Capitolo VIII


Aris aveva appena messo piede in casa. Quando aprì la porta la scena che si trovò davanti era davvero bizzarra.

«Che cosa stai facendo?» Domandò a Sven. Questi era seduto sul divano con le gambe incrociate: aveva tutta l'aria di essere una posizione meditativa e, inoltre, la musica che c'era come sottofondo non faceva che confermare la sua tesi.

«Sto pregando, per favore...» rispose sarcastico, facendo un gesto con la mano per invitare il suo amico a tacere.

Aris alzò un sopracciglio perplesso, sapendo che Sven non pregava nessun Dio.«E chi di grazia?» rispose curioso.

«Me stesso.» Sentenziò ironico Sven.

«Sven, finiscila.» sospirò seccato, capendo perfettamente che lo stava prendendo in giro.

«Guarda che ci vuole impegno...» sussurrò Sven, sollevando appena una palpebra per guardare l'espressione dell'amico.

«Basta...» disse ancora una volta seccato, massaggiandosi con la mano la tempia sinistra.

«Dico davvero, ci vuole molto impegno» Asserì Sven. Aris decise, quindi, di assecondarlo sapendo che non avrebbe smesso finché non avesse fatto il suo gioco.

«A far cosa? Sentiamo.» Si mise braccia conserte, pronto ad ascoltare la risposta che Sven gli avrebbe dato, sicuro che sarebbe stato qualcosa di estremamente assurdo.

«Sto pregando me stesso, affinché io possa continuare a essere così magnifico» disse. Ridacchiò appena, sentendo Aris sbuffare. Fece per allontanarsi, quando una nuova affermazione di Sven, richiamò la sua attenzione.

«Più tardi viene mio fratello. Per cena.»

«Quale migliore occasione, allora, per uscire e comprare qualcosa da bere... e poi non tornare più!» Asserì convinto Aris.

«Non credo proprio» rispose Sven lapidario. «Mi servi qui, davvero.» Quasi sembrava pregarlo.

Aris alzò gli occhi al cielo in segno di protesta, ma poi guardò in faccia Sven e gli parve davvero bisognoso della sua presenza.

«Va bene, ma...»

«Ma?»

«Sono preoccupato per te. Non so a che gioco tu stia giocando, ma è chiaro che tu stia coprendo tuo fratello da qualcosa.» Commentò Aris.

«Stai cercando di dirmi che non è una brava persona?» Domandò Sven di rimando, prendendo, inconsciamente, sempre le difese di suo fratello.

«Non ti sto dicendo questo. So solo dicendo che sono preoccupato. Avanti Sven, io non capirò nulla della vostra religione, ma non devo essere un illuminato per capire che la sua aurea è più nera dell'inferno. Quando entra qui, invade la casa. Opprime tutto quanto.» L'espressione divertita che Aris aveva assunto face ridere Sven. Aveva virato il discorso in modo tale che Sven si rilassasse.

«Potrei insegnarti qualcosa, se senti il peso delle auree...»

«Sven, piantala. Te l'ho già detto! Non ci vuole una scienza per percepire il pericolo vicino a lui, che ne so... chiamalo sesto senso!»

«Sei una donna?»

«Perché?»

«Parli di sesto senso...»

«Mi dai suo nervi, veramente!» Sbottò Aris irritato.

«Allora rimarrai questa sera?» Domandò ancora una volta Sven.

«Sì.»

Saul trascinava la sua preda per i capelli e questi non faceva che dimenarsi, nonostante il dolore al cuoio capelluto le procurava un dolore lancinante. Se le avessero chiesto dove si trovasse, non avrebbe potuto dare una risposta. Saul l'aveva bendata, incapace di guardarla negli occhi. Inoltre, l'aveva portata in quelle sotto specie di segrete unite da cunicoli profondi e sotterranei. «Lasciami andare!» Gridò lei, non rassegnatasi alla morte certa alla quale sarebbe andata in contro. Saul sapeva che non le avrebbe dovuto rispondere, ma in quel momento, era stato più forte di lui: doveva dargli una risposta. «E perché dovrei?»

«Perché è crudele.»

«Ma io sono crudele.»

A quelle parole, l'angoscia e la paura la sopraffecero e questi iniziò a piangere, inumidendo il tessuto che le avvolgeva gli occhi.

«Non ti ho fatto niente...» sbiascicò tra le lacrime.

«Eccome se hai fatto qualcosa. Sei feccia, sporchi questa terra, devi morire.» Asserì lui. Il suo tono era freddo e scostante, sembrava davvero che non fosse in grado di provare nulla e questo non fece altro che far rabbrividire la prigioniera.

«Come puoi dire questo? Neanche mi conosci» rispose lei, frignando.

