Fosche tenebre

L'uomo e le sue idee. Procurano non pochi grattacapi a Francesco, appena rientrato dall'Oriente. L'Ordine in balia di dissidi, contrasti, frammentato al suo interno tra chi preferirebbe adottare una condotta più progressista, allentando il vincolo alla Povertà, e chi, per contro, sostiene categoricamente la vita praticata alla prima ora.

Francesco si ritrova nel mezzo. Criticato da una parte, incensato dall'altra. Il suo sogno è bollato come utopia, un'evanescente chimera.

La povertà non è più una via possibile.

Propugnarla a questi contestatori equivarrebbe a un suicidio.

Ma quando informano Francesco che i suoi frati alloggiano in una casa...

Apriti cielo dite, giusto?

«Madonna Povertà dorme all'adiaccio! Sotto le stelle! Non si ripara dietro possenti mura di pietra!» Infuriato nero - una rabbia lasciante interdetto chiunque - è salito in cima al tetto e lo sta letteralmente demolendo, staccando le tegole, svellendole dall'ossatura sottostante, scagliandole a terra infischiandosene di chi stia passando sotto. «Cos'è quest'immonda oscenità?! Questo oltraggio?! Distruggetelo!»

Alcuni frati, capeggiati da Elia, al baccano sono filati fuori, costernati dalla reazione immotivata di Francesco. Elia si morde le labbra, mirando disperato al cielo come a domandargli in che maniera trattare con questo bambino mai cresciuto.

A che figura li sta esponendo? Davanti ad alcuni novizi stranieri poi, curiosi di conoscere il famoso Francesco! Eccolo, impegnato a smantellare tetti!

«Francesco...»

«Quest'obbrobrio è un'inversione di rotta alla nostra povertà Elia!»

«Ti comprendo, ma ascoltami-»

«Prima abbatto questa blasfemia!»

«Blasfemia?» strepita un giovane lombardo al fianco di Elia. «Ma là dentro ho i miei libri!»

«E i nostri arredi!» rincara indispettito un ragazzo romagnolo.

«Stavamo studiando gli esercizi spirituali!»

«Dibattendo! Hai interrotto un conciliabolo molto istruttivo!»

Francesco li folgora tutti in tralice, strappando una tegola e mandandola a frantumarsi al suolo, a pochi centimetri dal Cardinale Ugolino, uscente per venire al dunque di tutto questo fracasso increscioso.

«Francesco, cosa-» Il porporato impallidisce. «Scendi subito di lì!»

Rimuove tegole a destra e manca con il doppio della solerzia. «No, Eminenza.»

«Rischi di farti male! Di spaccarti l'osso del collo o peggio!»

«Gli scoiattoli sono eccelsi padroni dell'atterraggio...» mormora, smuovendo i pezzi in cotto in un acciottolio di schegge, il sole picchiante sul tetto.

Ugolino strabuzza gli occhi e affibbia a Elia un'occhiata perplessa, altamente desiderosa di chiarimenti. «Che c'entrano gli scoiattoli?»

«Preferirei vivere nella mia tana di rami e paglia e rosicchiare ghiande tutto il santo giorno piuttosto che rammollirmi in una casa di nostra proprietà!»

Elia si batte il palmo sulla fronte, stizzito. «Che imbarazzo...»

I passanti, contadini e assisiani e non, attirati dal trambusto, si accalcano incuriositi, spintonandosi e spingendo, i bambini arrampicati sulle spalle dei padri per godere di uno spettacolo migliore, le donne intimorite dal pericolo dell'altezza. E se il loro Santarello inciampa? Schegge e punte affilate sono sparpagliate sul tetto mezzo sfasciato. Francesco non si scolla. Nessuno riesce a convincerlo a scendere. Prelevarlo con la forza davanti a quella folla danneggerebbe solo la loro immagine.

Elia si dichiara sconfitto quando, dalla città, sopraggiunge una delegazione del Comune - sono dovuti ricorrere a tanto con quel testone! - e le sue speranze rinascono. Angelo, da rappresentante comunale, inficiato negli uffici in non si sa quale carica amministrativa precisa, figlioletti alle calcagna, guida il commando.

«Francesco?» Avanza, niente affatto intimorito.

Detriti e cocci grandinano giù dalle grondaie.

«Sì!» Giovannetto si eccita, stimolato dall'atteggiamento dello zio. «DEVASTIAMO TUTTO! EVVIVA!» Si arma di un mattone mezzo sgretolato, appropinquandosi a uno stranito Piccardo con la buffa parodia di voluttà d'un predatore. «PRENDI QUESTO!»

