VI. Voci nella testa
«Tra poco andiamo in biblioteca.»
Alison era entrata silenziosamente nella camera di Jane e l'aveva sorpresa mentre guardava quella strana foto. Appena Jane la sentì parlare, la rimise di scatto a posto e si girò verso di lei.
«Davvero?» Le sue guance bruciavano di imbarazzo.
«Sì, mamma dice che vuole prendere dei libri per te visto che domani comincerai la scuola», le spiegò.
Jane non sapeva cosa dire a quel punto, e continuava distrattamente a voltarsi per assicurarsi che la foto dei suoi genitori fosse sempre lì.
Alison voleva saperne di più e alla fine non riuscì più a trattenersi: «Chi sono le figure nella foto?»
«Nessuno», rispose senza pensarci. Presto ci rinunciò, «I miei genitori.»
«Posso vederla?»
A quel punto sapeva che non poteva dirle di no, o sarebbe stata scortese. E poi, dai, era una foto, niente di più. Che male poteva esserci? Ma mentre Jane esitava, entrò la signora Thompson.
«Ciao, tesoro», sorrise a Jane, «ti stai sbrigando? Andremo a prenderti i libri oggi.»
«Sì, mamma. Appunto non dobbiamo prepararci per uscire? Sono già le cinque, non vorrei che si facesse tardi.» Alison voleva vedere quella foto e non avrebbe permesso a sua madre di interromperla.
«Certamente. La biblioteca oggi sarebbe chiusa in realtà, ma questo mi sembra un buon motivo per aprirla. Jane domani comincerà la scuola. A proposito», frugò nella sua borsa, «questi sono per te.» Diede a Jane venti dollari, poi uscì.
Alison la guardò con ammirazione, ma quando si girò un attimo per assicurarsi che sua madre fosse uscita, Jane aprì il cassetto del comodino e infilò la foto. Lo chiuse di scatto.
«Devi proprio piacerle! Non ha mai dato la paghetta così presto agli altri», commentò compiaciuta e sembrò dimenticarsi della foto.
Jane si limitò ad annuire.
Quando uscirono osservò meglio la piccola città di Wineville: le strade erano pulite e vuote, tranne qualche piantina, e le case si vedevano di rado. Erano davvero poche, e Jane pensò che tutti venivano a sapere immediatamente ciò che succedeva. Notò due o tre macchine parcheggiate, una donna dal grembiule giallo intenta a pulire il grande giardino pieno di erbacce, un bambino che correva per le strade e scuoteva gli alberi, e tra questi vi era una quercia di straordinaria grandezza in mezzo a un terreno non coltivato. Non aveva mai visto un albero così alto. Alla sua base quel bambino si era sdraiato per riposarsi. Sul suo tronco massiccio e nodoso spiccava un enorme buco. Nonostante facesse molto freddo, c'erano tante persone fuori e ognuna si dedicava al proprio lavoro: qualcuno pescava nel lago che si trovava proprio al centro della città, altri lavoravano il legno, altri ancora si affrettavano a portare il bestiame nelle stalle. Le sembrava di vivere in un sogno. Abituata al chiuso dell'orfanotrofio, si sentiva libera. La biblioteca era un po' lontana rispetto alla sua nuova casa e ne approfittò per guardare dal finestrino tutto ciò che le capitava. Tutto le sembrava nuovo, ma anche meraviglioso. Si immaginava come sarebbe stata la sua vita lì. Sperava di poter rimanere abbastanza per poterlo scoprire e non vedeva l'ora di andare a scuola. Dov'era la scuola a proposito? Come per rispondere alla sua domanda, il signor Thompson svoltò a destra e la vide. Sembrava molto spaziosa: aveva tre piani, tante finestre ed era circondata da un grande cortile. Chissà com'era da dentro!
Quando il signor Thompson proseguì, Jane vide un cartello al centro della strada che leggeva "2408 Horizon Court".
