Capitolo 2 - Damnati in ludum.

Parlava troppo. Quel Fidel non si era zittito un attimo, continuava a saltare da un argomento all'altro, tutti futili e superficiali allo stesso modo. Erano ancora sotto il porticato a osservare gli altri vampiri che si allenavano. Non voleva credere che fossero felici come sembravano, non voleva fidarsi dell'apparenza; si era sempre immaginato che coloro che finivano schiavi degli umani facessero una vita di miseria e stenti, costretti a lavorare giorno e notte senza cibo né riposo.

«Forza Victor!» qualcuno urlò un incoraggiamento a uno dei combattenti che stavano lottando al centro del piazzale, un ragazzo grosso e piazzato, con un occhio coperto da una benda; stava sfidando una donna alta e corpulenta in uno scontro a mani nude.

«Quei due sono Victor e Patricia, ma ci sarà tempo per conoscere tutti, vieni ti mostro il resto», Fidel gli diede una pacca sulla spalla e lo spronò a proseguire lungo il corridoio. «Queste porte danno sui ripostigli, dove teniamo le attrezzature, oltre al necessario per pulire e le scorte di primo soccorso», indicò le porte scure accanto a loro, che poco spiccavano contro il muro tinto di una opaca tonalità carminio. «Dall'altro lato il porticato speculare a questo porta alle palestre», indicò oltre i vampiri un attimo prima di svoltare in un corridoio interno. Si fermò appena in tempo per evitare di finire contro una ragazza minuta dai capelli biondi raccolti in una coda tirata e abbellita da innumerevoli forcine. L'assenza di cicatrici calamitò il suo sguardo sulla pelle liscia e oliata di lei che li stava fissando con un sorriso poco promettente. Se era una gladiatrice non era possibile che non si fosse ferita neanche una volta e se sulla pelle non c'era una traccia, poteva significare solo una cosa: aveva bevuto del sangue.

«Francine, non è il momento», il vampiro fissò ammonitorio la ragazza.

«Piantala Fidel. Voglio solo conoscere il nuovo arrivato», la bionda sorrise avvenente facendo un passo per accorciare la distanza tra loro. Fidel emise un verso strozzato di disapprovazione.

Fece un passo indietro, a disagio per quella vicinanza. La ragazza si stava rigirando tra le dita una ciocca di capelli; la canotta aveva una scollatura profonda che metteva in mostra il seno tondo. Francine lo seguì e allargò il sorriso compiaciuto. «Guarda che non mordo, a meno che tu non lo voglia—»

«Avrai tutto il tempo di importunare il nuovo arrivato, ora lasciaci andare. A proposito, Ostilio ti sta cercando», Fidel si frappose tra loro sfidando con lo sguardo la vampira, che si allontanò in fretta piuttosto irritata. «Ti do un consiglio prezioso», proseguì rivolgendosi a lui. «Chiudi sempre a chiave le porte», ripresero a camminare.

«Perché dovrei?» esordì sarcastico. Era finito in mezzo a degli sconosciuti che avevano facile accesso a svariate armi, avrebbe chiuso a chiave la porta del bagno anche solo per lavarsi le mani.

«Se non vuoi trovarti Francine in camera da letto o in bagno, ti conviene non dimenticartene», Fidel gli lanciò un'occhiata mordace prima di guardarsi alle spalle, come se avesse paura che la ragazza potesse tornare indietro. «Bene, lungo questo corridoio ci sono i bagni, ma prima ti mostro le camere», proseguirono fino a un corridoio più ampio, costellato di porte in legno scuro. Ognuna di esse aveva qualcosa di diverso, un nome, un cartello, qualcosa che identificava chi vi dormiva dentro.

«Queste sono le stanze in cui dormiamo, niente di ché, ma sono tutte provviste di finestra, scrivania e un ampio armadio. Ne aprì una e gli mostrò l'interno. Quello che per Fidel era "niente di ché", per lui era quasi una reggia, non aveva mai avuto tutto quello spazio. «Questa è la tua. Puoi farci quello che vuoi e queste sono le chiavi», tanto per ribadire il consiglio di prima gli lasciò le due copie in mano. «Nell'armadio c'è già qualcosa, prendi pure quello che ti serve, fatti un bagno e, quando avrai finito, vieni a mensa, sono sicuro che troverai la strada», il biondo gli fece un cenno di saluto e si richiuse la porta alle spalle, lasciandolo da solo nella stanza.