Angelo lo placa con uno sguardo. «Giovannetto, no!»

«Uffa...» si lamenta, mollando l'arma. «Lo zio lo fa!»

«Lo zio...» Angelo si rivolge direttamente al fratello. «... non ha capito che questa casa è un regalo del Comune d'Assisi alla fraternità.»

Un regalo? Francesco squadra circospetto la massa, di frati e cittadini. Si fida della parola di suo fratello, non c'è bisogno di verificarla. Però...

«Dici il vero Angelo?» Si sporge timidamente, in precario equilibrio.

La grondaia scricchiola, le pie donne si torcono le gonne, impaurite.

«Te lo giuro.» Il fratello si raddrizza, composto e solenne, con un cenno della testa lo invita a ritornare a terra. «Non ti ho mai fornito ragione di dubitare di me, no? Adesso scendi, forza. Ne hai già combinate a sufficienza per oggi.»

Ugolino disturba anche l'Ordine di Chiara e sorelle. Approfittando dell'assenza momentanea di Francesco, in Oriente a intavolare colloqui di pace e mediazione con il Sultano, preme affinché le Povere Dame - in una sua lettera definite con insolenza Sorelle Recluse, quando di reclusione non ne esisteva manco l'ombra - adottino una Regola di Vita compilata dalle sue stesse mani, orientata più alla sequela di San Benedetto che a quella di Francesco.

Chiara n'è irretita non poco. Francesco con lei. E Francesco sa che, quando a Chiara girano, è prudente approcciarsi con cautela.

Perciò una mattina, grato al proprietario del frutteto fuori Porta San Rufino, bussa all'uscio di San Damiano - di consueto invaso da frotte di indigenti e menomati imploranti assistenza e attenzioni - recando tra le braccia un cesto di ciliegie di dimensioni ragguardevoli. Chiara n'è golosa. Distenderà l'acrimonia, spera.

A comparire sulla soglia, in un primo momento, non è la badessa, ma un ragazzino cencioso e scatarrante, che lo squadra da capo a piedi.

Una piccola peste ospitata con la madre, pensa Francesco.

«Buongiorno.» lo saluta gentilmente, le spalle indolenzite dal continuare a reggere il peso portentoso del cesto. «Dovrei disquisire con Chiara. Lei c'è?»

«Ci sono sempre.» L'amica si staglia dietro al bambino, pulendosi le mani appiccicose di qualche mistura nel grembiule stropicciato. «Mattiolo.» ragguaglia il piccino con affetto. «Ritorna dalla mamma, dai.»

Il bimbo s'irrigidisce, abbassando timidamente lo sguardo e raspando con le calzature dalle suole sfondate sul pavimento polveroso.

«Va bene Sorella Chiara...» mugola sottovoce, salutando Francesco e dileguandosi in un battibaleno. «Ciao!»

«Guarito dalla febbre?» azzarda lui, spostando il peso da un braccio all'altro, i muscoli a momenti insensibili.

È doveroso che sappiate che Francesco consigliava a molti - madri con figli, puerpere, fattori feriti in un incidente sul lavoro, frati posseduti - di recarsi al convento di San Damiano e confidare nella bravura di Chiara. Decenni più tardi, nel corso del processo di canonizzazione di lei, esalteranno questi momenti come istanti fatidici in cui le doti taumaturgiche e i suoi prodigi di santità si sono manifestati.

«Aveva un sassolino incastrato nelle narici e nessuno riusciva a estrarlo. Non me ne capacito proprio il perché. Mi è bastato infilare delle pinze, segnarlo con la croce e la pietruzza è stata espulsa. La madre grida al miracolo, ci puoi credere?»

«Le hai salvato il figlioletto.»

«Non ho compiuto nulla di straordinario. Qualunque medico avrebbe potuto riuscirci. Eppure dicono che chiunque hanno contattato non è riuscito disostruire il condotto nasale! Bah...» commenta stupita. «... a Spoleto avranno cerusichi incompetenti, che ne so io.» Si acciglia alle ciliegie. «E quelle? Da dove provengono?»

Francesco non sa da dove iniziare. «Beh... in verità...»

Chiara traduce il gesto. «Aspetta un attimo... seriamente? Provi a corrompermi propugnandomi delle ciliegie?»

«A dire il vero sono per mitigare la tua collera.» Gli imbarazza un poco svelarlo.

Lei si appoggia allo stipite. «Mi conosci bene...»

