Come sei bella...
Un mese dopo
Era una notte di luna piena.
Nelle case del paese, ormai, tutte le candele erano state spente, le famiglie, dopo aver consumato la consueta cena frugale, si erano ritirate per la notte, mentre un silenzio rassicurante avvolgeva con il suo mantello la regione.
Eppure, proprio al centro di un bosco, ai piani alti di un castello elegante e spettrale, illuminato solo da un fascio di luce, una donna stava gridando per il dolore.
Un dolore che le stava lacerando corpo e anima.
Le domestiche andavano e venivano con aria trafelata, portando con sè bende di lino e brocche colme d'acqua bollente, mentre le urla si facevano sempre più forti e disperate.
Il silenzio della notte era spezzato solo da gemiti, singhiozzi soffocati, parole di conforto sussurrate all'orecchio e ancora urla, mentre il sangue sgorgava come quel dolore che non accennava a passare.
Trascorsero ore ed ore, tutte uguali, tutte testimoni del miracolo più grande, di cui gli esseri umani sono partecipi. Il miracolo della vita che viene alla luce.
Ed ecco che, proprio nel momento in cui le tenebre cominciavano a diradarsi, per lasciar posto alla fioca luce del sole, un pianto cristallino, meraviglioso, si diffuse per le mura del castello, accompagnato dalle esclamazioni di gioia e dalle lacrime della servitù, ma soprattutto dalla felicità inebriante che avvolse Adelaide, lasciandola senza più forze, ma piena di felicità.
Dopo qualche minuto, Teresa, la governante del castello, colei che l'aveva cullata amorevolmente tra le braccia quando era solo una bambina, la donna che le aveva asciugato le lacrime e preparato una buona cioccolata calda quand'era triste, la persona straordinaria che le aveva dato un affetto incommensurabile, adesso stava entrando nella stanza, raggiante in volto.
Tra le sue braccia forti e rassicuranti, vi era adagiato un piccolo esserino, avvolto da diverse coperte immacolate che, subito dopo, venne deposto sul grembo della madre.
Come descrivere il vortice di emozioni travolgenti che avvolse con le sue dolci spire il corpo minuto della donna? Come spiegare il fatto che il suo cuore cominciò a battere sempre più veloce, mentre un senso di gioia infinita si sprigionava da quei piccoli occhi azzurri come il mare, luminosi e vivi, per abbattersi con forza su di lei?
Quando il suo sguardo emozionato incrociò nuovamente quello della figlia, tutto cambiò ancora una volta: con una forza disarmante che la investì appieno, Adelaide comprese che il perno del suo mondo si era spostato. Nulla ormai avrebbe avuto importanza, nessun dolore o perdita l'avrebbe marchiata, se non le emozioni che provenivano dalla sua bambina, dal suo mondo.
D'improvviso, non riuscì più a trattenere le lacrime che sgorgarono dai suoi occhi, rigalendole le guance, in una marcia esattamente contraria ai suoi pensieri che tornarono indietro nel tempo.
Rammentò il primo momento in cui i suoi occhi avevano visto Giacomo, l'uomo che aveva amato e perduto, quello sguardo così forte e pieno di vita che le aveva fatto credere che tutto era possibile; ricordò tutti i giorni meravigliosi che avevano vissuto, i pomeriggi passati a tenersi per mano, passeggiando tra i campi, o le serate di inizio estate, quando lei sgattaiolava fuori dalla sua stanza per raggiungerlo.
In quelle ore, solitamente sedevano sotto una grande quercia e, mentre ascoltavano i suoni della natura addormentata, lui le leggeva delle poesie, piccoli frammenti rapiti da libri di pensatori antichi, i quali avevano decantato a gran voce la bellezza dell'amore.
In quei momenti, tutto era perfetto, tutti i sensi erano appagati, soddisfatti da ciò che avevano. Gli occhi si perdevano in quelli dell'altro, le mani si intrecciavano, le orecchie ascoltavano il battito dei lori cuori in pace, mentre la fragranza dell'altro diveniva l'unico profumo invitante, a questo mondo.
Fino al giorno, in cui le loro anime si erano amate fino all'alba, adempiendo al loro desiderio di essere una cosa sola, pelle contro pelle, per sempre.
In quella notte meravigliosa, mentre i loro respiri si univano e le mani si cercavano, avevano permesso al loro cuore di vincere e l'amore ce l'aveva fatta.
Una piccola vita aveva cominciato a formarsi nel corpo di Adelaide, un piccolo puntino luminoso, portatore di speranze e di sogni.
