Capitolo IV

Michelle si incamminò addentrandosi nel giardino della tenuta von Render.

Una spruzzata di neve aveva tramutato quell'angolo verdeggiante in un luogo niveo e incantato. Il freddo pungente sembrò lenire in parte le sensazioni che gli percorrevano la pelle scura.

Una leggera nebbiolina strisciava sopra al terreno, spirali eteree di fumo perlaceo, che quasi non vedeva le proprie scarpe avanzare sul terreno. In quella zona residenziale, aldilà delle basse mura di quella grande casa, si udiva scorrere il fiume Aare.

Spostando lo sguardo rabbuiato sui dintorni, si ritrovò attratto da una luce tremula che scorse in lontananza. Michelle percepì un movimento e si girò: era Geudiele, l'Arcangelo dell'Amore, l'ultimo dei sette.

Quando Geudiele si accorse del fratello, si calò il cappuccio della veste e gli andò incontro. In piedi davanti a quel labirinto, di alti alberi e di bassi arbusti, la sua veste bianca sembrava in parte una cosa sola con la neve.

Gli occhi chiari brillavano come le luci del Natale, i capelli erano fili d'argento che gli ricadevano sulle spalle in una cascata di candido chiarore latteo. La sua figura era alta e imponente, ma anche umile e a modo.

Ad ogni suo passo, ad ogni movimento delle sette ali, un tintinnio di campanelli si propagava nell'etere. «Michele, ti aspettavo» enunciò l'Arcangelo allargando le braccia.

«Geudiele, sono stupito di trovarti qui» attaccò lui al fratello minore. «Cosa è accaduto?»

«Rasserenati» sussurrò in risposta, sorridendo. «Non sono approdato sulla Terra per fare l'uccello del malaugurio.» Sospirò guardandosi attorno. «Oh, quanto è bello il Natale...»

"Sempre il solito svampito", osservò Michelle irritato. «Sì, molto bello» sbottò vago. Spostò le mani nelle tasche dei pantaloni grigi, sospirando. «Posso sapere perché sei qui?»

Abbagliato dalle luci, Geudiele mormorò con tono effimero: «Sono qui per te.»

«Spero per non riferirmi le solite baggianate poetiche che esponi a tutti» rimbrottò subito lui, gli occhi fiammeggianti di irritazione. «Le capisce solo nostro fratello Gabriele, ti rammento.»

Geudiele si limitò a sorridere mentre una luce maliziosa sfrecciò nel suo sguardo cristallino. «Sei sconvolto, come immaginavo.»

«Immaginavi?» scattò contrario. «E poi... che vorresti dire con sconvolto?»

L'Arcangelo dell'Amore scrollò le spalle. «Diciamo che si nota al primo sguardo» riferì. «Di solito sei sempre così austero!»

Michelle sbarrò gli occhi, infastidito come mai era stato. Non riusciva a capire cosa fosse preso ai fratelli quella notte: prima Raffaele, ora ci si metteva anche Geudiele! Stavano facendo fronte comune per fargli perdere la pazienza?

«Bene» tagliò corto. «Si può sapere cosa vuoi?»

«Devi percorrere il labirinto, Principe Celeste» proseguì l'Arcangelo, ermetico. «Lascia che il silenzio lenisca il tuo animo, ascolta la freccia verde ed essa ti condurrà... all'ultimo bacio.»

Michelle inarcò un sopracciglio, prendendo a fissare l'entrata del labirinto di quel giardino immerso dalla luce, ma anche dal buio più pesto. «Geudiele, di quale verità parli?»

«Quella che possa aiutarti ad andare avanti» ripeté il fratello con aria sibillina. «Ma ricorda: devi percorrere il labirinto, se sei disposto a conoscere questa nuova verità su te stesso.»

Lui aggrottò le forti sopracciglia. Era uno scherzo? «Geudiele, sul serio, io...» Si volse indietro e strabuzzò gli occhi.

Era rimasto solo.

"Quale svampito e millantatore di estrema natura!", pensò con irritazione del fratellino.

Per quanto assurda e bislacca potesse essere la richiesta di Geudiele, comunque era deciso ad assecondare quel suo desiderio, perlopiù spinto dalla fiamma della curiosità che gli aveva appena incendiato il cuore.

La solitudine lo avrebbe aiutato; ormai era l'antica compagna dei suoi passi e testimone dei suoi turbamenti più oscuri.

