera di Tiziano, per affidargli nuove incombenze. Era ancora arrabbiato, ma lo sguardo compassionevole e il tono di voce più pacato facevano intuire che provasse anche un po' di dispiacere per il ragazzo.
Claudio dormiva, e se l'ingresso di Valerio l'aveva svegliato non lo diede a vedere: rimase immobile nel suo letto, con la faccia rivolta al muro, finché non uscirono dalla stanza.
Tiziano trascorse la mattinata a ripulire la baita grande e ad aiutare Gianfranco nella preparazione del pranzo, mentre Valerio e i ragazzi erano al campo ad allenarsi. Non pioveva più, ma il cielo era ancora fittamente coperto da spessi nuvoloni grigi.
Per il pomeriggio era prevista una seconda seduta di allenamento, in vista dell'amichevole che si sarebbe giocata la mattina dopo, ma un po' per via del trambusto che c'era stato il giorno prima, un po' perché i campi ancora zuppi avevano fatto faticare i ragazzi più del previsto, a pranzo Valerio annunciò che avrebbe concesso un pomeriggio libero.
Tiziano pranzò insieme agli altri, ma seduto in disparte. L'atmosfera non era delle più allegre e a Tiziano non sfuggirono gli sguardi lugubri che ogni tanto qualcuno dei compagni gli lanciava. Gli unici due che accennarono un saluto cordiale e un «come va?» furono Andrea e Gianluca, il che gli fece ricordare che Karen, proprio il giorno prima, li aveva inseriti nel cestino dei "buoni".
Claudio e Simone erano seduti uno accanto all'altro, ma lontano da Tiziano, e verso la fine del pranzo i beta andarono a disturbarli, con commenti sguaiati ad alta voce sulle loro conquiste femminili (Karen e Teresa).
«Oh, se domani mattina nun te trovo nudo a letto co' la stangona nun te parlo più!» gridò a un certo punto Stefano, battendo allegramente una mano sulla spalla di Claudio, che aveva l'aria di chi, al contrario, non si stava divertendo affatto. Tiziano fu felice che le attenzioni dei beta non fossero rivolte a lui: appena li aveva visti entrare in sala, aveva temuto che potessero approfittarsi della situazione per tormentarlo ancora più del solito, ma forse tutto ciò che era successo aveva avuto l'effetto di metterli a disagio nei suoi confronti.
Il pomeriggio i ragazzi si divisero: alcuni rientrarono nella propria stanza, altri scesero in paese, altri ancora si diedero appuntamento alla baita grande (fresca di pulizia), per inventarsi qualche passatempo. Tiziano si aspettava nuovi ordini dall'allenatore, ma sorprendentemente Valerio concesse il pomeriggio libero anche a lui.
Dopo essersi lavato, tornò alla propria stanza per riposarsi un po': sarebbe rimasto da solo, perché Claudio sembrava intenzionato a passare il pomeriggio con gli altri alla baita.
«Stanotte è previsto un temporale.» Una voce risuonò alle spalle di Tiziano mentre stava per entrare in camera.
La riconobbe senza voltarsi.
«Ti devo confessare un segreto,» disse Simone, «ho sempre avuto un po' paura dei temporali.» Tiziano si voltò finalmente verso di lui e l'altro gli sorrise. «Posso... uhm... entrare?» gli chiese.
Tiziano annuì. Cosa voleva dirgli? Voleva ringraziarlo per essersi sacrificato?
Non devi ringraziarmi.
Se solo sapessi cosa ti ho fatto...
Entrati in stanza, Tiziano si sforzò di pensare a qualche argomento di discussione per evitare che l'altro lo ringraziasse, ma gli venivano in mente solo commenti banali e completamente fuori luogo del tipo: "l'estate sta finendo" "è già arrivato l'inverno" e "non ci sono più le mezze stagioni".
Fu Simone a toglierlo dall'imbarazzo. O, sarebbe meglio dire, a farcelo sprofondare con tutte le scarpe. «Volevo dirti grazie per ieri... Ma non sono venuto qui per questo.» Portò un dito alla bocca e si mangiucchiò una pellicina. «Ti devo parlare. Di quello che è successo l'altra sera.»
Il cuore cominciò a martellare con violenza nel petto di Tiziano. «Cioè?» pigolò tenendo gli occhi bassi.
«Io... non mi ricordo niente di quello che ho fatto e di quello che ho detto. Però mi ricordo perché ti avevo dato quell'appuntamento. Mi ricordo perché avevo bevuto. Mi ricordo che volevo farmi coraggio, per chiederti una cosa... e poi... e poi avevo così tante preoccupazioni in testa che mi sono lasciato prendere la mano e mi sono ubriacato come un coglione.» La voce gli tremava leggermente. Prese un respiro. «Quindi voglio sapere: che cosa ho fatto?»