Benissimo! Le sue emozioni sono evidenti a Francesco, le avverte senza spreco di parole. «Scongiurarla è impossibile, lo so.»

Lo invita a entrare, aggirandosi nel labirinto di tonache, consorelle e poveri tribolati. C'è chi spalma e benda, chi rattoppa e cuce, nugoli di monelli che si assiepano allo scorgere Francesco tra quelle mura, devoti che tempestano di baci le sue mani, venerandole alla stregua di reliquie. In uno stanzone alcune monache, trafficanti al telaio sbatacchiante, filano con diligenza. Da questi tessuti ricavano paia di corporali, tovaglie per gli altari e paramenti per gli uffici liturgici che, racchiusi in buste di seta o di porpora, sono destinati a varie chiese per la piana e per i monti d'Assisi.

«Santarello! Santarello nostro!»

«Santo Francesco! È qui!»

«Benediceteci Padre, benediceteci!»

Francesco sosta velocemente a impartire benedizioni rapide, a tracciare il segno della croce su alcuni neonati paciocconi, appartandosi poi con Chiara nello stanzone delle latrine, maleodorante di urine, escrementi e scarti.

Lei raccatta un panno, lo imbeve in un secchio di sapone già sistemato in precedenza, si rimbocca le maniche e comincia a detergere, lieta, non disdegnando il fetore o la contaminazione di vermicelli che proliferano nelle incrostazioni. Chiara striglia, Francesco depone il cesto.

Il momento che temeva.

La discussione.

Non è contenta del trattamento che sta riservando loro Ugolino, lo si evince dalla torma di parole su cui non lesina. Insaponando e grattando via, Chiara si dichiara risentita dell'atteggiamento del porporato.

Recluse, angeliche, la loro porta sigillata dalla clausura e la loro indole buona e affabile e ricca.

Ricca. Campanti di rendite e terreni, usufruenti di beni.

Quando il Privilegio della Povertà concesso da Innocenzo III enuncia tutt'altro.

«Non nego che la preghiera non possa sostenere il mondo.» Sta raschiando con olio di gomito l'interno d'un contenitore in terracotta da apporre sotto il sedile della latrina. Francesco, a gambe incrociate sul pavimento, mangiucchia qualche ciliegia. «Nostro Signore stesso ci ha raccomandato di rivolgerci a lui e alla bontà infinita del Padre nei momenti di bisogno, ma la preghiera senza fede è un mucchio di parole al vento e io la fede, la vera, pura, fertile fede, l'ho scoperta grazie a te Francesco!»

N'è colpito. «A... me?»

Lui? Esecrabile, empio, sordido peccatore? Un giullare?

Chi prende esempio da un giullare?

«L'ho scorta nelle mani rattrapite di un vecchio, nelle nudità macilente di un bambino, nello sguardo di un povero, nelle piaghe ulcerate d'un lebbroso!» inanella Chiara. «L'ho vista in tutta quella marmaglia di disgraziati, emarginati e reietti che Cristo non ha respinto! Ma li ha accolti, si è assunto sulle spalle la sofferenza, la loro sofferenza, totale, piena, senza battere ciglio, senza resistere!» Ricolloca il recipiente al suo posto. «Lui! Il Figlio di Dio! Il Dio che si è fatto uomo per rendere l'uomo un dio, che ci ha proposto il Vangelo per imitarlo!»

E di cui l'Ordine sembra non voler più sentir parlare. Francesco s'adombra.

Il suo fallimento più evidente di così...

«Chiara, io... è paradossale lo so, ma per proteggerci dalla Chiesa dobbiamo affidarci alla sua protezione. È la roccia da Cristo fondata...»

«E non ho intenzione di smuoverla.» Sbatte il panno nel secchio, quello tremola. «Ma per te è facile parlare.»

«Credimi, n-non è così...»

«Lo è Francesco!» sbotta e lui sbarra gli occhi. Chiara non è mai esplosa in escandescenze. Mai. La pazienza era la sua virtù. «La tua persona non è mai dipesa da altri! Non come una donna, il cui valore è deciso unicamente dall'uomo! E per tutta la sua vita! Non può... non può vivere, non può osare, non può respirare da sola, persino con Dio, no! Quanto è bella, se, come, quando e dove si sposerà spetta al giudizio degli uomini! Va monitorata, controllata, rinchiusa, bisogna intorbidire le sue meningi prima che entri in combutta con l'Altissimo, il quale, però, l'ha dotata dell'organo della ragione!» S'appiglia a una latrina, piegando il capo, rilassando le spalle tese. Sospira. «L'uomo sulla croce è forse l'unico che non pretende e non impone, l'unico che non giudica. Un marito che non ti procura sofferenza giacché la sta già provando lui, morente per ogni morente.»

