Capitolo 1: Un barbone mi legge le carte

La magia esiste. Il nostro monotono mondo non è altro che una facciata dietro la quale si nascondono meraviglie di ogni tipo: da isole volanti a creature conosciute soltanto nelle fiabe, uomini e donne con straordinarie capacità e artefatti dal potere inimmaginabile. Ovviamente, però, questa è solo una faccia della medaglia. Io sono Alessandro, ho tredici anni, vivo in un paese della provincia di Roma, e fino a poco tempo fa avrei riso a queste affermazioni, ma adesso non più. Potrei raccontarvi di come il destino mi abbia riserbato un trattamento che dire speciale è poco, delle persone che ho incontrato durante questo viaggio, ma forse è meglio partire dall'inizio.

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Mi trovavo sul fondo di un lago, o forse era l'oceano, non faceva molta differenza, perché ero avvolto nella completa oscurità, tanto da non riuscire a distinguere il sopra dal sotto. Poi lei arrivò, la sagoma lucente di una donna che brandiva una spada. Fluttuava verso di me, lentamente, e iniziò a parlarmi in una lingua sconosciuta. Il suo tono era dolce, sembrava volesse dirmi qualcosa, qualcosa che avevo dimenticato da tempo, e prima che potessi chiederle cosa volesse mi afferrò la mano con forza. La sentii bruciare e lanciai un grido, o almeno cercai di farlo, perché dalla mia bocca non uscì una sillaba.
Mi svegliai di soprassalto, con il suono ripetuto di chi stava battendo pugni contro la porta.

<<Alessandro!>> Sentii gridare da oltre l'uscio mio zio Paolo, che sembrava trovare gusto nel pestare la porta, visto che non sembrava volersi fermare. <<Il pullman sarà qui tra cinque minuti, farai meglio ad essere pronto!>>

Accennai un sì con la bocca ancora impastata dal sonno e fu abbastanza per convincerlo ad andarsene. Dopo un lungo sospiro mi alzai dal letto, mi misi addosso la prima felpa e jeans che trovai poggiati sulla sedia ed ero più che pronto per l'ennesima giornata di scuola.

<<Trovi i soldi per il pranzo all'ingresso.>> disse Paolo quando uscii dalla stanza. Mio zio non era quello che si potrebbe definire un genitore modello. Se ne stava dalla mattina alla sera seduto sul divano a guardare la televisione - come stava facendo adesso - e preferiva campare grazie ad una fantomatica pensione d'invalidità anziché cercarsi un lavoro. Fantomatica perché non l'avevo mai visto con una gamba rotta o robe simili, quindi non capivo come mai gli arrivassero quei soldi, e mai probabilmente l'avrei capito. Trovava sempre una scusa diversa, a volte era per una vecchia ferita alla schiena, altre volte si andava di danno cerebrale, e altre volte mi urlava semplicemente di farmi i fatti miei, e che le questioni dei grandi non mi riguardavano. Non avevo paura di chiederglielo, non avrebbe fatto del male ad una mosca, ma iniziare la giornata con il suo fiato al gusto di birra e sigarette non era nei miei piani. Più stavo lontano da lui e meglio era.

Afferrai le banconote lasciate sul mobile all'ingresso e mi avviai verso lo scuolabus appena arrivato. Avevo la sensazione di star dimenticando qualcosa di importante, ma non riuscivo minimamente a ricordare cosa. Quando salii, però, mi fu tutto più chiaro: più di metà degli studenti portavano abiti medievali. Potevo vedere Nando Di Caro con la sua armatura scintillante beffarsi sul retro del bus con i suoi compagni mentre tirava pezzettini del suo pranzo sulle teste - o meglio gli elmi - dei poveri malcapitati nei posti di fronte al suo.

<<Non può essere oggi.>> Dissi tra me e me, faticando a credere di essermi dimenticato letteralmente della giornata più importante dell'intero anno scolastico.

<<E invece è proprio oggi.>> Disse l'autista, mentre faceva chiudere le porte dello scuolabus e partiva senza nemmeno darmi il tempo di correre a prendere il mio costume. <<Scusa Ale, ma niente ritardi.>>

Mi trattenni dall'imprecare e andai a sedermi il più lontano possibile da Nando, sperando che il suo raggio d'azione non arrivasse fino a metà bus.

<<Hai dimenticato il costume!>> Esclamò Luca, seduto di fianco a me. Era il mio migliore amico, o meglio l'unico che avevo.

