QUANDO L'AMORE BRUCIA L'ANIMA (ALICE)

TW: nel capitolo è presente una scena di violenza, con linguaggio scurrile. Il tutto è funzionale alla trama, ma potrebbe urtare la sensibilità di qualcuno.

«No, scusa, ripeti, perché credo ci sia stata qualche interferenza qui a Londra, non ho capito bene.»

Alzo le sopracciglia e osservo gli occhi azzurri di Rob che, insieme al suo volto affilato, riempiono completamente lo schermo del cellulare di Mel.

«Oh no Rob, hai capito benissimo!» La mia amica è sconvolta ed è colpa mia. Le ho raccontato del bacio con Matteo, ovviamente spiegando il contesto, la proposta e il fine di tutto ciò, ma Melania deve aver recepito solo una parte della storia, perché ha dato di matto. Prima è andata in iperventilazione, poi si è disfatta e rifatta la treccia tipo dieci volte, camminando attorno al tavolo della mia cucina come un animale in gabbia, infine ha preso il telefono e ha chiamato Rob senza interpellarmi. 

«Alice Sibona, cosa diavolo hai fatto?» Nel dire queste parole il mio amico si è alzato e anche lui sta camminando nella sua stanza come un pazzo.

«Smettetela di fare così! Non è successo niente di grave e soprattutto non era niente di importante!»

«Hai baciato Matteo Terzi, questo è un segno dell'Apocalisse!»

Sbatto la testa sul tavolo, procurandomi anche un po’ di dolore, e dentro di me penso a quanto sia stata stupida a raccontare tutto a loro due. Sono delle perfette Drama Queens, eccessivi e assolutamente teatrali. Tuttavia non avrei mai potuto tenere un segreto del genere con loro, me lo avrebbero letto in faccia e il tutto sarebbe stato ancora più drammatico. 

«Potete per favore sedervi, così analizziamo con calma quello che è successo e vi spiego come è andata? Ho bisogno dei miei amici…» dico con aria innocente, sapendo che la carta del bisogno gioca a mio favore. Però non è solo opportunismo il mio, ho veramente bisogno della loro opinione perché sono un po’ confusa.

È stato solo un bacio, è vero. Ma io un bacio così non lo avevo mai ricevuto. Matteo è un ottimo baciatore, almeno per i miei parametri, ma quello che era successo mi aveva tipo strappato la terra sotto i piedi; mi ero sentita fluttuare per tutto il tempo, come se fossi su una nuvola, pervasa da un calore confortevole e avvolta da quel profumo di pino che contraddistingue il ragazzo. Anche quando era finito era stato difficile staccarmi.

«Cosa è successo dopo?» Chiede Rob, che sembra aver ritrovato la calma.

«È finito, mi ha detto che bacio piuttosto bene, mi ha riaccompagnato a casa e basta.»

Silenzio. Alla luce di quello che era successo dopo il bacio, la mia versione del “non era importante” ha più senso anche per loro. Ometto di dire che avrei voluto un altro bacio, giusto per capire meglio il significato del primo, perché monterebbero su un'altra sceneggiata.

«Non capisco come sia potuto succedere…» risponde Mel.

«Era solo un favore che mi ha fatto Matteo, una cosa tra amici…»

«Da quando gli amici si baciano così, tanto per provare?»

«Rob, ti ricordo che io e te ci siamo baciati in prima superiore.»

«Era il gioco della bottiglia e non mi sembra ci sia stato un seguito.»

«Ma neanche qui ci sarà un seguito! È solo che è stato strano… Voglio dire, ci siamo fatti la guerra per quattro anni, credevo mi odiasse, credevo fosse diverso. Invece si sta rivelando una persona piacevole e un buon amico.»

Ora sono e entrambi seduti e mi osservano.

«State facendo un casino assurdo per il nulla.»

«Sei sicura che non ci sia nulla? Un bacio vuol dire tanto e per te baciare non è mai stato uno scherzo…»

Mel mi conosce meglio di chiunque altro, persino di Rob. E le sue parole si annidano in quell'angolo della mia mente dove ho cercato di relegare le sensazioni del bacio, della lingua gentile di Matteo che accarezza la mia, della sua presa forte e delicata sui miei fianchi. 

«Ne sono certa. Fino a prova contraria so ancora distinguere tra amicizia, amore, cotta e tutte le declinazioni dell'affetto.»