«Chiara...» Da quand'è così polemica? Questo impeto infuocato... caspita!

«L'amore non può venire rinchiuso.» Rialza di scatto il collo, volitiva. Francesco si leva in piedi. «Trasuda, straripa, inonda il mondo!» Spalanca le braccia, estese come a misurare la vastità di quel mondo. «E, per quanto la preghiera sia carità, un arpione alla misericordia divina, Dio non mi ha chiamata solo a pregare e barricarmi in un convento, estraniata dal mondo e dai suoi drammi. A casa mi esigevano bella statuina, ubbidiente e decorosa. Segregata. Adesso pure qui?!» Scuote il capo, l'autorità innata che traspare dai ogni poro. «Come posso allontanarmi da quell'uomo, da quelle sofferenze, che Nostro Signore ha toccato con mano? Come posso salvarlo rigettandolo? Cominciano con la clausura forzata, fanno così, non mi credere fessa, lo so. Cominciano a fissare le sbarre, poi a elargirti possedimenti, accordarti rendite, terreni, ettari, comincia a confluire un fiume di donazioni e transizioni di soldi e alla fine sai qual'è la parte peggiore?»

Francesco sospira stanco, evitando il suo sguardo penetrante. «Quale?»

«Le richieste di preghiere e messe dietro compendio in denaro. La carità fasulla, praticata perché lo stabilisce il Vangelo. Non per amore. Arida.» la sibila ributtante, ripugnandola, quest'ultima, mefitica parola. «Si chiama perbenismo Francesco, lavaggio dell'anima, mettersi in pace con se stessi! E mi disgusta

Francesco respira lentamente. La vista gli si sta offuscando, coaguli d'ombra che si raggrumano agli angoli. Per un secondo gli pare d'essersi imbottito le orecchie con dell'ovatta, la voce di Chiara che si smorza, lenta. Non ha colto l'ultimo pezzo.

Di che... di che stavano parlando?

Sta bene. Sono solo sporadici capogiri, una sensazione di nausea. Sta bene.

Benone.

Non deve spaventarla.

«C-Credimi.» Tossisce rauco. «Ti capisco...»

Chiara non è sazia.

«Allora perché non lo sbatti in faccia a Ugolino?!»

«PERCHÉ HO FALLITO VA BENE?!»

Un silenzio tombale cala nello stanzone. Probabilmente avrà oltrepassato le pareti e l'intera San Damiano si starà scervellando a chiedersi che diavolo è successo.

Chiara fissa imbambolata Francesco, dal pallore spettrale, la sclera irritata e iniettata di sangue, il sudore che cola in rivoli sulla fronte.

«Cosa?» ansima esterrefatta.

L'altro si massaggia le tempie pulsanti, mortificato. Ha perso le staffe. Non doveva accadere. Non con lei. Non si è mai spazientito con lei, la sua pianticella.

In che cosa si sta tramuntando, Signore Beatissimo?

«Ho fallito. Sono un fallito.» rantola strozzato. Ormai sono qui, è uscito allo scoperto. Pacifichiamoci con le cose come stanno e fine. «Non sono stato in grado di comandare la nave in mezzo ai flutti impetuosi. Non sono stato capace di far amare la povertà di Cristo come noi la amiamo e adesso, per la mia inettitudine, Madonna Povertà viene vituperata, offesa, trascurata.» Marito orrendo! «Credevo di essere araldo di pace, ma ho solo aggravato spaccature e seminato discordie e guerre!» In Terra Santa sono cessate le ostilità? No. Tra i suoi figlioli stendiamo un velo pietoso. «M'illudevo che rimanendo coerente ai nostri ideali, alla follia della Croce, i nuovi confratelli avrebbero capito e avrebbero rivendicato il Vangelo di Cristo, non il Vangelo dell'Uomo! Ma non ce l'ho fatta. Sono un debole, lo accetto, l'ho sempre accettato. Un debole, meschino, lurido verme.» Papa aveva ragione. «Ho tradito la nostra amicizia nel tentativo di ammorbidire le ingerenze della Chiesa, nel tentativo di soddisfare i novelli frati. Lo so io, lo sai tu.» Il capitolo XI, riguardante la distanza che i frati devono mantenere dalle donne. «Hai il pieno e meritato diritto di avercela con me Chiara. Sei arrabbiata, più che legittimo. Tu lo sei, probabilmente lo è anche il Signore, deluso dal suo servo.» Sicuramente, o l'ardore della fede gli infiammerebbe ancora le vene. «Lo sono i nostri compagni... tutti. E sono nel giusto.»

