Lo specchio dell'anima

Francesco, in una diversa connotazione, rinasce. Soccombe poco a poco al sortilegio dell'amore. Ci si innamora a piccoli passi: dalla minuscola allodola trillante al Sole, alla Luna, alle Stelle. A Dio. E all'umanità, perfetta nella sua imperfezione, immagine e sembianza di quel Dio ebbro d'amore.

L'amore sconvolge, scuote e sovverte. L'amore capovolge la visione abitudinaria delle cose. È una canzone che avverti il bisogno di cantare a squarciagola, un salto, un abbandono totale che ti attira a catapultarti nel vuoto. Devi ricomporti, tassello dopo tassello, tendendo sempre, con spasmi da innamorato, all'altro che completa la tua incompletezza. Francesco non si strugge per un semplice altro.

Si rimette in discussione, scalpita, per l'Altro.

E lo cerca, lo brama. Ma non lo rivede nella noiosa, insipida ripetitività quotidiana. Una ripetitività vuota, di disequilibro, di svantaggi, di durezza.

«Intorno all'uomo c'è il vuoto.» dice una mattina a Chiara.

Ragazzo, intorno all'uomo ci sono anch'io che, in segreto, manipolo ogni sua azione.

Vivete per morire e morite per vivere. Per l'eternità, se credete alla promessa.

«Il vuoto? Spiegati, non... non comprendo...»

«L'hai detto tu stessa: non comprendo. Attorno all'uomo orbita il vuoto dell'incomprensione, della diffidenza, dell'egocentrismo. Vita mia e vita sua, mai nessuno che la tratta come vita nostra. Entrambi agglomerati di carne e spirito, manciate d'argilla e fango e polvere destinata a tornare alla polvere. Si discute che la morte ci affratella, su quanto davanti a lei non reggano titoli e privilegi, ma la vita? Nessuno si sofferma sulla vita. La trattiamo come se fosse una realtà isolata, speciale, limitata a me, a te. Io vivo la mia vita con i miei affanni, tu con i tuoi. Ma siamo uniti in questo, nel vivere, negli affanni, nelle frustrazioni. Perché ci raccogliamo nel nostro bozzolo di vita e non... non sbocciamo per gli altri?»

Chiara non detiene risposta.

Ho letto - apprezzare la vita offre il vantaggio di poterla apprezzare in tutte le sue sfumature, anche letterarie, che le date - il racconto di un filosofo pagano. Platone, se non vado errato. Paragonava l'esistenza umana alla schiavitù in una caverna. Gli sventurati al suo interno non sanno cosa sia la luce, non l'hanno mai vista. Venerano idoli d'ombra, proiezioni della realtà da cui sono avulsi.

Francesco, come nel mito, è il prigioniero che si svincola dalle catene, le spezza e, per la prima volta, sbuca fuori dalla caverna della vita, travolto dalla luce.

E ritorna indietro, estasiato, e la racconta agli altri carcerati e vive, vive, vive!

C'è chi per amore è disposto a privarsi della vita, a uccidersi, folle.

C'è chi, ardente di quella stessa follia, è disposto a tracimare di vita fino all'esaurimento, logorandosi, consumandosi, liquefatto in un amplesso mistico di comunione con tutto, con quel tutto d'amore.

Francesco per amore esplode e segna la sua impronta nella Storia.

Per amore di tutto, di tutto, della vita e dell'uomo che la abita... perciò anche per amor mio. Quando lo venni a sapere ero perplessa, combattuta.

Chi ama la Morte? Solo gli invasati, gli indemoniati, certi predicatori fin troppo zelanti.

Non... non un omino buffo, sgraziato, allampanato che veste di sacco, non un ragazzo alle prime prese con la vita.

Eppure Francesco mi ha amato.

Può giungere a tanto l'amore?

Di sicuro poteva giungere alla repulsione dell'oro, delle ricchezze che separano e instupidiscono l'uomo. Francesco, ora sensibile più all'umano che al terreno, un giorno, tra le scartoffie dei conti, ha l'azzardo di domandare al fratello:

«Angelo, ritieni che sia dignitoso il mestiere praticato da Papa?»

Le allusioni sono chiare e le spiegazioni si sprecano. Tutti, in città, sanno che Pietro di Bernardone, come qualunque mercante, presta d'usura.

