33. Sempre la stessa storia ✓

Tiziano fu svegliato dalla porta che si apriva.

«Mortacci che freddo!»

Con gli occhi ancora un po' appannati dal sonno, vide Claudio entrare e strofinarsi vigorosamente i capelli con una mano, spargendo una nube di goccioline intorno a sé. Nell'altra mano stringeva una busta di plastica.

Era fradicio. Tiziano comprese in quel momento che il leggero rimbombo che si udiva nella stanza era la pioggia che batteva sul tetto della baita.

Un gemito dal piano di sotto annunciò il risveglio di Simone.

«Tie'» disse Claudio tirando fuori un cartoccetto dalla busta. «So' annato ar bar e t'ho preso un cornetto che pare de cartone, un'acqua, e quer piscio de topo che loro chiamano caffè» disse consegnando tutto a Simone.

«Acquaaa...» rantolò Simone, come se avesse appena terminato la traversata a piedi del Sahara.

Tiziano udì il crack della bottiglietta che si apriva e il gorgoglio di Simone che beveva.

Claudio si sfilò le scarpe bagnate scalzandole coi piedi. Slacciò i jeans umidi e scomparve dalla visuale di Tiziano, perché si era seduto sul letto sotto.

«Non dire niente» disse Simone dopo l'ultimo sorso.

«Sto dicendo qualcosa?» ribatté Claudio.

«Me lo stai dicendo con gli occhi.»

Rumore di carta stropicciata. 

«Magnate questo, bevite er caffè e poi te piji 'n'aspirina. Vediamo se riesco a renderti presentabile.»

Tiziano decise di alzarsi. Si mise seduto, si stiracchiò e strofinò gli occhi. 

Si massaggiò la spalla destra: gli faceva un po' male. Ma non c'era da stupirsene, aveva dormito tutta la notte steso sul fianco.

Insieme a Claudio.

Pensare alla cosa continuava a non fargli alcun effetto. Era ancora troppo scosso da tutto quello che era successo: il desiderio, i problemi di Simone, la disperazione e la confusione che aveva letto nei suoi occhi la sera prima.

Il fatto che avesse tentato di baciarlo.

Scese dalla scaletta. C'era ancora il suo libro a terra, dove Claudio l'aveva sbattuto in un impeto di rabbia, quando erano entrati in stanza.

Infilò le ciabatte e si voltò a guardare i due ragazzi seduti sul suo letto: Claudio aveva appena finito di sfilarsi i jeans. Simone stava prendendo una pasticca di aspirina da un blister. Aveva un aspetto orrendo: spettinato, gli occhi gonfi, le labbra secche. Lanciò un'occhiata apatica a Tiziano, prima di ingoiare l'aspirina, e lui rispose con un cenno di saluto.

«Devo andare in bagno» disse Simone.

«Dove hai preso gli alcolici?»

La domanda di Claudio fu brutale e Simone abbassò lo sguardo con aria imbarazzata.

«Ti ho sequestrato i soldi, l'altroieri, come hai fatto a comprarne altri?» Lo incalzò Claudio. Poi, rivolto a Tiziano: «Gli hai prestato dei soldi?»

Tiziano scosse la testa.

Addirittura? Claudio ha preso in custodia i soldi di Simone per non fargli comprare alcolici?

Claudio ricominciò a interrogare il suo amico. «Dimmi come hai fatto a procurarteli e quanti ne hai nascosti in giro per il campeggio.»

«Non ho nascosto niente!» protestò Simone, offeso.

«Nun fà l'innocentino, te prego. Come se nun te conoscessi!»

Tiziano, imbarazzato dalla ramanzina, si diresse all'armadio per prendere il suo beautycase.

«Ok, degli alcolici nascosti ne parliamo dopo» proseguì Claudio. «Però devi dirmi dove...»

«C'era una dispensa in cucina» rispose Tiziano a mezza voce, perché non ne poteva più di quello strazio. E tanto prima o poi Claudio l'avrebbe scoperto.