«Ti piace?» chiese Alison, come se le avesse letto il pensiero.
«Cosa?»
«La scuola.» Rise leggermente, suggerendo che non potesse trattarsi di altro.
«Domani la vedrai meglio», disse il signor Thompson annuendo, «Ti piacerà.»
La biblioteca era accanto alla scuola ed era più piccola. La signora Thompson prese le chiavi dalla borsa ed entrò. Poteva essere piccola, ma dentro c'era un'infinità di libri. Scaffali, mensole, librerie, tutto in legno. Ad ogni ripiano corrispondeva una lunga pila di libri nuovi e lucidi. Jane pensò che la signora Thompson pulisse la biblioteca ogni giorno: era incredibilmente pulita. Dopo aver preso tutti i libri che le servivano, salirono in macchina per tornare a casa. Si erano fatte le sei e venti. Jane teneva la borsa piena di libri e controllava continuamente l'orario sul cellulare con la mano libera. Sarebbe stata la sua prima volta in una scuola vera e non poteva quasi crederci. Guardando dal finestrino, notò nuovamente quell'enorme quercia circondata dal nulla. Fu in quel momento che la macchina tremò e si fermò, come se si fosse bloccata in una fossa.
«Che è successo?» chiese Gabriel con occhi spalancati.
«Non ne ho idea», rispose il signor Thompson mentre controllava le spie dell'auto, cercando quella accesa ma non trovandola.
«Abbiamo finito la benzina?» chiese Alison con un lieve sorriso; non aveva ancora preso la patente e ogni volta che succedeva qualcosa alla macchina faceva domande.
«No, mi avrebbe avvertito prima», spiegò il padre mantenendo la calma. «Le spie servono a darti un avvertimento, ma la cosa strana è che nessuna si era accesa.»
«Ruota sgonfia?» suggerì la signora Thompson.
«Assolutamente no. Ho controllato prima di partire.»
Senza discutere ulteriormente, i signori Thompson scesero dalla macchina per controllare meglio. Aprirono il cofano e osservarono gli pneumatici ma niente. Era tutto nella norma.
«Prova a ripartire», consigliò Gabriel, «magari funziona.»
«Non è così semplice.» si lamentò il padre, ma quando la madre annuì rientrò in macchina per fare un tentativo.
Dopo tutto, non c'era niente di strano... o almeno così pensavano.
Alison si era allontanata per chiedere aiuto a qualcuno nei paraggi – temendo il peggio – e nessuno si era accorto che fosse sparita. Nemmeno Jane. Lei stava fissando un cespuglio, così fitto e ingarbugliato che le sembrava una prigione. Ecco, lì c'era qualcosa che non andava: due occhi di un azzurro così brillante da accecare. Due occhi in cui potersi perdere, in cui poter vedere un mondo estraneo al suo. Prima sembravano guardare lì per caso, ma non appena Jane li aveva notati si erano fissati su di lei senza più distogliere lo sguardo. Erano così brillanti, ma allo stesso tempo emanavano un'ombra. Che volessero attirarla lì? Prima di poter formulare una frase nella sua mente, Jane si era già avvicinata a passi molto lenti per evitare che i Thompson se ne accorgessero. Gabriel l'aveva vista, ma non c'era niente dentro quel cespuglio: era solo un groviglio di foglie. Quando fu abbastanza vicina si accovacciò per essere allo stesso livello di quei cristalli così splendenti.
Poteva anche non succedere.
Era una voce nella sua testa, ma era lei a pensare?
Che cosa? Chi sei?
Ma come...
«L'auto si è fermata.» Udì una voce rauca sbucare dal cespuglio.
«Cosa?» chiese incredula, con gli occhi fissi sui suoi.
«Incidenti come questo possono capitare. L'importante è essere preparati a tutto e fare sempre attenzione.»
Per un secondo quegli occhi si chiusero e Jane percepì un soffio sulla pelle, come se quella creatura avesse sospirato. Ascoltava avidamente, come se potesse svelarle chissà quale verità. Dopo tutto non sapeva neanche chi fosse. O meglio, cosa fosse.
