I. Il suo nuovo inizio

«Wineville?» La signora Collins non aveva mai sentito quel nome prima.

«Sì, è una piccola città nel Maine», le spiegò il signor Thompson con la sua voce bassa e roca.

«Bene, questo sarà il suo nuovo inizio.»

Sophie e William Thompson avevano appena adottato una ragazza e stavano per tornare a casa. Non vedo l'ora di conoscerla! aveva detto la loro primogenita, Alison, con quei due occhi grandi e luminosi. Quella ragazza orfana si chiamava Jane Carey e non era mai stata adottata. È la sua prima volta, diceva sempre la direttrice dell'orfanotrofio quando una simpatica famiglia sceglieva uno dei suoi cari ragazzi. In realtà Jane era solo un po' agitata perché ormai si era abituata a Barkley, che non era nemmeno tanto distante rispetto a Wineville, ma allo stesso tempo era emozionata all'idea di cominciare una nuova vita. Chissà come sarà, pensò. Avrò molti amici e vivrò senza la signora Collins fra i piedi.

Mentre si avvicinavano alla macchina, Jane notò che la signora Collins la stava osservando con uno sguardo pieno di disprezzo...o guardava forse i suoi nuovi genitori? Ad ogni modo, la ragazza la salutò con un brillante sorriso per ricambiare. Finalmente fuori di lì, lontana da lei.

Entrò nell'Audi Quattro rossa dei Thompson. Aveva l'odore di nuovo per lei, anche se in realtà era molto vecchia. Le sembrò enorme; da quanto tempo non entrava in una macchina? Da almeno cinque anni, potrebbe dire. Strinse le mani sulla superficie del sedile posteriore: era così soffice e fresco! E lo schienale era comodissimo, quasi come una poltrona. Si sentiva davvero a suo agio e nemmeno erano partiti. Quando i signori Thompson salirono e chiusero gli sportelli in un sonoro clac, William mise l'auto in moto, abbassando subito dopo i finestrini, lucidi come unghie appena smaltate.

Dopo due ore di viaggio arrivarono a Wineville. Poche persone vivevano lì, in città, e lei lo trovò strano. Le sembrò tutto molto strano: le strade erano deserte. A Barkley, invece, c'era sempre gente in giro, dappertutto, e tanto rumore. Non c'erano molte case, e ognuna era vecchia, bizzarra, sinistra. Un vento leggero soffiava mentre lei percorreva la strada costellata di ciottoli grigi, spoglia e vuota, con i suoi nuovi genitori. Quel vento sibilava accarezzandole i capelli e sembrava guidarla nella sua nuova casa. Non c'era nessuno, solo il vento e loro tre. I rumori dei loro passi e delle ruote della valigia verde di Jane echeggiavano lungo la strada, ed erano quasi assordanti in mezzo a quel profondo e immobile silenzio. All'improvviso dei brividi le corsero lungo tutto il corpo quando si accorse che non c'era proprio nessuno. Era una limpida sera autunnale, senza pioggia, tanto meno temporale. Perché nessuno era fuori? Jane continuò a camminare; i suoi occhi guizzavano da destra a sinistra con avidità, mentre cercavano la nuova casa. I suoi genitori erano silenziosi e cominciò a sentirsi sola. Percepì una presenza estranea dietro di lei, allora si voltò, quasi distrattamente, per scoprire di cosa si trattasse: niente. Pensò che potesse trattarsi di una persona pericolosa. Comunque, è proprio nei posti più bui, solitari e silenziosi che si incontra gente poco raccomandabile. Sì, decisamente. Sono quei posti oscuri che chissà quali malintenzionati nascondono all'interno che bisogna evitare. Questo è proprio vero. Non sai mai chi ti trovi dietro, né che cosa abbia in mente. Puoi solo sperare di non incontrare gente strana o, se la incontri, che non ti noti e ti lasci in pace. I posti più affollati e rumorosi sembrano avvolgerti in un velo di sicurezza indistruttibile, invece. Ma non è sempre così, Jane. Non dimenticarti i furti e gli omicidi che si sono verificati a Barkley ultimamente. Quelli non sono piccoli inconvenienti, come dice la Collins. Quelli sono disastri belli e buoni. Ma la verità è che bisogna stare attenti e guardarsi sempre le spalle, anche se, tanto per cominciare, i criminali non dovrebbero disturbare la quiete del luogo. Jane sperò che non ci fossero tanti criminali a Wineville. Del resto, si trattava di una città molto piccola.