Spero solo di risultare abbastanza convincente da evitare un altro terzo grado, perché sono sicura che i crampi allo stomaco siano solamente dovuti alla mia poca esperienza.

– * – * – * – * –

Non che me ne sia dimenticata, ma trovo alquanto ironico che poche settimane dopo la conversazione con i miei amici sia prevista la quarta autogestione a tema valori. Ovviamente quelli sociali, non il denaro contante; anche se per qualcuno quello conta più del resto, purtroppo. Comunque tra questi abbiamo inserito anche l'amicizia e Matteo non ha fatto storie, ma già lo sapevo: diamo la stessa importanza ai nostro amici, per noi sono come una seconda famiglia.

Parleremo entrambi nella plenaria introduttiva, ormai non esiste più il mio o il suo argomento e poi durante la giornata della memoria è stato bello il nostro discorso a due voci. Questa volta, oltre alle piccole conferenze interattive, ci saranno anche alcuni laboratori pratici, come quello sulla fiducia, in cui ci si potrà partecipare non solo con le domande.

Io e Matteo ci dividiamo subito dopo la breve introduzione, anche se una parte di me vorrebbe seguirlo, in fondo sarebbe carino partecipare a qualche incontro insieme, per poterci scambiare le opinioni a caldo, ovviamente. Però lui non ha espresso questo desiderio, quindi non ho detto nulla, non voglio sembrare invadente. 

Così mi ritrovo a girovagare tra le aule, senza una meta precisa. Per quanto mi piaccia l'argomento, non so bene dove andare, perché sono cose che conosco, anche se non voglio peccare di superbia e pensare di sapere tutto. Non vedo Matteo da nessuna parte, quindi anche parlare con lui è fuori questione. Per un attimo fa capolino nella mia testa la possibilità che si sia imboscato in bagno con qualcuna e un moto di fastidio mi invade, perché sarebbe profondamente scorretto e anche fuori luogo. Un secondo dopo scuoto la testa, quasi a voler scacciare quel pensiero: lui non lo farebbe, non durante l'autogestione, non sarebbe da lui. Però in altre occasioni potrebbe averlo fatto e di nuovo una morsa di qualcosa che non riesco a definire si impossessa di me, mentre penso a lui con una ragazza che… Sbuffo e blocco il flusso dei miei pensieri, che sembrano andare a briglia sciolta. 

Devo rimettere ordine nella mia testa, così entro nella prima aula che mi ritrovo davanti, dove sta per iniziare l'incontro. Riconosco due delle educatrici che ho contattato al telefono e appena ricordo l'argomento faccio per alzarmi, perché ho già abbastanza confusione dentro di me e non voglio parlarne di fronte a tutti. Però l'evento sembra essere piuttosto gettonato, perché la stanza si riempie in poco tempo, tanto che una di loro chiude la porta e io mi ritrovo in un angolino in fondo all'aula. Mi rassegno a trascorrere i quarantacinque minuti dell'incontro in silenzio e mi faccio ancora più piccola.

«Bene, siete tanti, quindi cercheremo di essere brevi nella spiegazione, in modo da dare spazio a tutti» si avvicina ad un contenitore trasparente vuoto e ci appoggia la mano sopra «L'amicizia, a qualsiasi età, è uno dei valori più importanti. Ci permette di capire chi siamo, chi vogliamo essere ed è un'ancora di salvataggio nella marea di emozioni che viviamo ogni giorno. Spesso, però, i contorni si fanno confusi, a volte fatichiamo a capire cosa proviamo realmente. Ecco, qui sarete liberi di esprimere tutti i vostri dubbi scrivendoli su bigliettini anonimi. Non saremo solo noi a rispondere, sarete anche voi. Insieme cercheremo di trovare una risposta, o comunque di chiarirci le idee.»

Non ho intenzione di partecipare, ma lasciare l'aula sarebbe scortese, così mi rassegno a passare l'ora successiva a sentire dubbi sull'amicizia. Alzo gli occhi cielo, perché ho poche certezze, ma una di queste sono gli amici.

Le prime domande sono un po’ banali, ma devo tenere conto del fatto che ci sono anche ragazzi del primo e del secondo anno, quindi è comprensibile. Mi viene quasi da sorridere quando una delle educatrici apre un bigliettino e legge

«Come faccio a capire se sono innamorata del mio migliore amico?»

