Capitolo V
Gisela non riusciva a smettere di piangere.
Nella mente si figurò la figura del padre e a quando l'avrebbe vista in quello stato. Non voleva tornare a casa... e sentirsi dire che aveva sbagliato un'altra dannatissima volta.
Desiderava stare lì, stretta in quell'abito striminzito, su quella panchina di pietra in mezzo a quel labirinto, il volto ancora un po' arrossato.
Un dolce suono sovrastò i suoi singhiozzi. Tirò su con il naso e scostò le mani dal viso, curiosa. Un pettirosso zampettò allegro sulla neve, quasi a passo di danza. La luce della luna che riusciva a filtrare le siepi, creava cangianti sfumature blu-violetto sul piumaggio variopinto del piccolo uccellino.
Lei si appoggiò allo schienale, osservandolo attentamente. «Hai perso la strada?» gli chiese. «O devi consegnare una lettera in questa casa?»
L'uccellino si fermò e fece scattare la testolina, aprendo e chiudendo il becco a scatti, e muovendo la coda da destra a sinistra e viceversa.
«Sai, oggi non avrei dovuto essere qui» proseguì lei triste. «In realtà dovrei essere a casa con la mia famiglia a partecipare a una cena informale con amici stretti. E invece sono qui, a questa stupida festa, tutto perché devo guadagnarmi la somma per iscrivermi all'Università.» Sospirò, lanciando uno sguardo al centro del labirinto. «Quando mi vedono, tutti pensano che io sia una ragazza immatura e viziata, senza problemi di particolare natura. Nessuno si sofferma a pensare che abbia anch'io una mia battaglia personale da combattere...» La sua voce si fece più stridula. «Ma la vita sembra essere sempre più forte di me! Quando cerco di camminare e afferrarla, lei prontamente allunga le braccia e mi spinge a terra.»
Il pettirosso prese il volo e la raggiunse sulla panchina, come se stesse ascoltando le sue parole cariche di dolore.
Una cascata di lacrime rotolò lungo le sue guance arrossate dal freddo, raggiungendo il mento e la gola. «Sembra quasi che si diverta... come se io...» Si fermò, asciugandosi gli occhi gonfi e rossi. «Forse ha ragione Elmezia» proseguì straziata. «Nella mia famiglia siamo tutte pazze e strane. Dovrei fare come la zia Gloria e...», e lasciò la frase sospesa, poiché si sentì pungere forte alla mano.
«Ahi!» esclamò piegando il braccio. Si volse verso l'uccellino. L'aveva punta? Sembrava avere un'espressione innocente quel dannato pennuto!
Con diffidenza lo osservò, stringendo le palpebre. Ora, aveva preso a fischiettare come se stesse intonando una *canzone di cui lei conosceva bene le parole...
I'll be home for Christmas
You can count on me
Please have snow and mistletoe
And presents under the tree
Christmas eve will find me
Where the love light gleams
I'll be home for Christmas
If only in my dreams
Senza accorgersi, Gisela si ritrovò a canticchiare quella canzone che sapeva di Natale e di un passato felice con la madre, mentre il piccolo uccellino spiccava il volo e restava sospeso nell'aria.
Fu allora che lei vide qualcosa attraverso la coltre di lacrime...
Quando si ritrovò di fronte, reale, a pochi passi dal viso, una figura lucente dai lineamenti virili, la prestanza atletica e una corona di ali variopinte, strabuzzò gli occhi per la sorpresa.
Un Angelo era apparso davanti a lei, al posto del pettirosso. In silenzio, le lanciò uno sguardo ardente, quasi inchiodandola contro lo schienale della panchina. Poi senza darle il tempo di proferire parola, si chinò su di lei, a sfiorarle labbra in un contatto intenso ma allo stesso tempo struggente.
Lei non reagì, ancora la mente annebbiata dalla pura incredulità. Le ali rosso borgogna della figura lucente crearono una conca attorno al suo corpo, come il caldo abbraccio di un amante, e impedirono alla luna di sfiorarle il viso.
Dolci parole sfrecciarono nei suoi pensieri, lemmi di una voce misteriosa, clemente e profonda, che sapeva provenissero da colui che la stava baciando.
Come finita in una bolla di sapone, Gisela lasciò che il suo cuore prendesse il sopravvento sulla ragione.
Le loro bocche presero a cercarsi quasi con disperazione.
Una lacrima le scese sul viso, ben diversa dalle altre che aveva versato prima. La sua pelle non temeva più il freddo, percorsa com'era da lunghi brividi caldi.
Era come se avesse trovato un luogo in cui poteva essere amata, in cui il dolore era spazzato via, che poteva chiamare finalmente casa.
Rapita da quel dolce tepore, chiuse gli occhi, concentrandosi sulle parole mute che lui sussurrava: le stava dicendo di non essere triste, e lui avesse vegliato su di lei se glielo avesse solo permesso.
In un moto di commozione Gisela inclinò il capo, cercando di intensificare il bacio. Ma quando allungò le braccia, e sfiorò le ali con le dita, la sua mano agganciò qualcosa. Infine sentì lui irrigidirsi e allontanarsi da lei, così spalancò gli occhi di scatto.
Senza più avvertire l'abbraccio del misterioso uomo alato attorno al suo corpo, cadde in avanti e avvertì il freddo bruciante della neve sul viso.
Si alzò a fatica facendo leva sulle braccia, guardandosi attorno con affanno.
Lui non c'era più. L'Angelo misterioso se n'era andato.
*
*canzone: I'll be home di Frank Sinatra
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