Capitolo 1

20 anni dopo...

Accidenti a me! Accidenti a me!, continuava a ripetersi Anna Adams mentre tentava di non finire impantanata con tutte le scarpe nella fanghiglia limacciosa che adornava a chiazze più o meno profonde la stretta via di campagna che introduceva alla piccola proprietà di famiglia.

Il Derbyshire assieme a quei suoi immensi sprazzi d'erba così innaturalmente verdi d'estate, sapeva come far riconsiderare il bel concetto di campagna inglese, romantico e pittoresco, con l'arrivo dell'autunno. Quella notte, la pioggia scrosciante, l'umidità e una bella dose di ritardo non aiutavano certamente a farsi piacere la tetra atmosfera buia e silente del paesaggio circostante.

Anna e i suoi nervi a fior di pelle, questi ultimi a causa del ritardo che avrebbe comportato una strigliata da parte di sua nonna paterna, non vollero ammettere apertamente quanto la voglia di lasciare in tutta fretta la casa vicina di Stephen Wood fosse stata meno di zero sin da quando la serata aveva avuto inizio. Stephen era stato categorico: o avrebbero entrambi finito di guardare la loro serie tv del momento o altrimenti avrebbe lui stesso provveduto a farlo da solo per poi rivelare l'episodio finale alla sua fedele amica. Anna a quel punto aveva desistito quel tanto che bastava a terminare come da programma anche l'ultimo episodio, giusto in tempo per trovarsi davanti al porticato della sua casa, infreddolita sotto l'ombrello preso in prestito dall'amico nonché vicino.

Ed eccola dunque lì, che ancora si ritrovava a fare i conti con sua nonna e quei suoi soliti timori collegati a chissà quale orrenda calamità incombente, che perciò avrebbe dovuto convincere la nipote a rientrare entro un'ora considerata persino dall'adolescente meno avvezzo ai rapporti sociali come assai disdicevole. Una vera ingiustizia, insomma, e pensare che Anna sulla soglia degli ormai venticinque anni ancora non riusciva a concepire una valida spiegazione a tale stramba ossessione. Eppure era stata brava. Mai un ritardo, mai l'invito a una festa che l'avesse intrattenuta più del dovuto perché - come le ricordava la nonna solo un momento prima di uscire - la mezzanotte è l'ora delle streghe. La giovane donna aveva così facendo ogni giorno della sua vita assecondato, e con successo, le apprensioni di una nonna che l'aveva cresciuta con amore e dedizione, tutti aspetti propri di quelli di una madre qualsiasi, la stessa figura che tuttavia Anna Adams non aveva mai potuto sperimentare. Fin dal giorno della morte di entrambi i genitori era stato facile per lei scambiare quegli ammoniti infantili di streghe che ritornano ogni notte per qualcosa di tutt'altra natura: preoccupazione. Unica peculiare caratteristica di quella stramba nonnina stava semplicemente nel fatto di pensare alla nipote come la stessa bambina di un tempo, dalla mente più improntata alle suggestioni più puerili, e di cullarsi nella beata convinzione che procedendo verso quella direzione Anna seguisse ancor meglio il consiglio di guardarsi più attentamente dai pericoli della vita.

Pur non avendolo mai detto, la ragazza era grata e intenerita alla stesso tempo dalle premure dell'anziana parente, non restava perciò che ripagarla col suo affetto anche se ciò avrebbe significato stare al gioco delle streghe.

Le undici in punto, lesse con qualche difficoltà sul display mentre si dilettava insieme tra l'ombrello, il cellulare e uno spaventoso scivolone che rischiò di farla cadere.

Sua nonna non sarebbe riuscita comunque a proteggerla da qualsiasi pericolo, pensava Anna accingendosi a varcare la soglia di casa ed evitando il più possibile i consueti cigolii prodotti.

Come spesso accadeva, l'intera dimora dormiva a tale ora. Anna non ne fu sorpresa. Sua nonna, raggiunta l'età di settantatré anni suonati, aveva l'abitudine di coricarsi presto, e ciò poteva definirsi più che un fatto naturale per una vecchietta non più arzilla come una volta, tuttavia la nipote aveva molto spesso pensato che ne facesse quasi una questione di stato, come se temesse anche lei la temutissima incursione notturna delle streghe.