In quel momento, mentre guardava il visino della figlia, Adelaide non potè far altro che guardare indietro. Quella creatura era speciale, l'avrebbe sempre protetta, non solo perché sangue del suo sangue, ma anche perché, in quel corpicino, era nascosto l'ultimo frammento del suo sogno d'amore, sogno che era svanito fulmineo, così com'era arrivato.
No, non era giusto vivere alimentando la fiamma di una speranza viva e accesa solo per lei. Adempiendo alla richiesta di Giacomo, avrebbe dimenticato tutto di lui, nonostante ciò le provocasse un dolore atroce, terribile. Loro sarebbero andate avanti.
Avrebbe insegnato alla sua bambina a voltare le spalle ad un passato da cui proveniva, ma a cui ormai non apparteneva più.
"Come sei bella...", mormorò piano, accarezzando la testa della sua bambina. "Quanto... quanto sei bella. Sei perfetta..."
"Marchesina", la chiamò Teresa, sistemandole i cuscini per farla sedere un po' più diritta.
"Forse, dovrebbe darle un nome..."
"Si, certo. L'emozione non mi permette di ragionare a dovere", disse ancora, con un risolino nervoso.
"Lei è Lucrezia, la Marchesina Lucrezia Adelaide Priscilla Van Necker", disse ancora, osservando, piena d'amore e d'orgoglio, la sua piccola.
Lucrezia era il nome che lei e Giacomo avevano pensato sin dall'inizio, perché, ogni volta, la loro fantasia era sempre ricaduta sull'immagine di una bella bambina.
Priscilla, invece, era stato scelto perché appartenente alla madre di Adelaide, poiché, anche se il suo comportamento era stato ignobile, non si poteva negare il suo legame con la bambina.
Ed infine, il nome della madre di Lucrezia, in quanto lei sarebbe stata per sempre l'unico suo punto di riferimento.
"Marchesina, vuole che informi la vostra signora madre del lieto evento?", chiese ancora Teresa, avvicinandosi nuovamente a lei.
"No, non ti preoccupare. Non credo ci sia bisogno di informarla. Io non prego nessuno, tantomeno per adempiere ad un dovere naturale, come quello di stringere fra le braccia la propria nipote", disse alzando lo sguardo, come se volesse abbracciare tutto l'ambiente.
"Va bene, Marchesina, come preferisce lei".
La voce della giovane donna era ferma, così come la volontà di proteggere la sua bambina da una realtà ostile, da una realtà che non la desiderava.
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Quella notte, il cielo non era illuminato dalla luna, e nemmeno dalle stelle. Sembrava quasi che l'oscurità penetrante volesse nascondere lo svolgimento di un'azione abominevole, partorita da una mente tenebrosa e malvagia.
Erano da poco passate le tre del mattino, quando due ombre si avvicinarono furtivamente alla stanza della Marchesina, dove ella giaceva addormentata nel suo letto, accanto alla culla della figlia.
La luce delle candele illuminava solo parzialmente il sontuoso corridoio, ornato da splendidi quadri che rappresentavano i volti di antenati illustri.
Non si udiva alcun rumore: tutta la servitù si era ritirata nelle proprie stanze, cedendo finalmente al sonno.
Il silenzio era rotto solo da passi misteriosi che si affrettavano, accompagnati da due mantelli fruscianti che nascondevano i volti dei proprietari.
Le due fugure si fermarono davanti alla camera che desideravano raggiungere e l'aprirono. Al loro interno, il respiro rilassato della Marchesina si fondeva con quello molto più lieve della figlioletta.
La donna dormiva beata nel suo letto disfatto, con i capelli scomposti sul viso e le mani appoggiate sopra la testa, mentre sopra di lei, la luce delle candele creava strane ombre che si muovevano furtive.
Nella stanza, tutto era in perfetto ordine, dalla scrivania su cui giacevano libri su libri, ai mobili perfettamente lucidati e recanti vari suppellettili.
Una delle due figure si avvicinò cauta al centro della stanza per poi proseguire il suo inesorabile cammino fino alla culla, dove la dolce ed innocente Lucrezia stava dormendo.
Alla sua vista, la Marchesa si arrestò, notando la somiglianza incredibile con la figlia: lo stesso viso angelico riposava sul cuscino, la stessa espressione beata di Adelaide, così pura e naturale, così innocente...
