28. Il segreto di Claudio ✓

Tiziano tornò al villaggio nel tardo pomeriggio e trovò i compagni già rientrati dalla seconda seduta di allenamento, docciati e cambiati per la serata.

«Ohi Tizio, come va lo stomaco?»
«Hai vomitato ancora?»

Tiziano non rispose.

Aveva di nuovo fame. Aveva trascorso mezza giornata a vagabondare in giro, senza meta, senza scopo, con soltanto due tramezzini e una Coca Cola in pancia.

Si era inoltrato nel bosco, senza preoccuparsi di seguire un sentiero, un percorso. Voleva nascondersi dal mondo e dai suoi problemi. Aveva sperato sinceramente di perdersi, di cadere in qualche tana nascosta dal fogliame, di essere divorato da qualche lupo o orso. Ma frocio come sono al massimo vengo attaccato da un fagiano, aveva pensato.

Aveva riflettuto. Molto. Su Simone e sul desiderio.

Dopo ore di elucubrazioni, paranoie e paturnie aveva finito per attaccarsi a una debole speranza, ricordando le regole che gli aveva recitato la fattucchiera.

Non puoi uccidere.
Non puoi redivivere.
Non puoi innamorare.

Far diventare qualcuno gay, aveva ragionato, forse rientra nell'ambito dei sentimenti, dell'amore.

Tiziano sperava ardentemente che fosse così.

Quanto al fatto che il cellulare avesse smesso di funzionare, inizialmente pensava fosse semplicemente perché il desiderio era stato esaudito. Ora, invece, Tiziano sperava fosse una sorta di punizione per aver cercato di forzare le regole: aveva espresso un desiderio vietato e quello era stato cancellato.

Tiziano aveva deciso di aggrapparsi con tutte le sue forze a questa teoria, voleva evitare di impazzire per il rimorso. E se questo significava essersi bruciato in modo stupido anche l'ultimo desiderio, be', pazienza. Anche se era l'ultimo. L'unico che avrebbe potuto usare per se stesso.

Rientrò al villaggio con il buon proposito di non frignare più, di non commiserarsi, di reagire in qualche modo.

Io non sono uno che si piange addosso.
Non sono così. Non lo sono mai stato.

Aprì la porta della Genziana.

Non fece neanche in tempo ad accorgersi della presenza di Claudio, seduto al tavolo in fondo alla stanza, che lo vide avvicinarsi con la rapidità e la furia di un toro davanti a un drappo rosso. Il ragazzo sollevò una mano, aperta e tesa, Tiziano si accucciò per schivare il ceffone in arrivo, ma Claudio si fermò con la mano a mezz'aria.

«Ma che cazzo ci hai in qua'a capoccia?» disse con la mano ancora in aria, adesso stretta in un pugno.

«Che ho fatto?»

«'Ndo cazzo sei stato fino adesso?! E a pranzo dov'eri? Sei sparito nel nulla sapendo che Valerio sarebbe venuto a vedere come stavi.» Picchiettò con un dito sulla testa di Tiziano. «Ma ce l'hai un cervello qui dentro o ce stanno solo pupazzetti che ballano? E ovviamente hai pure spento il cellulare, da brava drama queen quale sei.» 

Tiziano chiuse gli occhi e chinò la testa. Questa volta Claudio aveva ragione. Aveva agito da vero egocentrico, senza pensare alle conseguenze.

«Valerio ha detto qualcosa?» chiese grattandosi la nuca.

«No, ho avuto la prontezza di inventarmi la palla che stavi a morì de coliche sulla tazza del cesso, e per tua fortuna la descrizione l'ha disgustato abbastanza da non venì a controllà de persona.»

Claudio puntò le mani ai fianchi e squadrò rapidamente Tiziano dalla testa ai piedi. Gli indicò il petto. «Chi t'ha sborrato sulla majetta?»

Tiziano si guardò per capire di cosa stesse parlando Claudio. «No, è una macchia di dentifricio» disse. Poi prese dalla tasca il Motorola Razr rotto e lo mostrò a Claudio. «E comunque il cell non l'avevo spento, l'ho distrutto.»

