Capitolo XII
Björn aveva condotto con sé Saul fino alla centrale. Saul era nella tana del lupo, come Björn era a un passo dalla persona che stava cercando. Ma quello non era che un gioco di ombre dove tutti si rincorrevano senza mai raggiungersi. Saul, però conosceva bene quali prove avessero sul suo caso e, in un certo senso, era come se camminasse un passo davanti a loro. Era lui a condurre il gioco.
«Lui è lo psichiatra di cui ti parlavo. È anche un esperto forense, quindi ho pensato che potesse tornarci utile.» Disse Björn all'ispettore suo collega.
Saul si avvicinò all'ispettore Busan per tendergli la mano e presentarsi «Saul Dubois»
«Un Dubois... per quanto mi riguarda potrebbe essere lui l'assassino.» La risposta di Busan infastidì Björn dato che era molto coinvolto con Saul, pertanto decise di intervenire «Perché dici questo? Ti sembra carino incolpare una persona che ci darà il suo aiuto?» Gli domandò irritato. Björn ignorava totalmente la storia che c'era dietro la secolare famiglia Dubois.
«Lascialo stare, l'ispettore Busan ha tutte le ragioni di essere sospettoso, anche dell'aria. In fondo è il suo lavoro» rispose Saul velenosamente.
«Come prego?» Domandò l'ispettore Busan. Saul non gli piaceva per niente e lui aveva un certo fiuto per le persone.
«Voglio solo dire che mi sembra inopportuno quanto noioso rivangare storie sulla mia famiglia. Storie vecchie per giunta. Sto solo prestando il mio sapere alla polizia. Non vedo perché essere un Dubois comporti, a voi, dei problemi.»
«Che ci vuol fare, dottore. Sono all'antica. Mi piace ricordare il passato.»
«Un nostalgico.»
«Se volete definirmi così, prego fare pure.»
«Non credete che dovremmo pensare al caso?» Björn si intromise nel discorso, stufo di vedere quei due litigare. Si erano appena conosciuti e già saltavano uno alla gola dell'altro.
«Björn vieni qui un momento.» L'ispettore fece un cenno all'altro poliziotto, voleva parlare con lui in privato. «Ci scusi un momento, dottore...» fece un sorrisetto tirato nella direzione di Saul il quale, nell'attesa, decise di mettersi a fumare.
«Björn dimmi perché tra tanti medici proprio lui!»
«Ma che problemi ci sono se Saul ci aiuta a investigare, se è un Dubois, l'importante è che sia competente no?»
«Saul? Siete a questo grado di conoscenza?»
«Devo dire tutte le volte il suo nome per intero? Non mi sembra questo il punto ora. Mi è capitato di incontrarlo e di averci a che fare. Noi non riusciamo ad arrivare a capo della situazione, nonostante io conosca qualche nozione di psicologia. Mi sembrava che una fonte più autorevole ci avrebbe fatto comodo, o sbaglio?»
«No, non sbagli...» L'ispettore Busan sospirò, abbandonandosi all'idea di avere quell'individuo come parte integrante delle indagini.
«Allora possiamo iniziare a lavorare?» Domandò Saul spegnendo la sigaretta nel primo posacenere che vide.
«Ci segua dottore.»
Saul li seguì nell'altra stanza dove, su una parete adibita ai casi, c'erano le foto, gli indizi e le loro supposizioni riguardanti le vittime e il killer. Era tutto dannatamente disordinato e a causa della sua mania, Saul quasi non sbottò, ma dovette cercare di rimanere calmo e di raccapezzarsi in mezzo a quel disordine.
«Ci credo che non venite a capo di niente se mettete le cose tutte così alla rinfusa.»
«A noi piace il caos, dottore, ci fa concentrare meglio» Rispose Busan irritato.
«Lo capisco, ma voi conoscete già tutto quello che avete davanti agli occhi, io no. Quindi cercherò di barcamenarmi tra queste scartoffie.» Rispose Saul passandosi una mano sulla fronte.
Saul si stanziò davanti a quella parete guardando le foto e tutto il resto. Proprio non si ricordava di aver fatto quelle cose, sebbene la sua dissociazione si premurasse di scrivere tutto in quel maledetto diario.
«Dunque vedo che una domanda giusta c'è. Perché cuce soltanto ad alcune vittime gli occhi? Potrebbe essere una sorta di punizione voi non credete?»
«Pensavamo che il lasciarli morire di fame fosse già per una punizione» rispose ingenuamente Björn. All'ispettore Busan sembrava che il suo amico si fosse rincitrullito, del tutto asservito da Saul.
«Potrebbe prevedere una sequenza di punizioni. Sostanzialmente non sappiamo se gli cuce prima gli occhi e poi non li sfama, oppure il contrario. Quindi potrebbe seguire una sorta di sua logica scaletta non credete?»
«Io credo che solo una mente malata o chi le studia è in grado di pensare a questo.» Busan intervenne brusco come al suo solito.
«Infatti voi fate l'ispettore e io lo psichiatra.»
«L'unica cosa della quale possiamo esserne quasi certi è che il killer è relativamente giovane, perché compie molti spostamenti. Non sappiamo dove opera, ma vediamo che le vittime vengono ritrovate altrove e spostare un corpo privo di vita è faticoso.»
«Ne ha mai trasportato uno?» Gli domandò Busan a bruciapelo.