<<Eh già, puoi anche dirmi qualcosa che non so, se ti va.>> gli risposi un po' stizzito.

<<La professoressa Cola non la prenderà bene, lo sai.>>

Gli rivolsi uno sguardo fulmineo, avendo dimenticato anche quell'ultimo, orribile dettaglio. La professoressa Cola era l'insegnante di storia, la più severa in tutto il corpo docenti, e sapevo bene quanto ci tenesse a quella giornata. La gita alla fiera medievale era il suo giorno preferito, e ricordavo come avesse ordinato a tutta la classe di vestirsi per l'evento. Aveva un carattere frizzantino, se per frizzantino voleva dire capace di metterti in punizione se solo osavi cacciare una parola durante le sue lezioni, ma ho sempre creduto che per me riservasse un trattamento più speciale, e per più speciale intendo più severo. Mi aspettava proprio una bella mattinata. Tirai un lungo sospiro.

<<Ma da cosa ti sei vestito?>> gli chiesi più per cambiare argomento che altro, sebbene non riuscissi veramente a decifrare il suo abito. Aveva un cappello di paglia ed una tunica leggermente sgualcita che gli andava un po' stretta. Sembrò quasi offendersi per quella domanda e le guance gonfie, costellate da un po' di brufoli, gli si arrossirono leggermente.

<<Da contadino, mi pare ovvio!>>

Proprio mentre lo stava dicendo, ecco che vidi volare un pezzo di panino e appiccicarsi proprio sul suo cappello. Mi voltai per vedere Nando ridere a crepapelle con il suo circolo di bulli ed esultare per questo lancio lungo. Staccai il pezzo di cibo dalla testa del mio amico, giurando in cuor mio eterna vendetta al cavaliere dei panini quando ne avrei avuta l'occasione.

<<Ma cos'hai fatto alla mano? Ti è spuntata una voglia?>>

<<Cosa? Nien...>> Rimasi di sasso quando lo notai, e potei giurare di sentire il sangue scendere alle caviglie alla vista di quei segni rossi sulla mia mano destra. Era il segno ben distinto di cinque dita.

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Il festival del borgo di Cittagazze era, come al suo solito, l'evento preferito di tutto il paese. C'erano bancarelle ovunque, stendardi di casate che adornavano i palazzi antichi, persone agghindate con abiti lussureggianti, giocolieri e persino un mangiafuoco che intratteneva i passanti al centro della piccola piazza di fronte alla chiesa. Ma la cosa che preferivo di più erano i dolciumi a prezzo scontato. Con solo due euro io e Luca ci stavamo gustando delle mele caramellate mentre la professoressa Cola ci guidava per il borgo antico, spiegandoci in ogni minimo dettaglio le abitudini dei nostri antenati. Onestamente avevo smesso di ascoltare da quando era arrivata a parlare di come lanciassero la pipì con un secchio fuori dai loro balconi, come anche metà classe. Era così presa dalla sua spiegazione che sembrava aver chiuso un occhio per il fatto che indossassi una semplice felpa invece dell'armatura di cartapesta che mi ero creato con tanta fatica, e non glielo avrei ricordato.

<<Attenzione signore e signori! La magia esiste, ed è in mezzo a voi!>> urlava un vecchio dalla lunga, lunghissima barba bianca con in mano una sfera di cristallo. <<Chi di voi avrà l'audacia di vedere nel proprio futuro? Fatevi avanti!>> Sembrava al quanto convincente nella sceneggiata.

<<E' roba tipo oroscopo? Perché sono un po' scettico su queste cose.>>

<<Perché non provi?>> sentii dire da Luca. Aggrottai le sopracciglia, portando lo sguardo verso la professoressa Cola che sembrava presa nel raccontare come funzionassero le latrine medievali. <<Tranquillo, ti copro io. Se ti perdo di vista ti faccio uno squillo.>>

Allontanarsi dalla classe equivaleva ad una settimana di punizioni dove avrei dovuto ripulire l'intera aula, ma che diavolo, si vive una volta sola! Nel momento in cui la spiegazione della Cola si fece più affiatata, decisi di svignarmela di soppiatto e di confondermi tra la folla. Raggiunsi il vecchietto, sebbene titubante, e con un po' di scetticismo gli chiesi quanto volesse per leggermi il futuro. A differenza delle altre bancarelle, adornate il più possibile con vere armi e pezzi di armature risalenti a centinaia di anni fa, il signore era semplicemente seduto ad un vecchio e traballante tavolo di legno. Me ne stavo già pentendo.

