Nato tra i fiocchi di lana... non proprio...
Le doglie hanno avuto inizio dopo che il pellegrino è sparito.
«Oggi in questa casa è nato un bambino che diverrà un grand'uomo nel mondo. Andate: lo troverete giù nella stalla.»
Un misterioso viandante dai poteri di veggente? Una premonizione dall'alto? Un augurio, dettato con spontanea prontezza dalla vista del suo stato?
Pica è consapevole d'essere gonfia e tumefatta anche senza che un passante ignoto le annuvoli la mente con indovinelli e premonizioni che sanno d'aldilà.
Ma come faceva... come faceva a sapere che il bimbo, l'erede del ricco mercante, avrebbe omaggiato oggi il mondo della sua presenza?
Manca un mese alla data prefissata. Secondo i calcoli delle donne e il conteggio dei mesi, le previsioni addurrebbero a ottobre inoltrato, nell'autunno sfiorito e crocchiante, non alla fine di settembre. Non oggi.
Non nella stalla.
Hanno già pensato all'occorrente, ordinato la culla e ricamato il corredino. La stanza della puerpera, non ancora ultimata, verrà addobbata con tendaggi e cortine di damasco e il suo letto ricoperto di lenzuola ricamate e trapunte d'argento. La culla, quando sarà recapitata, brillerà, arricchita con nastri colorati e nappine. Solo il meglio al primogenito di Pietro di Bernardone e Madonna Pica. Ma suo figlio, fin dal ventre, è un sovversivo, un inquieto. Scombina i piani e rompe le aspettative.
Il pellegrino si è appena eclissato quando un lama di dolore, dirompente, acuto, una folgore, trapassa Pica, paralizzandola in una morsa, mozzandole il fiato. Gocce colano, le si inumidisce il pube. Acqua. Acqua mista a sangue.
Le si gelano le vene. Con il viso tirato per la tensione, si rivolge alle domestica che l'assiste, quella che non la molla un secondo di vista.
«L-Le bèbe...» smozzica incredula in un sussurro.
Un mese prima! Un mese prima e Pietro è in viaggio! Come se non bastasse, la camera nuziale non è pronta, metà dell'occorrente non è ancora disponibile. Per forza! Non erano preparati! Credevano tutti che il piccolo sarebbe nato in concomitanza con il rientro dal padrone dai traffici d'affari, su in Provenza, a Lione e nelle fiere di Francia. E adesso? Che si fa? Il vento flagella Assisi, un sordido, infido vento autunnale che rimesta le foglie in mulinelli, picchia contro le imposte, le tende s'attorcigliano, pregne d'aria, l'acqua imputridisce nelle pozzanghere e il sentore universale che effonde è muschiato, decadente, raggrinzito.
Il cielo d'autunno si tinge, influenzato dal paesaggio. Bigio, incartapecorito, fosco.
Il gelo sarebbe nocivo al bambino, obbiettano le levatrici alla volontà di Pica di sorvolare sul corredo e fare nascere comunque suo figlio in camera.
Niente da fare. La stalla è l'unico posto adeguato.
Torrido, torrido quanto il suo corpo, zuppo di sudore. L'hanno spogliata, la tranquillizzano con parole incoraggianti, affettuose, la spronano con incitazioni a spingere, a liberarsi del suo fardello. Il sangue le invischia il lembo della camicia da notte, il dolore si propaga, spodesta la ragione.
Il parto non si svolgerà in maniera naturale, lo percepisce.
Pica gira in tondo, avanti e indietro, i sensi obnubilati, traccia una scia di sangue sulle piastrelle tappezzate di paglia e biada. Si carezza le reni con una mano, si sorregge al legno d'una mangiatoia, l'asino che l'annusa, le solletica le gote.
Partorire da sola. Un mese in anticipo. Priva del supporto del son mari.
In una stalla.
Esistono donne che spingono i figli alla vita in circostanze più avverse.
Poteva capitarle di peggio.
Suo figlio è un lottatore. Lotta per rivendicare il suo spazio nel mondo e sembra intenzionato a squartarle le budella. Scalcia, si contrae, scalcia.
