Un grande avvenire lo attende! Ma non quello che pensano tutti...
Le malattie prosperavano all'epoca, un incentivo alla mia professione. Ammalarsi era questione di poco, soccombere al malanno quasi scontato.
Le condizioni in cui versavano le strade agevolavano il tutto. Deiezioni e scarti si buttavano dalla finestra, ristagnavano in pozze fetide e luride, il sudiciume incrostava i muri e ammorbava l'aria, impestando d'un lezzo nauseabondo le vie minori, ma non solo. I sistemi di fognature, efficenti nell'antichità, erano stati dimenticati e, al massimo, l'acqua piovana veniva incanalata nelle gargolle, convogliata negli scarichi all'aperto, scendendo nelle strade, lavando via la sporcizia che orde di maiali, galline e cani trascuravano.
Sì, avete inteso bene: maiali, galline e greggi liberi di razzolare in città. Insieme a muli, asini, ovviamente cavalli, scaricanti i loro puzzolenti ricordini. I pastori guidavano le pecore all'esterno, verso le campagne, sospingendole con il vincastro. Oppure un contadino trascinava il porcello fortunato al mercato, dove puntava di sbarazzarsene per qualche monetina. Gli animali da soma trasportavano carichi di merci e i destrieri, adorni di bardature, ostentavano il prestigio del casato dei loro cavalieri.
Provate a immaginare. Chiudete gli occhi.
Assisi dalle vie tortuose, serpentine, il chiasso del mercato, una moltitudine di torri, palazzi, campanili, un'accozzaglia di romano che si fondeva, inglobato, riciclato, nel medievale, per loro moderno. Le altane, i terrazzi, le logge.
Ci si protendeva fuori, affamati di spazio, tanto angusti erano i locali interni. Se avreste esplorato una qualsiasi città di quel tempo, vi avrebbe meravigliato appurare come tutte, tra di loro, si somigliassero.
Le strade si restringevano, ma si animavano, perché la gente si fermava ai banchi, sugli sporti, sotto i tendoni, a contrattare, comperare, a ciarlare, magari con qualcuno affacciato alla finestra dei piani superiori. Avreste visto donne sui balconi, sulle terrazze, alle finestre, a lavorare, filare. Amavano curare la propria acconciatura e sbiondire i capelli al sole. Il bucato era appeso a delle stanghe esterne, asciugante ai refoli di vento. Sempre a delle stanghe esterne svolazzavano le tende volte a riparare dal sole, le quali, per economizzare lo spazio, si trovavano fuori, non all'interno, come nelle vostre confortevoli case odierne. I nobili tenevano un uccellino in gabbia come vezzoso animaletto da compagnia, e stava attaccato, di giorno, a un chiodo nel vano della finestra. Numerosi altri utensili, tra catene e ganci, ondeggiavano sospesi alle stanghe. Certe altalene dei bambini, drappi, arazzi. I vasi di fiori, erbe odorose e gerani - i rinomati, variopinti gerani di Assisi, traboccanti dai davanzali in cascate di fiammanti rossi e rosa - venivano posti sui davanzali, sui cornicioni, sulle terrazze e, persino, sui bordi dei tetti spioventi, dalle tegole a coppe.
Ovunque campeggiavano edicole e icone votive. Ovunque si annidava il pericolo.
Fuochi incustoditi, commercianti incauti... ah, che manna! Ladri, borseggiatori, truffatori, risse da bettole, sbronzi al rientro dai loro gozzovigli... oh, mi pare quasi di annusare ancora l'affollamento di odori nei mercati, se mi concentro bene!
Ma sì, ma sì, la Vita è eccitante per queste piccolezze, queste perle, e voi vi dannate a trovare una miniera! Tonti!
Laggiù - dai, anche alla Morte piace viaggiare ogni tanto, solo perché tolgo la Vita non vuol dire che non l'apprezzi - laggiù, in fondo alla Piazza del Comune, dove poi s'inerpica la salita diretta a San Rufino, il salumiere teneva banco. Squartava, disossava, smembrava, spiumava, insaccati e salumi agganciati alle stanghe a stagionare, le mensole infisse nei mattoni ingombrate da bicchieri, brocche, contenitori di spezie. E, più in là, il calzolaio, che sulle stanghe sotto le arcate lasciava dondolare suole incompiute e sul banco, tra gli attrezzi del mestiere, teneva sempre sparpagliate scarpette e stivali e strisce di cuoio.
E... e poi il pescivendolo e la sua mercanzia esposta viva dentro apposite vasche, l'ortolano campestre elogiante i suoi frutti, il fornaio scorbutico dalle pagnotte segnate a croce, le vecchiette rattrappite e con gli occhi appannati alle panche, le cataste di legna e tessuti, i paioli in vendita, gli alari per il camino, le tinozze, le cassapanche intagliate, pentole e padelle, pellicce, candele, assi...
Quanto è... è viva la Vita!
Come fate a sprecarla? Come riuscite a convivere con l'animo quieto davanti a quest'ingiustizia? Avete a disposizione un'occasione unica, irripetibile, e la dissipate dietro a insensatezze! Il mondo è alla vostra portata, siete padroni di un Creato fantasmagorico, e abusate del solo tiro di dadi che vi è concesso?
Siete seri? Certe volte mi chiedo se abbia senso privarvi di un dono a cui avete già rinunciato voi.
Riprendendo la nostra storia, però, occorre ricordare che Francesco non si comporta poi molto diversamente da quanto descritto sopra, all'inizio.
Cresce mingherlino, piccolo di statura, emanante però un'energia prorompente, che si dipana in ogni direzione e contagia chi gli sta vicino. In breve, tolto da scuola a quattordici anni - non che con il latino s'impegnasse - si è ritagliato un ruolo di spicco tra le compagnie di baldi giovani di Assisi.
Scanzonati, gioviali, assidui clienti di osterie e locande, gozzoviglianti fino all'alba. Francesco è il loro condottiero, il loro Rex Iuventus, dal portamento di un damerino francese e la voce ammaliante frotte di pulzelle, grandi e piccole.
Tranne una.
Chiara di Favarone di Offreduccio degli Scifi, appena una bambina, ha inquadrato subito quello spaccone e, accompagnante la madre nelle commissioni alla bottega di Pietro di Bernardone, non si lascia certo abbindolare.
«Che vista mozzafiato...» ansima una mattina, davanti al panorama che s'ammira da quell'angolo di Assisi, le montagne dai cocuzzoli splendenti di madreperla, incoronate dalla foschia azzurrognola.
Francesco, imbaldanzito, crede che si riferisca a lui. «Lo so...»
«Ma tu la stai bloccando! Togliti di mezzo!»
L'altro ridacchia. Mica si fa dettar legge da una bambinetta con la finestrella ai denti!
«Stai sorridendo.» fa notare la tale bambinetta a Francesco, concentrata più sulla sua bambola che su quell'adolescente allampanato e viziato senza neanche un accenno di peluria.
«Ti piace il mio sorriso?»
«Se non lo usassi per sparare cavolate mi piacerebbe.»
Spudorata la piccola, vero? Francesco, per buona creanza, ingoia e si zittisce, raggiungendo il padre al bancone. Ci ha previsto Chiara, ahimè, in termine di cavolate. Presto Francesco si lancerà nella cavolata suprema, quello strumento che voi mortali, nella vostra ottusità, avete creato per sorpassarmi.
La guerra.
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