Claudio allungò il braccio strabuzzando gli occhi, ma invece di prendere il cellulare, come si aspettava Tiziano, gli afferrò il polso: «Che cazzo hai fatto alla mano?»

Tiziano rimase per qualche istante interdetto. «Ho... tipo... tirato un pugno a uno specchio del bagno.»

Claudio annuì pensoso. Lasciò il polso e sfilò il cellulare dalla mano di Tiziano, tenendolo con la punta di pollice e indice come fosse un assorbente usato o qualche altra schifezza del genere. Lo sportello era completamente divelto e stava attaccato non si sa come al corpo del cellulare. «Ma che è sta merda? 'Ndo l'hai recuperato 'sto reperto? E come hai fatto a romperlo così?»

«L'ho... tipo... sfracellato contro un muro.»

Claudio annuì pensoso, parte seconda.

Scosse la testa, lanciò il cellulare sul letto e afferrò di nuovo Tiziano per il polso. Studiò la mano ferita da vicino. «Quindi so' vetri, questi?»

Tiziano si guardò la mano, che Claudio stava sbatacchiando come fosse un guanto vuoto, e si avvide che non era un bello spettacolo: nonostante l'avesse pulita alla meno peggio sotto al rubinetto, subito dopo aver tirato il pugno allo specchio, adesso era completamente ricoperta di sangue rappreso e c'erano diverse piccole schegge ancora conficcate sulle dita e sulle nocche.

«Tu sei il più rincoglionito dei rincoglioniti. Voi fatte venì er tetano? Ce l'hai dell'acqua ossigenata?»

Tiziano sbuffò. «Sì, perché mo' il tetano si cura con l'acqua ossigenata...» disse sarcastico.

«Certo, se i tagli non sono troppo profondi. I clostridium del tetano sono batteri anaerobi, l'ossidazione li uccide.»

L'erudito che aveva appena preso possesso del corpo di Claudio si allontanò per andare a tirare fuori il suo borsone da sotto il letto.

Tiziano lo fissò incredulo.

«Cazzo guardi?» disse Claudio, dopo aver estratto una busta zippata dal borsone. Prese una boccetta bianca dalla busta e lanciò quest'ultima sul letto.

Ora lo riconosco.

Claudio afferrò per la terza volta il polso di Tiziano e inondò le ferite con una generosa dose di acqua ossigenata.

«Argh! Brucia!»

«Non fare la checca. Avresti dovuto metterla subito, comunque. Quante ore so' passate?»

Tiziano non rispose, anche perché non lo sapeva. Una schiuma biancastra gli ricoprì quasi interamente il dorso della mano.

«Stringi il pugno» disse Claudio.

«Ma poi mi si riaprono le ferite...»

«Ma va'? Lo scopo è proprio quello. Stringi forte, così l'acqua ossigenata va più in profondità.»

Tiziano obbedì digrignando i denti e Claudio spruzzò altro disinfettante. Poi prese una bottiglietta d'acqua naturale che stava sul comò accanto al letto e sciacquò via la schiuma e i residui di sangue dalla mano.

«Mo' te devi toglie 'sti vetri.» disse infine girandosi la mano davanti agli occhi.

«E con cosa?»

«Non ci hai delle pinzette?»

«Ti sembra che ho le sopracciglia ad ala di gabbiano? Non uso pinzette.»

Claudio gli guardò le sopracciglia per qualche secondo.

«Ok. Delle forbicine?»

«Forbicine per cosa?»

«Chennesò? Per le unghie? Per fare i centrini de carta?»

«Ci ho le tronchesine.»

Claudio fece un'espressione di disappunto, quasi arrabbiata. Sembrò indeciso sul da farsi, per qualche secondo. Poi sospirò, lasciando finalmente il polso di Tiziano. «E va be', t'attacchi ar cazzo e te tieni i vetri. Io esco, me becco co' gli artri prima de cena.»

Tiziano fece spallucce. «Non morirò.»

Claudio si alzò, infilò le ciabatte, fece due passi verso la porta. Sospirò. «Vado» disse.

Guardò Tiziano.

Sospirò di nuovo.

«Mbe'?» disse Tiziano. Poi si ricordò dello spuntino che Claudio gli aveva comprato quella mattina.

