Capitolo IX


«Buona sera, bel poliziotto!» Asserì Sven una volta aperta la porta. «Fratello...» proseguì poi con un sorriso sornione.

Li fece entrare, accomodare. Saul vide la tavola apparecchiata; Sven aveva preparato un tavolino basso, con sedute a terra su cuscini, in perfetto stile mediorientale. Saul rimase colpito, ma forse, conoscendo il fratello, sapeva già cosa stava architettando. Si avvicinò a Sven, lo guardò, questi sorrise.

«Posso fare qualcosa per te?» Domandò sarcastico, curioso di tanto interesse.

«Hai le pupille dilatate, Sven.» Rispose preoccupato.

«Oh, ma non mi sono drogato.» Disse con un sorriso ambiguo dipinto sul viso. Saul comprese e abbassò lo sguardo.

«Sei osceno.» Commentò lapidario, intuendo che tale eccitazione non era dovuta dalle droghe, ma probabilmente dal contesto.

«Lo so.» rispose prontamente. «Però non credo che tu possa giudicare cosa sia osceno e cosa no.» Saul lo guardò, gli occhi divennero quasi due fessure nere. Era irritato.

«Come mai ci hai invitato a cena?» Domandò Björn curioso.

«Si mette male...» sussurrò Aris in preda al panico. Odiava quella sensazione, si sentiva messo sempre al centro di una stanza dove all'interno impazzava la tempesta.

Sven poggiò una mano sul ginocchio dell'amico per tranquillizzarlo, poi guardò Björn e disse. «C'è un motivo per il quale io debba invitare a casa mio fratello e il suo compagno?» Gli domandò.

«Non mi sembri il tipo da rimpatriata famigliare, ecco tutto.» Björn fece spallucce.

«No, è vero. Però ero curioso di rivedere te e Saul. Sai la tua vicinanza mi ha fatto riavvicinare con mio fratello, prima lo vedevo molto di rado. Dovrei ringraziarti probabilmente.»

«Come minimo c'è la Cantarella nel cibo.» sputò Saul ironico.

«Non ho cucinato io. Ho ordinato tutto al ristorante, quindi nessuno potrà avvelenarvi.»

«Avresti potuto mettere qualcosa con una siringa!» Esclamò Saul.

«Ragazzi devo preoccuparmi?» Domandò di rimando Björn non abituato ad ascoltare quel tipo di discorsi così apertamente.

«No, affatto» rispose Saul.

«Stiamo giocando» ammise Sven.

«Pensa che bei giochi facevate da bambini...» ironizzò Aris troppo in fretta, conoscendo il passato di Sven che, infatti, lo guardò male.

«Scusate!» disse subito.

«Tranquillo, in fondo era pur sempre un parco giochi» disse Sven, facendo rifermento al manicomio. Cercò di tranquillizzare Aris, visto che si era reso conto di aver reagito troppo frettolosamente.

Aris avrebbe tanto voluto asserire con un: se lo dici tu. Ma tacque senza aggiungere altro.

«Non importunarlo oltre, suvvia.» ammise Saul, avendo un cambio repentino di tono che stranì anche Björn. Non lo aveva mai sentito così.

«Importunarlo? No affatto, non lo sto facendo.»

«Potresti farlo, però.»

«Che cosa sei un veggente?» Domandò retorico Sven irritato.

«Sai, vorrei evitare che dai suoi occhi cominciassero a scendere lacrime. Dai suoi occhi azzurri!»

Aris ebbe un brivido, guardò Sven. Sven comprese il cambio repentino di Saul e si preoccupò dell'espressione crucciata e nervosa di Björn. Ormai, aveva inquadrato Saul e sapeva come farlo tornare in carreggiata.

«Saul non credi che manchi qualcosa a questa bella cena? Potremmo invitare qualcuno non credi? Magari una bella ragazza bionda.»

Saul arricciò il naso prepotentemente, quasi disgustato.

«Ma a te non piacciono le bionde.» Gli disse.

