Capitolo 9
Quando i primi raggi solari gli arrivano dritti in pieno viso, il calore che, ne emanava lo fecero pensare che, dovesse trovarsi per forza in qualche altro posto.
Un posto molto più lontano. Un posto che, ebbe quasi il potere di farlo sentire in pace con se stesso. In un posto in cui sentiva, che era la sua nuova casa. Il paradiso.
Con un braccio ripiegato sugli occhi mezzi aperti, cercava di capire cosa fosse successo. In testa aveva solo il vuoto più assoluto, non ricordava più niente, eppure nel suo cuore sentiva che, mancava un pezzo introvabile, l'ultimo tassello che, avrebbe messo per intero quei pensieri così distanti e lontani. Aveva solo il ricordo di essere svenuto e poi il più nulla. Non ne sapeva nemmeno il motivo e quella irrequietezza che sentiva, era quella di sembrare di stare su un cespuglio di rose spinate.
Molto lentamente cercò di alzarsi, mettendo a fuoco il posto in cui si trovava. Poi voltò la testa un po' di qua e un po' di la, ma a lui, rimaneva così sconosciuta quella stanza. Una porta a soffietto dal colore del legno ciliegio. Una scrivania sulla sinistra proprio accanto alla finestra dalla persiana mezza chiusa e subito vicino alla destra, vi era un immensa libreria piena. Un baule forse contenente cose intime di un legno molto più chiaro disposto alla fine del letto a baldacchino che, lo stava ospitando.
Se prima c'era solo un immensa confusione, ora le cose erano solamente degenerate.
Decise che, voleva andare sino in fondo alla questione e di sapere di chi era quel posto, così molto lentamente, anche se con un leggero mal di testa e un malessere in generale, si alzò e mise i piedi nelle pantofole. La lunga vestaglia gli sfiorò le caviglie e l'impatto del fresco del mattino gli causò dei piccoli brividi lungo le braccia.
Si strofinò esse tra di loro e si diresse alla porta. Esitò un momento prima di chiuderla, il suo sguardo era finito su una cornice sulla scrivania e all'interno vi raffigurava un piccolo ragazzino sorridente accanto a due figure più adulte.
Shouji sorrise caloroso e lasciò che, quella mano appoggiata sulla maniglia, la facesse scattare.
***
Erano soli in quel giorno, il padre di Miyake era dovuto partire per un viaggio di un mese o sennò si parlava addirittura di un anno. Ma ciò non causava problemi al ragazzo abituato ai suoi repentini sparizioni. Tutto ciò che, di lui trovò, era stato solamente un miserabile post-it giallo, lasciato sul tavolo accanto alla colazione già pronta.
Mike lo prese tra le mani, mentre l'altra mano se ne stava nella tasca dei jeans abbinati a una semplice maglietta nera. Il biglietto diceva che si sarebbero rivisti prima o poi e che, se anche, erano distanti avrebbe avuto comunque sue notizie ogni giorno e gli voleva bene.
Credeva nell'affetto del genito, ma a volte, per quanto anche lui ci tenesse allo stesso modo, quella figura gli sembrava sempre più distante, sconosciuta. Non riusciva a vederlo come un padre. Il loro rapporto era anche molto differente.
Ma non era finita lì, c'era scritto dell'altro, riguardo al piccolo ragazzino che, era costretto a guardare, qualcosa su come il dover aprire gli occhi e che, a volte, le cose che ci facevano bene, c'è le avevamo proprio sotto agli occhi, di prendersi cura della casa e del piccolo ospite e di non fare l'arrogante.
L'espressione del biondo a leggere quelle parole mutò all'istante. Senza nemmeno starci troppo a pensare, ridusse quel foglietto in una pallina uniforme, gettandola poi nella spazzatura.
« Stupido vecchiaccio ».
Ringhiò tra se e se. Le fine sopracciglia corrucciate e gli occhi ora incupiti.
Sentì dei passi scendere dalla scale, non voleva affrontare la questione al riguardo. Tutto ciò che, voleva fare, era quella di mangiare in tranquillità, poi dopo sarebbe dovuto andare a raccogliere dell'altra legna, con se avrebbe dovuto portare colui che definiva lo stupido criceto. Da guardiano qual'era, gli era stato ordinato di addestrarlo per bene e così avrebbe dovuto fare.
« Non dire niente. Vieni solo a mangiare » interruppe ogni sua parola in uscita Mike, intercettando lo sguardo curioso del più piccolo su di se.
Ham non se lo fece ripetere due volte e come gli era stato consigliato fece, ma si sedette solamante su due sedie dopo quella occupata dal biondo. Cosa che sicuramente non gli sfuggì.
Con dei chicchi di riso e le bacchette a mezz'aria, guardò per un istante la figura che, ancora non aveva toccato niente, chiedendosi del perché di quel improvviso cambiato. Era diverso dal solito. Vivace com'era, adesso invece taciturno e con lo sguardo sul cibo che aveva davanti, come se stesse decidendo qualcosa. La cosa a dire la verità, lo toccò un poco.