Una tiritera insostenibile. Dura da ore.
«Pourquoi il ne sort pas?!» geme, la pressione interna che minaccia di lacerarle il grembo e schizzare fuori con una forza dirompente. «Le bébé...»
«Non scoraggiatevi Madonna, non abbattetevi, ci vuole tempo!»
«Il non... il n'est pas... non sta nascendo!»
«Dovete spingere, accovacciatevi e spingete!»
Pica conficca le unghie nella recinzione il legno. L'asino e il bove, allarmati, raspano sulla paglia, si agitano, mulinando le code, frustando gli insetti.
Il caldo è opprimente, debilitante. Fuori fischia un vento da ghiacciare le ossa, gli alberi deperiscono in scheletri. L'odore corroborante della paglia, i convulsi gesti delle levatrici - due, ne ha assunte due, rammenta Pica in uno sprazzo di lucidità, una giovane e una megera - e il dolore intenso, non favoriscono la concentrazione.
«Je vais a mourir ici... a-avec le bébé...»
«Voi vivrete! Coraggio, un'ultima spinta, solo lo sforzo finale!»
Ma non è uscito finora, dopo ore tremende di travaglio. E se è incastrato? Se suo figlio è rivolto in posizione podalica? Se non collabora perché... morto?
Scenari tetri l'attanagliano.
La levatrice intinge le dita in un vaso di burro, il cui profumo morbido si mischia all'odore di sudore, paglia, erbe e sangue amaro, al fetore acidulo del sesso.
Pica è avvinta da conati di nausea. Quando, attraverso gli occhi socchiusi, sbircia la donna ungersi le braccia robuste con grumi di burro molle, vorrebbe protestare, opporre qualche resistenza. Non la violerà! Lei è una signora!
Ma un istante dopo esplode un dolore indescrivibile, insostenibile, un dolore scalzante qualsiasi dolore mai patito prima, che si dirama nel corpo, spire che l'avvinghiano: infilata tutta la mano nel canale, la levatrice ruota il braccio, schiude il pugno come un fiore, spingendo il palmo verso la testa spugnosa del neonato e con voce sommessa recita una preghiera, sperando nell'intervento celeste.
La pressione interna cede, squarciandosi, allagando la paglia in un lago di sangue.
Uno schiocco membranoso.
Pica urla, geme. Riversa il collo all'indietro, i muscoli in rilievo, il dolore che le assoggetta l'intero corpo.
Non sa se sta morendo, se stia assaporando un preludio della beatitudine eterna, se la morte la stia ammantando con il suo velo oscuro. Ma vede.
Vede e il soffitto smette d'essere soffitto.
In un barlume di delirio, febbre o estasi, non lo sa neanche lei e mai saprà interpretare ciò a cui assiste - il dolore ottunde i sensi, indolenzisce le membra, le rende pesanti e inerti - dal cielo scendono gli angeli - sono angeli? È un'allucinazione, una fantasia, una suggestione mistica... - sorreggendo un mantello di velluto nero tempestato di diamanti e pietre preziose rosse, verdi e blu, ingioiellato d'astri rubati al firmamento.
Il tessuto s'alza e s'abbassa, palpitando, trasparente e leggero, le aderisce sulle guance come un sudario. Un sudario. Teme che sia giunta a mietere il filo della sua vita. Mancava ancora tempo. Sobbalza, l'impalpabile, finissimo telo, rinfrescandole il viso con un refolo fresco, un sospiro di brezza primaverile, e i gioielli saltano e danzano come stelle, vorticando e baluginando in un fulgore ardente.
Sta contemplando Dio? Un accenno di paradiso? Uno scorcio di eternità?
Ha spalancato una finestra sull'infinito?
Davanti lei a si susseguono immagini antiche e presenti. La Provenza. La magione della sua fanciullezza. I mazzolini di lavanda essiccata, sfumanti nell'argento. I cespi di lavanda odorosa, pungente, i filari di cipressi, le strade abbacinanti nel loro biancore. I castelli. Le corti opulente e lussuose. I chevalier che si sbaragliano in duelli e si disarcionano e si contendono l'onore della dama. I giullari, i cantori.