<<Pagare? Sciocchezze!>> rispose lui con tono indignato, mentre si stringeva al petto la sfera di cristallo. <<Un vero stregone non se ne fa nulla dei vostri soldi mortali! I miei servigi sono solo per le persone abbastanza coraggiose da abbracciare l'ignoto, signorino.>>

<<Certo, certo, abbraccio l'ignoto ogni mattina.>> gli dissi più per prenderlo in giro che altro, sebbene trovassi la sceneggiata abbastanza divertente da strapparmi un mezzo sorriso. A quanto pare il "mago" non sapeva cosa fosse l'ironia, perché con un sorriso a trentadue denti mise la sfera al centro del tavolo e si strofinò le mani.

<<Perfetto! Allora poggia le tue mani sul medium.>>

<<Sul che?>>

<<La palla.>> mi rispose un po' stizzito.

Feci come mi era stato detto, per vederlo avvicinare poi le mani rugose alle mie. Non mi stava toccando, ma potevo sentire il calore della sua pelle. Chiuse gli occhi e per qualche secondo rimase in silenzio e lo fissai senza sapere bene cosa fare. Da vicino sembrava ancora più anziano di quel che credessi, date le profonde rughe e gli occhiali a mezzaluna che gli cadevano sul naso ingobbito. Erano passati venti secondi, e francamente mi stavo già stancando di studiare il volto del vecchio barbuto. Improvvisamente sentii come una scarica elettrica alle mani. Le avrei ritirate, se non me le avesse afferrate con rapidità. Cercai di liberarmi, ma strinse solo di più la presa. Stavo per gridargli di lasciarmi stare quando spalancò gli occhi. Le iridi dello stregone erano completamente scomparse, ma potevo giurare che stesse fissando le mie. Se non mi faceva paura prima, ora me la stavo facendo addosso.

<<Nella terra delle selve oscure e sentieri intricati, cercatori di luce saranno inviati. La coppa nascosta, sfida e speranza, in prove e sacrifici rivelerà la sua potenza. L'ombra della spada, dubbio seminerà. Tra miti e destino, la tavola rotonda risplenderà. Il fuoco del drago illuminerà il cammino della verità, ma l'oscurità avanza e la fine si avvicinerà.>>

Quando finalmente gli occhi del vecchio tornarono normali, sentii la presa allentarsi e allontanai bruscamente la mano. Il mago mi guardava con aria confusa, come se si fosse appena svegliato da un sonno profondo. Decisi che era il momento di andarmene e andai alla ricerca della classe, e soprattutto lontano da lui. Solo dopo pochi passi mi resi conto, voltandomi, che mi stava seguendo. Aumentai il passo, quell'uomo aveva più di qualche rotella fuori posto. E poi non avevo capito la metà delle cose che mi aveva detto, o meglio, che si era inventato. Mi girai una seconda volta, ma del vecchio non c'era traccia. Facendo ciò mi ritrovai a sbattere contro una persona.

<<Cavolo! Scus...>> Era lui, di nuovo. Non sapevo come avesse fatto a superarmi, ma una cosa era certa, non voleva lasciarmi andare.

<<Devi venire con me.>>

Iniziai a correre nella direzione opposta. Come mi pentii di aver lasciato la classe! Tra tutte le persone che potevo beccare, proprio uno così fuori di cervella doveva capitarmi? Mi feci strada tra la folla a spintoni, andando nuovamente a sbattere contro una persona. Alzai lo sguardo: era di nuovo lui. Mi sentii il sangue raggelare nelle vene e ripresi a correre al lato opposto. Non mi accorsi nemmeno di essermi intrufolato tra i vicoli del borgo antico finché non mi ci ritrovai dentro. Mi guardai attorno, lì non c'era anima viva, ma comunque dovevo appartarmi in un posto dove quel pazzo non mi avrebbe trovato. Fu in quel momento che vidi una casa sgarrupata con la porta aperta. Mi ci intrufolai senza farmi troppe domande e presi il telefono tra le mani tremanti per chiamare Luca. Fu in quel momento che vidi tre chiamate senza risposta, e come ciliegina sulla torta lì non prendeva affatto. L'idea di vedere la professoressa Cola mi faceva venire i brividi, ma nulla a confronto con l'immagine di quel vecchio senza iridi che avevo piantata nel cervello. Decisi quindi che sarei rimasto lì ancora per un po', nella speranza che il mio inseguitore non si facesse vivo. Mi chiusi la porta alle spalle e aspettai lì. Feci luce col telefono, visto che non sembrava ci fosse un pulsante per la corrente. L'ingresso era una vecchia cucina in legno. La casa era inabitata da tempo, lo si poteva intuire dai mobili marciti e dalla polvere che aleggiava un po' ovunque. Avanzai fino a un'altra porta che credevo portasse ad una delle stanze, ma all'apertura mi ritrovai nuovamente in mezzo alle strade del borgo antico. Guardai l'orario sul cellulare, erano passati più di dieci minuti e del vecchio stregone neanche l'ombra. Era arrivato il momento di uscire. Mi lasciai la casa alle spalle e cercai di ripercorrere la strada che avevo fatto all'andata, nella speranza di non essermi perso. Riuscii a raggiungere la piazza centrale, dove adesso al posto del mangiafuoco sembrava esserci una sorta di competizione tra cavalieri. Non sapevo spiegarmi il perché, ma la gente attorno a me aveva iniziato a fissarmi. Quell'anno c'erano molte più persone travestite del solito, a dire il vero, ero l'unico ora che lo notavo ad indossare abiti normali. Certo che quest'anno si erano davvero impegnati.