«Mh Mike - Kun ? ».
Lo chiamò un po' dubbioso.
«Hai più curato le ferite ? Fanno ancora male ? » aggiunse alzando finalmente gli occhi per fondergli con quelli azzurri e impenetrabili.
Mike sorrise un po' da quel corgimento scuotendo leggermente la testa.
« Stai per caso cercando di prenderti le tue responsabilità » scherzò e chiuse per un momento gli occhi.
Ed ecco che, il più piccolo riabbassò nuovamente quello sguardo turbato come se ne fosse rimasto colpito, nello stesso identico modo in cui ti colpisce una saetta, folgorandoti sul posto. Sentiva che, si stesse ancora dando la colpa di tutto e di sentirsene la causa. Ma ormai il danno era stato fatto. Niente di tutto quello poteva essere cambiato. Ma se doveva essere sincero con sé, un po' la cosa lo divertiva e non poco. Se solitamente era abituato a stare da solo e alla solitudine, ora invece aveva qualcuno da prendere in giro e stuzzicare.
La colazione subito dopo procedette in silenzio, a farle da contorno c'erano i loro pensieri.
***
Era intento a prendersi un caffè, leggendo dallo schermo del PC da dietro agli occhiali che, gli ricadevano sulla punta del naso e con il dito poi gli tirò leggermente su, quando una figura fece il suo ingresso.
« Sei sveglio. Come ti senti Shouji Chan ? » gli chiese con un sorriso togliendosi gli occhiali. Poi si alzò abbassando di un poco lo schermo.
« Ecco ... Ti ringrazio per tutto davvero, ma non ho assolutamente nulla da darti in cambio del tuo...aiuto, ecco sí... insomma. Perciò oggi stesso, lascerò questa casa. Arrivederci » disse con una faccia confusa, per poi voltargli le spalle, convinto in ciò che doveva fare e subito. Come detto... Avrebbe vagato verso da qualche parte. Aveva una casa lui ? Aveva qualcuno che per caso lo stava attendendo con preoccupazione? O era solo come un cane ?
« Ei. Ei. Con calma. Devi ancora riprenderti, non puoi ancora andartene » gli rispose, andandogli davanti. Gli appoggiò una mano sulla spalla in modo incoraggiante, confortevole. Voleva fargli sapere che veniva in pace. Che non era in pericolo. E ogni volta - ammesso che si fosse messo del tutto in sesto - che avesse voluto, se ne sarebbe potuto pure andare. Nessuno lo voleva obbligare a rimanere.
Ma nel guardare quegli occhi, ebbe un presentimento indescrivibile. Come se qualcosa gli aveva toccato le corde dell'anima, facendole vibrare. Che cosa era, non lo sapeva nemmeno lui. E non diede molto peso a quel presagio. L'unico che lo toccava in quel modo, che ne aveva l'assoluto diritto e l'approvazione era il suo Miyake. Eppure, questo, gli aveva ricordato la prima volta volta che, aveva visto i suoi occhi. Da lì, aveva capito che, lui sarebbe dovuto essere il suo compagno. La sua anima gemella. Ma quante volte aveva visto Shouji ? Da quant'è che lo conosceva ? E perché tutto questo a distanza di anni, mesi, stava succedendo ora ? Niente aveva senso. Niente.
« Potresti per favore non toccarmi » .
Iguchi scosse la testa come scottato dalla cosa, per poi allontanargli la mano dalla spalla. Quel contatto aveva preso a formicolargli e non ne capiva il motivo. Poi il suo sguardo si incupì e gli voltò le spalle, mettendosi le mani in tasca.
« Nessuno ti obbliga a rimanere qua. La scelta è tua. Però, finché non ti riprendi potresti stare qua » lo assicurò, portando gli occhi oltre il vetro che, gli separava dal mondo esterno.
« Davvero ti ringrazio, ma devo chiederti qualcosa » gli disse Shouji abbassando la testa e stringendo i pugni lungo i fianchi. Il tarlo stava diventando insostenibile. Lo stava tormentando. Dilaniando. Doveva chiedere e sapere.
« Chiedi pure tutto quello che vuoi sapere ».
Prese respiro e pensò bene le parole da dire « Tu e io ci conosciamo? Sai se per caso ho qualcuno che mi sta aspettando, se ho una casa ? E cosa mi è successo? » buttò fuori tutto d'un fiato.
Il più grande sospirò, d'altronde una volta risvegliato, si aspettava che, gli avrebbe rivolto mille domande. Voleva sapere e ricordare. Era giusto. Ma non era ancora pronto a conoscere tutta quanta la verità.