Be’, se già ti fai la domanda, probabilmente ne sei innamorata, penso. Io non ho mai avuto dubbi a riguardo, neanche dopo il bacio con Rob: se immagini di baciarlo, sicuramente non è solo amicizia. Mentre nella mia testa prende forma quel pensiero, però, mi rendo conto di qualcosa su cui non mi ero mai soffermata, qualcosa a cui non avevo mai fatto caso, ma che mi riempie la testa di dubbi. Non ho mai pensato di baciare Edoardo. È indubbio che mi piaccia, i suoi occhi verdi sono la cosa più bella che abbia mai visto e in quei riccioli neri ci affonderei le mani, giusto per sentire quale consistenza hanno. Però non mi ha mai sfiorato l'idea di posare le mie labbra sulle sue, piene e rosse. Eppure l'ho osservato bene, conosco un sacco di dettagli del suo viso. Scuoto la testa: è solo la mia mente che non vuole rovinare il momento, quando e se accadrà. Probabilmente mi sta proteggendo dai miei viaggi mentali, perché se succederà potrò godermi uno dei momenti migliori della mia vita, mentre se non avverrà non rimarrò troppo delusa, anelando qualcosa che non potrò avere.

Persa nei miei pensieri, non ascolto le risposte degli studenti e vengo riscossa dal suono del timer, che ci dice che l'incontro è finito. Manca poco meno di un'ora al termine della giornata e mi avvio verso la sala professori, per l'incontro conclusivo con la preside, Ugotti e Matteo. La mia mente però non è libera, ho la sensazione di essermi dimenticata qualcosa, come se ci fosse un pensiero che non riesce a prendere forma e questo mi disturba, ma non ho tempo di soffermarmici sopra, cosí metto a tacere la vocina nella mia testa e dedico la giusta attenzione all'incontro.

Matteo sembra tranquillo, non abbiamo più parlato del bacio e, per quanto sia stato intenso, credo che anche lui lo abbia visto per quello che è stato: un favore tra amici. Indugio sul suo viso rilassato e lo sguardo cade sulla sua bocca di cui ora conosco il sapore, su quelle labbra sottili che sono state così delicate contro le mie. E quella lingua, gentile e decisa, che ha esplorato curiosa la mia. Sento il calore salire alle guance, mentre le parole che ho pensato durante l'incontro riaffiorano, ma scaccio il pensiero ancora prima che si formi. Non sto pensando di baciare Matteo, sto solo rievocando qualcosa che è già accaduto e che non ha significato niente.

Quando il suono della campanella segnala la fine delle lezioni, mi rendo conto di non aver ascoltato una sola parola detta dalla preside, così mi limito ad annuire e a rispondere un laconico “va bene”. Farò in modo di chiedere a Matteo quello che è stato detto, ma quando usciamo dalla sala professori mi avvisa che deve recuperare lo zaino in classe e che ci saremmo sentiti la sera, quindi imbocca le scale per raggiungere il secondo piano e io rimango da sola, aggrappata alla mia tracolla e un po’ confusa. Sbaglio, o mi ha appena evitato?

Come un'automa raggiungo l'uscita, ignorando le voci attorno a me e scansando gli studenti che si spintonano sulle scale. È solo quando raggiungo l'androne della scuola che il cervello sembra riconnettersi alla realtà, attirato da un capannello piuttosto numeroso di ragazzi che osservano bisbigliando una scena che mi fa montare dentro una rabbia cieca. Il gorilla del quarto anno, quello che alla festa di Natale aveva tentato di introdurre alcol nella scuola, sta spintonando un ragazzo mingherlino e con il labbro gonfio, credo di terza, mentre i suoi amici stanno trattenendo tra le risate un altro ragazzo, più o meno della stessa età. 

«Che vuoi fare, frocetto? Vuoi difendere il tuo fidanzatino?» 

La sua voce ha un tono fastidioso, canzonatorio e non riesco a trattenermi oltre. Scanso un paio di studenti e mi avvio a grandi passi verso quell'idiota, pronta a dirgliene quattro, ma poco prima che riesca a raggiungerlo una figura massiccia mi supera e in poche falcate è già davanti all'imbecille.

Matteo allontana il gorilla dopo essersi messo in mezzo, poi lo afferra per il bavero del giubbotto e gli alita sul viso

«Cosa cazzo credi di fare tu, coglione?»

Per un attimo sul viso del biondo passa un’espressione che sembra paura, ma si riprende subito, perché spintona Terzi e lo stacca dal suo giubbotto.

«Che cazzo vuoi, amico?»

Matteo non perde la calma «Levati dalle palle.»

