Capitolo 4

«Ebony!», si ritrovò a esalare la giovane, rivolgendosi sorpresa all'animale dagli occhi verdi come due gemme color smeraldo, che parevano fissare l'umana con profonda intensità. La gatta, di cui Anna stessa peccava a volte di dimenticarsi, non era altro che una vagabonda miagolante scovata il precedente inverno sotto un cumulo di neve dietro il retro della casa, e che, dunque, messa in salvo da morte certa si era poi ritenuta libera di zampettare dentro e fuori a suo piacimento tornando a far visita alle sue due amiche salvatrici per, in cambio, una ciotola di latte freddo o tonno in scatola.

L'ultima volta che ne aveva scoperto la presenza lì dentro risaliva a ben più di due settimane prima, sebbene Anna fosse certa che durante quell'arco di assenza la micina non si fosse allontanata più di tanto per timore di non trovare più la solita accoglienza oltre che il gradito pasto messo al riparo fuori dalla veranda. Molto spesso capitava pure che la porta fosse aperta e che Ebony non perdesse occasione di sgusciare dentro casa e di ficcanasare con passo felpato come se ne detenesse pienamente il permesso. Alla signora Adams ciò non dispiaceva, men che meno ad Anna.

Un miao particolarmente sottolineato con tanto di dentoni ben in vista e baffoni ritti e oscillanti fu rivolto alla ragazza, ripetuto con insistenza quasi come a intonare un dialogo con la medesima. Ad accentuare la bizzarra situazione, le zampe ben piantate al pavimento e la testolina leggermente reclinata da una parte impedivano alla giovane di proseguire oltre la soglia.

Miao, miao, miao, eppure Anna non riuscì a comprendere il motivo di tanto fiatare. La gatta stava forse facendo presente una qualche indignazione lamentosa a causa di una disdicevole mancanza perpetrata a suo danno?

«Scommetto che hai fame», indovinò la giovane Adams riscuotendo dalla micia un non so che di consenso. «È da un po' che non ti rifacevi viva, chissà dove sei stata».

Sollevò di peso il corpicino flessibile di Ebony schiodandolo finalmente dal pavimento. Stringendo la bestiola a sé e continuando a parlarle teneramente da sopra le due piccole orecchie appuntite, un rumore proveniente da sopra la sua testa la fece desistere dal scendere le scale. Sollevò d'istinto gli occhi come aspettandosi di vedere l'artefice di quel tonfo sospetto. Ma a parte il biancore un po' ingiallito e una cornice a ghirigori fiorati che contornava interamente tutta la lunghezza del soffitto null'altro di anomalo si presentò alle sue orecchie. D'altronde, com'era prevedibile che fosse, lassù al piano più alto, dove la polverosa e poco utilizzata soffitta dimorava, solo una persona avrebbe potuto produrre fruscii di passi lenti e ravvicinati, così familiarmente riconoscibili per via del fardello dell'età della diretta detentrice.

Sorpresa di sapere sua nonna essersi rintanata lì sopra, intenta in chissà quali mansioni, Anna si inerpicò per la restante rampa di scale assieme al gatto ancora stretto placidamente tra le braccia.

Un continuo rumoreggiare dovuto all'atto di frugare tra le tante cianfrusaglie stipate in quella parte di piano non permisero all'anziana, curva e altamente concentrata nel suo operato, di notare la presenza di Anna Adams, osservatrice silenziosa e nascosta per più di metà dalla porta socchiusa.

Solo un momento prima la dolce Ebony si era crogiolata nelle attenzioni carezzevoli di Anna, ma dovette poi mutare il proprio docile atteggiamento.

La gatta nera soffiò selvaggiamente mostrando i suoi lunghi e affilati canini, con gli occhi grandi e rotondi a guardare dritti davanti a sé. Poi, come a ribellarsi di averne abbastanza, si divincolò violentemente e saltò giù con un balzo atterrando sulle zampe.

Oltre la porta, la voce di Rosie Adams si manifestò: «Sei tu, Anna?».

La nipote rispose introducendosi nella spaziosa soffitta. Notò che gli stivali da giardino di sua nonna erano stati sostituiti da comode e pulite scarpette da camera. «Ho trovato Ebony in casa, avrai lasciato la porta aperta».

«Eppure ricordo di averla chiusa», mugugnò la nonna con espressione pensierosa. La soluzione poteva essere un'altra e non così tanto scontata. Bastava una finestra aperta per lasciare entrare un gatto qualunque. «Gatti! Creature misteriose! Piuttosto, che cosa le è preso da farle rizzare il pelo così all'improvviso?».

La domanda sorprese la ragazza. Non credeva che sua nonna si fosse accorta della sua presenza, men che meno della gatta che era volata giù dalle scale senza neanche creare particolare baccano. La porta era rimasta socchiusa tutto il tempo. «E chi lo sa», disse facendo spallucce, poi si guardò intorno meravigliandosi di ciò che decorava l'ambiente in quello che era uno stile ecclettico e persino più polveroso di quanto ci si potesse aspettare da una soffitta, dai numerosi bauli chiusi o aperti e strabordanti di tessuti e cianfrusaglie a scatoloni accatastati disordinatamente gli uni sugli altri. Tendaggi ingialliti e bucherellati ricoprivano sagome di oggetti grandi o piccoli, alti o bassi, una vecchia libreria con cassettiera sgangherata annessa facevano la loro comparsa ergendosi ai pochi, tra tutto il resto della roba contenuta lì dentro, oggetti possessori di un valore realmente calcolabile. Anna pensò che si sarebbe divertita a mettere il naso lassù in soffitta da bambina, andare in ricerca di gingilli interessanti e fingere di essere una piccola piratessa alla scoperta di tesori inestimabili.