Tiziano, dopo tutto quello che era successo il giorno prima, aveva pensato molto poco al desiderio e ai tentativi di approccio ubriachi di Simone. Ogni volta che la sua mente andava in quella direzione, il rimorso lo attanagliava e cercava disperatamente di pensare a qualcos'altro, come se, non pensandoci, il problema potesse svanire.
Ma adesso il problema era di nuovo presente. Proprio lì, davanti a lui, e Tiziano non poteva più fuggire. Trovò finalmente il coraggio di sollevare lo sguardo e vide che era Simone, ora, a tenere basso il suo.
Cosa gli dico? Mi hai chiesto di baciarti? Ci hai provato con me?
Stava succedendo tutto all'improvviso. Troppo all'improvviso.
No, non poteva. Non poteva dirglielo.
«Niente... hai... niente, davvero. Hai blaterato un paio di cose incomprensibili e...»
«Bugiardo.» Simone lo stava fissando, ora, con un'espressione sofferente. «Dimmi cosa è successo. Per favore.»
Tiziano deglutì, si sentì vacillare. Gli occhi di Simone erano febbricitanti, agitati.
«C'è qualche immagine, nella mia testa» continuò Simone. «Sono immagini vaghe. Non so se sia la realtà o un sogno, ma... io so il motivo per cui ti avevo chiamato. So cosa ho fatto... o provato a fare. Dimmelo. Ho bisogno che me lo dici.» Simone sussurrò l'ultima frase.
Merita di sapere la verità.
Tiziano raccolse tutto il coraggio che riuscì a raccattare negli angoli più nascosti del suo cervello. Chiuse gli occhi, non sarebbe riuscito a dirlo guardandolo: «Mi hai chiesto di baciarti.»
Le parole rimasero sospese nell'aria per qualche secondo, poi Tiziano provò un bisogno quasi fisico di minimizzare: «Ma eri ubriaco, non ci ho creduto, non preoccuparti. Non darci peso!» Si sforzò di ridere, ma la risata suonò come un lamento.
Simone rimase serio.
Improvvisamente prese Tiziano per le spalle. Strinse la presa con forza. «Non stavo scherzando!»
A Tiziano mancò il respiro.
«Mi devi aiutare» continuò Simone. «Non saprei a chi altro chiederlo. Io... sono confuso... voglio capire cosa mi sta succedendo, perché qualcosa mi sta succedendo, non me lo sto inventando. Non è una scusa per non mettermi con Karen, sta succedendo davvero.» Chiuse gli occhi, stava ansimando come se fosse appena uscito dal campo alla fine di una partita.
«Cosa ti sta succedendo?» chiese Tiziano, apatico, pensando al desiderio, al disastro che aveva combinato.
«Chiariamo subito una cosa: io so che tu sei gay.»
Di nuovo quella storia. Perché tutti pensavano che fosse gay?
«Ok» disse Tiziano, cercando di rimanere calmo. «Me l'hai detto anche l'altra sera. Io non so se... se qualcuno ti ha raccontato 'sta cazzata, o se ho fatto qualcosa di strano quando ero ubriaco, ma ti giuro che...»
«Non negare!» sbottò Simone. «Io lo so. Lo so e basta!»
Tiziano rimase interdetto. Non seppe cosa rispondere.
«Quanto a me... è da qualche giorno... ma forse da più tempo e non me n'ero mai reso conto... non saprei, ma è da qualche giorno che...» chiuse gli occhi. «L'altro giorno, in doccia, stavo pensando ai cazzi miei, mi cade l'occhio su...» si morse il labbro «sul... sul culo di Gianluca e sono dovuto scappare in spogliatoio perché mi stavo... mi stavano venendo delle idee strane!» Riaprì gli occhi e li alzò al cielo. «Non posso crederci che l'ho detto ad alta voce» disse quasi tra sé. «E non ho neanche bevuto!» Stava ancora stringendo Tiziano per le spalle.
«Ok, va bene! Non c'è niente di sbagliato» disse Tiziano.
Ma in realtà c'era qualcosa di sbagliato. Qualcosa di profondamente sbagliato.
Simone si era trovato a vivere improvvisamente sensazioni del genere a diciott'anni, per la prima volta in vita sua. E tutto per colpa dello stupido, sciagurato desiderio espresso da Tiziano. Qualsiasi persona al posto di Simone avrebbe pensato di stare impazzendo.
«Lo so che non c'è niente di sbagliato» disse Simone. «Ma... allo stesso tempo... c'è! Non sono io, capisci? Non ho mai avuto idee del genere, mai in tutta la mia vita. E adesso... forse adesso sto pagando per... per tutte le cazzate che ho fatto.»