Terzi ha appena il tempo di girarsi verso la vittima, facendo un piccolo cenno di diniego con la testa, che il gorilla lo strattona per una manica e, quando si volta nuovamente, viene colpito in pieno viso da un pugno. Trattengo il fiato mentre Matteo crolla a terra e un rivolo di sangue gli scorre lungo la parte sinistra del viso.

Le mie gambe si muovono da sole, in un attimo mi ritrovo accovacciata vicino a lui, con il suo viso tra le mani, ad osservare l'espressione stupita con cui mi guarda, che però si addolcisce mentre appoggia una delle sue mani sulla mia. Credo di doverlo trattenere, sono certa che reagirà, perché non è da lui subire e basta, ma non si muove. Un attimo dopo la voce della Garino riempie lo spazio, zittendo i bisbiglii degli studenti.

«Lovini, in presidenza!» Tuona, con uno sguardo che non promette nulla di buono. Poi si volta verso le due vittime.

«Milani, accompagna Ristorto in medicheria, poi vi voglio nel mio ufficio» infine i suoi occhi si posano su di noi «Terzi e Sibona, seguitemi. O vuoi andare prima a medicarti?»

«Non è nulla, preside.»

Ci alziamo all'unisono e non posso fare a meno di cogliere un mezzo sorriso sulle labbra di Matteo, ma è così fugace che credo di averlo immaginato. Gli porgo un fazzoletto di carta, in modo che possa tamponare il sangue che ancora esce dalla ferita al sopracciglio, ma di cui lui non sembra curarsi più di tanto. 

Una volta raggiunto l'ufficio e richiusa la porta, la Garino inizia a parlare furiosa, chiedendo a tutti noi di raccontare com'è andata. Lovini cerca di arrampicarsi sugli specchi, accampando scuse assurde, a cui ovviamente né la preside, né nessuno dei professori che erano con lei crede. I due ragazzi aggrediti si uniscono a noi e raccontano la loro versione, che corrisponde alla verità. Noto con piacere che le ferite di Ristorto sono meno gravi di quello che sembrava: il labbro è ancora gonfio, ma in volto ha solo qualche graffio.

«Sibona?» Mi volto verso Ugotti, che mi guarda spazientito «Accompagna Terzi in medicheria.»

«Certo!» La mia mia mano scatta in avanti, credo cercando di afferrare quella di Matteo, ma non ne sono certa, è stato un gesto inconsapevole, che blocco a metà, sotto lo sguardo incuriosito del ragazzo. Mi fa un cenno verso la porta e io lo seguo, quasi fosse lui a scortare me e non il contrario.

«Tutto bene?» Mi chiede, anche se dovrei essere io a domandarglielo.

«Non hai reagito» replico, dando voce alla stranezza che avevo registrato.

«Cosa hai detto?»

«Non hai reagito, con Lovini intendo.»

«Oh. Be’» si gratta la nuca, cosa che fa spesso quando è nervoso «I prof erano dietro di me. Se avessi reagito sarei finito nei casini.»

Non so se essere ammirata o incazzata per la sua scaltrezza «Ti sei preso un pugno gratuito così, giusto per far punire Lovini?»

«Non gratuito. Se lo sarebbe preso il ragazzo, o te. A proposito, che cazzo pensavi di fare?»

Mi guarda truce mentre continuiamo a camminare, ma non mi lascio intimidire.

«Cosa avrei dovuto fare? Starmene ferma mentre quell'idiota sfogava le sue frustrazioni su un ragazzo indifeso?»

«Andrea va in palestra tutti i giorni ed è così scemo che non si sarebbe fermato. Ti saresti fatta male sul serio.»

Nella sua voce percepisco apprensione e un velo di rabbia, ma in fondo a ragione: se non si fosse messo in mezzo lui, probabilmente avrei rimediato un occhio nero e un trauma cranico.

«In effetti ha steso anche te…»

Una piccola risata lascia le sue labbra «Diciamo che ho fatto un po’ di scena.»

Alzo le sopracciglia, stupita dalle sue parole, poi ripiombiamo nel silenzio. Quando raggiungiamo la medicheria, che in realtà è lo stanzino delle bidelle, veniamo accolti dal parlottare fitto di Rosa, che inveisce contro gli studenti che si picchiano e che siamo una generazione di rissosi. Spinge me e Matteo su due sedie, poste l'una di fronte all'altra, poi mette tra le mie mani una piccola scatola bianca con una croce rossa sopra.