Si voltò: nessuno, niente. Certo, a meno che non considerasse i signori Thompson. Quel pensiero le stava davvero divorando la mente, come un avvoltoio che sviscera un cadavere. A quel punto, decise di non voltarsi più.

Non sei sola Jane non sei sola non sei sola

Eppure i suoi pensieri svolazzavano nella sua testa alla rinfusa, come per riflettere il suo stato d'ansia. Ma l'importante è concentrarsi sulla casa. Dov'è questa benedetta casa? Questa città è minuscola e nonostante ciò ancora non viene fuori. Stiamo scherzando? Nel frattempo, i signori Thompson camminavano lentamente, senza fretta, un po' straniti dal passo rapido di Jane.

«Cara, tutto bene?» le chiese Sophie Thompson, la sua nuova madre; «Sembri agitata.»

Jane si voltò di scatto per quella che sembrava essere l'ennesima volta. Ma insomma! Cerca di calmarti!

Ma quel terribile presentimento non le dava tregua. Non c'era nessuno ma c'era qualcuno proprio lì, dietro di lei. Lo percepiva, benché non lo vedesse. Udiva i suoi respiri forse? Probabilmente no, ma era sicura di aver sentito qualcosa. Qualcosa che la stava seguendo, o qualcuno? I fantasmi non esistono. Sono solo sciocchezze. Ma se ci fosse qualcos'altro sotto? Potrebbero essere le coscienze sopravvissute dei morti? Oppure anche i vivi riescono a trasportare la loro mente fuori di sé e vedere, udire, persino toccare? Sarebbe assurdo. Come può verificarsi una cosa del genere? Queste robe succedono solo nei film, rispondeva sempre Vera, un'amica di Jane all'orfanotrofio, ogni volta che qualche bambino nominava i fantasmi, i vampiri o esseri sovrannaturali in generale. Sì, forse Vera aveva ragione. Ad ogni modo, Jane sentì la necessità di rispondere in modo calmo e rilassato. Non voleva fare una brutta impressione già dall'inizio.

«Sì, certo. Sto bene.» che risposta falsa e scontata... «È che non vedo l'ora di entrare in casa.» ed ecco che aveva impacchettato la bugia perfetta, abbellita da un falso e scontato sorriso. Si sentì sollevata quando la sua nuova mamma abbozzò un sorriso, solo che il suo veniva dal cuore.

«Tranquilla, piccola. Manca poco.»

E dopo un'altra cinquantina di metri Jane vide un cottage dalle tegole in legno bianco e il tetto rosso e spiovente. Il numero "3760" si leggeva sul muro vicino alla finestra, dipinto di un rosso vermiglio per essere ben visibile. L'indirizzo era proprio 3760 Bloomfield Way. La sua nuova casa aveva due piani ed era abbastanza spaziosa. All'improvviso, quella strana sensazione svanì come quello spirito? coscienza? anima? e Jane si calmò.

«Siamo qui!» gridò la signora Thompson mentre poggiava la mano sul pomello bianco della porta.

Con un movimento secco lo girò e la aprì. Nel frattempo, i passi veloci della prima figlia dei Thompson risuonarono debolmente, come per rispondere all'esclamazione della madre. Alison si stava precipitando alla porta dell'ingresso, ansiosa di vedere Jane.

«Ali, siamo tornati! Guarda chi c'è!» disse la signora Thompson con un brillante sorriso.

Si ritrovò Alison di fronte a lei e sussultò, non aspettandosi di trovarla già lì in così poco tempo.

«Piacere di conoscerti.» Alison le strinse la mano.