«Per questo ti dico di fare attenzione ai cittadini e soprattutto di non fidarti troppo facilmente.»
«Perché?» Riuscì a chiedere, ma aveva un nodo alla gola.
«Lo sai, non tutto è come sembra e potrebbero ferirti. Potrebbero tradirti. Stai molto attenta.»
Gli occhi azzurri si concentrarono intensamente sui suoi e si fecero scuri come la profondità di un pozzo. Erano come una calamita: una volta che li guardavi non riuscivi più a guardare altro finché non si allontanavano. Jane si era persa così tanto in loro che si dimenticò di fare qualsiasi altra domanda. L'avevano quasi ipnotizzata.
«Nascondono dei segreti che neanche ti verrebbero in mente», continuò la creatura.
Jane si voltò un momento per assicurarsi che i Thompson non l'avessero vista, ma quando si rigirò per fare un'altra domanda gli occhi si chiusero e non si riaprirono più. Si alzò di scatto e guardò dietro il cespuglio, aspettandosi di vederci uscire quella strana creatura. Vuoto. Non c'era nessuno, tranne qualche sassolino e delle erbacce. Come poteva essere sparita? Frugò tra le foglie cercando di toccarla, ma in quel momento realizzò che era davvero sparita. Volatilizzata. Puf.
Non aveva parole per descrivere quello che era appena successo. Era paura? O solo curiosità? O forse entrambe? Quello che sapeva è che non c'era più, ma voleva almeno capire chi fosse e soprattutto come facesse a sapere i "segreti" degli abitanti. L'aveva avvertita di qualche pericolo imminente forse? Come una forte nevicata o un incidente? In effetti aveva fatto riferimento all'auto. Evidentemente si riferiva a quella. Jane provò a cercare nei dintorni ma non trovò niente. Poi vide da lontano Gabriel e Alison che le facevano cenno di andare da loro. La macchina partiva? Meglio così.
Jane dimenticò per un attimo quel bizzarro incontro, ma non appena furono a casa, dopo cena, si chiuse nella sua camera e ci pensò un'altra volta. Chi poteva essere? E come faceva a sapere che non poteva fidarsi di nessuno? Ma la domanda più importante – e forse un po' inquietante – era come faceva a conoscermi? Non che l'avesse chiamata per nome, ma perché dare tanti consigli e avvertimenti a una persona che non hai mai visto prima come se la conoscessi e ci tenessi a lei? Non tutto è come sembra...potrebbero ferirti... A cosa poteva mai riferirsi questo? Le sue parole erano incise a fuoco nella sua mente. Ma se lei non poteva fidarsi degli abitanti di Wineville, poteva voler mai dire che si dovesse fidare di quell'essere? Non aveva nemmeno visto il suo volto. Eppure l'aveva avvisata. Voleva metterla in guardia. Ma perché? Perché ci teneva a dirlo proprio a lei? Sperò di poter trovare al più presto delle risposte, anche se avrebbe preferito non rivedere la creatura. O invece sì?
Si avvicinò al letto e i suoi piedi, coperti da nulla tranne le calze, calpestarono qualcosa di duro. Era la foto dei Carey. Jane la guardò confusa, come se potesse avere una risposta. Si ricordò di averla messa dentro il cassetto. La prese e si sdraiò a letto, osservandola, studiandone ogni dettaglio. Come se non l'avessi già guardata mille volte, pensò.
Stava diventando un'abitudine ormai e cominciava a sentirsi un po' in colpa perché sapeva che se non l'avessero mandata all'orfanotrofio non avrebbe conosciuto i suoi migliori amici. Come faceva a sentire la mancanza dei suoi genitori se non li aveva mai visti?
Li troverai, una voce cavernosa risuonò nella sua testa.
Oppure loro troveranno te.
