LA CADUTA (MATTEO)
Una settimana. Siamo tornati da una settimana e spero che oggi sia il giorno buono per affogare quei sentimenti che mi hanno tormentato sin da quando l'ho rivista nella hall, la mattina successiva. Ci avevo già provato, altre due volte, con risultati deludenti per entrambe le parti.
Questa sera andrà bene, deve andare bene. È quello che continuavo a ripetermi mentre raggiungevo il White. Poi ho messo in atto la mia solita routine, quella che a dire il vero non usavo da un po’. Ho bevuto tre birre e un paio di shottini, mi sono avvicinato ad una rossa tinta, probabilmente più grande di me e ho ballato con lei. Il resto è venuto da solo, come sempre. Mi ha infilato la lingua in bocca, poi mi si è strusciata addosso provocandomi piacevoli scosse al basso ventre.
Adesso siamo in collina, dentro la mia macchina, in un posto isolato e lei è sopra di me, che si muove sinuosa, le sue mani agganciate al mio collo e le mie sotto la sua maglietta. Nonostante questo e un formicolio alla base della schiena, però, il mio “amico” non vuole saperne di fare il suo dovere.
Lei se ne accorge e si sposta nuovamente sul sedile del passeggero, per poi sbottonare con fare esperto i miei pantaloni e liberare quella che dovrebbe essere un'erezione. Lo prende in bocca e credetemi, ci sa fare sul serio con la lingua. Ma quello che ho in mezzo alle gambe ha deciso di non collaborare. Chiudo gli occhi, cerco di azzerare i pensieri, di concentrarmi solo su quei tocchi decisi ed eccitanti. Però non succede nulla e anche lei, dopo un tempo indefinito, getta la spugna.
«Direi che non è la tua serata.»
Afferma raddrizzandosi e sciogliendo i capelli che aveva raccolto, il tutto senza guardarmi.
«Direi di no. Mi dispiace.»
«Non fa nulla.»
Abbassa il parasole e prende dalla borsa un rossetto, che applica con cura sulle labbra sottili, mentre io mi risistemo i jeans, maledicendo il mio attrezzo e la sua testardaggine.
«Ti riporto a casa?»
Scuote la testa «No. Preferisco tornare al locale, è ancora presto.»
Guardo l'ora sul cruscotto e mi rendo conto che ha ragione, perché sono da poco passate le 22. Eppure a me sembra che siano trascorse ore infinite.
Metto la cintura, avvio il motore e ripercorro a ritroso la strada che ci ha portato fin qui. Nell'abitacolo c'è silenzio, un qualcosa a cui non sono più abituato, ma in fondo non dovrei stupirmi: so a malapena il suo nome, l'obiettivo della serata non era fare amicizia. Dovevamo solo scopare, magari anche più di una volta. Invece mi ritrovo con qualcosa di molle tra le gambe e la fastidiosa sensazione che probabilmente sia giusto così.
Accosto davanti al White e lei scende rivolgendomi a malapena una saluto, il mio secondo «mi dispiace» si perde nel rumore della portiera che si chiude. Appoggio la testa sul volante, chiedendomi cosa diavolo ci sia che non va in me.
È la terza volta che neanche si alza da quando sono tornato dalla gita. Ci avevo provato la sera stessa del rientro, con la bionda che avevo baciato quella mattina, ma nulla. Così il giorno successivo ero uscito con Giada, sicuro di portare a casa il risultato. Eppure anche in quel frangente era stato un buco nell'acqua.
Vorrei sapere che cazzo mi succede. Alle delusioni ho sempre reagito bene, risollevandomi come se niente fosse successo, ma questa volta sembra non essere così. In più vedere la faccia da cane bastonato di Sibona per i corridoi non aiuta. Sicuramente Edoardo ha fatto quello che fa sempre e lei è rimasta bruciata, come tutte le altre prima di lei, ma se spera di trovare in me una spalla su cui piangere, o un'alternativa alle sue pessime scelte, sbaglia. Anche se conoscendola è troppo orgogliosa per dirmi che avevo ragione e chiedermi una seconda occasione, che comunque non le concederei.
