Ponti sopra l'oscurità
Cos'è? Scalpitavate dalla smania d'incontrarmi prima di quanto stabilito? Avete complicato il mio dovere, ah, sempre a complicare voi! Vi aggrovigliate in matasse che non riuscite a dipanare - o forse siete troppo stupidi per riuscirci - e vi persuadete che un massacro sia la soluzione!
Ma, dico, dall'alto della mia sapienza di essere ancestrale... mi spiegate come, praticamente, dovreste risolvere i problemi della Vita levandola ad altri?
Vigliaccheria? Avarizia? Opportunismo? Brama di potere?
Da quando in qua si suggellano i contratti con carogne spappolate e si sottoscrivono gli accordi con l'inchiostro al sangue?
Scombinate la mente pure a me.
Il bello poi, paradossalmente, è che indossate armature e corazze che vi proteggano, come se una vita vada conservata mentre la si toglie a qualcun altro!
I mercanti, la borghesia, i minores, insorgono, le sommosse mettono a ferro e fuoco la città. S'innalzano barricate, si costruiscono catapulte, si razziano carri e saccheggiano le fastose abitazioni dei nobili fuggitivi. Perfino la rocca imperiale, la Rocca Maggiore, che dall'alto del colle domina Assisi e la valle del Chiascio, viene in parte demolita e resa inoffensiva, in spregio al potere di Ottone di Brunswick, sfidante che compete con l'infante Federico per l'insegna imperiale. A causa dei tumulti il suo legato, il conte di Assisi, reggente del Ducato di Spoleto, Corrado di Urslingen, deve abbandonarla, disertare dal suo seggio e battere in ritirata.
Sì, valle del Chiascio, quello stesso fiume che il vostro magniloquente poeta citerà cent'anni più avanti, nella descrizione particolareggiata dell'area di Assisi. Intra Tupino e l'acqua che discende del colle eletto dal beato Ubaldo. L'acqua che discende, altresì nota quale fiume Chiascio, sfociante tra il monte di Gubbio - Ubaldo suo patrono - e la catena degli Appennini, un affluente del Tevere.
Sono o non sono acculturata io, la Morte in persona?
Scacciato dunque il molosso tedesco che faceva la guardia ai beni e agli interessi dei feudatari locali, quest'ultimi si trovano inermi di fronte all'esercito comunale, imbastito in fretta e furia dai ribelli. Il console Bonbarone, un parente di Elia, assalta e distrugge il castello di Sassorosso, sul versante orientale del monte Subasio, sede del contado a cui appartengono gli Scifi, la famiglia di Chiara. La vendetta non risparmia altre roccaforti. Di lì a poco tocca al castello di Montemoro, lungo la strada per Gualdo - le cui rovine sono ribattezzate Castrum Maledictum - e poi Bassano, sulle sponde del Rivotorto, e tanti altri ancora di quei manieri che da decenni suscitano l'ira dei mercanti costretti dai castellani a pagare pedaggi e stradatici, tasse e imposte, a sottomettersi ai loro soprusi, nonché l'invidia della piccola nobiltà di campagna.
Analogo destino viene riservato dei palazzi turriti di città, un tempo svettanti nel cielo d'Assisi, coi boni homines, gli arroganti maiores, affacciati ad osservare i traffici d'un popolo di artigiani e commercianti che, dall'alto della loro boria, apparivano infimi e grezzi, mai in grado di rivaleggiare con la loro supremazia.
L'ecatombe, le incursioni, i bandi d'esilio, dimostrano loro l'instabilità del loro potere.
Un'ecatombe...
Perugia, per Francesco, non è da meno.
Parte in sella da euforico vincitore, ci torna, riscattato dopo una quota versata, sconfitto nel corpo e nell'anima. Per mesi vacilla in bilico tra le mie grinfie e la carezza della Vita. Perdo alla disputa, mollo la corda e lui si riprende.
Spettro di quello ch'è stato.
Le piacevoli forme del passato, gli amici, le feste, le brigate, le ambizioni cavalleresche, non brillano più come prima, smettono di attirarlo. Sono opachi riflessi, scudi dietro a cui barricarsi, amuleti per tenermi lontana e rallentare la mia venuta.
Quanto meno nelle vostre menti. Nelle vostre vite mi c'intrufolo comunque, belli miei.
M'incontrerete tutti, presto o tardi.