Che fosse solo nella sua immaginazione? Del resto lei era sempre stata una ragazza creativa; così la definiva la signora Collins.
«Cosa state facendo?» gridò una notte di pioggia la signora Collins quando vide Jane e i suoi adorati John, Emily, Vera e Liz insieme.
Erano seduti sul tappeto di velluto nella stanza delle ragazze e stavano giocando a La Caccia all'Anello. Stavano ridendo e chissà quali strane idee stava mettendo nella loro testa quella stronzetta di Jane. Poteva compromettere la loro salute e la loro intelligenza. Non dovevano stare con lei! Era proibito. Quando udirono la sua voce, le risate si spensero di colpo e Vera, forse la più timida del gruppo, guardò gli altri come per chiedere aiuto. Liz invece fece spallucce, pensando doveva accadere prima o poi. Ma la cosa che più la fece impazzire fu vedere Jane e la sua Emily tenersi per mano. Quella cosa proprio non le andò giù. Le ragazze non lo notarono però. La signora Collins tirò Jane dal braccio e la separò da Emily come si strappa un foglio dal quaderno, poi la portò fuori dalla stanza e sbatté la porta dietro di loro.
«Che stai cercando di fare?» bisbigliò; la sua voce tremava per la rabbia.
«Io?»
«Ovvio! Te l'ho già detto. Non devi stare con loro.» Incrociò le braccia.
«Ma perché non dovrei? Lei non mi dà mai una buona ragione.»
Jane sapeva di non doverle rispondere male e sapeva a cosa andava incontro, ma quella notte si era stufata. Non voleva più continuare a subire, né che le fosse impedito di vedere i suoi amici senza un valido motivo. Quale motivo poteva mai esserci ad ogni modo?
«Lo sai perché, non fingere. E smettila di alzare quel tono.» Non riuscì a trovare le parole immediatamente. La signora Collins in fondo riconosceva il perché, ma non era mai riuscita ad ammetterlo ad alta voce.
«Non è vero! Lei continua a dirmi le stesse cose, ma non spiega mai niente.» Le tremavano le mani e cercò di fermarle affondandole nelle tasche dei jeans.
«Tu sei...» esitò.
Jane sollevò un sopracciglio, come per sollecitarla a continuare la frase, ma lei non trovò le parole.
«Cosa?» le chiese con le lacrime agli occhi, «Che cosa sono io? Cosa c'è che non va in me?»
«Vattene», sussurrò gelida.
Stavolta Jane si calmò, pentendosi di ciò che aveva detto.
«Come?»
«Ho detto di andartene!» La Collins schioccò le dita: significava che non c'era più modo di farle cambiare idea.
Nel frattempo i vecchi amici di Jane si erano avvicinati alla porta per ascoltare meglio, con occhi spalancati.
«Ma...ma sta piovendo.» Gli occhi e le guance le cominciarono a bruciare.
«E allora? Mi hai sentita.»
«La prego. Le prometto che non starò più con loro.»
«Jane», quando la chiamava per nome la faceva rabbrividire, «mi hai sentita.»
Rassegnata, la ragazza uscì dalla porta principale mentre Hanna Collins rientrò nella stanza delle ragazze.
«Signora Collins, che cosa è successo? Tutto bene?» chiese John terribilmente preoccupato dopo averla sentita sussurrare. Era quando sussurrava che c'era da spaventarsi.
«Certo, state tranquilli. Ho sistemato le cose.»
«Che intende dire?» chiese Emily.
«Dolce Emily, voglio dire che lei non vi darà più fastidio per stanotte. Soprattutto a te.»