Ok. Lo ammetto. Mi sono innamorato di lei, probabilmente quel sentimento c'è ancora, ma può starne certa che me la farò passare il prima possibile, anche se non so ancora in che modo.
Mancano pochi mesi alla fine della scuola, poi prenderemo strade diverse e se ci rivedremo sarà solo per caso, non ci saranno interazioni volontarie e tutto quello che è successo tra noi finirà in un piccolo cassetto di ricordi che sbiadiranno, lasciando solo un negativo di quello che è stato e un minuscolo dubbio su quello che avrebbe potuto essere.
Questo pensiero mi fa stringere la bocca dello stomaco in una sensazione spiacevole, mentre parcheggio sul vialetto di casa e noto con dispiacere che le luci del soggiorno sono ancora accese. Non ho voglia di vedere i miei, mia madre cerca di parlare con me da giorni e visti i pessimi risultati ha sguinzagliato mio padre, che mi sta braccando come un marcatore, ma con la scusa dello studio sono riuscito ad evitarli.
Quando varco la soglia le facce stupite dei miei genitori mi accolgono: non è da me rientrare così presto il sabato sera, quindi mi aspetto l'attacco nel giro di pochi minuti.
«Ciao Matteo, tutto bene?» La voce di mia madre ha solo una velatura di preoccupazione.
«Sì. Sono solo stanco.»
Come se potessero crederci. Infatti, appena muovo un passo per raggiungere le scale, la voce di mio padre mi raggiunge.
«Ti siedi con noi? Non ci hai raccontato nulla della gita.»
Mi volto, consapevole che se voglio essere lasciato in pace devo trovare un compromesso.
«È andata bene, mi sono divertito. Barcellona è proprio bella, dovremmo andarci tutti insieme.»
Questa parte potrebbe essere la mia carta uscita gratis di prigione. Peccato che dimentico sempre quanto siano insistenti i miei genitori, mia madre soprattutto, che prosegue prima che io possa anche solo muovere un muscolo.
«E Alice? È un po’ che non la vedo.»
«È impegnata con lo studio.»
Liquido così la sua domanda, troppo in fretta e servendole la replica perfetta.
«Studiavate spesso insieme ultimamente.»
«Sì, beh… I programmi delle ultime interrogazioni sono un po’ diversi, rischiamo di confonderci.»
Sento il rumore delle mie unghie che si aggrappano allo specchio, consapevole che non sono riuscito ad evitare la discussione, ma soprattutto che stiamo arrivando al cuore della conversazione.
«Avete litigato?» Suona come una domanda, ma sembra un'affermazione.
Chiudo gli occhi e sospiro «Può darsi.»
Il silenzio si dilata e io dovrei approfittarne per dileguarmi, ma so che non basterebbe, quindi tanto vale finire questa cosa e sperare che poi mi lasceranno stare.
«È qualcosa che si può risolvere?»
Guardo mio padre, abbracciato a mia madre sotto ad un plaid, come una coppia di adolescenti innamorati, e un po’ li invidio, perché una cosa così io non l'avrò mai.
«No. Direi di no.»
«Neanche parlando?»
«No, mamma. È successo come l'ultima volta. Come era successo con Cinzia.»
La vedo sgranare gli occhi, stupita dalla mia risposta. Neanche lei, così brava a capire le persone, se lo sarebbe immaginato. Eppure Sibona ci aveva fregato tutti, con quell'atteggiamento buono e l'aspetto da brava ragazza.
«Posso andare a dormire?»
Non arriva risposta e lo prendo come un tacito consenso. La voce di mia madre arriva quando ho il piede sul primo gradino.
«Matteo?» Non mi volto, però mi fermo, così lei prosegue «A volte non è sempre come sembra. Credo che dovresti parlare con lei.»
Non replico, non faccio nulla. Mi limito a salire le scale e chiudermi in camera, lasciandomi cadere sul letto ancora vestito.