Io esisto sempre, da sempre, per sempre. È grazie a me che la vita vive e si rigenera. Non sussiste ascesa senza caduta, rinascita senza morte.
Alba senza tramonto.
Tramonta il mondo giulivo e turbolento di Francesco, sorge quello nuovo.
È grazie alla morte che conoscete la vita... o ci provate.
Sono ondate di luce che trafiggono il cuore, ardendo. Prima fasci tenui e sbiaditi, smorzati, ora furenti. Irrompono e attraversano le vetrate della vita, penetrano nella carne, consumano le ossa, divorano nervi, tendini, e si addentrano nel profondo, abbagliando, accecando e restituendo una visione purificata, rinnovata.
Francesco mi fissò dritta in faccia, contemplando le mie fattezze in quelle piagate e distorte di un lebbroso, di un cadavere in battaglia, di un prigioniero.
Mi conobbe, mi tastò e riemerse dalle mie tenebre.
Leggero, confortato dalla tavolozza di tanta bellezza, dipinta da Dio, pittore eccelso, follemente, amorosamente rimbambito. Anche dalle luce irradiata da Chiara. Ritornata in città al seguito della famiglia, è cresciuta, sboccia in uno splendore di fanciulla, fluttuando nella giovinezza, e Francesco si rispecchia in lei e lei in lui.
«Uomini di cui mi fidavo, uomini che ammiravo... sono diventati lupi.» confida Francesco a Chiara un pomeriggio, una calma bucolica, di cinguettii e papaveri, regnante nell'uliveto. L'afa pesa su Assisi in una cappa e la gonna di lei s'increspa sul tappeto fiorito. «Ho visto il massacro di uomini indifesi. Ragazzi. Pensavo che questi boschi mi avrebbero lenito, ma no, proprio no! Vedo cadaveri invisibili ovunque. Fantasmi. Rimorsi.» Gli s'incrina la voce. Chiara, pronta, accorre a stringergli il polso. Non è costretto a continuare se non se la sente. «Ho provato le feste, ma i volti dei miei amici mi ricordano i volti degli uomini che ho visto assassinati. Ho guidato i Tripudianti a ballare per le strade, ma le strade sembrano rosse di sangue. I soldi in bottega sono... sono lordi, sono... merda! Valgono più dei pezzi d'oro che la vita di un uomo! I miei peccati sono così tanti! Devo fare penitenza, devo espiarli in qualche modo. Il vescovo mi aveva consigliato di unirmi alle forze di Gualtiero di Brienne e avrei ottenuto il completo perdono dei miei peccati, l'indulgenza totale. Ma il Signore mi ha rimandato a casa. Non posso vivere così, Chiara. Non so cosa fare!»
Chiara esita.
Lei non ha mai stroncato la vita di nessuno. Prova a immedesimarsi in Francesco, a sgravarlo d'un fardello. Deve opprimerlo terribilmente, ne soffre a dismisura. Come ci si deve sentire ad avere la vita di un uomo sulla coscienza?
In un inferno in terra.
«Francesco, vuoi essere perdonato per i tuoi peccati?»
«Dio può perdonarmi?» geme strozzato, scosso da tremiti. «Forse ho mandato degli uomini all'inferno. Uomini che non hanno avuto il tempo di pentirsi prima che li uccidessi. Perché Dio dovrebbe perdonarmi? In modo che io possa andare in paradiso mentre loro ne saranno banditi in eterno per causa mia?»
Ma non può conoscere le sorti di ognuno. «Francesco, sei sicuro di aver ucciso qualcuno?» chiede Chiara. «Davvero sicuro?»
«Li ho colpiti. S-S-Sono c-caduti...» singhiozza, strizzando le palpebre, quasi stesse lottando contro il ricordo che lo perseguita.
Chiara non riesce a sostenere di vederlo ridotto in questo stato. In una mossa audace gli afferra il mento, obbligandolo a guardarla dritta negli occhi.
«Pensi di essere Dio per conoscere lo stato dell'anima di un uomo morente?» Francesco non si azzarderebbe giammai a credersi tanto. «Dio avrà esteso la Sua misericordia a quegli uomini. Ora te la estende, se ti rechi da un confessore. Vuoi il perdono per tutti i tuoi peccati non perdonati? L'assoluzione?»
Francesco si torce le mani, staccando un papavero. «La voglio, ma sono indegno.»
Il sacrificio di Cristo sarebbe inutile in questo caso.