Pica non riesce a respirare, boccheggia, il fiato aspirato dai polmoni, ma non le importa. Sa che l'aspetta il paradiso, la ricompensa dei giusti. Se perisce, perisce come un soldato, adempiendo al suo dovere, procurando onore al suo sposo. Non deve fare altro che lasciarsi cadere sul mantello nero e farsi trasportare attraverso il Purgatorio, dove sconterà per i suoi peccati. Lei e il bambino.
Le bébé...
Se non è morto con lei...
Gli sarà interdetto l'accesso ai cancelli allora. No. Non può essere. Non deve essere. Il suo bambino costretto a vagare nel limbo, se non ha ricevuto il battesimo gli sarà vietato il paradiso. No. Cos'ha fatto? Ha partorito un figlio morto, quella sensazione appiccicosa che le impiastriccia le cosce è l'ecatombe di suo figlio...
In quel buio caldo e liscio, d'un tratto tutto sfolgora di rosso. Rosso vivo, crepitante. Rosso scarlatto. Colori che si alternano e guerreggiano e mai nessuno trionfa. Poi qualcuno le preme uno straccio bagnato sul volto, ruvido, sgradevole, la scuote, e lei viene investita da una luce talmente intensa da non riuscire nemmeno ad aprire gli occhi. I visi ascendono, discendono, scivolano via, inconsistenti, incorporei.
Chi canta? Gli angeli? Angeli che rovesciano una pioggia di gigli, angeli soavi.
Pica invoca qualcuno. Suo padre. Sua madre. Pietro. Chiunque. Articola un rantolo, un vago verso, ma l'unica cosa che le sale alle labbra è il pianto di un neonato.
Un pianto debole, lamentoso, un gorgoglio.
Non è un buon segno.
Da sotto la pieghe voluminose sbuca la nuca malleabile d'un bimbo, il suo corpicino cianotico, strangolato dal cordone. È quello suo figlio? Nato prematuro?
«Srotolagli il cordone, piange a malapena, il respiro è debole. Una sculacciata, così, brava, deve ruggire come un leoncino.»
«Coraggio piccolino, coraggio.» Si affanna la levatrice giovane. «Resta con noi.»
Il est mort? Le bébé... est mort? Pica gradirebbe delucidazioni.
Alla fine non venni a riscattare la sua esistenza. Era troppo presto. La tabella riportava altro. Gli angeli, dalla sua orbita, si dissolvono insieme al mantello e il suo ordito di gemme, luci e fiori. Un'illusione della febbre.
O no?
Battendo i denti, Pica inarca la schiena per vedere se il fuoco, nella lucerna, si è spento, ma le fiamme crepitano gagliarde e avvampano gioconde nell'involucro in terracotta. I suoi polpastrelli tastano ciuffi d'erba scolorita. Paglia. L'hanno adagiata sulla paglia. Non appena le donne si accorgono che ha ripreso conoscenza, respingendo me e la mia falce, intorno a lei scoppia un gran trambusto.
La schiaffeggiano sulle braccia e sulle gambe, le pizzicano le guance, dandole buffetti, spruzzandole acqua, impedendole di svenire una seconda volta. Coglie di nuovo il pianto, che stavolta non proviene da lei, ma oscilla, fragoroso, da qualche parte sotto la volta a botte. D'un tratto, dalle ombre emerge un esserino impressionante, con una bocca larga e affamata, l'escrescenza virile dei suoi attributi in bella mostra, minuto, gracile, le labbra slavate, il cordone reciso dall'ombelico.
«È un maschio!»
Solo quello. Un maschio. Nessun commento sulla sua salute da toro, che il Signore non gli ha accordato. Nessuna raffica di congratulazioni.
Le levatrici sono esperte nel loro mestiere. Ne hanno estratti tanti di fagottini inermi, flaccidi e lividi come questo. I pronostici sono sfavorevoli, in genere.
La culla diventa la loro tomba nel giro di poche lune, se non ore.
Pica è disposta a non crederci. Quel bimbo è suo figlio.
Suo figlio. Nato. Piccolo e prematuro. In una scadente stalla.