Aveva sempre segretamente ammirato questa qualità che la figlia sembrava possedere fin dalla nascita, ma non avrebbe mai potuto dirlo ad anima viva, perché, in fondo, sapeva bene quanto ancora lei avrebbe dovuto imparare sul mondo.
Fino a quel momento, Adelaide aveva solo trascorso la propria vita, senza curarsi delle difficoltà di ogni giorno, nutrendosi solo di sogni e speranze vane.
Non aveva ancora imparato la lezione più grande: talvolta, la mancanza di emozioni è l'unica possibilità per garantire la sopravvivenza.
Ma l'avrebbe scoperto quanto prima. E, in questa impresa, l'avrebbe aiutata proprio la sua nipotina.
Dunque, senza ulteriori indugi, la Marchesa prese in braccio la bambina, mentre ella cominciava a piagnucolare piano.
Bastò questo.
Adelaide, stanca a causa del parto, ma anche preoccupata per lo stato della figlia, non era in un sonno profondo, tant'è che si destò immediatamente e, pur confusa, potè osservare la scena che le stava di fronte: la madre con in braccio Lucrezia. Ma nel suo gesto non c'era gioia o emozione, ma solo sdegno riprovevole.
"Madre, che cosa ci fate qui? Siete venuta adesso per vedere vostra nipote? Vi vergognate a tenerla in braccio, al punto da aver aspettato il buio della notte per vederla?", chiese Adelaide, mettendosi seduta.
"No, cara, al punto da non volerla vedere mai più. Come hai potuto pensare che un tale abominio potesse vivere sotto il mio stesso tetto? La figlia di un contadino, di un poveraccio, di un uomo senz'arte né parte? Questa bambina ha disonorato il nostro nome, non è degna di essere una Van Necker! ".
" Io non vi permetterò di portarmela via, mai! Lei è mia figlia, il mio cuore, non potete separarmi da lei! ". Le grida cominciarono ad uscire dalla sua bocca con veemenza, con urgenza. Non poteva accettare una cosa simile, non l'avrebbe mai fatto.
Lei non si sarebbe mai arresa.
"Era tua figlia! Adesso non lo è più...".
Detto questo, si diresse verso la porta, mentre la serva, levatosi velocemente il mantello, si gettò nel letto per tenere ferma Adelaide, la quale si era già alzata, nonostante i forti dolori.
"No, madre! Vi prego, vi supplico! Non potete portarmela via! È mia figlia, vi scongiuro! Vi prometto che ce ne andremo, non vedrete più il mio volto. Dimenticherò di essere una Van Necker, rinuncerò a tutto, ma vi prego, lei è l'unica cosa da cui non posso separarmi! ". Continuò ad urlare con forza, con determinazione, mentre le lacrime cominciarono a scendere nuovamente sul suo volto, tracciando profondi solchi che esprimevano disperazione, sulle sue guance. Si gettò a terra, in ginocchio, chinando il capo e continuando a piangere disperata, mentre la serva cercava invano di trattenerla. Infine, alzò gli occhi grondanti di lacrime e, con un viso sconvolto dal dolore, il corpo tremante e i capelli scomposti, guardò la madre, convinta di leggervi emozione, dolcezza, rammarico. Eppure, non era così.
I suoi occhi erano fissi sul volto di Adelaide, completamente privi di vitalità, aridi, mancavano di calore, di sentimento.
"Una Van Necker non abbassa mai la testa. Cosa avrebbe mai potuto imparare tua figlia da una donna debole come te? Rialzati e ricomponiti. La dignità è l'unico dono prezioso da cui non devi mai pensare di separarti, per nulla al mondo. Niente è più importante di te, niente".
Quelle furono le sue ultime parole, perché, subito dopo, si girò agitando la gonna, mentre sentiva ancora una volta la figlia piangere disperata sul petto della serva che la teneva tra le sue braccia.
Adelaide era spezzata, nulla l'avrebbe aiutata a rialzarsi e questo lo sapeva. Conosceva sua figlia, quella ragazza che sognava sempre ad occhi aperti, chiudendo gli occhi di fronte alle malignità commesse dagli uomini, aveva fiducia nel prossimo e vedeva sempre il lato positivo anche nella più temibile situazione. Ma si sarebbe accorta presto che la vita non è un sogno in cui ballare senza pensieri, volteggiando in campi fioriti. La vita spesso ti mette alla prova, sfidandoti fino al limite del razionale, per cui spesso non c'è altra soluzione, se non l'abbandono dei sentimenti. Con un cuore sano, anche la mente lavora meglio.