«Che intendi dire?» chiese Tiziano.
«Mi puoi aiutare? A capire? Io... io devo capire se mi piace davvero. Voglio provare cosa si prova.»
Tiziano lo fissò, senza dire niente, un peso immenso che gli opprimeva il cuore. Simone stava soffrendo per colpa sua. E Tiziano ebbe la consapevolezza che non se lo sarebbe mai perdonato.
«Non guardarmi così, per favore. Vuoi... puoi...» Simone sbuffò. «Voglio solo un... quella cosa... quello... che ti ho chiesto quella sera.»
«No» disse Tiziano.
Non si sarebbe approfittato di lui.
Simone lo guardò stupito. Poi gli lasciò le spalle, quasi imbarazzato. Si voltò.
«Oh... be'... che stupido, non ci avevo pensato... Che egocentrico del cazzo, che sono. Non ti piaccio proprio, eh? Non sono il tuo tipo...»
Tiziano, per un attimo, per un microistante, provò il desiderio di abbracciarlo e baciarlo con tutta la passione di cui era capace. Ma sublimò quell'impulso in una frase: «Tu mi piaci pure troppo.»
Gli si mozzò il fiato in gola. Che cosa aveva detto? Simone si voltò a guardarlo, sorpreso.
«È per questo che non voglio» aggiunse Tiziano.
Simone scosse impercettibilmente la testa. «Non capisco...»
«Sei confuso. Non voglio approfittarmi di te.»
Simone si avvicinò di nuovo a lui, lo prese per un polso. Delicatamente, questa volta.
«No...» disse. «Proprio perché sono confuso. Aiutami a togliermi questa confusione dalla testa.»
Simone abbassò lo sguardo. Cominciò a muovere il pollice lentamente sul polso di Tiziano.
Tiziano rimase ipnotizzato dalle ciglia bionde di Simone, che sbattevano rapidamente mentre guardava in basso.
E mentre Simone gli toccava il polso, a Tiziano tornò prepotentemente in testa l'abbraccio con Claudio, l'abbraccio del giorno prima.
Perché mi torna in mente proprio ora?
«Ecco, tipo...» sussurrò Simone. La presa sul polso si strinse appena. «Tipo, pure questo mi fa effetto.» Allungò titubante l'altra mano e tirò su la manica della felpa di Tiziano. Accarezzò l'avambraccio nudo. Dapprima con la punta delle dita, poi con il palmo della mano. Tastò i muscoli, le ossa, lo sguardo sempre più rapito.
Tiziano avrebbe voluto muoversi, sottrarsi alla presa. Avrebbe potuto, Simone non lo stava tenendo fermo. Ma non ci riuscì. Il cuore gli stava per uscire dalla bocca.
Simone chiuse gli occhi e la sua mano si spostò lungo il braccio: bicipite, spalla. Infilò le dita nel collo della felpa e tocco la clavicola. Tiziano vedeva il petto dell'altro alzarsi e abbassarsi ritmicamente e sempre più rapidamente, mentre il tocco leggero delle sue dita gli stava facendo girare la testa.
«Pure questo... mi sembra... mi sembra, hai presente quando sei ragazzino e ti ecciti per qualsiasi cosa? Per qualsiasi sorriso, qualsiasi gamba un po' scoperta, qualsiasi elastico di mutandina che vedi spuntare dai pantaloni... ecco, è così che mi sento in questi giorni.»
Ogni donna mi fa palpitar, pensò Tiziano. Cherubino ha sempre ragione.
Ma la frase di Simone ebbe l'effetto di riportare Tiziano alla realtà. «No, senti, non è una buona idea.»
Fece per allontanarsi ma Simone lo fermò. Lo prese per i capelli, con voracità. Avvicinò il suo viso a quello di Tiziano e le loro fronti si toccarono. «Ti prego, solo un bacio.»
Ogni resistenza di Tiziano si sciolse all'istante. Le sue mani corsero più rapide del suo pensiero, e afferrarono Simone per la vita, lo tirarono a sé. Simone rispose alla stretta con un gemito. I loro corpi erano perfettamente adesi, adesso. Simone affondò le mani sotto la felpa dell'altro, gli accarezzò la schiena, e strofinò il viso sul suo collo.
No, non devo. Non devo approfittarmi di lui.
«No» protestò debolmente Tiziano. Ma non si mosse.
Fu Simone a muoversi, sollevò la testa. «Sì» disse. Tiziano sentì il naso del ragazzo strofinare contro la sua guancia, sentì il suo alito sulla pelle.
Cominciò a voltare la testa, socchiuse le labbra. Ma esitò, al momento di agire, e anche l'altro rimase immobile. E fu in quell'istante di esitazione che la maniglia della porta cigolò.
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