Almeno strilla. Una pace ultraterrena la pervade e si sistema sulla paglia, mentre il piccolo, inzaccherato di muco, la lanugine impiastrata di chiazze di vernice caseosa, si contorce nelle braccia della levatrice giovane come un tarantolato, rintronato dal nuovo, sconosciuto ambiente. Pica gli imprime un bacio sulla fronte.
Il bimbo viene appioppiato alla levatrice più anziana affinché lo lavi nella bacinella d'acqua tiepida e lo frizioni con vino e succo di melograno.
Pica s'addormenta, stremata, ma soddisfatta.
Aveva promesso a Pietro il suo erede. Non sarà questo erculeo, paffutello poppante, ma eccolo. L'ha espulso con pene, con un dolore sordo e lancinante che le scavava nelle carni, con stimoli di levatrici e burro spalmato.
Con un pubblico di vacche e asini raglianti.
Che suo marito si accontenti.
Il sangue si riassorbe, le forze ritornano.
Le donne, di norma, si riprendono dal parto.
Pica si risveglia al calar della sera con l'odore dolce del latte nelle narici. Sfrega la guancia contro la balla che le funge da cuscino, la paglia ruvida e secca. Il senso di colpa l'attanaglia più delle ultime intermittenti fitte al basso ventre.
Non è riuscita a trattenere il bambino abbastanza a lungo. Non è riuscita a partorirlo in un luogo consono al suo rango. In una stalla. Quale nobildonna si abbasserebbe a tanto? Nostra Signora diede alla luce il Salvatore nei disagi, tra ragli e muggiti, e, in altre circostanze, questa similitudine con la Nascita delle Nascite l'avrebbe colmata d'orgoglio e riverenza. Ma no. Pietro ne sarà contrariato.
Tutt'al più se il bambino non dovesse sopravvivere all'inverno incombente.
«Où est-il?» mormora con voce rauca. Una delle levatrici - quella giovane, quella carina - le sta rinfrescando la fronte con un panno, graffiante la pelle in modo insopportabile. Si limita a fissarla con uno sguardo vuoto, sperduto. Pica si ostina e solleva debolmente il collo. «Dov'è?...»
L'altra levatrice sta facendo il bagno al neonato nel latte tiepido. Il piccolo non fiata, non si agita. Penzola fiacco al braccio della donna. Pica è assalita dal terrore che sia morto. A tranquillizzarla ci pensano i gemiti lanciati da suo figlio quando il latte gli schizza in faccia. Allora si rianima e strilla con tutto il fiato tenuto in serbo nei polmoni fin'ora. Sgambetta, lavato dagli umori e dal muco, umidi capelli neri che si intravedono sulla nuca, il visetto aggrottato e paonazzo.
È vivo. Pica mormora una tacita preghiera di ringraziamento. Ma per quanto ancora?
Venivo a prendere le anime dei fanciulli. È una parte del mio lavoro che gradirei non trattare. Però devo ammettere che succedeva e succede. I neonati sono così fragili, i bambini così maldestri, gli adulti che dovrebbero sorvegliarli così distratti. Naturalmente al giorno d'oggi i numeri sono diminuiti. Ne vado lieta. Mi hanno sollevato il gravoso compito di dover rapire innocenti e ingenui e cercare di inventarmi una motivazione sul perché io sia arrivato tanto presto. La motivazione esiste, la ragione la conosce chi mi manda. A me è proibito saperle, sono le regole.
Ma dover spiegare a delle anime pure la ragione del loro trapasso, beh... ah non guardatemi storto! Voi ci riuscireste? Non è un mordi e fuggi, la Morte non coglie in fretta, non stacco il gambo d'un fiorellino e me la filo verso casa!
È lungo il processo e... e graduale e... riduciamola all'osso: vi aspetto tutta la vita, fino a che l'ultimo granello si è depositato sul fondo della clessidra, credete che mi scocci aspettare un altro po'? Prendetevela comoda o tagliate subito i ponti, fate come vi pare, tocca a voi congedarvi, mica a me. Sono le vostre questioni irrisolte o meno da risolvere. L'importante è che sappiate che non potrete indugiare in eterno.
Dovrete passare. Tutti passano.
