Capitolo XIII


Quella notizia sconvolse Björn. La moglie dell'ispettore Busan era stata brutalmente uccisa.

Appena ricevuto quel comunicato, si vestì in fretta e furia e si diresse verso la centrale. Era ancora sottosopra, Il suono sordo e repentino del telefono lo aveva fatto sobbalzare e, nella sua testa, non faceva che alternarsi un'immagine, una sequenza, seguita dalla voce di Busan che gli diceva hanno ucciso mia moglie.

«Sembri quasi più sconvolto di me» gli disse Busan vedendo arrivare Björn.

«Sono sconvolto, sì. Mi sembra ovvio. Anche tu dovresti esserlo!» La preoccupazione sul volto di Björn era lampante e palese, mentre Busan non sembrava reagire, neppure, agli stimoli esterni.

«Sei già stato sul luogo del delitto?»

«Non ancora. Sto aspettando che gli uomini della scientifica siano pronti, poi andrò con loro. Devo riconoscere il corpo.»

«Speriamo che non sia lei...» forse Björn parlò troppo presto, o forse fu semplicemente il suo animo gentile a farlo parlare, aggrappandosi a una vana speranza.

«Spero solo che non sia stata vittima di questo fottuto killer che stiamo cercando. Oggi Saul mi ha portato altre carte dove c'erano scritte pseudo diagnosi fatte sul niente, perché non abbiamo niente.» Busan sbatté un pugno sulla scrivania vicina, il suono di quelle parole, l'inettitudine che lo colse, lo fecero quasi mancare per poi lasciarsi assalire da una profonda rabbia.

«Lo troveremo, non temere. Purtroppo lo sai meglio di me che non è facile trovare una persona completamente alla cieca.»

«Intanto mia moglie è morta!»

«Mi dispiace, ma non so che altro fare... lo stiamo cercando, ho chiesto aiuto al dottor Dubois per avvantaggiarci nelle ricerche, ho frugato, insieme a te, nei vari registri degli ospedali psichiatrici, ma se non lascia tracce, non so a cos'altro aggrapparmi.» anche lui venne colto dalla preoccupazione. Esausto, con la testa vuota a causa delle ore di passione passate con Saul.

«Non è colpa tua, semmai è colpa di quel mostro...» Busan sospirò, cercò di darsi una calmata. Si passò una mano sul viso per massaggiarsi gli occhi, poi cercò li sigarette e ne accese una.

Un agente di polizia si fece largo nella sala dove c'erano Björn e il suo collega. Era il segno che stavano aspettando, insieme si diressero sul luogo del delitto.

Björn non aveva mai assistito, dal vivo, a una vittima di questo famigerato killer senza nome. Si portò una mano alla bocca quando vide il corpo della donna riverso in terra. Quella scena era cruenta quanto macabra, neanche nei film dell'orrore si erano spinti a tanto. Il killer si era accanito con lei cucendole gli occhi e infierendo sul suo corpo, questa volta avevano un altro indizio: si era mosso per rabbia. Non aveva lasciato morire di fame la vittima, non l'aveva torturata psicologicamente, no. Sul volto della donna, la bocca si era deformata in una smorfia che descriveva, esattamente, la paura da lei provata prima di morire.

«Il Killer ha spietatamente agito su di lei mentre ancora era viva» disse un uomo della scientifica, mentre la stava visionando.

«Le ha cucito gli occhi, le ha legato i polsi per non farla muovere e le ha scorticato letteralmente la pelle dalle dita.»

«Non riesco più a trovare un filo conduttore, maledizione!» Björn si passò una mano tra i capelli stringendoli appena per la rabbia e la frustrazione che provava. Guardò l'orologio e incurante dell'ora decise di assecondare l'idea che gli era appena venuta in mente. «Scusami, ma devo allontanarmi.» Disse a Busan poggiandogli una mano sulla spalla, questi annuì semplicemente, troppo colto dal suo dolore per pensare alle stranezze di Björn.