Fece scorrere gli occhi azzurri per tutta la lunghezza sormontata da travi in legno arcuate, sulle sedie rotte, qualche quadro, ragnatele e ragnetti compresi – un'infinità! – finché, in un angolo appartato e illuminato dalla luce filtrante dalla grande finestra centrale, una sagoma scura, con tanto di faccia e un cappello appuntito calcato in testa, attirò tutto quanto il suo interesse.

«Forse è per via di quello», provò a indovinare indicando la spaventosa faccia dello spaventapasseri a tema Halloween, che pure quell'anno avrebbe fatto il suo trionfo di terrore nel giardino delle Adams. Se fosse stata nei panni di un gatto probabilmente anche lei avrebbe scalpitato per scappare via dalla specie di strega che il fantoccio voleva rappresentare.

Rosie Adams intonò di rimando una risata divertita che portò a sorridere la nipote. «La nostra attrazione migliore non ha colpe, tesoro mio! Ebony è pur sempre un gatto di strada, e la vita domestica – per quanto comoda possa sembrarle – deve andarle un po' stretta alle volte. Probabilmente aveva solo bisogno di tornare all'aria aperta».

Probabilmente aveva solo una gran fame, pensò Anna, e in quel momento poteva pure trovarsi in cucina ad aspettare che qualcuno la nutrisse.

«Non ti ho ancora chiesto perché sei qui, nonna, si gela», disse poi Anna tornando a rivolgere lo sguardo attorno a sé. L'ultima volta che ricordava di essere stata là doveva essere accaduto per l'appunto l'anno prima, esattamente nello stesso periodo, considerando il fatto di

«È tempo di addobbare il giardino! Penso sia il giorno perfetto!», strillò la nonna a mo' di una bambina eccitata la mattina di Natale, e Anna non poté che provare una certa tenerezza nel scoprire l'anziana così accesa di vitalità.

«Okay, ma lascia a me le decorazioni più pesanti», disse Anna accorrendo dalla nonna per afferrare appena in tempo una grossa zucca finta ornamentale che l'anziana si ostinava a sollevare dal mucchio di altri decori racchiusi in un vecchio scatolone. Per quanto l'età ne frenava talune attività più semplici come lunghe camminate a causa di un dolore al ginocchio che andava accentuarsi soprattutto nelle fredde stagioni, la forte tempra di cui disponeva fin dalla gioventù le permetteva di annullare gli effetti del tempo sul proprio corpo per poter disporre di forza necessaria a farsi carico di una grande zucca decorativa.

«Porto questa di sotto, allora». Ma prima di voltarsi e raggiungere l'uscita, ancora qualcosa ne frenò l'intenzione. Si avvicinò, infatti, come ne fosse irrimediabilmente attratta, a un piccolo baule di foggia vintage che in bella vista regnava riposto sullo scaffale più alto della vecchia libreria in disuso. Notò un particolare interessante che la fece desistere dal lasciare la soffitta.

«Non... Non dovresti aiutarmi con quella zucca, cara?»

Il richiamo della nonna le sembrò giungere da lontano, tanto il baule adocchiato la invitava ad avanzare verso di esso.

«Questo cos'è, non l'avevo mai visto prima d'ora».

«Anna, tesoro, non senti come si gela, perché non scendiamo di sotto? Non vorrei che ti beccassi un raffreddore», insistette ancora la nonna iniziando a ciabbattare fuori dalla soffitta reggendo tra le mani grinzose un ben più leggero scatolone da cui sporgevano ulteriori decorazioni.

Anna, tuttavia, aveva già afferrato uno sgabello piuttosto scricchiolante sotto il suo peso e allungato le braccia fino alla mensola più alta. Saltò giù stringendo tra le mani il curioso oggetto. Pesava più di quanto si sarebbe immaginata, ma ciò poteva essere dovuto ai materiali in ferro e legno duro utilizzati per la costruzione.

Diversi ghirigori in ottone ormai ingrigito dall'incuria del tempo attraversavano il dorso ricurvo dello scrigno misterioso.

La ragazza ne sfiorò le vintage rifiniture soffiando laddove la polvere lo aveva ricoperto completamente. Lo fissò incantata e per qualche ragione affascinata, e di primo acchito l'idea persuasiva di portare via con sé il cofanetto la sfiorò in maniera estremamente convincente.

L'entusiasmo non poté durare a lungo non appena il rumore di un corpo che cadeva e le urla della relativa vittima risvegliarono di getto la ragazza dai suoi pensieri.

Presa dalla foga abbandonò così lo scrigno sopra il primo scatolone che trovò e corse fuori lasciandosi la piena soffitta alle spalle.

Non si sorprese, quando, passandoci vicino, con la coda dell'occhio notò chiaramente la presenza di un calderone da streghe a grandezza naturale. Non pensò a chiedersi in quale punto esatto del giardino avesse intenzione di metterlo sua nonna tanta fu la fretta per controllare che la dolorante e lamentosa vecchietta non si fosse spezzata un osso nella caduta dalle scale.

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