Perché sono così? Perché sono completamente bloccato? Con Cinzia era stato diverso, il sesso era diventato ancora più semplice dopo quello che mi aveva fatto. Cosa c'è di diverso ora? Le variabili sono le stesse.
Mi spoglio, rimanendo in boxer e maglietta, poi mi rifugio sotto il piumone e cerco di concentrarmi sul respiro, con quella cosa che ci aveva spiegato la professoressa di educazione fisica. Funziona. Inizio a sentire il corpo intorpidito e i pensieri si fanno radi e confusi. L'ultima cosa che vedo, prima di addormentarmi, è il volto di Alice sotto di me, nella stanza di albergo di Barcellona, i capelli castani sparsi sulle lenzuola bianche e gli occhi che sembravano sinceri puntati nei miei.
Il mattino dopo, con ancora in mente quell'immagine, mi sveglio con un’erezione prepotente tra le gambe e mi arrabbio con me stesso. Perché il mio corpo non risponde agli ordini? Perché sembra prendere le decisioni da solo?
Scosto la coperta, deciso a prendere il computer per attaccare un porno e masturbarmi, ma sento la maniglia abbassarsi e mi ributto addosso il piumone, consapevole di chi sta per entrare. Infatti, una frazione di secondo dopo, l'uragano Martina salta sul mio letto, colpendo accidentalmente quello che ho tra le gambe e facendomi salire le lacrime per il dolore.
«Teo dobbiamo parlare.»
«Marty, cosa abbiamo detto sul bussare prima di entrare nella stanza degli altri?» Dico, la voce strozzata per il dolore.
«È importante.»
Sospiro, chiedendomi cosa possa esserci di così fondamentale di domenica.
«Dimmi.»
«Perché Alice non è più venuta qui?»
Un po’ il cuore mi si stringe quando vedo quegli occhietti tristi. Merda.
«Deve studiare, Marty. Tra poco abbiamo l'esame, lo sai.»
«È perché la disturbavo sempre quando studiavate?»
Così però non gioca pulito.
«Ma no, Marty. Alice ha sempre detto che le piaceva tantissimo giocare con te. Ma deve concentrarsi. Quando l'esame sarà finito vedrai che avrà più tempo libero.»
E intanto spero che tu ti sia dimenticata di lei. E spero di averla dimenticata anche io.
«Quindi non è arrabbiata con me?»
«No, piccola. Sono sicuro che ti vuole bene.»
Ora sorride, fiduciosa nelle mie parole.
«Anche io le voglio tanto bene.»
«Ora vai a fare colazione, io arrivo subito.»
Mi abbraccia stretto prima di scendere dal letto, poi prima di uscire si volta verso di me.
«Non è che l'hai fatta arrabbiare tu?» Mi chiede con sguardo accusatore.
«Ovviamente no!» Il contrario.
«Beh, se avete litigato dovete fare pace. È la tua ragazza che preferisco in assoluto.»
«Non è la mia ragazza.»
«Però la ami.»
Bene. Colpito e affondato da una bambina di cinque anni. Cosa cavolo deve ancora succedere questo weekend?
La risposta arriva poco dopo pranzo, quando decido di andare in palestra, sperando di essere solo e tranquillo vista la giornata di sole.
In effetti ci sono poche persone, ma vengo raggiunto da Luca, a cui avevo detto le mie intenzioni quando ci eravamo sentiti qualche ora fa. Sono sulla panca dei pesi, cercando di sollevare il bilanciere, quando arriva la domanda. A tradimento, quando non posso fuggire e nascondermi.
«Mi illumini su quello che è successo in gita? Sono un po’ confuso.»
«Riguardo a cosa?»
«Riguardo ad Alice. Credevo fossi stato con lei l'ultima sera.»
«Sì, quindi?» La voce esce smorzata dallo sforzo.
«E te ne sei limonato un'altra davanti a lei il giorno dopo?»
«Sì, quindi?»
La risposta si fa attendere, vedo gli occhi del mio amico che mi scrutano dall'alto.
«Perché?»
«Perché no?» La risposta fa schifo anche a me, ma non riesco ad inventarmi altro con l'ossigeno che scarseggia.