«Ma a te, sì invece» rispose con un sorriso beffardo sul volto, facendo un occhiolino a Björn di rimando, il quale, seppur dubbioso, si disse che, probabilmente, stavano giocando di nuovo.

«A me piacciono le rosse!» Esclamò di nuovo Sven, guardando di sguincio Aris.

«No!» Esclamò Aris.

«Vedi te l'avevo detto: tutto passa sotto le mani di Sven.» Esclamò Saul massaggiandosi la tempia sinistra, probabilmente era tornato in sé.

«Non me!» Esclamò Aris serio e nervoso.

«Facciamo un gioco!» Esclamò Sven alla fine della cena. Voleva stemperare un po' la tensione e, inoltre, condurre l'attenzione di Björn su di lui. Meno sospettava di Saul e meglio era.

«Che tipo di gioco?» Domandò Aris guardando Sven. Conoscendolo non sapeva mai cosa gli passasse per la testa, si aspettava di tutto.

«Ci mettiamo seduti in cerchio, ognuno di noi fa una domanda all'altro e questo deve rispondere. Ovviamente non sapremo mai se starà mentendo oppure no, ma ci dobbiamo appellare alla buona fede. Che ne dite?» Domandò entusiasta.

Saul, ormai incapace di sorprendersi delle iniziative strampalate di suo fratello. Sapeva, però che stava cercando di aiutarlo per cui anche lui tacque.

«Mi piace! Bella idea.» Esclamò Björn.

«Sei serio?» Gli domandò Saul guardandolo perplesso.

«Sì, perché no? Non vorrai passare tutta la sera a battibeccare con tuo fratello. Giocare sarà un bel modo per passare il tempo.» Björn era convinto di quello che stava dicendo, anche perché cominciava a percepire qualcosa di strano. Non sapeva che cosa fosse, ma in un certo senso fiutava del pericolo.

«Bene! Visto che anche "signor bel poliziotto" ha accettato di giocare al mio gioco, possiamo sederci e iniziare!» Sven indicò le sedute che aveva disposto a cerchio, tutti si misero a gambe incrociate: Saul aveva di fronte Aris e Björn, Sven.

«Puoi iniziare tu.» Disse Sven a Björn.

Björn ci pensò su un momento, cercando nella sua mente cosa potesse domandare che, effettivamente, gli interessasse. Poi guardò Sven dritto negli occhi e parlò: «Fai uso di droghe?»

«Giochi pesante eh?» Domandò Sven facendogli un sorriso. Si alzò in piedi, mandando in completa agitazione Aris, e si diresse verso una stanza. Aris dovette trattenersi e celare il più possibile la sua preoccupazione, pensava davvero che Sven fosse impazzito. Come poteva mostrare della droga a un poliziotto?

Quando Sven tornò, lanciò in terra scatole su scatole di farmaci.

«antipsicotici, antidepressivi, ansiolitici, sonniferi, antiepilettici...» Björn sussurrò quelle parole, cominciando a sentirsi in colpa per la domanda che gli aveva posto.

«Sei impazzito?» Gli domandò Aris, preoccupato. Si era praticamente messo alla mercé del poliziotto. Sven fece un gesto con la mano intimandogli il silenzio. Sapeva bene ciò che stava facendo.

«Dunque, signor poliziotto. Queste sono a tutti gli effetti droghe legali. Sintetiche per di più! Vanno bene lo stesso per rispondere alla domanda?» Rispose sarcastico, anche se quelle affermazioni gli costarono davvero care. Inoltre, come se non bastasse, lo sguardo impietosito di Björn lo stava davvero nauseando.

«Non glielo hai detto vero?» Dmandò Sven a Saul cogliendolo si sorpresa.

«Che cosa?» Domandò di rimando. Era chiaro che Sven si stesse riferendo a Saul riguardo la sua patologia psichiatrica, come era ovvio che non avesse detto nulla a Björn.

«Che hai un fratello malato di mente.» Sorrise. Ma agli occhi di Aris quello sembrava davvero un sorriso triste.