Tutto.
I neonati, nel Medioevo che m'arricchiva e temeva, venivano a me a frotte. Bastava davvero poco, a differenza dei vostri tempi, una sciocchezza! Corde della culla cedute, una balia disattenta, una madre soffocante nel sonno il piccolo che intendeva stringersi vicino, latte malsano, acqua insalubre, sporcizia, fasciatura troppo stretta, il bimbo lasciato gironzolare con eccessiva libertà nel suo girello, una caduta dalle scale, da un gradino, una sbucciatura, una botta, una ferita infetta o mal curata.
La linea tra un figlio e un feretro si restringeva e i parti... i parti! Non posso saltarli? No? Accontentatevi di sapere che, anche qua, l'argomento non rientra nei più leggeri e rosei. Con lo scorrere del tempo le vittime sono andate diminuendo, ma all'epoca di Francesco succedeva - ed è successo - che una complicazione, una svista o qualsiasi fattore esterno compromettente il processo, anche un'insignificanza, potesse decretare la fine sia per la puerpera che per il nascituro.
Credete che mi rallegri parlarne? Illusi... solo perché costituisce il mio lavoro non significa che ne tragga godimento!
Sciocchi mortali...
Ma, tornando al racconto, le ombre incedono e l'oscurità gelida preme sulla soglia della stalla. Una serva spranga l'uscio con cioppi di legna e aggancia il catenaccio, serrando l'ambiente in una bolla di calore. Poi accende una seconda lanterna in terracotta e la posiziona sul pavimento in cotto, sgomberandolo da fili di paglia e residui mangiucchiati di biada. Pica si contorce, mentre gli spasmi di dolore l'abbandonano del tutto. Una scintilla e il fuoco divamperebbe in un istante su quell'ammasso di sterpaglie vizze.
La levatrice giovane osserva il bagnetto del bambino in piedi, accanto alla sua collega, ricurva a pulire il piccolo dal grumoso viscidume amniotico. Tiene le braccia conserte e non dice nulla. Nessuno proferisce nulla.
A Pica sembra d'essere stata inserita in una di quelle raffigurazioni sulla Natività della Vergine, dove un manipolo di levatrici s'affaccenda per assecondare le necessità di un'allettata sant'Anna e accudire, lavare, avvoltolare e spupazzare una Maria infante. Ma qui non ci sono arcate marmoree e colonne tortili, piastrelle in marmo screziato e testiere cesellate, cortine del baldacchino in porpora tirate e finemente ricamate. Mancano rosoni a infiorescenze e motivi geometrici e aureole.
Nessun Gioacchino aspetta trepidante fuori dalla porta.
La lanterna getta bagliori nell'abitacolo. L'odore aspro della paglia intontisce. Il bambino piange e la mucca muggisce. Pica attende.
Il suo bambino, inebriarsi del suo profumo, della morbidezza della sua pelle.
Glielo consegnano dopo un tempo che pare infinito. Si scopre il seno, se lo attacca. Inala la fragranza di latte che lo permea. Il piccolo scosta il viso, non si avventa sul capezzolo. Pica è spaventata. Rifiuta il latte? Accosta con decisione la mammella, la caccia nella sua boccuccia violacea. Una volta provato il sapore del latte suo figlio è vinto. Non succhia con impeto e si stanca presto, ma poppa. È un buon segno.
Quanto ha sognato questo momento? Un figlio - seppur giunto con sorpresa prima del previsto, in assenza del padre, entrato nel mondo nella precarietà di una stalla nel retrobottega - allattato, partorito, stretto a lei e legato in maniera indissolubile al suo cuore, incatenato con un amore che nemmeno montagne d'acqua potranno mai estinguere. Dopo tanto patire e tanti struggimenti. Si era convinta d'essere infeconda. Una moglie straniera, con cospicua dote e scarso guadagno.
Invece... il figlio del miracolo.
Come il figlio di Elisabetta.
«Giovanni...» sussurra e bacia il suo primogenito, che dopo la poppata è ancora più pallido e debole di prima, con la pelle tinta di ceruleo e un contorno di ecchimosi intorno alle pupille. «Mon enfant...»