Forse si aspetta che gli restituisco i soldi.

Stava per aprire bocca e offrirsi di pagare, ma fu intimorito dall'impeto con cui Claudio tornò verso di lui. «Ok. So che me ne pentirò. So che me ne pentirò amaramente, ma qua rischi un'infezione de quelle brutte.»

Poi si chinò accanto al letto, con movimenti bruschi frugò di nuovo dentro il suo borsone e, dopo un lungo armeggiare, ne estrasse un piccolo oggetto, che nascose prontamente dietro la schiena. Si avvicinò a Tiziano. Chiuse gli occhi, prese un gran respiro, e infine espose l'oggetto davanti a sé tenendolo tra pollice e indice con la solennità e la delicatezza con cui si maneggerebbe un uovo Fabergé.

Erano delle pinzette da estetista.

Silenzio. Una manciata di secondi.

«Ok» disse Claudio fissando Tiziano con sguardo infuocato. «Ok, dillo a quarcuno e t'ammazzo. Ma nun t'ammazzo e basta, prima te torturo che Guantanamo levate, che avresti preferito morì cor braccio che te andava in cancrena pe' 'sti pezzetti de vetro.»

Tiziano venne preso da un attacco irrefrenabile di "ridarola". «E quindi...» non riuscì a smettere di ridere, anzi, l'intensità delle risate aumentò. Tra le lacrime vide Claudio mettersi una mano sul viso. «E quindi ti levi le sopracciglia?» disse infine quando fu riuscito a calmarsi.

«Ci ho il monociglio, ok? Va bene? Che divertimento!» disse Claudio, arrabbiato.

Tiziano scoppiò di nuovo a ridere. Claudio, che stava ancora lì con le pinzette tra pollice e indice, roteò gli occhi e sbatté le pinzette sul tavolo. «Mo' vado veramente.»

Tiziano prese le pinzette, continuando a ridacchiare. Claudio scosse la testa e si diresse alla porta.

«No, aspé...» Tiziano cercò di calmarsi. «Aspetta un secondo.» Tossì. «Ti devo chiedere due cose, prima.»

«Veloce.»

«Primo: quanto è costato il tramezzino?»

Claudio accennò un'imprecazione, prima di rispondere. «Cinque piotte. Me le ripaghi in natura. Secondo?»

«Ehm... mi... mi presteresti il cellulare?»

Doveva scrivere almeno un messaggio a sua madre.

«Devi chiamare il tuo fidanzato?»

Ma perché deve sempre fare queste battute cretine?

«Devo scrivere un messaggio a mia mamma. Solo uno, per dirle che so' vivo. L'ultima chiamata è finita un paio d'ore fa con me che urlavo e lanciavo il telefono contro il muro.»

«Glielo scrivo io, tu comincia a toglierti quei vetri.»

«Non mi fido. Sicuro le scrivi qualche cazzata.»

«O così, o t'attacchi ar cazzo.»

Tiziano si trovò costretto ad accettare. «Va bene. Allora, scrivi: Ciao... aspe', che stai scrivendo?»

«Cara mammina, sono il... tuo figliuolo... cretino...»

«No, allora...»

«...sono vivo... ma... morirò... di tetano... tra un... mese...»

«Non scriverlo, quella scema poi ci crede.»

«...ti sto... scri...vendo... dal cell... di quel... ragazzo... bel... lissimo...»

«Eddai, finiscila!»

«Te le vuoi togliere quelle schegge? Muoviti. Dove eravamo? Ah sì: quel ragazzo bellissimo che... mi è... venuto a... trovare... domenica.»

«No, torna indietro, scrivi "bellissimo ma monocigliato"» disse Tiziano pinzandosi via la scheggia più grossa dalla nocca.

«Sul bellissimo semo d'accordo, quindi.»

Tiziano roteò gli occhi. «E poi sarei io la drama queen...»

«Ok, ribadiamolo: Pi Esse... è bellissimo... ma... ho appena... scoperto... che si... leva il... mono... ciglio... ma non... importa... perché... è bellissimo... lo stesso... dici che ho scritto abbastanza volte bellissimo?»

Tiziano scosse la testa, ma non riuscì a sopprimere un sorriso.