In realtà loro non avevano capito nulla, ma a mezzanotte uscirono dalle loro stanze per cercare Jane, che non tornava ormai da quattro ore. La videro nel cortile, seduta su una di quelle sedie sporche di fango vicino al tavolo. Era bagnata fradicia. Quando si accorse di loro, che la guardavano dalla finestra, abbassò lo sguardo. Ma i ragazzi non riuscivano a restare lì senza fare nulla, così aprirono la porta molto lentamente cercando di non farla cigolare e svegliare di conseguenza la strega. Emily le fece cenno di rientrare, ma parlava a bassa voce e non riusciva ad attirare la sua attenzione. Il vento che sibilava e la forte pioggia che c'erano quella notte coprivano qualsiasi tipo di rumore.
«Jane, per favore! Vieni qui!» gridò una volta uscita fuori. «Ti prenderai un brutto raffreddore così.»
Jane la sentì a stento e si girò per un attimo, ma poi abbassò nuovamente lo sguardo. Non voleva nemmeno vederli. Gli altri erano rimasti dentro per controllare che non arrivasse la Collins, ma Emily continuò a camminare, voltandosi qua e là per assicurarsi che non ci fosse nessuno a parte loro. I suoi capelli erano di un biondo così chiaro che quasi sembravano illuminarsi in mezzo a quel cortile sporco e buio.
«Jane.» Si avvicinò. I suoi vestiti erano già fradici come quelli della sua amica.
Ma lei non rispondeva, non la guardava, non dava alcun segnale di corrispondenza. Sapeva che era tutta colpa della signora Collins, ma forse avrebbe preferito che loro avessero fatto qualcosa. Cosa potevano fare? Come avrebbero potuto difenderla? Si sarebbe messa anche contro di loro così e non potevano rischiare di perdere i privilegi che avevano sempre avuto grazie a lei. Certo, è solo egoismo, pensava. E lo pensava anche adesso. Poi ricordò un altro piccolo ma non insignificante particolare di quella notte tremenda. Era lì da sola con Emily e per quanto ce l'avesse con tutti loro non era mai riuscita a odiarli sul serio. Li perdonava sempre, soprattutto Emily. Jane alzò lo sguardo stavolta e si perse nei suoi occhi verdi: brillavano, e ci si rifletteva la luna.
«Cosa c'è? Pensi che mi faccia rientrare?» L'acqua della pioggia si era confusa con le sue lacrime, ma le guance e il naso erano arrossati dal pianto.
«Mi dispiace tanto.» Emily le accarezzò la spalla come per darle conforto, anche se non sapeva bene cosa dire. Aveva tredici anni. Un'azione così piena di odio non poteva capirla.
«Perché non fate niente? È successo tre volte questa settimana!»
«Non sappiamo come...» Non trovò le parole.
«Perché glielo permettete e... e fingete che vada tutto bene? Io credevo di essere vostra amica!»
«Ma certo che lo sei!»
«Allora perché mi fate questo?» Singhiozzò.
«Jane, io... mi dispiace davvero. Vorrei tanto che la smettesse ma non sappiamo come fare.»
«No, voi non lo volete fare.» La sua gola bruciava e a stento riusciva a parlare.
Si ricordò di quanto si sentisse tradita in quel periodo, di come tutto il mondo le stesse crollando addosso. Erano gli unici amici che aveva, ma nonostante non volesse perderli per nessuna ragione riconosceva quando sbagliavano. Aveva deciso che avrebbe completamente chiuso con loro.
«Non è vero», rispose Emily dopo qualche minuto.
«Lasciami da sola, ti prego. Non voglio più parlare con voi.»
«Ma ci sono solo io adesso e...devo dirti una cosa.»
Jane non voleva più ascoltarla. Aveva capito che il problema non era la signora Collins, ma piuttosto i suoi amici che l'avevano ferita così tante volte: era lei che non se ne era mai accorta.