Björn si era diretto fino a casa di Saul. Voleva comunicargli il nuovo passo falso che il killer aveva commesso. Avevano passato qualche ora insieme, poi, verso mezza notte, Saul era tornato a casa.

Bussò concitatamente alla porta e sbatté le palpebre del tutto colto di sorpresa, quando vide Ludmilla aprirgli la porta. In quel momento si ricordò del fatto che Saul era sposato e che, probabilmente, non doveva presentarsi a casa sua. Lui, però, era pur sempre un poliziotto e i suoi doveri venivano prima di tutto.

Björn estrasse il distintivo dalla tasca dei pantaloni e lo mostrò alla proprietaria: « Björn Olsson, polizia di stato.»

«Uno svedese? Bussa sempre più gente interessante alla mia porta.» Rispose Ludmilla per nulla turbata, mentre giocherellava con una ciocca bionda dei suoi capelli.

«Devo parlare con Saul Dubois» rispose secco.

«Perché cerca mio marito?» Domandò. Ludmilla lo guardò bene: era alto, biondo e aveva gli occhi celesti. Forse, si disse, poteva piacere a Saul e quella del poliziotto non era una visita del tutto lavorativa.

«Devo porgergli delle domande riguardo un caso a cui stiamo lavorando.»

«Si accomodi, allora.» Ludmilla lo fece entrare, ma non perse occasione di ammiccare nella sua direzione. Lei voleva attirare la sua attenzione, sempre pronta a minacciare il benessere di Saul, mentre dentro Björn cominciava a nascere un assoluto e incontrollato sentimento di gelosia.

«Dov'è suo marito? Sta dormendo?» Domandò incuriosito dal fatto che dovesse aspettare.

«No, è sotto la doccia.»

Quell'affermazione fece insospettire Björn, erano passate parecchie ore dalla loro visita, quindi Saul non si stava rinfrescando perché erano stati a letto insieme, quindi avrebbe dovuto illuminarlo sulla giusta motivazione.

L'arrivo di Saul colse alla sprovvista anche i suoi due figli che stavano spiando la scena da dietro la porta della loro stanza. Flavien ebbe quasi la voglia di denunciare le malefatte di Saul, ma Lucifero lo fermò, tendendolo fermo per un braccio.

«Cosa ci fai qui?» Domandò Saul con calma e pacatezza come suo solito. Era sorpreso in tutti i sensi. Non si aspettava un'improvvisata del genere, specie alle sei del mattino.

«Abbiamo trovato il cadavere della moglie dell'ispettore Busan, volevo comunicarti i nuovi esiti e farti qualche domanda.»

«Dimmi...» Saul si accese una sigaretta e cercò di nascondere l'ansia e la preoccupazione, perché sapeva che quella notte aveva commesso un crimine, ma come al solito, non ne ricordava assolutamente nulla. Era per questo che fino a poco prima si trovava sotto la doccia. Aveva provveduto a sbarazzarsi di ogni macchia di sangue.

«Perché ti stavi facendo la doccia?»

«Tu non ti lavi di solito?» Gli domandò pungente. Quella domanda stranì Björn tanto da fargli capire che Saul era sulla difensiva.

«Certo che mi lavo, ma non mi spiego l'ora.»

«Sono le sei del mattino e devo aprire lo studio molto presto questa mattina. Capita spesso che io lo apra prima della mia segretaria per distendermi dalla tensione e dallo stress accumulato, così da poter ascoltare meglio i pazienti.»

Björn voleva credergli, ma il suo istinto gli stava suggerendo qualcosa, tutto il suo essere era in allarme.

«Ti dispiace se vengo con te allo studio?» Gli domandò.

«Va bene. Dovevi chiedermi o dirmi altro?»

«Il killer sembra abbia agito per rabbia e non in maniera metodica come al solito. Ma avrai tempo per leggere tutte le carte del caso, Saul. Se vuoi anche questa mattina, prima dell'arrivo dei tuoi pazienti.»

«Va bene» disse di nuovo.

Saul lo avrebbe condotto fino al suo studio, maledicendosi interiormente, mentre le sue voci davano di matto per il panico e il killer che scalpitava furente contro le sue tempie. Invece, Björn lo avrebbe seguito senza dire niente, constatando che, almeno per il momento, Saul aveva detto la verità.