«No? Lo scrivo ancora una volta? Pi pi esse... è bellissimo... e si... chiama... Claudio... che è il... nome... di un... imperatore... che si... cu... ramente... era meno... bellissimo... di lui. Fine. Dimme er numero.»

Tiziano glielo disse, divertito e allo stesso tempo un po' a disagio all'idea di quel che avrebbe pensato sua madre.

«Fatto. Mandato. Ridammi le pinzette.»

«Non ho finito» protestò Tiziano. «Giuro che non te le rubo. Non sia mai che ti trasformi in Rick Sanchez.» Ridacchiò.

Claudio gli prese le pinzette di mano senza tante cerimonie.

«Ehi! Ho ancora...» Tiziano non finì la frase perché Claudio lo spinse a sedere sul letto. Poi gli prese la mano e Tiziano istintivamente si ritrasse.

«Sta' fermo» disse Claudio, tenendo saldamente la stretta e chinando la testa sulla mano ferita. «Ce stavi a mette du' ore, a lavorà ca'a destra. Faccio io che ce metto du' minuti.» E per dimostrarlo, estrasse rapidamente con le pinzette la prima scheggia.

Tiziano rimase come paralizzato, per qualche secondo. I gesti spicci e rudi con cui Claudio gli aveva disinfettato le ferite, poco prima, non l'avevano stupito, gli erano sembrati, anzi, perfettamente in linea col personaggio: il sadico bullo che si diverte a tormentare di bruciore la sua vittima preferita. Ma adesso stava lì, a testa china, profondamente concentrato. Gli reggeva la mano ferita con delicatezza - i loro polpastrelli si toccavano - e osservava le dita e le nocche di Tiziano da vicino.

Il cuore di Tiziano, già abbastanza straziato da tutto quello che gli era capitato durante la giornata, stava pompando sangue in tutte le direzioni, come impazzito.

Ad aggiungere tormento al tormento, nella sua testa risuonarono le parole inopportune che Karen gli aveva detto poco prima. 

È innamorato di te. Gli piaci.

Non sparare cazzate, Karen. 

Tiziano deglutì. Avrebbe voluto scappare, sottrarsi a quel contatto, ma allo stesso tempo non riusciva a staccare gli occhi dal viso di Claudio, che era, oggettivamente, bellissimo.

«Che, me stai a guardà er monociglio?» disse Claudio estraendo la seconda scheggia.

«Ehm... be' sì» cincischiò Tiziano. «Non si direbbe, cioè, io non l'avrei detto, che avevi il monociglio.»

«Perché so' bravo. Mica come quer cojone de Gennaro che se fa er contorno segato come se avesse passato er tosaerba in mezzo agli occhi.»

Tiziano rise. «Sì, poi la ricrescita si vede una cifra.»

«Ve'?» rise anche Claudio «Va be', io so' pure fortunato che ci ho le sopracciglia chiarette.»

Biondo scuro, color ambra, come i suoi capelli.

«Ma infatti. Che cazzo te lo levi a fà?» disse Tiziano continuando a guardarlo.

«Perché non hai mai visto come sono al naturale.»

«Nah, scommetto che saresti figo uguale.»

Oh. Cazzo. 

Cosa ho appena detto?!
Dissimulare. Dissimulare!

«Cioè, volevo dire: bellllissssimo» aggiunse Tiziano, calcando sull'ultima parola in tono sarcastico.

No, non va bene. Merda, ho peggiorato la situazione.

Claudio sollevò lentamente lo sguardo dalla mano al viso di Tiziano.

Daje Tiziano, non ti impanicare. Ci stava scherzando su fino a due secondi fa. Va bene così. Non era una battuta gay. No?

Claudio lo fissò, serio.

Ho detto la classica parola di troppo. Adesso mi mena.

Ma l'espressione seria di Claudio diventò sorridente, prima di abbassarsi nuovamente sulla mano.

Tiziano rimase a guardarlo.

Be'? Niente botte? Niente prese per il culo? Niente commenti sulla mia frociaggine?

Gli piaci.