Adelaide sarebbe sopravvissuta, in qualche modo e, alla fine, le avrebbe dato ragione: non c'era un'altra soluzione.
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Coperta bene da un mantello, la Marchesa uscì dal castello, alle prime luci dell'aurora. Era arrivato il momento di chiudere definitivamente quella storia.
Si inoltrò nel bosco, alzando la gonna per evitare di inciampare a causa delle radici sporgenti. Avrebbe potuto delegare a qualcun altro quel compito, ma aveva preferito fare di persona la consegna. Soltanto in questo modo sarebbe stata sicura. Non desiderava che il passato tornasse un giorno, per intaccare nuovamente quella tranquillità che presto si sarebbe stabilita.
Il sole cominciava a fare capolino tra le pesanti nubi che avrebbero sicuramente portato una giornata di pioggia. L'aria era fresca, la brezza che le accarezzava il corpo sembrava rinforzarsi ogni minuto che passava.
Le erano sempre piaciute quelle giornate, in cui il vento trascinava con sè nubi pesanti che preannunciavano temporali. Le piaceva star dentro il suo castello, dietro una finestra, ad abbracciare con fervore il paesaggio che man mano veniva offuscato dalla nebbia fitta, oppure ad osservare bene quei fulmini saettanti che spargevano di elettricità il cielo sempre più scuro.
C'era un qualcosa di estremamente accattivante nei temporali, un qualcosa che li rendeva unici ed affascinanti. Recavano con sè il segno distinguibile di una potenza che non era di questo mondo, una potenza non alla portata degli uomini.
Da piccola, di fronte a tali fenomeni, non poteva fare a meno di rimanere a guardare il paesaggio fuori dalla finestra, scostando appena i pesanti tendaggi che la nascondevano alla sua vista, per bearsi di quell'immagine di potente bellezza.
Spesso sognava di essere un fulmine, una striscia luminosa che solcava il cielo con velocità, una fiamma fugace destinata a morire nell'oscurità. Eppure, in quello stato, la sua non sarebbe mai stata una morte vera e propria, perché la sua apparizione nel cielo avrebbe per sempre rappresentato un piccolo sogno realizzato, un sogno che poi era sfumato nelle tenebre, per qualcuno.
Quando la morte viene offuscata dal ricordo, non è più tale, perde la sua potenza, come un fulmine privo di elettricità.
A distanza di anni, tutto ciò non era cambiato: lei, la Marchesa Priscilla Van Necker era una donna sicura di ciò che voleva, affascinante fin al profondo del suo animo, un'ammaliarice esperta che aveva visto tanti cuori infrangersi sul suo altare, solo per lei. Ma soprattutto, era una donna che non credeva nelle emozioni, perché sapeva bene quanto poco esse contassero, di fronte alle azioni, unici indizi per comprendere appieno il carattere di una persona.
Era inutile tendere ai sentimentalismi, perché essi non giovavano a nulla, ma compromettevano senza ritegno la ragione.
Una donna, soprattutto, non poteva lasciarsi andare all'amore, ai moti del cuore, perché essi non fanno che distrarre l'attenzione da quelli che devono essere i veri obiettivi della vita. Cos'è l'amore, se non un inutile atto di altruismo privo di conseguenze soddisfacenti? Cos'è la passione se non un desiderio malato di far proprio il corpo di un'altra persona, insieme alla disperata ricerca di qualche minuto di piacere?
In un mondo in cui la società considerava questi aspetti come i fondamenti della vita di una donna, lei aveva insegnato ben altro alla figlia. L'aveva guidata passo passo nei suoi studi, accompagnata con la mano fino alla scoperta della sua femminilità e delle potenzialità che la natura le aveva concesso, in quanto donna. Ma soprattutto aveva cercato di trasmetterle un desiderio che aveva consumato la sua intera esistenza: nulla è più importante del potere, della fama, del ricordo che gli altri hanno di te. Solo così la morte sarà solo una realtà apparente, un miraggio nel mezzo del deserto.
L'immortalità non è forse il dono più prezioso di fronte alla miserrima condizione degli uomini? La vita eterna nella memoria altrui non è l'unica possibilità di sconfiggere il tempo, di continuare a vivere, pur nella morte?
In questo cammino, a cosa porterebbero le emozioni, se non al disfacimento di quell'obiettivo da raggiungere?
E così aveva trascorso la sua vita in balia di ciò che desiderava veramente, con lo sguardo sempre rivolto al futuro, con le mani che fremevano dalla volontà di possedere la propria vita e il proprio destino, con la mente sempre concentrata sul potere che piano piano la circondava come un'aurea dorata.