Quando Aris tornò a casa, verso il tardo pomeriggio, vide Sven seduto malamente sul divano. Lo osservò, comprendendo che non era stato colto da pigrizia improvvisa, ma che Sven era dolorante o accusava qualche problema. Allungò una mano verso di lui e Sven si scostò, quasi fosse un gesto incondizionato. Aris ne rimase colpito, non capendo, ma preferì non infastidirlo ulteriormente

«Ti serve qualcosa?» Gli domandò Aris.

«Sì, un caffè.» Sven parlò a malapena, sembrava davvero molto sofferente.

«Come minimo sarà il decimo che ti prendi...» Sentenziò Airs. «Ma per questa volta vado a preparartelo, hai tutta l'aria di averne bisogno.» Aris era davvero preoccupato, mentre preparava la macchinetta del caffè, con la coda dell'occhio controllava Sven.

Sven aveva cercato di assumere una posizione più composta e più consona in modo tale da evitare altre domande, ma sapeva che Aris non avrebbe ceduto tanto facilmente, non avrebbe lasciato correre.

«Si può sapere che è successo?» Gli domandò porgendogli la tazzina con il caffè.

«Niente di che.»

«Non dire niente di che!» gli intimò. «Non riesci a stare seduto, non riesci a tenere gli occhi aperti e hai perfino un graffio sul viso, Sven!»

«Sei sicuro di essere etero? Sembri quasi una checca isterica, se continuerai ad agitarti così comincerò a credere di avere davanti mia madre.» commentò, serrando subito dopo la mascella a causa delle fitte che gli attraversavano il corpo.

«Possibile che devi sempre fare il buffone?»

«Vuol dire che sto bene no?» gli domandò di rimando.

«Dimmi, hai preso qualcosa?» Aris era davvero preoccupato, immaginava che Sven avesse ceduto a qualche droga più sintetica e pericolosa del solito.

«No, non oggi. Ho solo avuto un paio di clienti e poi ho visto mio fratello.»

«Dimmi che cosa ti ha fatto tuo fratello!»

«Maledizione, Aris! Cosa sei un segugio?»

«Stai ammettendo la sua colpa?»

«Abbiamo solo litigato e io l'ho lasciato sfogare. Non mi sembrava il caso di infierire sulla sua persona difendendomi.»

«E quindi hai lasciato che lui lo facesse a te?»

«Ottimo intuito ancora una volta.»

«Fino a che punto ti spingerai con l'auto distruzione e il masochismo?»

«Oh, andiamo, non psicanalizzarmi, mi manca solo una crisi in questo momento...»

«Allora rispondimi, per favore. Sono in ansia per te.»

«No, non può farlo così né a me, né a nessun altro. So che hai ragione, ma mi annullo completamente in sua presenza non ci posso fare niente. Ho lasciato che si approfittasse di me. Ho lasciato che alzasse le mani e che proseguisse come meglio credeva... poi me ne sono andato e adesso sto bevendo il caffè.»

«Lo dici come se ci fossi abituato...» Aris era inorridito, non voleva pensare a quello che aveva appena detto, voleva credere che fosse stato lui stesso ad andare troppo oltre con la fantasia.

«E credi che non lo sia? Salazar si è approfittato di me da quando avevo cinque anni, ha fatto lo stesso con Saul. Ha proseguito Saul, poi. Hanno proseguito al manicomio e adesso i clienti. Quindi come vedi non è che è cambiato poi molto.»

«Va bene, va bene. Basta. Non posso sentire altro davvero.» Aris si sentì quasi morire, tutte quelle informazioni quasi non gli spezzarono il cuore.

«Vieni, ti aiuto a stenderti sul letto.» Aris gli circondò la schiena con un braccio e Sven mise il proprio sulle sue spalle. Si sollevò facendosi forza sui piedi come meglio poteva. E Aris lo aiutò a sdraiarsi sul letto lasciandolo riposare.

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