Simone gli lanciò un'occhiata che trasudava odio.

«Ah, ecco. Le palle che mi racconti. Quindi non li hai comprati, li hai rubati?» chiese Claudio. «Ma sei cretino? E quando se ne accorgeranno che succederà, secondo te?»

«Oh, per favore, tu esageri sempre... Ne ho fregati pochissimi! Non se ne accorge nessuno.»

«Pochissimi ieri, pochissimi l'altroieri, pochissimi quanno hai fatto ubriacà 'sto sfigato. Pochissimi il primo giorno che eri talmente sfatto che non riuscivi manco a tirà un calcio alla palla...»

«Il primo giorno non ero ubriaco! Te lo giuro! Non so cosa mi era preso, ma non avevo bevuto! Non ho toccato niente per settimane fino all'altra sera!»

Tiziano ricordò improvvisamente il litigio di Claudio e Simone al campo sportivo, il primo giorno, quando Simone era diventato improvvisamente (e agli occhi di Claudio inspiegabilmente) incapace di giocare. Ricordò il modo in cui Claudio l'aveva strattonato, il rancore triste con cui aveva guardato gli spogliatoi, quando Simone era andato a farsi la doccia. Quindi era per questo, che si era arrabbiato. Pensava che il suo amico fosse, per l'ennesima volta, ubriaco. 

Tiziano strinse le labbra. Avrebbe voluto difendere Simone e dire a Claudio che era tutto vero: gli alcolici non c'entravano niente coi problemi del primo giorno. Ma non poteva farlo, Claudio l'avrebbe preso per pazzo. Non poteva dirgli che aveva espresso un desiderio con un cellulare magico e quel desiderio aveva avuto conseguenze inaspettate.

«Perché dovrei crederti?» La voce di Claudio era affranta.

«Ho bevuto solo ieri. Ti giuro. E un pochino due giorni fa, insieme a Tizio.»

«Un pochiiino!» gli fece il verso Claudio. «E l'altroieri no? T'ho visto come stavi messo di mattina.»

Simone non rispose. Ma si vedeva che era stato colto in fallo. 

«Quindi tre sbornie in tre giorni! Bravo coglione! E io più cojone de te a incazzamme!»

«Ok, ho capito, hai ragione. Comunque non ti devi preoccupare, non se ne accorgerà nessuno. Ho fregato giusto du' cose, c'era uno strafottio di roba.»

Claudio raccolse da terra i pantaloni della tuta con cui aveva dormito, evidentemente per indossarli. «Ti stai ripetendo...»

Tiziano si ricordò improvvisamente dei rumori di vetro e latta che aveva sentito la sera prima, al buio, durante lo sciagurato appuntamento con Simone. «Le bottiglie!» esclamò. «Hai lasciato le bottiglie nella baracca!»

Claudio nascose il viso nei pantaloni che stava ancora tenendo in mano, mentre Simone spalancò la bocca. «V-veramente? Sei sicuro? Io... non mi ricordo...»

«Sì! Ho sentito il rumore! Ci sei inciampato sopra, al buio, e anch'io ho sbattuto il piede contro qualcosa che mi sembrava una lattina, può essere? Hai bevuto birra?»

Simone chiuse gli occhi e inarcò le sopracciglia in un'espressione sofferente. «Merda! Esco subito e vado a buttare tutto.» Spinse Claudio per scendere dal letto e gli strappò i pantloni di mano.

«Cazzo... ieri sera non ci ho pensato...» Tiziano si maledisse ad alta voce.

Ero così scosso, ieri...

Troppo per riuscire a comportarsi in modo lucido e responsabile.

«Stai attento. Valerio e Gianfranco so' già svegli e stanno a girà per il campeggio» disse Claudio, rivolgendosi a Simone. Quest'ultimo indossò di volata i pantaloni di Claudio (gli stavano lunghissimi) e un paio di ciabatte che trovò a terra, anch'esse di Claudio, e in pochi secondi fu fuori dalla stanza.