<<Ma che diavolo, non prende nemmeno adesso!>> borbottai tra me e me, vedendo il cellulare che aveva deciso di morire.

<<Che strano oggetto, buon giovine, cos'è?>> mi chiese un uomo mentre osservava il mio telefono affascinato. Rimasi un attimo confuso da quella domanda, non sapendo che adesso giocassero pure di ruolo.

<<E' un cellulare, puoi usarlo per chiamare le persone a distanza.>> gli risposi. Guardandolo meglio, potevo notare i denti ingialliti e la sporcizia sull'uomo di mezz'età. Sembrava in tutto e per tutto un povero paesano di centinaia di anni fa, pure l'odore sembrava essere lo stesso, sebbene si confondesse con quello delle feci di cavallo. Mi guardò con aria sbigottita, prima di sorridere.

<<Devi essere uno stregone in erba. Che delizia la magia al giorno d'oggi, non finisce mai di sorprendermi! Parteciperai alla prova?>>

<<Quale prova?>> gli chiesi incuriosito.

<<Come quale prova? Per chi riuscirà ad estrarre la spada dalla roccia!>>

<<Come re Artù?>>

<<Esatto, come re Artù.>> Il sorriso dell'uomo si fece ancora più entusiasta.

Posai il telefono in tasca e mi feci spazio tra la folla per vedere meglio. Cavalieri e non, uomini di ogni stazza si facevano avanti uno alla volta e provavano ad estrarre la spada conficcata in una massiccia roccia, ma non la smuovevano nemmeno di un centimetro. Che possibilità avevo io?

<<Non riuscirò mai a toglierla da lì.>>

<<Non scoraggiarti, ragazzino.>> mi sentii dire da uno dei cavalieri di fianco a me. Aveva addosso un'armatura di cuoio, ma ciò non faceva altro che mettere in risalto la massiccia statura. I capelli biondi gli cadevano sulle spalle ed una lunga cicatrice sull'occhio sinistro gli dava un aspetto minaccioso, nonostante il sorriso gentile. <<Re Artù aveva poco più della tua età quando la estrasse, ma da allora nessuno ci è più riuscito. Quella spada è stata conficcata da Merlino in persona, e solo un cuore degno potrà tirarla fuori.>>

<<Certo che vi piace proprio giocare di ruolo.>> mormorai.

Mi guardai attorno, e dello stregone non c'era nemmeno l'ombra. Che male poteva fare un tentativo? Sapevo che al mio ritorno allo scuolabus avrei subito la collera della professoressa Cola, tanto valeva divertirsi un po' prima di essere costretto a staccare le gomme da sotto i banchi di scuola come punizione. Prima ancora che potessi farmi avanti, sentii la mano del cavaliere spingermi e mi ritrovai a camminare verso la roccia. Mi guardai attorno per un attimo, vedendo come adesso avevo gli occhi di mezzo paese fissati addosso. Mi asciugai rapidamente le mani sudate sui jeans e le poggiai sull'elsa della spada. Non sapevo perché, ma in quel momento mi tornò alla mente l'immagine della donna di luce sul fondo del lago. Feci un lungo respiro e tirai con tutta la mia forza. Quando mi ritrovai l'arma tra le mani, con la sua lama puntata verso l'alto che scintillava alla luce del sole, faticai a crederci. Nonostante la grandezza, era estremamente leggera, non faticavo minimamente a mantenerla. Mi guardai nuovamente attorno, aspettandomi urla d'esultazione per qualche strano motivo, ma la folla non fece altro che mormorare. Era evidente che non si aspettassero che un ragazzino di tredici anni rubasse la scena a tutti i "cavalieri" lì presenti, e onestamente nemmeno io.