Angelo rifila al fratello maggiore uno sguardo frastornato. «Sai cosa dice... è l'attività di famiglia. Si è sempre svolta.»

«Quale famiglia si distruggerebbe dall'interno?» pone vago Francesco.

«Eh?» Angelo continua a sentirsi tagliato fuori dai suoi discorsi. «Ma di che cosa stai parlando?»

«Dei nostri fratelli e sorelle...» Francesco, pensieroso, si estrania in un altro mondo, un mondo a cui ad Angelo è proibito l'accesso. «... delle loro sofferenze...»

Della sofferenza lacerante di Angelo ci pensava?

Me lo domando discretamente adesso, solo una curiosità eh! Alla Morte piace indagare nelle pieghe della vita.

L'amore, poi, è assodato tra voi animule pavule blandule - colta la citazione colta di una Morte sofisticata quale sono io? - vi conduce dritti a compiere pazzie, gesti estremi e innaturali. Tipo disfarvi delle stoffe custodite nei magazzini di vostro padre o delle sue monete faticosamente accumulate o svendere una partita di tessuti con carro, buoi, gioghi e forzieri inclusi nell'offerta e non accettare niente in cambio...

O... per esempio... rifugiarvi in contemplazione in una grotta al fine di sfuggire alla collera furibonda del padre che avete pubblicamente umiliato con tutto l'elenco sopra citato... ma sono solo esempi i miei.

Un mese Francesco si mortifica nel buio della grotta, un mese di preghiera ininterrotta, di dubbi mordenti e crisi che lo tediano, per lui, attore evaso dal palcoscenico corrotto della società. Non vuole più interpretare quel ruolo sfarzoso e prestabilito, recitare una parte inespressiva scritta per lui da qualcun'altro. È stufo di attenersi. Si sente bloccato, una seconda prigione di facciate e simulazioni.

È stufo di simulare.

Dio non indossa una maschera.

«È per la tua scomoda libertà che ti hanno crocifisso Signore?»

Si è intrecciato una croce di bastoncini, si corica sulla nuda terra. Terra Madre, Terra Sorella, ornata di ghirlande e gemme e perle di rugiada. Gli abiti si sgualciscono, la brillantezza si scolorisce. S'impolvera e s'infanga. Tossicchia nei giorni di pioggia, la sua salute traballante che ne risente, ma non vacilla. Si nutre di bacche, radici, beve acqua piovana. Chiara, appena la situazione famigliare lo consente, trafuga cibo e scarti nelle cucine e se la squaglia a portarglieli.

«Il pane oggi lo devi a tua madre.» gli annuncia, Francesco inselvatichito dinanzi a lei, chioma ribelle e un accenno di barba, conciato alla stregua di un accattone, di un nobile caduto in disgrazia. «Mi ha passato sottomano due pagnotte ieri, all'uscita dalla messa. Non le ho spifferato niente, ma credo che le sia balenato il pensiero di noi due, della nostra amicizia e, sai, perciò...»

«Ti ha reso sua corriera.» ci ridacchia sopra Francesco, addentando vorace il pane, la mente pervasa dall'aroma di lavanda di Maman.

«Tramite, mi soddisfa di più.» A Chiara balzano all'occhio gli strappi sulla giubba inzaccherata dal fango di lui. Tremerà di freddo! «Guarda che buchi! Rischi di buscarti un accidenti, lo sai? Dammela, te la riparo.»

Francesco è poco convinto. «I tuoi sospetteranno.»

«Mia madre penserà che sia un'opera pia da devolvere ai poveretti e i maschi di casa sono troppo indaffarati dietro alle loro faccende per curarsi di cosa rammendo.»

L'amico se la sfila, ma Chiara non lo lascerà di certo morire assiderato! Dal paniere estrae, accuratamente piegata, una vecchia coperta di lana.

«Me l'ha prestata Annetta. Usala stanotte, mi raccomando.»

Francesco scoppia a ridere. «Sei più assillante di mia madre!»

«Mi prevengo, a differenza tua.»

«Ma come, non lo sai che Dio adora gli imprevisti?»

Chiara sfreccia a casa in un lampo, obbligata da una costernata Annetta - hai l'orlo imbrattato di fango! Ma come ti sei conciata?! Chi vorrà prenderti in moglie se non la pianti di girovagare a zonzo per i boschi? - a filare nella vasca senza discussioni.