«Occupati di lui, io devo chiudere le aule. Non ho intenzione di uscire tardi perché non sapete tenere a posto le mani!»

Esce scuotendo la testa e borbottando qualcosa di incomprensibile. Sollevo il coperchio e osservo il contenuto della cassetta del pronto soccorso: cotone, disinfettante, cerotti, bende. Non so neanche da che parte iniziare, non mi piace curare ferite, né giocare a fare il medico. Matteo allunga la mano per prendere il botticino, ma lo allontano.

«Faccio io. Ha affidato il compito a me.»

Mi guarda stranito, ma non obietta, così inzuppo un batuffolo di cotone, mi avvicino a lui e inizio a tamponare la ferita sul sopracciglio, pulendo anche il rivolo di sangue che è colato sulla guancia. Sussulta quando premo un po’ più forte, però non si lamenta. Siamo avvolti dal silenzio, sento chiaramente il ritmo dei nostri respiri. I nostri volti sono così vicini che i nostri fiati si mischiano, il suo alito caldo mi provoca brividi ovunque, anche se colpisce solamente il mio viso. Non lo guardo, concentrata sulla medicazione, ma sento i suoi occhi su di me e percepisco il calore sul volto aumentare. 

Quando ho finito prendo un cerotto bianco e con cura lo applico vicino al suo sopracciglio, scostandomi un po’ per osservare il risultato finale, ma non riesco ad allontanarmi troppo, perché la sua mano, abbandonata distrattamente sulla gamba fino a quel momento, si posa sul mio collo e un secondo dopo le nostre labbra sono unite in quel tocco che già conosco e che, mi accorgo solo ora, mi era mancato.

È un bacio diverso dal primo, più profondo e più intimo. Le nostre bocche si sono già conosciute, eppure mi sembra di leggere qualcosa di nuovo quando la sua lingua si intreccia alla mia: è come se volesse dirmi qualcosa che io non riesco a cogliere, ma vorrei continuare a baciarlo per capirlo. Le mie mani scivolano ai lati del suo collo e mi avvicino un po’ di più, una parte di me pensa di abbracciarlo e stringermi a lui, per sentire il suo petto a contatto con il mio, ma mi trattengo. Nello stesso momento, però, lui approfondisce il bacio e sento una fitta in mezzo alle gambe quando un piccolo sospiro esce dalla sua bocca. 

Non so di preciso quanto tempo sia passato, ma la fame d'aria ci costringe a separarci, anche se lo faccio con riluttanza. Solo quando i nostri occhi si incontrano mi rendo pienamente conto di quello che è successo e della tempesta di emozioni che si agita dentro di me.

«Mi hai baciato» sussurro, sottolineando l'ovvio.

Un lieve rossore colora il suo viso, sembra agitato, quasi in imbarazzo.

«Sì» deglutisce «Volevo ringraziarti. Ti sei occupata di me.»

Sento il cuore perdere un battito. Con i miei amici non sono solita comportarmi così, ma forse per lui è normale baciare le sue amiche in quel modo. Forse sto dando troppi significati ad un semplice gioco di lingue. In fondo ci eravamo già baciati e non era cambiato nulla nel nostro rapporto. Devo rimettere tutto nell'ordine giusto, o mi perderò tra i miei castelli di nuvole e quando lo faccio, in genere, succedono casini giganti.

«Oh. Ok. Non c'è di che.»

Accenno un sorriso, perché onestamente non saprei che altro dire, e un po’ mi rilasso quando anche lui sorride sincero.

«Vieni. Ti accompagno a casa.»

Afferro la mano che mi porge per aiutarmi a ritrovare la posizione eretta ed è in questo momento che mi rendo conto di avere le gambe molli come budini. Sensazione che non passa visto che lui continua a tenermi per mano fino a che non raggiungiamo le scale, come se fosse la cosa più naturale del mondo. E forse lo è. Voglio dire, mi capita spesso di tenere per mano i miei amici, non c'è niente di strano. Quello che stona è il formicolio che invade il mio corpo, dalla testa ai piedi e che non mi abbandona neanche quando raggiungiamo la sua auto. 

È solo quando siamo ormai vicino a casa mia che mi rendo conto che da quella macchina non vorrei scendere, che vorrei stare ancora un po’ con lui, che forse adesso dovrei dargli un bacio, giusto per ringraziarlo del passaggio. In fondo siamo amici, no?