<<Come ti chiami ragazzo?>> sentii chiedermi dall'uomo in armatura.

<<A-Alessandro Drago.>>

<<Lunga vita ad Alessandro Drago, re di Camelot!>> si inchinò. Dopodiché, come se non bastasse per sentirmi a disagio, l'intera folla seguì il suo gesto, in silenzio. Dovevano proprio tenerci al gioco di ruolo pensai, fin troppo. Solo una persona rimase in piedi, e quando capii chi fosse un brivido mi percorse l'intera schiena. Era di nuovo quel dannato vecchio col cappello a punta e la sfera di cristallo. Non ci pensai due volte e corsi via, inoltrandomi nuovamente per le strade del borgo antico. In quel momento un solo pensiero aleggiava nella mia testa: andare via da lì. Corsi a più non posso, nonostante la pesante spada in mano. Non mi accorsi nemmeno di aver fatto la stessa strada di prima, tant'è che rimasi sorpreso quando mi ritrovai di fronte la porta della vecchia casa.

<<Che diavolo, perché no.>> Aprii la porta e mi ci ficcai dentro. Se non mi aveva trovato la prima volta, dubito l'avrebbe fatto una seconda. Mi poggiai con la schiena al muro, spossato per la corsa, e mi lasciai trascinare a terra. La luce del sole entrava dalle fessure della finestra, cadendo proprio sulla lama della spada, donandole un riflesso dorato. Ancora non riuscivo a spiegarmi come avessi fatto ad estrarla, forse gli altri contendenti l'avevano allentata un po'. Doveva essere così. Ripensai alle parole che mi aveva detto quel vecchio pazzo, sulla tavola rotonda e il fuoco di un drago. Le leggende sono solo storie di fantasia, di certo non potevano essere vere, sarei stato uno stupido a credergli. Erano passati altri dieci minuti da quando mi ero nascosto, era arrivato il momento di uscire di nuovo. Attraversai la porta dell'ingresso, e diedi un'altra occhiata al cellulare. Miracolo, finalmente prendeva di nuovo! Gli feci uno squillo e fortunatamente non tardò a rispondere.

<<Ma dove sei finito?>> sentire di nuovo la voce del mio amico per qualche motivo mi rincuorò. Gli volevo spiegare al volo del vecchio mago stalker, della competizione per la spada e di dove mi ero nascosto, ma era evidente che il tempo non era a mio favore. Ero fuori dalla portata della Cola da quasi un'ora, e non volevo immaginare cosa mi aspettasse al mio ritorno.

<<Ti spiego tutto dopo, dove state?>>

<<Siamo in piazza.>>

Mi incamminai nuovamente verso la piazza della chiesa, sperando di tornare a casa il prima possibile. Quella giornata era stata fin troppo movimentata, pure per uno come me. Quando vidi la classe e la professoressa che sembrava ancora impegnata a spiegare dettagli sulle latrine medievali, sentii il peso nel petto alleggerirsi. Possibile che non si fosse accorta della mia assenza in tutto quel tempo? Vidi Luca di soppiatto farmi cenno di avvicinarmi con la mano, e cercai di non farmi scoprire sul fatto che avessi letteralmente un'arma tra le mani.

<<Scusa per l'assenza, ma guarda cosa ho recuperato!>> gli dissi una volta vicino a lui, indicando la lama nascosta in parte sotto la felpa. Luca non ci diede molto peso, sembrava preoccupato.

<<Credevo che avresti perso un minuto o due, non tutto questo tempo!>> mi rispose lui. <<Per poco la prof non ti ha scoperto, sai?>>

<<Hai ragione, sono stato via quasi un'ora, è un miracolo che non sia andata dalla polizia, ma sono stato rincorso da un vecchio fuori di testa, e poi c'era questa competizione in piazza per chi potesse estrarre la spada dalla roccia, e poi...>>

<<Ma di che parli, Ale?>> 

<<Cosa vuoi dire?>> rimasi un attimo confuso da quella domanda.

<<Sei stato via per massimo dieci minuti, e poi eravamo noi in piazza, non c'è stata nessuna competizione.>>

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