Entrò nel dedalo di alte siepi sempreverdi e seguì il sentiero centrale.

Da secoli gli umani si dilettavano a creare labirinti sempre più arzigogolati, frutto delle più astruse menti perverse. Da un lato, però, Michelle comprendeva la ragione di tale comportamento: il labirinto era reale e vigeva le sue regole in ogni vita umana e non, come una metafora degli eventi e dell'esistenza stessa.

Esso era chiamato il bivio, un percorso in cui bisogna perdersi per ritrovare la strada giusta. Il gioco del labirinto, in alcune culture lontane, proseguiva a essere un rituale che serviva a superare la paura della morte e l'angoscia dell'uomo di fronte all'inutilità di tutte le cose.

Al centro del labirinto chiamato universo, si incontrava la propria realtà interiore, un sé stesso più elevato, il proprio subconscio, il riflesso e anche il temuto Minotauro. Quale sarebbe stata l'orribile bestia che avrebbe trovato lui?

Michelle temeva di cambiare, mutare, annerirsi com'era accaduto al fratello maggiore di cui non osava più menzionare neanche il nome. Per la sua perdita aveva sofferto molto, le ferite che portava ancora addosso, alle volte sanguinavano ancora al solo ricordo.

Mentre camminava, cercò di liberare la mente da quei timori e si concentrò sul percorso. Il rumore di un ramoscello spezzato e lui scrutò tra le ombre della notte, pensando che Geudiele fosse tornato. Tuttavia il suo sguardo si perse in quei lugubri anfratti, dove la luce e le risate della festa non riuscivano più a raggiungerlo.

Un singhiozzo lo fece sobbalzare.

D'improvviso il suo cuore si strinse in una morsa. Seguì quel suono, come se fosse una gazza ladra attratta dallo scintillio di un monile, accelerando il passo sempre di più, il fiato corto nei polmoni brucianti e bisognosi di aria.

Superò un corridoio, svoltò l'angolo e giunse finalmente al centro del labirinto: trovò una figura seduta su una panchina di pietra, corrucciata in avanti, la schiena che sussultava a ogni singulto.

Michelle compì due passi in avanti, facendo attenzione a non farsi scoprire. Poi strabuzzò gli occhi. Il suo Minotauro, il suo riflesso, la *"freccia" nominata da Geudiele si rivelò al suo sguardo: era Gisela Verdugo.

Cosa era successo per farla disperare a quel modo? Poco prima l'aveva vista girare per la sala con fare baldanzoso e signorile, inguaiata in un abito che pareva essersi ristretto in lavatrice. Eppure, nel vederla in quello stato disperato, l'animosità che lo aveva mosso contro di lei sparì in un soffio di vento.

Michelle si ritrovò a fissarsi le mani. Non poteva andare sotto quell'aspetto umano da lei, anche perché sentiva che non avrebbe resistito a stringerla tra le braccia e poggiare le labbra sulle sue.

"Forse posso farlo in un altro modo", considerò dopo.

Chiuse gli occhi e accelerò il respiro, lasciando che le sue ali apparissero e gli avvolgessero il corpo in un abbraccio serrato.

In un attimo, svanì in un nugolo di piume bianche, candide e fragili come la neve, e al suo posto comparve un piccolo e fragile uccellino dal petto rosso.

Ora non era più Michelle D'Arc né l'Arcangelo San Michele, ma il pettirosso* che aveva tenuta viva la fiamma della stalla a Betlemme.

* *

*"freccia": Potrebbe derivare dal germanico arcaico Gisheld ed assumere il significato di "eroina, campionessa, freccia", oppure può essere un diminutivo di nomi quali Adalgisa, Gismonda, Gisa o Gisela (quest'ultimo in Germania). Gisela Verdugo è un gioco di parole nato dalle parole "freccia" e Verdugo (cognome antico longobardo che nasce dalla parola "Verde").

*pettirosso: La leggenda narra che un piccolo uccellino marrone dividesse la stalla a Betlemme con la Sacra famiglia. La notte, mentre la famiglia dormiva, l'uccellino notò che il fuoco che li scaldava stava per spegnersi. Così, per tenere caldo il piccolo, volò verso le braci e tenne il fuoco vivo muovendo le ali per tutta la notte. Il mattino seguente l'uccellino fu premiato con un bel petto rosso brillante come simbolo del suo amore per Gesù Bambino.

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