S'introdusse nel salotto attiguo all'entrata principale, come tutto il resto della casa immerso nel buio. La finestra alta e tappezzata da tendine ricamate in pizzo bianco bastava a illuminare, sebbene scarsamente, una porzione della stanza grazie ai due lampioni vicini posti al di fuori del giardino. La giovane alitò sul vetro per poi passarvi l'indice e disegnarci su dei segni astratti, come faceva da bambina, e mentre le gocce ricadevano giù sfigurando la forma circolare della chiazza di umidità creatasi, Anna sbirciò un'ultima volta la casa dalla quale proveniva. Era una fortuna che Stephen abitasse solamente a una manciata di passi, dall'altra parte della stretta via di campagna in una villetta graziosa e di nuova costruzione con un garage annesso in cui adorava rintanarsi nel tempo libero per occuparsi della sua più grande passione: la costruzione di modellini automobilistici. Nonostante insistesse a osservare, nessuno si vide dietro i vetri della finestra al primo piano, dove probabilmente il suo miglior amico era intento in chissà quali diavolerie davanti al pc; i videogiochi a sfondo investigativo costituivano il secondo suo più grande interesse.

Anna sorrise senza chiedersi altro, finché un rumore secco la distrasse facendola voltare di scatto. Roteò le pupille da destra a sinistra scrutando nel buio della stanza riccamente arredata, ma a parte i contorni dei mobili a stagliarsi sulle pareti in penombra non notò nient'altro.

«Nonna, sei tu?», domandò dunque la giovane ricevendo solo un nuovo pesante silenzio. Si diresse a passo di marcia al di fuori del salotto per fermarsi poi nello spazio immediatamente vicino che conduceva alla porta a due battenti della piccola cucina. S'introdusse nell'ambiente e premette l'interruttore. Si guardò intorno partendo dal frigorifero posto nell'angolo immediatamente vicino alla porta e continuando a far scivolare le pupille lungo tutto lo spazio tenuto come sempre ordinato e pulito. Un profumo di spezie aleggiava nell'aria, così come il silenzio che avvolgeva l'intero vano. Tutto era decisamente apposto, poté constatare.

Pensando di averlo solo immaginato, Anna si diresse con più tranquillità lungo la stretta scalinata che conduceva ai piani più alti, appoggiando il palmo sinistro sul corrimano intarsiato secondo uno stile elegantemente vittoriano. Prestò attenzione a non fare rumore, e per quello ringraziò mentalmente la tanto odiata moquette rosso scuro che ne attutiva i passi.

Una volta su, le sue scarpe fradice presero però a onorare il silenzio di versetti inappropriati a causa della gomma che slittava a contatto con il liscio pavimento. Assieme a quelli, nuovi tonfi di altri passi si palesarono nel buio. Stavolta Anna non se lo fece ripetere e raggiunse in tutta fretta il pulsante di accensione elettrico, aggrappandosi a quello come se ne fosse dipesa la sua stessa vita. Perché, in fondo in fondo, come tutti i film horror visti al cinema o in compagnia di Stephen le avevano insegnato, la luce può essere un ottimo antidoto alla paura. Puntualmente però in ognuno di quei film, i protagonisti risiedenti nella casa parevano aver dimenticato di pagare la bolletta, scegliendo di vagare lo stesso nelle tenebre pur sapendo che un pericolo incombente poteva coglierli in un qualsiasi momento.

Le luci accese placarono almeno in parte il timore iniziale della giovane, lo stesso che poi ripiombò di nuovo quando ancora un uguale sentore spiccato di passi strascicati ritornò alle sue orecchie, ma senza darle possibilità di capire da che parte precisamente arrivassero. L'intero pianerottolo pareva rimbombare di passi che andavano e venivano, dapprima dalla porta del bagno, poi da quella di sua nonna e persino alle sue stesse spalle. Ciò le mise addosso uno sconcerto di non poca entità, così da farla avanzare in tutta fretta verso la porta della camera da letto dell'anziana parente. Trovò la soglia socchiusa, e nessun fascio di luce notò sbucare dall'interno. La stanza pareva dormire assieme alla propria padrona.

