Capitolo I
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La Misoginia è la condanna a morte per un uomo che vive con una donna: sua moglie. Saul aveva una sposa, che tra l'altro, rientrava negli unici, suoi, prototipi femminili, c'era solo un problema: Lei era detestabile, faceva di tutto per assillarlo, per farlo sprofondare sempre di più e lo faceva, in modo a volte inconsapevole e consapevole altre. Spesso, Ludmilla, si divertita a farlo capitolare, quando lo vedeva, lì, lì, verso la crisi, verso lo scambio.
Era sua la colpa, tutta la colpa era di quella donna, che spesso e volentieri, lo torturava, anche solo con il suono ripetuto della sua voce. Fu a causa sua, che, Saul divenne misogino, anche perché per lui, non c'erano altre vie. Era semplicemente omosessuale, per questo lei, era l'unico prototipo femminile, che piano, piano era andato a sgretolarsi, visto il suo essere petulante.
Saul considerava le donne, prima di lei ovviamente, intoccabili, perché adorava talmente tanto, la sua defunta madre, da pensare inconcepibile qualsiasi altro rapporto con una donna. Non toccava sua madre, provava il semplice affetto di un figlio – pertanto non aveva sviluppato nessun'attrazione per il genere femminile, ma anzi spostandosi verso quello maschile: forse, verso quello maschile c'èra stato proprio spinto.
Saul era un uomo, ma Saul era anche un assassino, ma poteva essere, anche altre cose, poteva essere ben sedici cose diverse, con caratteristiche diverse, voci diverse, sensazioni diverse, sebbene non fossero altro, che parte di se stesso.
Era talmente assalito dal quel groviglio di voci, da sembrargli scarabocchi, per questo scriveva, scriveva, per questo ogni pagina c'era una calligrafia diversa, con necessità diverse, per questo, quando era stato rinchiuso, da bambino, in manicomio, aveva intriso le pareti d'inchiostro, con tutto ciò che gli passava per la mente, ma loro parlavano così tanto, da non bastargli più, neanche le pareti. Arrivò a chiedere – durante il suo soggiorno infantile al manicomio – persino una scala, perché lui doveva raggiungere anche il soffitto che non poteva rimanere bianco e quei grovigli, dovevano arrampicarsi anche lì, come l'edera, solo che invece di foglie, sarebbero state inchiostro. Ovviamente la cosa gli fu negata, pensavano che si sarebbe potuto impiccare in qualche modo con l'ausilio della scala, pertanto Saul dové escogitare un altro modo per raggiungere la sua meta.
Così, anche adesso, gli era rimasto questo vizio terapeutico di scrivere, compilava diari su diari, che non rileggeva mai, per non rimanerne troppo turbato: né leggeva soltanto uno però, quella della sua più oscura dissociazione, quella più empia, quella che uccideva.
Non faceva altro che dannarsi, così facendo, perché il sapere cosa questa compieva, lo agitava, gli faceva crescere l'ansia a livelli esponenziali, tanto da fargli perdere il controllo più di prima, ma doveva, comunque sapere.
Essere cosciente di essere realmente diverso da colui che uccideva, lo faceva in un certo senso stare bene, perché si, erano le sue mani a sporcarsi di sangue, il suo corpo ad agire, ma era una sua frammentazione – molto potente – a compiere il tutto, per tanto lui era innocente, seppur si disperasse nel sapere come una persona fosse finita per causa sua.
Saul era un mostro innocente, una creatura troppo sensibile e troppo fragile, così partecipe ed estraneo al mondo, da essersi avviluppato in una realtà fittizia nella sua mente, mentre tutto ciò che c'era intorno a lui, andava distrutto.
Quella mattina Saul, almeno al di fuori della sua testa, sentiva il silenzio. Per lui non avere ronzii ulteriori intorno, era come un miracolo che si compiva sotto i suoi occhi.
Fortunatamente quella mattina, non era stato ancora inghiottito dall'altro sé, per tanto si stava godendo la sofferta solitudine, sebbene sentisse la mancanza dei suoi figli, troppo lontani da lui. Il figlio maggiore lo amava, ma Saul, o meglio l'altro faceva di tutto pur di umiliarlo, mentre il secondo, bhè il secondo era il suo preferito, ma questo lo detestava, per ovvi motivi: sembrava quasi un buffo scherzo del destino, tipo una ruota di odio e amore che si rincorreva: formava un cerchio.
Si era seduto sul divano, poggiando la testa sullo schienale del divano, reclinandola leggermente, aveva gli occhi chiusi, come a volersi rilassare ulteriormente.
Saul, Saul, Saul.
Aveva sentito tre voci diverse, una fanciullesca, l'altra più adulta, ma impaurita e infine l'altra, lei, quella oscura. In quel momento però, non aveva paura, perché sapeva che si stava prendendo beffa di lui, poiché non aveva sentito, nessuna forzatura da parte sua, si era accorto, che lo strava semplicemente burlando.
Sbuffò, stanco di tutto quel miasma che c'era nella sua testa, consolandosi subito dopo che ne aveva sentite solo tre invece che tutte quante. A volte si domandava come facesse ad ascoltare tutti i pazienti, mentre sentiva quel baccano, riusciva anche a comprendere e parlare, trovando la giusta soluzione, con chi gli chiedeva aiuto.