«Pensavo ti piacesse…»
«Me la sono scopata. Non ci stavo insieme.»
«Sta di merda, te ne sei accorto? Sembra uno zombie che cammina per i corridoi!»
Sembra quasi arrabbiato e questo fa incazzare me, perché non è lei la vittima di questa storia, sempre ammesso che ce ne sia una, di vittima.
«Quello non è colpa mia.» Replico, posando il bilanciere nel suo alloggiamento; poi mi metto a sedere e guardo Luca con aria di sfida.
«Mettiamola così. Sono venuto a scoprire che tutto quello che è successo tra noi era stato pianificato per raggiungere uno scopo: Righetti.»
Gli occhi di Luca si spalancano «Già, la santerellina si è comportata esattamente come Cinzia. Solo che Righetti se la sarà scopata e poi messa in un angolo. È una storia che si ripete.»
Mi alzo e mi allontano, perché parlarne con lui mi fa tremare la voce e pizzicare gli occhi. Raggiungo il tapis roulant e avvio il programma, ma il mio amico non demorde.
«È una cazzata. Edoardo non ha detto nulla e lui si vanta di ogni ragazza che si scopa!»
«Sì, beh… Chissene. Storia chiusa. Non voglio parlarne.»
«Invece dovresti. Stai di merda di anche tu! E poi Alice non mi sembra capace di fare una cosa del genere.»
«A quanto pare ne è capace, lo ha fatto! Comunque sto benissimo, non preoccuparti.»
La mia voce si alza e cerco di concentrarmi sul respiro. Luca blocca la corsa con un tasto e mi obbliga a fermarmi. Vorrei mandarlo a quel paese, ma ci stanno già guardando male.
«Stai bene? Allora dimmi, con quante hai scopato?»
«Tre.» Passo l'asciugamano sul viso per nascondere la menzogna.
«Con quante hai scopato seriamente, riuscendo a fartelo venire duro?»
Lo guardo in tralice «Giada dovrebbe imparare a farsi i cazzi suoi.»
Perché so che è stata Giada a dirglielo? Perché ultimamente si vedono spesso, sono sempre stati amici, dalle elementari, ma credo che da un po’ siano scopamici, di quelli veri però, non di quelli che si innamorano.
«Giada a suo modo è preoccupata per te. Credo che ti voglia bene.»
«Questo non l'autorizza a raccontare certe cose!»
Sono stufo di questa conversazione, così mi dirigo verso lo spogliatoio, deciso a farmi una doccia: almeno lì dentro non dovrebbe entrare.
«Matteo, questa storia non ha niente a che vedere con Cinzia, è tutto completamente diverso! Tu sei diverso! Cazzo, si vede lontano un chilometro che sei innamorato! E Alice non è così, sono certo che sia stato un gigantesco malinteso.»
Lo ignoro e recupero il borsone con accappatoio e docciaschiuma.
«Dovremo parlare con Ary.»
«Toglitelo dalla testa! Sta con Rob, non voglio metterli in mezzo, per quando torneranno sarà acqua passata.»
«Quanto cazzo sei testardo!»
«Tu non l'hai letto il messaggio di Melania, era tutto chiaro ed esplicito. Non devo parlare con Ary, né con Alice, né con nessuno. Devo solo aspettare che passi!»
«Stai dicendo una marea di stronzate, te ne rendi conto?»
«E allora smetti di ascoltarmi!» Urlo, per poi chiudermi dentro la doccia.
Lascio che il vapore mi avvolga e che l'acqua scivoli sul mio corpo, sperando che lavi via la spiacevole sensazione di dubbio che Luca ha instillato dentro di me.
Spazio autrice:
Allora, cosa ne pensate del modo di Matteo di affrontare quello che è successo? Entrare nella sua testa per me è sempre divertente, ma scrivere questo capitolo mi è piaciuto un po' meno.
I prossimi capitoli sono pronti, ma ho un problema: mi manca il titolo! E non so dove andare a parare... Voi dove prendete l'ispirazione per i titoli dei vostri capitoli?
Un abbraccio
Elsie
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