Fu sempre Karen, a irrompere nei pensieri di Tiziano, con la sua voce impertinente. Lui fece di tutto per zittirla, per far valere la sua mente razionale, e risponderle: no, no, no! ma lei continuava a ripetere, ossessivamente: gli piaci, gli piaci, gli piaci.

Tiziano, col cuore in gola, girò la testa verso la porta per non guardare più il viso di Claudio. Le loro mani si toccavano ancora, le ginocchia... oh, non l'aveva notato, prima, ma anche le loro ginocchia si stavano toccando, pelle contro pelle, perché indossavano entrambi i pantaloncini corti.

«Me pare che era l'ultima» disse Claudio. Tiziano si voltò di nuovo verso di lui, che stava osservando di taglio il dorso della mano e le dita. Poi cominciò a sfiorare con la punta dell'indice le dita e le nocche di Tiziano, avanti e indietro.

E adesso che cazzo sta facendo?!

«Senti qualcosa se faccio così?»

Sì, il cuore che mi sta per esplodere.

«Tipo scheggette che pungono?» precisò Claudio.

«No» riuscì a dire Tiziano, miracolosamente senza balbettare.

Claudio annuì soddisfatto. Prese la busta zippata che prima aveva lasciato cadere sul letto, ne estrasse la boccetta dell'acqua ossigenata, e ne versò dell'altra sulle ferite. Tiziano rimase fermo, immobile, congelato. Non osava muoversi. L'altro frugò di nuovo nella busta, stavolta prese un rotolino di garza, sigillato. Lo aprì aiutandosi coi denti, e cominciò a fasciargli la mano.

Sembrava così calmo mentre lo medicava, mentre girava la garza con movimenti sicuri. La srotolò tutta, la fissò incastrando l'ultimo lembo sotto un giro, e quando ebbe finito diede due colpetti alla fasciatura, pat pat.

«Grazie, dottore» disse Tiziano, sentendosi istantaneamente un idiota per la battuta da sfigato. O da set porno.

Claudio non si mosse. Continuava a tenergli quella dannata mano. Perché continuava a tenergli la mano? Fece un accenno di sorriso che Tiziano non riuscì a interpretare. Sembrava quasi... sembrava quasi... 

Gli piaci.

No, Karen, no! Stai zitta, cazzo!

Il busto di Claudio si inclinò leggermente in avanti, appena appena. Tiziano ne fu certo, non se l'era immaginato: l'altro si era avvicinato. 

I loro occhi erano agganciati, Tiziano non riusciva a muoverli, aveva quasi paura di sbattere le palpebre.

Cosa sta succedendo?

Il battito del cuore gli rimbombava nelle orecchie.

Tiziano aveva l'impressione che i loro visi si stessero avvicinando, piano piano, come attratti da una debolissima ma inesorabile forza.

E all'improvviso provò il desiderio di annullare con violenza la distanza che li separava.

E l'avrebbe fatto.

L'avrebbe fatto se il cellulare non si fosse messo a squillare.

Claudio guardò Tiziano negli occhi ancora per un'istante, mentre diceva: «Questa è sicuro tu' madre.» 

Poi voltò la testa, gli lasciò la mano, prese il telefono dalla tasca. «CVD.» Gli lanciò il telefono con un gesto rude, quasi seccato.

Cazzo!
Cosa stavo per fare?!

Tiziano ringraziò la telefonata provvidenziale. Come avrebbe reagito Claudio se...?

Tiziano scosse la testa.

Non ci devo più pensare.

«Pronto?»

Venne salutato da una cacofonia di urla.

Mentre cercava di interpretare gli strilli di sua madre, vide Claudio uscire dalla porta.

Il ragazzo lo guardò un'ultima volta prima di lasciare la stanza. Per un attimo la sua espressione sembrò quasi malinconica. Ma certamente era solo un'impressione. Poi si indicò il centro delle sopracciglia, gli fece segno di fare silenzio e mimò il gesto della tagliola.

Tiziano sollevò un pollice in segno di assenso.

Non preoccuparti. Non racconterò il tuo segreto.

La madre continuava a urlare, all'altro capo della linea.

Ma Tiziano non capì una parola di quello che stava dicendo.

Aveva ancora quel desiderio, addosso. Il desiderio di baciare Claudio.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top