«Saul!» Una voce squillante arrivò alle sue orecchie, era lei, la moglie, che lo aveva appena distratto da uno degli unici e rari momenti di apparente pace.
«Che c'è?» Rispose lui seccato, cercando di non badare troppo a lei, sperando che questa scomparisse all'istante, auspicandosi di ritrovare qualche momento di tranquillità.
«Sai, stavo pensando...» Proseguì temeraria con il suo discorso, portandosi anche davanti a lui, per guardarlo meglio e fare in modo che l'ascoltasse.
«Non pensare, non devi pensare, non devi parlare.» Saul era schietto, atono con la sua voce profonda e scura. Teneva ancora gli occhi chiusi, convinto di volerla ignorare ulteriormente.
«Ahimè penso e parlo anche.» Disse lei poggiando le mani sui fianchi, scuotendo appena la chioma bionda nell'indignazione verso suo marito che stava facendo di tutto per indispettirla.
Sta zitta.
Saul voleva che lei stesse zitta, che non parlasse, che lo lasciasse sprofondare sulle nuvole della sua coscienza.
«Visto che pensi e che parli, anche se io non ho di certo l'aria di uno che vuole ascoltarti, dimmi, cosa vuoi?» Alla fine cedette, dandole retta, decisosi ad ascoltare cosa volesse, sperando che non fosse niente di frivolo e sciocco.
«Aspetta.» Disse lei, muovendo passi veloci verso un'altra stanza. Saul in quel momento si disse che doveva godersi quel lieve attimo, contare fino a dieci e trovare una pazienza inaudita, pronto ad ascoltare qualsiasi sciocchezza, questa gli avrebbe palesato.
«Eccomi, allora...» Era tornata, si sentiva che nella sua voce, c'era qualche luce di gioia, di giubilo, era accesa da chissà quale oggetto, visto su quella dannata rivista che aveva in mano.
Saul aprì un occhio, cercando di sbirciare quello che aveva tra le mani della moglie e vide una rivista con un'orecchia fatta sulla pagina a indicare un segno, per non dimenticare qualche prodotto visto.
«Vedi? Voglio questo!» Esclamò lei sedendosi sul divano, troppo vicino per i suoi gusti, visto che era in pace, non voleva sentire il calore di qualcuno, perché avrebbe potuto mandarlo in tilt.
Gli gettò la rivista sulla gambe e Saul, molto seccato, la prese tra le mani. Se c'era qualcosa che odiava di Ludmilla, erano i suoi chiassosi modi di fare, che tra l'altro attuava solo in quei momenti e il fatto che dicesse sempre voglio e mai vorrei.
«Il vestito?» Domandò Saul, perplesso, vedendo un abito viola, dal panneggio morbido e avvolgente, almeno così sembrava, visto come stringeva il corpo della modella: gli sarebbe venuto un conato se solo non avesse ridato la rivista alla moglie.
«Compratelo.» Gli disse poi, perentorio quasi, come se gli avesse dato un ordine, per togliersela di torno definitivamente.
«No, no voglio che lo compri tu.»
Saul alzò un sopracciglio perplesso, non voleva proprio comprare il vestito a quella donna, poteva benissimo uscire e comprarsela da sola, in fondo, non la teneva legata da nessuna parte.
«Sei il solito bastardo sai?» Disse lei alzandosi indignata, ma fortunatamente, lui aveva ancora la lucidità giusta per ignorarla mentre la sentiva andare via.
Finalmente poteva godersi quella pace tanto agognata, fin quando non lo sentì parlare di nuovo: la sua ombra
Perché non la uccidi? Perché non te la togli di mezzo.
«Sei tu l'assassino, non io, io posso ignorarla non ho bisogno di ucciderla.» Saul stava parlando da solo in salotto o almeno così sembrava, ma in realtà stava intrattenendo una conversazione con il suo altro sé all'interno della sua mente
Non essere sciocco, uccidila.
«Vuoi far compiere a me, una cosa che neanche tu hai fatto, se l'avessi voluta uccidere, l'avresti già fatto no? Vuoi solo spingerti a farmi scendere ancora più in basso, a umiliarmi, perché avermi reso un mostro non ti basta.» Parlava ancora, stava rispondendo e quella rabbia che lo alimentava, in quel momento gli stava dando la forza di opporsi.
Lascialo stare, cattivo, lascialo stare, lascia stare Saul.
Una voce più fanciullesca, forse la sua dissociazione infantile, quella più piccola, lo stava difendendo, l'inconscio bambinesco di Saul, aveva trovato uno spiraglio a cui aggrapparsi: la rabbia di Saul lo stava alimentando.
Sta zitto, cretino, sta zitto, moccioso che ne vuoi sapere.
Saul era stufo di dover sentire anche le discussioni tra loro, come se le sue non bastassero, si crucciò molto e scosse la testa sentendoli litigare ancora per un po', fin quando non arrivò la sentenza.
Saul non volete giocare oggi, infami. Verrai scorrere fiumi di sangue Saul.
La crudele, parlava al plurale riferendosi al piccolo e all'esterno Saul, indignandosi furiosa e minacciando vendetta
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