31. ...stupido! ✓
Stasera, alle undici, al baraccone dove abbiamo fatto il karaoke.
Tiziano era seduto a gambe incrociate sul suo letto, con accanto un libro di Simon Kuper che si era portato dietro come lettura serale, in caso non ci fosse nulla da fare. Era aperto da mezz'ora a pagina ottanta, e Tiziano aveva riletto per la centesima volta la prima frase, senza capirla. Stava ripensando ossessivamente all'appuntamento che Simone gli aveva dato quel pomeriggio.
«Sì, t'ho detto... cos... ho magnato du chili de insalata coi pomodori, domani mattina intaso er cesso. Contenta?»
Claudio, steso sul piano superiore del castello, era al telefono con la madre. Non era una videochiamata, stavolta. Tiziano aveva chiamato la sua, di madre, dal telefono di Claudio, circa mezz'ora prima. Non perché avesse voglia di sentirla, semplicemente per distrarsi: troppe emozioni, positive e negative, lo stavano stremando.
Già. C'erano anche emozioni positive, nel suo cuore.
Tiziano continuava a ripetersi che non avrebbe dovuto essere contento, che se c'era (se c'era) qualche sentimento di attrazione da parte di Simone era solo a causa del desiderio che aveva espresso, ma non poteva dire al suo cuore cosa provare. E in un angolino del suo cervello pensava, persino: forse potrei farlo felice.
«Non voglio parlare di lui» disse Claudio con un tono di voce che suonava quasi offeso.
Tiziano spostò per un attimo l'attenzione sulla telefonata di Claudio: Di lui? Chi sarebbe lui? Sarei io?
«Lasciamo perde, guarda... ho dett... mmm... che du' palle, ma'!»
Tiziano si rese conto che la discussione era incomprensibile e rinunciò a capire. Guardò l'ora sul cellulare: 10:45. Troppo presto per uscire? Il baraccone era a un minuto di distanza dalle baite.
«Ho seriamente paura che sia 'na causa persa... ci ho litigato pure ieri...»
Tiziano tese di nuovo l'orecchio: Non sta parlando di me. Di Simone forse?
«E secondo te perché?... Eh, brava... Ma io che posso fà, ma'? Secondo te so' contento?» Il suo tono di voce, ora, era amareggiato. «Dai, basta, cambiamo argomento... Ah questo è un argomento che mi piace! Sì, tutto benissimo, ce la intendiamo alla grande, nevvero Fiorelli'?»
«Alla grande» gli rispose Tiziano, apatico.
«A parte quando mi tocca salvargli la vita dalle infezioni per tetano... Sì... no è un cretino, ha tirato un pugno a uno specchio che non veniva lavato da dieci anni... sì... mh... mh... ahah... no, guarda, è un rompiballe cacacazzi con la puzza sotto il naso. Giusto pe' fatte capi': in questo momento sta a legge un libro... Eh, ma te poi porta' un libro a un ritiro sportivo? Ma quanto poi esse sfigato? No, poi uno che ascolta Mozart...»
Dal ricevitore del telefono Tiziano riuscì a percepire il tono di voce alterato della madre, appassionata mozartiana. Claudio si mise a ridere.
Quant'è stronzo.
Che ore sono? 10:48. Esco?
Tiziano non stava più nella pelle e decise di alzarsi.
«Se crede de vive a... com'è che se chiama quella serie che te piace tanto?... Downton Abbey, sì! Quella! Ah, eccolo qua che si guarda intorno cercando dov'è finito il suo valletto.»
Veramente sto cercando le scarpe.
«Buonasera, milord!»
«Buonasera» rispose Tiziano facendo un inchino.
Ok, vado.
Vado e arrivo in anticipo. Chissenefrega. Magari arriva prima anche lui.
Tiziano trovò finalmente le scarpe (erano finite sotto il letto) e le infilò senza slacciarle.
«'Ndo vai a quest'ora?» chiese Claudio.
«La mia nobile persona deve discutere di nobili questioni col reggente dello Stato Vaticano.»
«Cioè vai a cagà?» rise.
A Tiziano sembrava una buona scusa per assentarsi, anche perché non credeva che con Simone sarebbe andata molto per le lunghe. Io mi faccio i film, ma probabilmente vuole solo chiedermi qualche favore che riguarda Karen.
«Non mi aspettare sveglio, saranno importanti e lunghe questioni di diritto canonico» disse Tiziano.
Claudio rise di nuovo, mentre Tiziano chiudeva la porta dietro di sé.
«Sembra simpatico, in realtà è un cacacazzi» lo sentì dire da dietro la porta chiusa.
Tiziano si guardò intorno: nessuno in vista. Avanzando in punta di piedi per non farsi udire, s'incamminò verso il baraccone, con il battito del cuore in accelerazione costante.
Davanti all'edificio non c'era nessuno. Tutte le luci, all'interno, erano spente, ma la porta d'ingresso era socchiusa: bastò una leggera spinta per aprirla.
Entrò. La stanza sembrava deserta. Fece un passo e il suo piede urtò un oggetto metallico, una lattina di Coca Cola, forse, abbandonata lì dalla sera del karaoke. Produsse un rumore che, nel silenzio della notte, sembrò infernale.