«Chi è degno?» Chiara solleva gli occhi al cielo, spazientita. Riuscirà a smuoverlo prima o poi. «Dio non si aspetta il valore. Vuole il rimorso.»
«Che io c-credo di avere...»
«Allora cosa aspetti?» lo esorta lei, eccitata. Un'anima rapita a Dio e mondata dai suoi crimini e non un'anima qualsiasi... il ribaldo, godereccio Re della Gioventù delle brigate assisiane. «I confessionali saranno aperti. Vai e fai ammenda con Dio.»
L'abbraccio di Francesco la disorienta, cogliendola impreparata. «Grazie.»
Le guance di Chiara vanno a fuoco. «P-Per cosa?...» smozzica impacciata.
Rileva il tocco caldo, gentile, a momenti leggiadro, di Francesco, mani che sono avvezze a maneggiare filati e tessiture tra le più delicate e fini.
Lacrime spillano, erompono gli argini, soppresse troppo a lungo, cadendo e maculandogli la giubba. Francesco piange, piange di commozione, piange per il senso di liberazione che gli alleggerisce l'animo.
«Per non giudicarmi...» mormora sottovoce.
Giudicarlo? Che ragione avrebbe di giudicarlo ora che finalmente si è dato una regolata e ha compreso quale sconsideratezza sia la guerra? Cerca con minore passione le bande di amici, l'ebbrezza del vino, l'adrenalina delle risse. Al contrario, si isola in profonde, solenni solitudini, nella natura, nei suoi silenzi, nei pressi delle stamberghe fatiscenti dei lebbrosi o dei poveracci, aprendosi massimo con lei.
Chiara lo ritiene un cambiamento radicale.
«Le tue velleità cavalleresche serviranno a un altro scopo Francesco, chi può intuirlo? Forse Dio ti ha rimandato a casa perché devi adempiere ai Suoi progetti qui.»
«Ma quali?»
Gli stessi, incomprensibili piani che ha in mente per Chiara. Già, si rammarica lei, una tempesta roboante che le scombussola il cuore, inespressa.
Inespressa... allora. Ah, ragazzi, rivista a posteriori, produce un certo effetto osservare come nessuno dei due si immaginasse il destino che si prospettava loro!
Salutata Chiara, Francesco si affretta al primo confessionale libero, laggiù dove l'opulenza della Chiesa e dei suoi paramenti sfarzosi non lo opprimono, nella diroccata, dimenticata, San Damiano. Passa al setaccio il suo io più recondito, non tralascia un dettaglio e, eseguita la penitenza impartita, emerge all'esterno non più contrito e affranto, uno sconsolato vagabondo, ma rigenerato, nuovo, fresco.
Deve ringraziare Chiara.
Quella notte io, la Morte, non m'intrufolo più nei suoi incubi, facendo risorgere dal campo della carneficina gli spiriti inquieti e sanguinanti di ragazzi dalle vite spezzate, defraudati del futuro quando su di esso puntavano tutti i loro sogni, fiduciosi, spensierati, pieni di brio e ingordi di vita. Spettri grigi, smorti, dalle budella truculente che spenzolano fuori e teste mozzate dalle spade.
Quei morti non tempestano più la porta degli incubi di Francesco, invocando vendetta su di lui per essere sopravvissuto, per non essere perito con loro, rivestendosi di gloria. Io? Portare gloria? La gloria dipende dalla vita e dall'uso che se ne fa, anche dell'ultimo, prezioso istante, non da me! Le loro grida disumane non si affievoliscono più in gorgoglii, al punto che Francesco deve cacciare la testa sotto al cuscino per non risentire i rantoli, quei rantoli, il calore vitale che si raffredda, i loro occhi...
I loro occhi sbarrati non lo tormentano più.
Dorme sereno e i morti rimangono sigillati nelle tombe.
Con mia immensa felicità, aggiungerei.
Incredibile in quali stravaganti modi la vostra mente possa torturarvi, vero?
Far rivivere i morti... corbellerie! Solo uno mi ha battuta, ma lì era stato deciso, i giocatori in ballo decisamente migliori di me... gente proveniente dai piani alti... non so se ci siamo intesi... però voi non potete rivivere!
Non nella carne, sulla terra, con il vostro nome.
Nella mente oppressa dal senso di colpa tutto è possibile e consentito.
Se i morti rivivessero la mia fatica andrebbe sprecata!
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