«Basta, smettila adesso, siediti!» Quasi perentorio, Aris lo prese per la mano e lo tirò giù per farlo sedere.

Björn non si aspettava quella rivelazione, aveva fatto la domanda sicuro del fatto che, Sven gli avrebbe detto che, di tanto in tanto, si fumava qualche spinello ─ sul quale avrebbe potuto chiudere un occhio del resto ─ ma davvero non avrebbe dovuto ferirlo a quel modo.

«Dimmi perché hai dovuto fare così!» Arrabbiato, preoccupato, Aris si rivolse a Sven una volta soli.

«Perché deve pensare che tra me e mio fratello quello malato sono io. Saul non gli deve minimamente passare per la testa.» Asserì convinto.

Il respiro di Sven si faceva sempre più corto, ormai si era sbottonato metà della camicia, eppure si sentiva soffocare. Aveva le mani poggiate contro il muro, il capo chino. Davanti a lui solo lo specchio del bagno.

«Di che cosa stai parlando?» Aris non lo seguiva più, quello di Sven gli sembrava un delirio in piena regola ed era pronto ad aiutarlo, se solo questi glielo avesse permesso.

«Di niente, non sto parlando di niente. Mio fratello ha fatto una cosa e non voglio che finisca in prigione.»

«Non ha fatto niente, un cazzo! Tuo fratello mi sembra abbastanza adulto da assumersi le sue responsabilità!»

Sven batté un pugno contro le mattonelle, piccole e strette, della parete. Cominciava a diventare aggressivo.

«Tu non capisci! Lui non può. Io sì. Io lo sopporto un carcere, lui si suiciderebbe un secondo dopo.»

«Perché dici questo? Non ti è bastato il manicomio?» Domandò Aris. Non aveva paura di Sven, anche se era imprevedibile in quei momenti. Nel frattempo, lui frugava nel mobiletto del bagno, alla ricerca di qualcosa.

«Santo cielo che stai cercando?» Domandò irritato Aris a causa di tutto quel trambusto.

«Le pillole, le pillole!»

«Gliele hai fatte vedere tutte, Sven.»

«No, cazzo! Sento le voci e se continua così mi esplode il cervello e non voglio dissociarmi come succede a mio fratello.» Nell'agitazione gli era sfuggito qualcosa. In quel momento Aris cominciava a capire i farneticamenti di Sven, così lo lasciò fare.

«Ma dove le ho messe, maledizione!» Non ce la faceva più, i suoni che aveva nella testa erano così forti e confusi da farlo impazzire del tutto. Riusciva a percepire perfino un bambino che piaceva e il medico che lo aveva incolpato per la morte di Misha.

«Non è che forse gli hai cambiato posto? Magari mentre...»

«mi ero dissociato? È possibile, ma ne ho sparse varie per la casa in modo tale da trovarne sempre una scatola. Ma non riesco a muovermi... sono totalmente paralizzato dalla fottuta paura, cazzo! » Si portò le mani al volto, quasi sull'orlo di una crisi di nervi, quasi sull'orlo di sbottare a piangere.

Aris di conseguenza si mosse, iniziò a setacciare tutta la casa, fin quando non trovò una scatola che non era presente tra quelle mostrare a Björn.

«Sono queste?» Domandò Aris mostrandogliele una volta tornato al bagno.

Sven annuì frettolosamente, quasi gliele strappò di mano. Ne ingurgitò una, senza neanche bere.

«Devi solo aspettare, però avanti, ti accompagno al divano.» Si propose Aris.

Sven scosse la testa, intimorito. Sopraffatto dalla manie di persecuzione. Chissà chi gli avrebbe voluto fare del male in quel momento.

«Sven, parlami, che succede?»

«La mia stanza, la stessa di mio fratello. Ha scritto tutte le pareti, leggo i suoi disagi, sta tanto male, sta tanto male e io non posso aiutarlo.» Sven sembrava essersi catapultato da tutta altra parte.