Quando giocavano all'aperto insieme la rinchiudeva nella stanza delle ragazze per chissà quante ore, a volte proibendole persino di cenare. In questo caso, se li vedeva giocare insieme ed erano dentro, la buttava fuori anche con la pioggia. Se invece parlavano soltanto la colpiva con la scopa, oppure preferiva prenderla in disparte per schiaffeggiarla. Loro non vedevano sempre ciò che lei le faceva, ma non ci volle molto prima che lo capirono. Nonostante tutto non avevano mai provato a difendere Jane. È vero che insultavano la Collins o la consolavano la volta successiva in cui erano insieme, ma mai avevano osato affrontarla apertamente. Jane era convinta che non lo facessero per evitare che la Collins se la prendesse anche con loro. Plausibile, ma non è giusto. Dei veri amici lo farebbero, pensò.
«No, per favore. Vattene. Non mi hai sentita? Non voglio più avere a che fare con voi. Io avrei fatto qualcosa se lei vi avesse fatto del male. Io vi avrei aiutati!»
«Jane, io...» Emily aveva sempre pesato le sue parole con attenzione per evitare che gli altri fraintendessero.
Ma quella volta non ci riuscì e preferì baciarla senza dire altro. Le cose sembrarono andare meglio per un attimo. Jane però non le disse nulla. Rimase in silenzio, non capendo perché mai l'avesse fatto.
«Devi andartene.» Stava ancora piangendo.
«Ti prego! Possiamo trovare una soluzione. Torniamo dentro, dai. Non puoi restare qui fuori! Parliamo. Ho bisogno di parlarti.» Emily la prese per mano per farle cenno di rientrare, ma Jane restò immobile e si voltò.
«No, tu torni. Io non posso. Se ci vedesse la signora Collins sarei rovinata.»
«Ma devi! Non puoi rimanere tutta la notte sotto la pioggia. Ti prego. Lei non se ne accorgerà.»
«Lo farà.»
«Jane, per favore! Tengo così tanto a te.»
Nessuno gliel'aveva mai detto prima e non poté fare a meno di girarsi un'altra volta verso di lei. Quasi credette di essersi immaginata ciò che aveva appena detto, ma era successo davvero.
«Anch'io tengo tanto a te, Emily.» Abbozzò un sorriso.
Alla fine si convinse e tornarono indietro, tenendosi per mano. Sentì un'onda di calore stringerle il petto in una morsa. Appena furono davanti alla porta principale, si accorsero che Liz, Vera e John non c'erano più. Che fosse passata la signora Collins? Al solo pensiero Jane rabbrividì e il suo sorriso si cancellò.
«Dove sono gli altri?» chiese a Emily, tanto spaventata quanto lei.
«Erano qui poco fa.»
«Sì, ma adesso?»
«Non lo so. Saranno tornati a dormire.» Ma sapeva benissimo che non le avrebbero mai lasciate da sole in una situazione del genere. In realtà cercava solo di convincere sé stessa.
«Le luci sono ancora accese però.» Notò Jane, e indietreggiò.
«Entro prima io per controllare, va bene? Stai tranquilla.»
Emily era un anno più grande di Jane; nonostante non fosse molta l'esperienza che aveva più di lei, riusciva sempre a rassicurarla. Si sentiva al sicuro quando era con lei.
«Ti aspetto.» Jane annuì, cercando di mantenere la calma. Se la signora Collins l'avesse vista rientrare non aveva idea di che cosa sarebbe stata capace.
Emily aprì la porta il più piano possibile, poi entrò di soppiatto e controllò ovunque, persino nell'ufficio della signora Collins. Quando si assicurò che non ci fosse nessuno, tornò da Jane.
«Via libera», le disse. Era la solita frase che si dicevano quando giocavano a nascondino e – barando – cambiavano il nascondiglio per essere sicure di non farsi trovare.
Arrivata alla porta principale, si ritrovò di fronte la signora Collins. Stava tenendo Jane per mano. Emily sentì di colpo il suo cuore balzarle nel petto.
«Credevo di essere stata chiara.»
Dormi.
Era la stessa voce, così rauca e profonda.
Jane si alzò discatto dal letto e controllò l'orario sul cellulare: era quasi mezzanotte. Stava sudando. Vide il suo volto riflesso allo specchio della toletta, ma non era sola.
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