«Ringrazia il cielo che tuo padre e i tuoi zii non sono ancora rincasati.» brontola la balia, rammaricandosi d'essersi lasciata invischiare nelle stranezze della sua pupilla, tacita complice delle sue scorribande e degli aiuti segreti forniti a quel ragazzo degenere. Se fosse stato suo figlio una mazzata gli avrebbe risistemato la zucca, ecco cosa! «Cosa avresti propinato allora, eh?»

Sta travasando l'acqua dalla brocca nella vasca in rame, colonne di vapore che si avviluppano nell'aria. Chiara scivola nella camicia da bagno, appallottolando le vesti in un ammasso nel cesto della biancheria.

«Che siamo uscite a prendere una boccata d'aria e Beatrice mi ha spinto.»

«Non è vero!» s'indigna la cosiddetta alla porta, sbirciante dallo spiraglio assieme a Caterina. Sentendosi convocata in causa, si arroga il diritto d'entrare. «Io non sono mica un maschio! Sei tu che-»

Chiara l'abbranca, tappandole la bocca. «Sei un'impicciona, altro che maschio! Cos'avete giurato voi due?»

«Di non rivelare dei tuoi incontri con Francesco.» risponde prontamente Caterina.

«Ueuo!» l'asseconda Beatrice.

«Chiara.» la riprende Annetta, contrariata. «Libera subito tua sorella!»

«Ma è una chiacchierona!»

«Liberala, ho detto.»

Sbuffando, Chiara ubbidisce e Beatrice si svincola dalla presa, burlandosi di lei con una pernacchia. L'attenzione costante non si elenca tra i suoi pregi e sbatte contro Caterina, sfilandole un nastro colorato dall'acconciatura. Innervosita dalla treccia disfatta, Caterina insegue la sorellina, che salta sul letto, il materasso sobbalzante e le assi scricchiolanti. L'altra le si scaglia addosso in un putiferio di cuscini gettati a casaccio dovunque, braccandola per il polso e cascando di schiena con lei sul copriletto ricamato in un crescendo di risatine e gridolini.

«Ragazze, decoro e contegno!» le ragguaglia la balia, scoccando un'occhiata arcigna mentre cosparge l'acqua di petali, essenze e oli.

«Mi ha rubato il nastrino!»

«Ti rovinava la capigliatura.»

«Tu l'hai rovinata!»

«Schizzinosa!»

«Birbante!»

«Petulante!»

Caterina la appioppa una cuscinata, piume svolazzanti. «Tu sarai petulante, Beatrice la Sterminatrice!»

«Caterina la Perfettina!» la schernisce la più piccola, sfoggiando una linguaccia.

«Dove sono la dignità e la compostezza di una donzella perbene?» le sgrida Annetta, fornendo da sostegno a Chiara per calarsi nell'acqua bollente e fragrante, la camiciola imbevuta e galleggiante. «Manesche... bisognerebbe addomesticarvi!»

Chiara ride sommessamente, un risolino che non sfugge alla vigile balia.

«Fossi in te mi asterrei dal ridere! Ci sei immischiata soprattutto tu in questo pasticcio!»

Non si raccapezza cosa la ragazza possa avere intravisto in quel fannullone per rimanerne fulminata. Cotte e amori fuggiaschi di gioventù? Può darsi, ma Annetta ha provveduto a Chiara prima ancora che fosse svezzata, la conosce più delle sue tasche e può giurare sui santi del paradiso che lei non è una che si lascia abbindolare da sdolcinati sentimentalismi e insulsi batticuore. Se ronza tanto intorno a Francesco una ragione valida deve averla rintracciata o se ne sarebbe lavata le mani quanto prima. Sebbene debba considerare l'indole caritatevole della sua pupilla, pronta a soccorrere qualunque derelitto marcente nei vicoli e a sobbarcarsi le sue pene.

Sindrome da angelo della carità? Amore? Le frecce di Cupido hanno trafitto il suo cuoricino? Annetta gradirebbe saperlo.

Chiara, contrariamente alla balia, non capisce proprio perché debba assecondare la definizione di una donzella perbene. Perché debba farlo per forza. L'unico destino che le si prospetta deve venire stabilito da altri? Peggio dello stabilito. Imposto.