«Merda...» sussurrò.
«Mh. Sei venuto.»
La voce di Simone, forte e improvvisa, fece emettere a Tiziano un gemito di spavento. Simone rise. Una risata strana, breve, a singhiozzo.
«Sei venuto» ripeté.
«Parla piano» sussurrò Tiziano. «Cosa volevi dirmi?»
«Shhh...» fece lui. Ridacchiò ancora. Lo sentì alzarsi in piedi. Urtò anche lui qualcosa, ci fu un rumore, come di vetro contro vetro. «Ops!» Ridacchiò per l'ennesima volta. Si comportava in modo strano. «Vieni qua» sussurrò.
«Non ti vedo» disse Tiziano.
«Io sì» disse. E prima che Tiziano riuscisse a orientarsi o capirci qualcosa, Simone gli fu addosso.
Non accanto, addosso. Lo abbracciò, lo strinse, affondando le dita nei suoi vestiti, lo sentì strusciare il naso contro il suo collo. «Oh, Tiziano...» mugolò.
Per qualche secondo Tiziano si lasciò innebriare da quelle sensazioni, il pensiero cosciente completamente bypassato dalle sensazioni fisiche, dal desiderio di stringerlo a sua volta allo stesso modo.
«Mi devi aiutare, Tiziano» gli disse all'orecchio, con voce disperata, appoggiandosi a lui quasi a peso morto.
E fu in quel momento che Tiziano si rese conto che Simone era ubriaco. Ubriaco fradicio.
Tiziano si impose di restare calmo. «Hai bevuto?»
«Naaah» disse continuando a strusciarglisi addosso. «Giusto un pochino... mmh...»
Non sei un animale, Tiziano. Ignora il coso in mezzo alle tue gambe.
«Sediamoci» disse Tiziano. «Non sei in te.»
Gli occhi di Tiziano si stavano abituando all'oscurità. Sorresse Simone e l'accompagnò al muro accanto alla finestra, da cui entrava il chiarore dei lampioni del cortile. Lo fece sedere. A quella debole luce riusciva a vederlo, e gli sembrò così vulnerabile e indifeso, mentre inarcava il collo all'indietro a occhi chiusi, la fronte scintillante di sudore.
«Mi devi aiutare» piagnucolò, ondeggiando la testa.
Mi stava stringendo. Mi stava desiderando.
Tiziano non credeva di aver mai provato nulla di simile: il suo cuore batteva, all'idea che Simone fosse attratto da lui, ma il sentimento era sommerso dal senso di colpa e dal disgusto. Era una sensazione lacerante.
Che gigantesco, schifoso inganno.
Simone aprì gli occhi e lo guardò. Sorrideva, ma era il sorriso più disperato che Tiziano avesse mai visto.
Che cosa ho fatto...
«Perché sei triste?» disse Simone. Allungò una mano e gli accarezzò una guancia con l'indice.
Che cosa ho fatto... è tutta colpa mia...
«Mi devi aiutare. Ho bisogno di capire» continuò Simone, strascicando le parole.
«Cosa devi capire?» chiese Tiziano, sapendo già la risposta e terrorizzato all'idea di sentirla.
Simone si colpì la testa con il palmo della mano. Una, due volte. Tre. Continuò a picchiare, lentamente ma regolarmente, e sempre più forte. Iniziò a mugolare, a ogni botta.
«Smettila, per favore...» disse Tiziano prendendogli la mano. Simone gliela strinse.
«Che cos'ho nella testa?» Simone fece una pausa, poi prese a reppare, mangiandosi un po' le parole: «...funzna a metà, onnittanto parte suono che fa...» Scoppiò a ridere.
«Smettila!» gridò Tiziano, frustrato, scuotendolo per le spalle.
«Tu sei gay, no?»
La domanda di Simone arrivò improvvisa, dal nulla e lo stomaco di Tiziano si ribaltò. «Che cosa hai detto?»
Di nuovo. Perché? Come fa a saperlo?
Cosa ho fatto l'altra sera?
Simone ondeggiò lentamente la testa poi lo guardò, lo sguardo spento, la mascella a ciondoloni.
«Io lo so che sei gay» disse, poi guardò a terra, triste.
«Senti... se è per l'altra sera...» Tiziano prese la testa di Simone tra le mani e lo costrinse a guardarlo. «Ascoltami bene: ero ubriaco, ok? Forse ho fatto qualche cazzata, non so cosa ti sei messo in testa, ma... non sono gay!»
Simone rise.
«Non ridere!» sbottò Tiziano.
«Oi oi... calmo... stai carmelo...» rise. «Io lo so che sei gay. L'ho sempre saputo... lo so...»
Lo stava guardando di nuovo con quel sorriso triste. «Scusami...» disse Simone. «Scusami tanto...» sembrava quasi sul punto di piangere, ora. «Potrai mai perdonarmi?»
«E perché dovrei perdonarti?»
«Perdonami, ti prego!»
«Tu non mi hai fatto niente!»
«Mi puoi baciare?» sussurrò.
Tiziano sbatté le palpebre un paio di volte. Cosa aveva appena sentito?
«Che... c-co-cosa hai d-detto?» balbettò Tiziano.
«Ho detto baciami, stupido!»
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