Saul dal canto suo alzò un sopracciglio perplesso. «Ho studiato medicina, ispettore. Credo di poter sapere quanto è faticoso trasportare un cadavere. Poi dovrebbe saperlo anche lei no?» Gli domandò di rimando, ma non volle insistere, sarebbe stato troppo crudele nei confronti delle vittime che aveva di fronte, sulla parete.
«Sappiamo, quindi, che al massimo ha quart'anni...» Saul venne interrotto.
«Come lei dottore.»
Saul si portò una mano alla testa per massaggiarsi le tempie, le voci non gli davano pace, proprio non sopportavano quell'ispettore. Come lui del resto.
«Dicevo... il killer ha al massimo quant'anni, non si sa se ha subito traumi da uomini o donne, probabilmente da entrambi. Non mostra empatia, ha uno scopo, segue uno schema. Avremmo di certo bisogno di altri indizi come un'impronta di una scarpa per esempio. Per capire meglio su come muoverci. Sapete almeno se è mancino o dettagli del genere?»
«Sembrerebbe che usi la mano destra» rispose Björn.
«Spero che nel frattempo non compia altre oscenità di questo genere, ma abbiamo bisogno di altri indizi per capire cosa lo affligge e perché si muove in questo stato. Dato che segue un modus operandi, ma ne varia sempre la forma.» Saul concluse il discorso.
L'ispettore Busan doveva ammettere che Saul sapeva il fatto suo, era riuscito a capire tutte quelle cose in pochi minuti. Loro ci avevano messo mesi. Del resto, però, Saul ne aveva anche i mezzi per farlo.
«Mando la scientifica a fare altri sopraluoghi, magari saremo più fortunati questa volta. Anche se sono scettico a riguardo, ma abbiamo bisogno di altre prove. Come ha detto lei, dottore.» Disse Busan a Saul il quale annuì e di rimando Björn.
Aris entrò in casa e venne investito subito da rumori molesti e da lui poco desiderati.
«Ci risiamo... siamo alle solite.» Disse tra sé e sé sospirando e gettando la borsa vicino al divano. Era palesemente irritato.
Qualche minuto dopo vide Sven uscire dalla sua camera, aveva la camicia aperta, ma almeno si era premurato di indossarla, così si disse Aris.
«Aris, sei già tornato?» Domandò stupito di vederlo così presto a casa.
«Sì, sono già tornato, ti dispiace?»
«No, affatto. Ero con la cliente, so che ti da fastidio così speravo rincasassi al solito orario.»
«Lo sai che mi da fastidio e allora perché le porti qui?» Disse alzandosi per fronteggiarlo.
«Che fai il santarellino adesso? Tu non porterai le clienti a casa, ma di ragazze ne ho viste passare.» Sentenziò Sven portando la sigaretta alle labbra.
«Cosa c'entra? Anche tu porti gente. Queste ti pagano invece, io non mi faccio pagare.»
«Quindi mi stai dicendo che io sono una puttana a pagamento e tu una gratuita? Allora chi è il fesso tra i due?»
La reazione di Aris sconvolse Sven, non se l'aspettava minimamente. Aris gli aveva tirato uno schiaffo in pieno volto. Uno schiaffo davvero forte, tanto da fargli girare il volto e cadere la sigaretta dalle labbra. Sven ne rimase tremendamente ferito ─ quei gesti lo umiliavano nel profondo ─ anche se Aris lo aveva fatto perché lui stesso si era offeso. Rimase un po' in silenzio, il tempo giusto per riprendersi e stamparsi di nuovo addosso l'atteggiamento di sempre. Così lo guardò di nuovo in viso, mentre tirava fuori dalla tasca dei pantaloni i soldi che quella donna gli aveva dato.
«Non sono potuto andare a casa dalla cliente, perché c'era suo marito. Potevo portarla solo qui. Tra l'altro prima mi ha chiamato di nuovo Ludmilla, ma le ho detto che non potevo andare da lei. Questi soldi poi li devo portare a Flavien che gli servono per gli studi.» Sven fece spallucce.
Aris in quel momento si sentì in colpa, così abbassò lo sguardo, poi decise di parlare: «ma non è tuo fratello che dovrebbe pagare gli studi di Flavien?»
«Sì, Aris ma è una storia lunga. A me pagano per passare qualche bel momento, a me piace, mi rilasso e mi sfogo soprattutto. Quindi, se posso aiutare mio nipote in qualche modo lo faccio volentieri, visto che anche lui sta prendendo la stessa strada.»
«Sven, io...» avrebbe voluto chiedergli scusa. Era stato offeso, sì, ma aveva reagito nell'impulso sapendo bene che reazioni avrebbero comportato quello schiaffo nell'animo di Sven.
«Lo so, Aris. Non c'è problema. È tutto a posto.» Disse. Niente era a posto, dentro si sentiva morire, ferito e umiliato nel profondo. Quello schiaffo, inoltre era come se lo avesse riportato alla realtà e di come lui, lentamente, si stesse auto distruggendo.
«Puoi dire alla signora di uscire quando si è rivestita? Io devo uscire, devo vedere mio fratello.
«Va bene...» disse soltanto. Avrebbe voluto vomitare parole su di lui, su Sven, su come tutto quello fosse sbagliato. Ma gli morirono tutte in gola. E sapeva che Sven avrebbe rimuginato sull'accaduto.
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