«Sven!» Lo chiamò. La voce di Aris sembrò riportarlo alla realtà.

«Non posso mandarlo in carcere capisci? Io lo posso sopportare, il carcere è una passeggiata in confronto al manicomio.» Sven era certo di quello che stava affermando, ma era terrorizzato. Sapeva di essere fragile sotto certi aspetti, ma doveva aiutare Saul. Si sentiva tanto piccolo, quanto immortale e questo completo dualismo, alle volte, gli faceva compiere gesti davvero inconsulti.

«Adesso devi cercare di non parlare di tuo fratello, altrimenti la pasticca che hai mandato giù è inutile.»

Aris rimase del tutto di stucco quando vide, Sven tirare su una bustina di cocaina dalla tasca dei pantaloni. Ce l'aveva avuta lì per tutta la cena. Non avrebbe dovuto lasciarglielo fare. Si mosse istintivamente, agì per il suo bene. Gli diede uno schiaffo sulla mano, facendogli cadere la bustina e lo tirò via dal bagno, nonostante Sven reagì bruscamente alla cosa.

«Lo sai che mi puoi anche ammazzare, ma quella roba non te la lascio prendere? Non dopo la pasticca che hai appena preso.» Aris era dispiaciuto e arrabbiato e Sven poteva leggere benissimo la serietà sul suo volto. Quelle parole, infatti, lo annichilirono. Non gli avrebbe mai fatto del male, così senza dire più niente, Sven andò a sedersi sul divano. In silenzio.

«Non so perché tu faccia così, ma mi addolora vederti soffrire. Capisco che vuoi aiutare tuo fratello, ma guarda la tensione come ti fa reagire.» Cercò di parlargli, per non farlo alienare ancora di più, ma Sven non rispose, chissà in quale ricordo infantile si era rintanato.

Aris era poggiato contro la parete, si era portato le mani al volto disperato. Lo distruggeva vederlo così e, tra l'altro, non era in grado di aiutarlo. Guardò l'orologio, pensò a quanto Saul ci avrebbe messo per rientrare a casa, per tornare indietro. Così provò a fare il numero di telefono, come fece l'altra volta.

«Che succede?» Domandò Saul ripresentatosi. Il telefono aveva squillato appena aveva messo piede in casa.

«Non lo so. Credo che abbia avuto una crisi. A un certo punto ha cominciato a delirare e poi si è completamente alienato.»

Saul si avvicinò a lui, si sedette. Lo guardò e poi rivolse lo sguardo ad Aris.

«Ha preso qualcosa?»

«Diceva di sentire le voci. Ha preso quella medicina, voleva drogarsi anche, ma gliel'ho impedito.»

«Lui odia prendere quella medicina, odia stare così.»

Effettivamente, Sven si era alienato, ma Saul era consapevole della sofferenza interiore che Sven stava provano in quel momento. Lo abbracciò, forte.

«Grazie. Non devi fare tutto questo per me. Non voglio che stai male, non voglio che ti distruggi così. So quanto odi prendere quella medicina, so quanto odi vegetare in questo stato. Mi dispiace, davvero. Ti ho incastrato in questa situazione senza avvisarti, prendendoti alla sprovvista. Io cercavo qualcuno che poteva proteggermi, ma tu stai calamitando tutta la colpa verso di te. Non devi farlo davvero.»

Sven sembrava aver reagito a quelle parole, una lacrima scese dai suoi occhi e abbracciò Saul.

«Non ti farò finire lì dentro.» Sussurrò Sven con la fronte poggiata contro la spalla di Saul. Aris spalancò gli occhi stupito, Saul sembrava davvero averlo riportato da chissà dove.

«Non ci andrò, sta tranquillo.»

«Non voglio...»

«Non ci finirò.»

«Ne sono certo.»


Saul non seppe cosa pensare con l'ultima affermazione di Sven, ma il suo stato confusionale fu tale da convincerlo a rimanere lì quella notte. A vegliarlo.

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