Si prostra in ginocchio, reprimendo i singhiozzi. Gli dispiace, gli dispiace da maledetti! Blatera tanto del loro sogno e poi lo uccide barbaramente. Ma quello o tutto, tutto il progetto sarebbe andato in sfacelo, l'Ordine dissolto, lacerato...

Francesco non avrebbe potuto reggere un contraccolpo del genere.

«Francesco...»

Un tocco caldo e amichevole gli solleva il mento. Il volto dolce, grazioso e simmetrico di Chiara fende la sua vista annebbiata. Riesce ancora a distinguerne i lineamenti.

Come può tollerare la sua presenza dopo che si è macchiato d'un crimine sì turpe contro la loro amicizia?! «Non sono forte... n-non lo sono...»

Credeva di esserlo. Che sciocco.

Chiara non si scompone. «Francesco... dove risiede la forza di Cristo?»

«Eh?»

«Rispondimi.»

Ci pensa sopra. «Nella croce.»

«Esatto. La vittoria di Dio sta riposta nella sua sconfitta. Nel suo sacrificio.» enfatizza quella parola meravigliosa, carezzandogli il viso. Sacrificio. «E se sacrificare il proprio sogno, o la propria brillante carriera da mercante, non consiste in un atto d'amore e indomito coraggio, io non so a cos'altro poter appioppiare la definizione di coraggio.» Alla follia, scusate se m'intrometto, per essere coraggiosi bisogna saggiare la follia. «L'hai fatto in nome della pace, per amore dei tuoi confratelli. Piuttosto che provocare spaccature e obbligarli alla tua visione, hai preferito chinare il capo e servirli.» Allarga le sue dita sul petto di lui. «Il servizio, il cuore della nostra fede.»

Francesco, scosso dalla sua sensibilità, la stritola in un abbraccio, balzando dritto in piedi. «È-È un calvario Chiara! Una salita i-impervia!»

«Me ne rendo conto, ma ti fa onore.»

«Lo c-c-credi...»

Dura pochissimo, ma a Francesco cede il terreno sotto i piedi, il capogiro che s'intensifica. Chiara, svelta, lo acchiappa prima che svenga.

«Ehi, ehi.» Lo porta a sedere sul ferro di cavallo d'un sedile. Non esattamente una seduta ragguardevole, ma la più prossima. «Calma. Siediti.»

Francesco dismette la cosa come una nonnulla. Non è la prima volta e non c'è di che allarmarsi. È l'emblema della salute.

«S-Solo un giramento di capo, vertigini... non preoccuparti.»

Le bugie hanno le gambe corte. Chiara gli prova la fronte.

«Tu stai male.» sentenzia dura.

Sorella Salute, l'unica sfavorevole da sempre al nostro buon Francesco.

Rotea gli occhi, scocciato. «Non insistere pure tu!»

«Oh, certo che insistito, signorino stravolto! Hai una cera così brutta che una maschera mortuaria sprizzerebbe più colore di te.»

In effetti - se posso sporgermi dalla sua parte - Francesco in quel periodo cominciava a non passarsela bene, con quell'aria malaticcia ormai onnipresente, il pallore cadaverico e le occhiaie cerchianti, ripercussioni anche dalle stressanti insistenze dei superiori e dalla situazione delicata attraversata dall'Ordine. Le febbri si moltiplicavano, le tossi lo sconquassavano, sputava muco sanguinolento e fitte gli accoltellavano lo stomaco, la milza e il fegato.

L'angustiante notte della fede non lo confortava di certo.

«Fantasiosa e peculiare oggi eh?» ironizza, stemperando la tensione.

«Ti preparo un brodo caldo.» gli comunica, salda nella decisione. Chiara recupera l'attrezzatura da lavoro e leva gli ormeggi, prossima direzione la cucina. «Resta inchiodato lì e guai a te se muovi un muscolo! Ci siamo intesi?»

«Non gradirai il trattamento da badessa, ma il piglio lo sfoggi eccome...» bofonchia Francesco, strofinandosi nel saio alla ricerca di calore. Trema dei primi brividi, il saio abrade e scarso sollievo procura. Sorella Febbre birichina!

Chiara si volta. «Hai detto qualcosa?»

«Oh... ehm... che ti aspetto!»

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