Claudio scosse la testa. Poi guardò Tiziano, stringendo gli occhi. «E tu? Che cazzo nun me stai a raccontà? L'hai aiutato? Perché? Come?»

«No, non l'ho aiutato» si affrettò a rispondere Tiziano. «La sera che eravamo di corvée abbiamo trovato quell'armadietto... No, ora che ci penso l'armadietto l'ha trovato lui, e io l'ho beccato, lui sembrava... mi è sembrato come di averlo colto di sorpresa...» 

«Ah, mo' me spiego perché ha fatto bere pure te... L'hai sgamato, nun ci aveva una scusa pe' stà da solo in cucina alla fine del turno, e t'ha coinvolto. Che stronzo.»

«Ma no!» cercò di difenderlo Tiziano. «Io... a me sembrava che volesse solo divertirsi. Cioè, mi ha offerto solo un paio di shottini, e io non volevo neanche, però...»

«Sì, sì, ho capito, volevi fare colpo su di lui. E ieri sera?»

Tiziano avrebbe voluto ribattere all'affermazione, ma Claudio insistette con altre domande: «Come ce sei finito alla baracca andando ar cesso che sta dalla parte opposta? Volevate fà 'na festicciola? Guarda che t'ho visto che eri agitato, se capiva lontano un miglio che stavi a organizzà quarcosa de losco...»

Tiziano non seppe come difendersi. Non poteva dire a Claudio la vera natura dell'appuntamento. «Sì, è vero, mi aveva chiesto di beccarci là alle undici. Credo che volesse chiedermi qualcosa di Karen. Non sapevo che avesse rubato delle bottiglie. Te lo giuro, non pensavo di trovarlo ubriaco.»

«È sempre la stessa storia...» disse Claudio, amareggiato. Si alzò in piedi e tirò un calcio al letto, strinse i pugni come se volesse distruggere qualcosa, ma si trattenne. «Prima o poi lo corco de botte. Forse così capisce.» Sospirò. «Dai, annamo. Annamo a vede che sta a fà quer rincojonito. M'ha pure fregato i pantaloni, mo' che me metto? I jeans so' mezzi fracichi.»

In quel momento bussarono alla porta.

«A riecchilo.» Claudio aprì con un gesto secco. «Allora, hai...» si bloccò. Tiziano lo vide sparire fuori dalla porta, come attratto da una forza misteriosa, e al suo posto apparve Valerio.

Nero in volto.

Fece due passi e prese Tiziano per un braccio, tirando anche lui all'esterno.

«Fuori! Tutti fuori! Subito!» Gridò mentre lo trascinava.

«Vale', che succede?»

Valerio non lo ascoltò. Passo alla stanza alla loro destra e trascinò all'esterno i suoi occupanti (Gianluca e Michele) allo stesso modo in cui aveva trascinato Tiziano e Claudio. A sinistra, gli occupanti delle camere erano già tutti fuori, in piedi, e discutevano vivacemente tra loro.

«So' scalzo, in boxer e ci ho la majetta tutta bagnata» disse Claudio, sottolineando l'evidenza. Poi si guardò intorno con un sorrisetto strafottente. «Le pischelle saranno contente dello spettacolo, immagino. Ma io ci ho giusto un pelo freddo.»

Claudio stava scherzando come sempre, ma Tiziano percepì una certa inquietudine, nel suo tono di voce.

«Venite vestiti come siete» disse loro Gianfranco, che passava in rassegna i ragazzi seguendo Valerio. «Perquisizione delle camere.»

Tiziano lanciò un'occhiata fugace a Claudio che assunse un'espressione preoccupata.

«Perché?» chiese timidamente Tiziano. «Cos'è successo?» Conosceva già la risposta.

«Sono stati rubati degli alcolici dalla cucina.»

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