«La vuoi smettere di piangere? Non solo mi irrita, ma non si capisce niente quando parli. Quindi, per favore, calmati, e prova a parlare come un essere umano, se asserisci di non essere feccia.» Giudicò.

La ragazza tremava e i singhiozzi del pianto non avevano fatto altro che indebolirla. Invece di provare rabbia, si era fatta cogliere dalla paura che la stava sottomettendo. Tirò un bel respiro, si morse appena il labbro inferiore per cercare di darsi un contegno e riprovò a riformulare quanto aveva detto: «Come puoi darmi della feccia se non mi conosci?»

Saul sbuffò stanco e irritato. Avrebbe potuto risponderle che l'aveva seguita per giorni, che aveva intuito quanto la sua vita fosse solo una facciata, quanto lei fosse umana e quindi sbagliata. Ma non lo fece, non era così stupido da smascherare il suo stesso modus operandi, si era spinto troppo in là parlando. Così tacque e le lasciò credere di averla presa in giro.

Quello che ne seguì fu agghiacciante per lei, perché Saul gli tolse la benda, in modo tale che potesse vedere tutte le torture atroci che le stava per infliggere. Non si sarebbe limitato a torture fisiche, ma anzi: l'avrebbe lasciata lì, quasi a morire di fame e di sete, fino a impazzire. Come fecero con lui in manicomio sin da piccolo.

«Merda!» Esclamò Saul in mezzo alla strada. Ancora una volta si era ritrovato verso la via di casa, ma senza ricordare cosa stesse facendo prima. Si controllò, non era sporco di sangue e sembrava in ordine. Sospirò rasserenato.

«Björn...» sussurrò. Si era ricordato che doveva andarlo a prendere per portarlo a casa di Sven, come gli aveva detto. Prima di tutto, però, decise di andare a casa, di cambiarsi in ogni caso, perché la prudenza non era mai troppa.

Arrivato a casa, notò che i suoi due figli erano fuori dalla porta, parlavano. Gli sembravano particolarmente agitati, ma non volle fermarsi per chiedere cosa fosse successo, o meglio: non avrebbe potuto. Così guardò appena Flavien e questi voltò lo sguardo, terrorizzato, altrove. Saul si maledì interiormente ed entrò in casa.

«Vuoi dirmi cosa diavolo è successo?» Domandò Lucifero a Flavien prendendolo per un braccio.

«Non è successo niente! Lo sai che sono costretto a ballare intorno a un palo per svariate ore, mi sono solo stancato» rispose, librandosi dalla presa di suo fratello.

«Se balli per parecchio tempo hai la faccia stanca e sembri spossato. Tu sei rientrato che zoppicavi, vuoi forse, davvero, farmi credere che non sia successo nulla?» Lo scrutava preoccupato, ma Flavien non lo avrebbe voluto guardare in faccia, altrimenti sarebbe stato costretto a dirgli la verità.

«No, non è successo niente. Succede sempre la solita cosa al locale. Lo sai che c'è gente che non si ferma nel guardarmi ballare, che vuole anche altro.» Cercò di tenersi sul vago.

«Non devi farlo, la devi smettere, lo capisci?» Gli chiese, quasi supplichevole, Lucifero, preoccupato per suo fratello.

«Se sono costretto a ballare in uno squallido night o a prostituirmi caro il mio fratello, è solo ed esclusivamente colpa tua!» Sbottò. Flavien aveva covato un risentimento verso Lucifero senza neanche accorgersene, ma dopo quanto era successo e quanto era costretto a vivere, non riuscì a fare altrimenti.

«E perché sarebbe colpa mia?» Gli domandò Lucifero indignato.

«Perché a te, nostro padre ha provveduto a tutto. Io mi devo pagare gli studi, nonostante sia stato picchiato, ignorato da nostra madre, violentato da quella massa di pazzoidi e consacrato in una maniera atroce.»

«Lo so! Non mi devi dire tutto questo, lo so!» Gridò Lucifero per fermarlo, sentire quell'elenco ogni volta gli straziava il cuore. Avrebbe voluto far qualcosa, ogni volta. Avrebbe voluto poter fermare il tempo, tornare indietro, controllare suo padre, ma lui ne era troppo soggiogato e non fece niente. Almeno aveva imparato ad amare suo fratello, al contrario di Flavien.

«So che è sbagliato, ma non so fare nient'altro. È questo che mi ha insegnato nostro padre, ed è questo che farò fin quando non sarò stramaledettamente laureato.»

«Ti prego...» sussurrò Lucifero, arrestandosi appena vide Saul uscire nuovamente di casa.

«Dove stai andando?» Domandò Lucifero a questi.


«Da tuo zio.» Rispose atono Saul.

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