Nel suo percorso, tuttavia, aveva lasciato qualcuno alle sue spalle senza accorgersene: Adelaide. La sua bambina nel frattempo era divenuta una donna e, con il tempo, i suoi piedi non avevano più toccato il sentiero tracciato dalla madre, ma si erano perduti in sentieri diversi, sentieri che si erano intrecciati tra di loro in un intrico senza possibilità di uscita. Il suo cuore era stato catturato irrimediabilmente, anche se alla fine era stato liberato da questa prigionia.
Non poteva certo negare di aver compiuto la sua parte in questo, ma non era neanche nella condizione di rimproverarsi per il suo comportamento. D'altronde, il ragazzo aveva ricevuto una lauta ricompensa e poiché il desiderio verso la figlia era mosso solo dal denaro, non aveva trovato un motivo per non congedarlo in tale maniera.
Eppure, il giovanotto non si era accontentato di così poco, ma aveva avuto persino la sfacciataggine di chiederle dell'altro, di un tesoro molto prezioso che l'aveva spinta ad un attimo di riflessione sull'azione che avrebbe dovuto compiere. Ma, alla fine, il risultato sarebbe stato soddisfacente, per cui la sua scelta era stata sicuramente assennata.
Adesso, si trovava nel bosco, ai margini della sua proprietà, per porre un punto a quella situazione che l'aveva impensierita per mesi.
Quella notte sarebbe stata l'unica spettatrice dell'ultimo atto che vedeva sua figlia come protagonista, insieme a quello scapestrato di cui si era stupidamente innamorata.
Mentre il sole cominciava ad illuminare le chiome folte degli alberi, gli occhi della Marchesa si posarono su un gruppo di persone dall'aria guardinga che osservavano attentamente il paesaggio circostante.
Con un atteggiamento sicuro e determinato, si volse verso di loro, risoluta nel proprio animo su ciò che doveva fare.
Una volta accostatasi a quegli uomini, subito venne accolta da riverenze profonde, da occhi che si abbassavano prontamente, da schiene che si piegavano alla sua persona ed alla sua volontà.
In particolare, uno di loro le si avvicinò con uno sguardo esitante, ma vibrante di aspettativa.
"Buongiorno, mia signora. Mi scuso per il disturbo che le ho arrecato, costringendola a venire fino a qui", esordì il ragazzo. I suoi ricci scomposti gli incorniciavano il viso scurito dalle ore passate sotto il sole, le sue mani forti e vigorose erano posate sul petto a simboleggiare le scuse che le aveva appena rivolto.
"Se voi mi aveste costretto a fare qualcosa, allora sarei già in allarme per me. Non chiedete scusa e non fingete delle buone maniere che non avete mai avuto. Ho già sopportato a sufficienza le vostre azioni, e non intendo andare oltre. Avete già messo a dura prova la mia pazienza alquanto limitata.
Adesso, avrete quello che volete. Non intendo tollerarvi un minuto di più. Prendete ciò che è vostro e sparite, per sempre. Se dovessi anche solo sospettare di un vostro eventuale mancato rispetto di ciò che abbiamo pattuito, non avrete scampo. Nè voi, né la vostra famiglia", rispose la donna con uno sguardo raggelante, mentre le sue sopracciglia le si inarcavano e la bocca si curvava in un ghigno.
A quel punto, la nobildonna tese le braccia e consegnò al giovane un piccolo fagotto di lino, senza prestare una benchè minima compassione.
Dopodiché si voltò con decisione, evitando di soffermarsi anche su un piccolo cenno di saluto, prima di inoltrarsi nuovamente nel fitto del bosco.
Giacomo guardò gli occhi della sua bambina, azzurri come le onde del mare e luminosi come le stelle del cielo. Da quel giorno in avanti, lei sarebbe stata la sua unica gioia, la sua vita, perché il destino aveva voluto che il suo cuore rimanesse per sempre all'oscuro della vera felicità.
Si volse verso il castello, seminascosto dalla folta vegetazione e, mentre una lacrima sgorgava dai suoi occhi, pronta ad affogare anche la sua anima dannata, sussurrò con voce fioca: "Perdonami, amore".
~Spazio autrice
Ciao a tutti! Eccoci qua con il terzo capitolo della storia di Lucrezia! Cosa ne pensate? Fatemelo sapere giù nei commenti, insieme ad eventuali dubbi o suggerimenti. ❤️🌟
-Alla prossima!
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