Un grande uomo, ha predetto quel misterioso viandante stamani, prima che iniziassero le doglie, scomparso dalla circolazione com'ha pronunciato quella misteriosa profezia. Come se non fosse mai esistito.
Pica ha i suoi dubbi.
Grande? Questo piccolino cereo, dalle labbra bluastre e le braccine striminzite? Questo misero, tremante scricciolo? Sarà già da considerarsi un miracolo se riuscirà a diventare grande e supererà l'inverno.
Se solo avesse saputo!
Neanch'io potevo immaginare all'epoca chi sarebbe diventato quel lattante, come avrebbe stupito sua madre, la sua cittadina e il mondo intero. Sorpresi?
La Morte non conosce cosa ne sarà di una vita. Sa che nasce, esiste e che un giorno terminerà e che, nell'attesa di quel momento fatidico, quando vi dovrò trasportare Altrove e recidere definitivamente i legami che vi vincolano alla vita, io, la Morte, vi starò accanto, a braccetto con la Vita, suo specchio e suo inverso, perennemente insieme e perennemente sorelle, benché voi ci crediate nemiche giurate.
È divertente ingannarvi, ogni tanto.
Ma non è mai facile dirvi addio dopo avervi sorvegliato tanto a lungo.
Mai.
Ci scommetto, a volte, con la Vita, su quale destino è riservato a un'anima. Riesce a spiazzarmi sempre. Con quale trucco, io non he ho idea. Dice che non devo mai dare nulla per scontato, che il suo talento risiede nella sorpresa.
E quanto mi ha sorpreso con Francesco!
Sorprende già la sua mamma, questo piccolino gracile, tremando e fremendo. Pica lo depone in braccio a una delle levatrici, che lo riscalda ben bene in una coperta.
Alle fasciature ci penseranno più tardi. Ciò che abbisogna adesso è nutrimento e calore. Al seno materno assumerà tutto quello che gli serve. Pica ha sentito di certe nobildonne che, per non sciupare le poppe formose e preservarle invitanti e seducenti per il marito, mandano i figli in campagna, a venire allattati da corpulente contadinotte. Corrono rischi. Spesso il viaggio si rivela fatale per i piccoli.
No, no, e poi no! Nessuno la separerà dal suo bambino, già tanto minuto e dagli infausti presagi di una salute cagionevole che pendono sopra la sua testolina. Suo figlio nelle braccia di una completa estranea... per anni? Le suscita ribrezzo.
Non mescolerà l'alto con basso. Latte francese, provenzale. Latte di cavalieri galanti, eroici paladini e pregno dell'aroma della lavanda.
Basterà avvicinare il bambino con più frequenza al suo seno.
Il bambino... no, ha un nome!
«Giovanni!» esclama d'impeto, allargando le braccia per accoglierlo di nuovo.
Giovanni il Battista, il Precursore, il Profeta. La Voce che gridava nel deserto. Lei e Pietro non si sono accordati sul nome, ma è evidente che al piccolo ne serva uno vigoroso, infondente forza. Il nome di un santo intrepido, non impaurito dalla prospettiva della morte. Pica pensa ai martiri, ai Padri della Chiesa, ma si è impuntata sul cugino del Redentore, tra l'altro suo patrono.
Giovanni. Suo figlio Giovanni.
Giovanni di Pietro di Bernardone.
Si sposa squisitamente.
«Sbalordirai tutti mon petit...» gli mormora teneramente, stampandogli un bacio leggero sulle guance diafane.
Ne è sicura, di una sicurezza insita, granitica. Una sicurezza di madre. Così com'è sicura che con questo primo nato potrà condividere un mondo, il suo mondo. Insegnargli la sua lingua, raccontargli storie e ballate della sua Francia natia, i miti e le leggende delle corti aristocratiche, popolate da trovatori girovaghi, guitti, buffoni e giullari strimpellanti tra viole, mandolini, ribeca e flauti.
Si spartiranno segreti noti solo a loro, bisbigliati di notte, al lume incerto di una candela, poesie e stralci di canzoni su amori impossibili e cavalieri valorosi.
Lei e il suo piccolo Giovanni.
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