La vibrazione del mio cellulare interrompe il flusso dei pensieri e quando lo pesco dalla borsa vedo che è mia madre; la tentazione di non rispondere è forte, ma noto che ci sono altre quattro chiamate perse da parte sua e se non rispondessi anche a questa probabilmente mobiliterebbe l'esercito dell'ONU.

«Scusa. Devo rispondere… È mia madre.» 

Mi sorride, poi mi bacia la guancia.

«Non preoccuparti. Devo andare a recuperare Marco, aveva un'ora in più di lezione oggi.»

Sorrido e ricambio il bacio, stupita da quanto questo contatto stia diventando normale.

Scendo e faccio scorrere il dito sullo schermo.

«Ciao mamma.»

«Alice! Stai bene?» Sembra preoccupata.

«Sì. Ho solo avuto un contrattempo a scuola. Voi come state?”

«Bene, tesoro. Rientriamo questo venerdì sera, ma ripartiremo giovedì. Ci sarà comunque Giacomo per accompagnarti alla gita. Deve lavorare sulla tesi e preferisce essere a casa.»

«Tranquilla mamma, non è un problema.»

«Sei strana. Qualcosa non va?» Probabilmente il fatto di essere sempre lontani ha acuito il sesto senso materno, perché riesce a percepire ogni minima variazione nella mia voce. Forse dovrei dirle di Matteo, un parere adulto potrebbe aiutarmi a fare chiarezza.

«No. Sono un po’ stanca e…» mi blocco, non so come esprimere quello che provo. Anche perché non so quello che provo.

«Alice?»

«C'è un ragazzo. Credo che siamo amici, ma…» prendo fiato «Ecco, ci siamo baciati due volte, sempre in amicizia, ovviamente, ma mi sento strana vicino a lui. Cioè, sto bene con lui, però non è uno da storia seria…» 

Vuoto il sacco con mia madre, che ascolta il fiume di parole e il fiatone che è venuto per colpa dei sette piani fatti a piedi per non rischiare di perdere la linea in ascensore.

Mi risponde solo quando giro la chiave nella toppa «E come sarebbe un bacio tra amici?»

«Be’, sai… Uno di quelli dati senza che si stia insieme…»

«Capisco» fa una pausa «Non sapevo che avessi baciato Roberto o Alessandro o…»

«Alex è gay, mamma, e Rob l'ho baciato per il gioco della bottiglia, era un'altra cosa!»

Mentre pronuncio quelle parole mi rendo conto che ho appena blaterato cose senza senso. Dopo quel primo bacio una parte di me, non so quanto grande, ha sperato che ce ne fossero altri e quello di oggi è stato un po’ una risposta alle mie preghiere, anche se non mi ha quietato, perché realizzo solo adesso che sono scesa dalla sua macchina anelando un altro bacio.

«Hai paura che non voglia impegnarsi?» 

«Non ho mai detto di volere una storia con lui» sussurro.

«Devo averlo letto tra le righe, tesoro.»

Mi lascio cadere sul divano, sfinita dalla scalinata e dal mal di testa per il sovraccarico di informazioni.

«Non lo so che cosa voglio. Non credo neanche di sapere cosa provo…»

«È normale essere confusi, bambina mia. Sei sempre stata molto decisa e chiara nelle tue scelte, ma a volte quelle più complicate sono anche quelle che ci rendono più felici.»

Prendo un respiro profondo e faccio depositare dentro di me le parole di mia madre, che sono certa mi resteranno nella mente per tutto il pomeriggio. Forse anche di più.

«Possiamo parlare d'altro, per favore?»

Sento una risatina trattenuta nella sua voce «Certo. Raccontami della scuola.»

Resto parecchio al telefono con lei, come non facevamo da un po’, ma per tutto il tempo una parte di me rivive gli avvenimenti degli ultimi mesi e la confusione che hanno portato con loro. Devo fare chiarezza dentro di me, capire cosa voglio e smetterla di negare quello che mia madre, e probabilmente anche Mel e Rob, hanno visto prima di me. Anche se mi spaventa da morire. Anche se potrei uscirne con il cuore a pezzi.

Spazio autrice:
Un po' in ritardo, ma eccoci qui, con un capitolo molto lungo. Mi scuso per il linguaggio utilizzato e per la scena di violenza: non condivido, ma era funzionale alla trama. Spero che il capitolo vi sia piaciuto... Perchè il prossimo sarà ancora più interessante!
Un abbraccio
Elsie

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