Reclusione in casa, a scodellare eredi, affidarli a una balia o allattarli più di quanto riesca fattibile, a comandare la servitù e confezionare arazzi e trapunte per il numero spropositato di figli che riesce a scamparmela. Oppure reclusione nel chiostro, le gambe confinate e la mente offuscata, industriata a convenevoli attività.

Maria di Francia, scrittrice e principessa, nei suoi Lais, Lamenti, novelle dal tono arguto e irriverente, che con mordace ironia rivalutano il ruolo della donna all'interno della società, denuncia l'atroce condizione del sesso muliebre, solidale con le sue sventure: costrette a vivere segregate, a non parlare con nessuno, spinte di continuo a partorire, preferibilmente figli maschi, per giunta. Diffamate, punite, violate, oltraggiate, disonorate, calunniate in accuse e processi, impossibilitate ad accedere alle cure mediche perché si teme che scoprano i segreti arcani del loro corpo e apprendano a gestirlo con autonomia.

Chiara non è incline a letture ardite, ma Maria, nella sua sfrontata indipendenza, rivendica con la sua penna diritti che sembrano improponibili.

L'uomo infisso in croce non impone. Non sottomette. Non è un Dio che incute soggezione e riverenza. È un Dio che muore, che soffre. Come tutti. Che tutti chiama e tutti ama. Un Dio che unisce. Uomini e donne.

«Il pasticcio del pretendente di Chiara...» la stuzzica Beatrice.

Caterina s'accorda, spaparanzandosi tra le coperte damascate. «Se Francesco non stesse ammattendo credi che chiederebbe la sua mano?»

«Nostro padre non acconsentirebbe mai. Il suo retaggio è quello mercantile.»

«Giusto, lo zio Monaldo piuttosto si infilzerebbe su una picca.»

Chiara si scansa una ciocca grondante dal viso, imbronciata e imporporata.

«Tra e me e Francesco regna solo amicizia!»

«"Solo amicizia, non nutro sentimenti per il figlio demente del mercante!".» Beatrice imita, stridula, il suo falsetto. Caterina soffoca un grugnito nel cuscino, ridendo a crepapelle. «Lo terremo a mente Chiara.»

«Sono seria!»

«In paese dissentirebbero....» la canzona Caterina, ammiccante.

I commenti fantasiosi di paese, partoriti da inguaribili pettegole. «Non me n'è mai importato nulla di cosa parlottano le lavandaie al pozzo.»

«E le comari alle finestre.» la rettifica Beatrice, fingendosi puntigliosa, osservandola a testa in giù con i capelli che capitolano fino a lambire la piattaforma rialzata su cui è montato il loro letto. «E le vecchiette al mercato e i brilli alla taverna e i fattori nei campi e i servitori nei loro alloggi. L'amore ha fatto inceppare qualche rotella nel cervelletto del buon Francesco... l'amore per una fanciulla...»

Le ammicca. Chiara non se la beve. Francesco è innamorato, ma non di lei!

Di Madonna Povertà, figlia della Miseria e dell'Arte di Arrangiarsi. Annetta le gratta lo scalpo con energia. «Che non sono io.»

«Credibile sorella, che notizia sensazionale...»

Annetta sa come togliersele di torno. «Voi due non vi stavate accapigliando per il nastrino sottratto?»

Vero. Beatrice, malandrina, sventola il trofeo trafugato davanti a una Caterina irritata quanto un toro, scappando fuori dalla porta in un inseguimento da gatto col topo.

«Restituiscimi il nastro!»

«Vieni a prenderlo!»

«Ladruncola!»

I giochi e gli scherzi dei fanciulli, quale dolcezza della vita che accantonate troppo presto. Il fanciullo è la più vera espressione, vi rappresenta appieno, con la vostra ingenuità nella vastità del Tutto. E vi credete esperti!

Francesco dissotterrò dalle tenebre la bellezza, l'innocenza e la purezza dello stato originario, primordiale, di quando l'uomo era un bambino custodito e amato nel palmo amorevole del Padre Creatore. Ritornò agli albori. In quella grotta si aggrappò alla preghiera, alla speranza, alla luce una volta oltrepassato il buio.

Alla vita una volta che io mi sono eclissata dalle scene.

In quel rifugio afferrò l'Amore di Colui che può mutare i sepolcri in grembi da cui rinascere. Non lo mollò più. Mai più.

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