Non volendo disturbarla, Anna non badò ad aprire più del dovuto, ma quel tanto che bastava a scorgere la presenza certa della nonna rannicchiata sotto le coperte, e subito intuì non ce ne fosse bisogno. Una mano calda e dalla presa non più salda sfiorò la schiena della giovane tutt'a un tratto percorsa da un brivido improvviso e che quasi la obbligò a cacciare un urlo pur se nel profondo sapeva a chi appartenesse quel tocco.

«Nonna! Dio, mi hai spaventata a morte!», esclamò la nipote rinfacciando il grave affronto alla donna alle sue spalle. Quest'ultima rispose con una smorfia dispiaciuta, accentuando ancor di più le linee nette delle rughe sulla fronte e sulle guance, senza parlare di due borse profonde sotto gli occhi annacquati ma ben vispi e che mostravano tanto più spirito rispetto all'apparenza generale della donna mutata nell'aspetto dagli anni che avanzavano.

«Che ci fai ancora in piedi?». La domanda dell'anziana nonna espressa con tono grave e duro turbò in qualche modo la ragazza. Il viso corrucciato, gli occhi sgranati sopra cui due sopracciglia sottili scomparivano tra le pieghe della fronte increspata per un cruccio incomprensibile causarono l'inevitabile riflesso di scompiglio interiore nell'altra coinquilina, che come un sortilegio ne ghiacciò le membra.

Prima che però la giovane potesse avere il tempo di aprir bocca, la signora Rosie Adams mutò espressione. «Oh, mi dispiace di averti spaventata, tesoro, ero in bagno. È questa stupida incontinenza!», si lamentò dunque la nonna battendo esasperata le braccia lungo i fianchi della vestaglia.

A quel punto, Anna sorrise teneramente a quella reazione a tutti gli effetti un po' infantile e si diede della stupida per aver rimproverato quell'anziana alla quale, dopotutto, doveva ogni cosa.

Soffermò, come spesso le accadeva, il suo occhio sopra il dolce volto sfigurato da una sottile cicatrice appena luccicante sotto la luce del grande lampadario a cristalli pendenti. Fin da che ricordasse aveva allenato la mente a immaginare scenari alquanto eroici o violenti di sua nonna sanguinante che correva in ospedale o da qualche sua vicina a medicarsi la ferita sulla guancia sinistra, tuttavia a detta di quella stessa la dinamica con la quale se l'era procurata era stata di gran lunga meno brutale di quanto ci si aspettava: il semplice graffio di un gattone in giardino perpetrato ormai da una ventina di anni prima. Il segno inconfutabile rimaneva però roseo e in vista, nascosto all'occasione da uno strato leggerissimo di fondotinta.

«Non è poi così tardi, nonna! Stephen mi ha intrattenuto più del dovuto... Ma adesso vado a letto». Si fece così credere mortificata Anna scrutando al contempo con minuzia negli occhi limpidi e un po' svampiti della donna. Come già da un po' le capitava, credette che da qualche tempo a quella parte la salute mentale della nonna fosse andata peggiorando almeno in parte.

E difatti, Rosie Adams confermò poco dopo quella ipotesi sempre più pensata: «Corri a rifugiarti sotto le coperte, piccola mia. Corri o la strega ti prenderà!».

La strega, adesso ce n'era solo una, dunque? Fantastico, si disse Anna avvicinandosi a sfiorare con le labbra la guancia sfigurata della nonna per schioccarle un delicato bacio della buonanotte.

«Non perdere tempo, Anna. Fa' in fretta!». La esortò come in preda a un attacco di isteria la padrona di casa in vestaglia e pigiama di flanella. Allontanò di proposito Anna come per spingerla a mandarla via con maggiore sollecito.

Anna da sua parte non mostrò seccatura perché sì, lei sapeva e anche molto bene. La giovane avrebbe dovuto infilarsi a letto in fretta e furia perché conosceva troppo a fondo l'abitudine di sua nonna di non andarsene a dormire fino a quando non avesse avvertito il più sordo silenzio provenire dalla camera della sua nipotina. E forse anche per tutta la casa.

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