La sorpresa di Jane traspariva a chiare lettere sui suoi occhi spalancati: non mi avevano detto di avere una figlia! Ma non finiva lì.

«Ciao...» e rimase senza parole.

«Sono Alison. Puoi chiamarmi Ali.» la ragazza dai capelli biondi sorrise così tanto che i suoi occhi si erano quasi chiusi.

Jane ricambiò il sorriso. Pensava che lei fosse più piccola, ma non si preoccupò di chiederglielo.

«Jane, benvenuta nella tua nuova casa!» esclamò la signora Thompson con orgoglio.

«Grazie.» lei rispose in modo semplice, cominciando a sentirsi un po' in imbarazzo.

Il signor Thompson la guardò e si commosse, pensando a come avrebbero potuto rendere la sua vita felice. Il solo pensiero rendeva felice lui e sua moglie. Non vedevano l'ora di realizzarlo. Nel frattempo, Jane aveva uno sguardo quasi apatico. Si voltava dappertutto come se fosse in un museo. Era spiazzata perché quel posto era nuovo e del tutto diverso da ciò a cui era abituata, ma sapeva anche di libertà.

«Cara, seguimi. Ti mostro la tua stanza.» il padre di Alison le fece cenno di seguirlo e la portò nella sua nuova base segreta, come la chiamavano lei e i suoi amici all'orfanotrofio da piccoli. Jane ne rimase colpita perché era davvero grande, colorata e accogliente. Un poster dei Queen catturò immediatamente la sua attenzione e quando vide una mensola piena di libri se ne innamorò.

«Cosa ne pensi? La signora Collins ci ha detto che ti piacciono i gruppi musicali rock, soprattutto i Queen, quindi abbiamo pensato che sarebbe stato un ottimo regalo per te.» la signora Thompson cercò di aprire una conversazione ma le sembrò che Jane non fosse interessata per niente.

Al contrario, la ragazza la stava ascoltando. Non appena udì Queen dalle parole della madre di Alison, i suoi occhi si fissarono sul poster: era enorme, lucido, maestoso. Raffigurava l'album A Night At The Opera con lo sfondo bianco, una Q blu al centro, due leoni con la corona ai lati, due fatine più in basso, un granchio sopra la Q e, a coronare il tutto, una fenice dalle piume bianche. Ne era rimasta estasiata e lo ammirava come se si trattasse di un quadro.

Però la signora Thompson si sentì a disagio per il silenzio della ragazza. Non capiva che si trattava di un silenzio di ammirazione, non di disprezzo. Aveva sempre avuto quella sensazione che alle persone non importasse di lei e che le rivolgessero la parola solo quando avevano bisogno di aiuto, ma Jane non la conosceva nemmeno. Non avrebbe mai potuto voler offendere lei o la sua famiglia. Era stata sottratta ai suoi genitori nel momento stesso in cui era nata. Come se non bastasse, il suo passato era stato duro: aveva vissuto la maggior parte della sua vita all'orfanotrofio, ma quel giorno era finalmente uscita. Si sentiva felice e libera benché non sapesse nulla della sua nuova famiglia - non ancora - e Wineville non fosse la città dei suoi sogni. La cosa che più le importava era che dopo tutto quel tempo, che le era sembrato infinito, era finalmente fuori. Libera. E aveva delle nuove aspettative, nuove opportunità.

Dopo averci riflettuto un momento, la signora Thompson si rassicurò: Jane era appena arrivata dopo tutto. Non poteva certo esprimere un giudizio prima di averla conosciuta a fondo.

«È bellissima.» rispose Jane semplicemente, ma questo bastò a sollevare le speranze della signora Thompson.

«Sono contenta che ti piaccia, piccolina.» le accarezzò i capelli scuri con delicatezza, allo stesso modo in cui avrebbe fatto con i capelli della sua vera figlia.

Dopo averla aiutata ad aprire i bagagli e a sistemare i suoi vestiti nell'armadio, i signori Thompson scesero dabbasso. Stavano dicendo ad Alison di andare nella stanza di Jane per iniziare a conoscerla un po'.

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