Ma un giorno forse avrebbe saputo. Ma quel giorno non era oggi. Ne domani. Ne dopodomani. Ma quello che si chiedeva il sensei, era cosa sarebbe successo. Come si sarebbe comportato una volta riacquistati i ricordi e sempre se sarebbe successo? Ma quello che, era certo, era quello del meglio così.
Il fatto del non ricordarsi era collegato col prezzo da pagare per l'antidoto. Ma se quello di chi lo assumeva fosse quello della perdita della memoria, per chi invece lo aveva voluto qual'era ? Non aveva paura e ne, se ne pentiva. Ma voleva solo sapere per la curiosità.
« No. Non hai nessuno. Hai una casa, ma hai sempre preferito starle alla larga, ecco perché preferisci passare più tempo fuori. Sì. Ci conosciamo da tanto tempo. Ma meglio dire che, siamo più conoscenti che altre cose » disse diretto, per poi voltarsi nuovamente verso Shouji, con un sorriso nuovamente rinato.
Un po' la cosa, la risposta, fece male al ragazzo. Eppure perché sentiva che, non era la verità ? Che c'era qualcosa in quello che si stava definendo come " conoscente " gli stava tenendo nascosto?
« Adesso credo che andrò a fare una passeggiata. Se vuoi unirti mi farebbe solo piacere ».
Shouji annuì in sovrappensiero guardando il sensei che, aveva preso a stiracchiarsi. In fondo una bella passeggiata, con una giornata bella come quella, avrebbe forse potuto aiutarlo a schiarirsi le idee.
« Bene. Ah ! Shouji ti andrebbe un po' di acqua ? » gli chiese, ommettendo il fatto che quell'acqua in realtà altro non era che, la cura.
***
Mike e Ham erano ancora sulla strada dell'andata. Ogni volta, che andavano sempre più avanti, la boscaglia si faceva sempre più fitta fitta. I raggi solari traffigevano i rami secchi dalle foglie verdi sgargianti e il cinguettio degli uccellini rompeva quel silenzio.
Mike gli camminava avanti a testa china e il suo sguardo non poteva che soffermarsi su quella figura alta e slanciata come quella di un perfetto felino. Mike gli ricordava le sembianze di un gatto. Schivo e difidente. Abituato alla vita selvaggia. Ma dall'indole comunque affettuoso, bastava soltanto dargli la fiducia che cercava. Meritava. E tanto affetto.
« Mi devi ancora guardare a lungo ? Piuttosto guarda dove metti i piedi. Per terra potrebbero esserci dei rami caduti » lo avvisò, ma senza guardarlo.
Ma appena arrivò quell'avvertimento, come se in realtà non gli fosse mai arrivato, il suo piede capitombolò in mezzo a qualche tronco. Ham cadde in avanti e il piede fece tipo un crack. Un "ahia" dolorato e un po' mortificato richiamò Mike.
Di scatto questo si voltò e allarmato andò subito in suo aiuto. Lo guardò un po' preoccupato e poi sosprirò appena aiutandolo ad alzarsi. Ham accettò il suo aiuto di buon grado e gli si aggrappò alle braccia con le mani. Non riusciva a muovere il piede e ne tenerlo a terra. Faceva male. Non pensava di esserselo rotto. Ma slogato forse sì.
Il più grande notando la smorfia di dolore, capì che qualcosa non andava.
«Vuoi proprio combinarmi casini te, vero ? Stupido criceto » gli disse a bassa voce e con calma, continuando a guardarlo.
Ham sostenne lo sguardo. Ma non poté evitare che, una scossa di brividi lo sconquasasse. Il cuore fece capriole nel petto. Sentiva che avesse qualche legame con lui. Sentiva che, erano destinati a essere compagni. E ciò lo aveva sentito dal primo istante in cui lo aveva intravisto. In fondo tra loro, Beta, Omega e Alpha aveva da sempre funzionato così.
Il più grande a quel punto si inginocchiò dando le spalle ad un Ham interdetto.
« Forza sali, ti porto io » .
Gli aveva sussurrato guardandolo con la testa voltata di poco nella sua direzione.
Dopo un momento di esitazione gli salí sopra con le gambe a stringere i fini fianchi e con le braccia strette al collo. Il biondo, invece, lo teneva sorretto sul retro delle ginocchia, per poi fare un piccolo gesto issandolo poco più sopra. Ad aversi così vicini e stretti con solo pezzi di stoffa a dividere le loro pelli fattosi accaldate, qualcosa iradiò il centro dei petti. Qualcosa di sconosciuto e nuovo. Qualcosa che, gli davano la sensazione di conoscersi da più tempo.
Il più piccolo cercando di mettere a tacere quel turbinio di emozione, fece appoggiare la testa su quell'ampio petto, per poi sussurrare un semplice « Grazie » ma con tanti significati nascosti dietro e chiuse gli occhi per un po' di secondi e Mike si godette semplicemente quegli attimi.
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