Si guardò intorno, le pareti dipinte color ocra erano alte, anche se prive di qualsiasi decoro; l'armadio occupava buona parte di una delle pareti, le ante scure di legno arrivavano fin troppo in alto, chi sa cosa avrebbe dovuto tenerci lì in cima. Aprì un'anta e si stupì di trovarvi attaccato persino uno specchio, riusciva a vedersi quasi per intero; si osservò il collo: la pelle era rossa, coperta di ustioni e bolle, le catene d'argento erano state una tortura, ma non si sarebbe mai fatto soggiogare dagli umani con tanta facilità. Si sfiorò il collo, chiedendosi per quanto quel segno sarebbe rimasto evidente, senza sangue da bere, sarebbe guarito come qualsiasi umano.

Fissò il riflesso dei suoi occhi rossi, sembravano così stanchi e rassegnati, le occhiaie erano il segno evidente del fatto che non dormiva da giorni, troppo agitato per potersi rilassare; sospirò scuotendo la testa, si concesse un'ultima occhiata per vedere come erano ridotti i propri vestiti: sembravano semplici vestiti, di qualità persino inferiore a quelli riposti nell'armadio, eppure, erano i suoi vestiti, l'ultima cosa che gli rimaneva della sua vita. Non erano niente di eccezionale, ma non erano né una divisa da gladiatore, né un vestito romano, sperò di non dover mai indossare una tunica.

Si decise ad abbandonare lo specchio e osservò i capi riposti con cura: divise scure, scarponi e cinture; lasciò l'anta aperta e continuò a guardarsi intorno: la scrivania era posata in un angolo illuminato dall'ampia finestra, sopra, c'era tutto il necessario per scrivere, ma cosa avrebbe dovuto scrivere e a chi? Un profondo senso d'angoscia gli strinse i polmoni, che sembrasse o meno, era sempre uno schiavo, anche se chi gli stava intorno lo avrebbe trattato bene o se fosse stato felice, rimaneva solo e privo della propria libertà. Aprì i cassetti e dentro trovò solo altra carta e scorte di inchiostro; c'era una candela e il necessario per preparare della ceralacca. In un altro cassetto invece, tra tutti il più capiente, trovò bende, disinfettante, persino ago e filo. Non c'era che dire, il tutto era studiato nei minimi dettagli, gli sembrò di ritrovarsi su un palcoscenico, in mezzo a una tragedia o forse una commedia.

Guardò la finestra poco distante, le grosse sbarre di ferro frantumavano la vista, si avvicinò e guardò fuori: la sua camera dava sulla strada dalla quale era arrivato, ampia e bianca. Uomini e donne, persino bambini camminavano tranquilli, ma c'erano anche schiavi, che venivano guardati con disprezzo. Qualche umano cambiava lato della strada per evitare di passar loro vicino, strinse i pugni e si scostò. Aveva tergiversato abbastanza. Prese tutto il necessario dall'armadio e recuperò le chiavi che aveva abbandonato sulla scrivania, aprì la porta di qualche dito e sbirciò fuori: nessuna traccia di quella bionda psicopatica o di qualche altro vampiro; prese coraggio e uscì richiudendosi la porta alle spalle. Si diresse rapido e silenzioso verso i bagni, imboccò il primo che fosse libero e chiuse la porta a chiave. Una volta sicuro di essere solo, emise un sospiro di sollievo e adagiò gli abiti puliti sull'ampio mobile del lavandino. Quei bagni erano colossali: un'ampia stanza rettangolare e candida, assolutamente bianca. C'erano ben tre lavabi e il mobile che li sosteneva era maestoso; i cassetti e i mobiletti erano ricolmi di asciugamani, spazzole, forbici e altre scorte mediche, un'ampia doccia troneggiava in un angolo oltre l'enorme vasca centrale; i rubinetti lasciavano intendere che ci fosse anche l'acqua calda. Quel luogo così pulito lo fece sentire ancora più sporco, si tolse i vestiti e li gettò in un canto senza sapere cosa ne avrebbe fatto. Avrebbe voluto fare per la prima volta in vita sua un bagno, ma sapeva di non avere il tempo; si buttò nella doccia sotto l'acqua gelida, che lo fece trasalire, ma che in compenso gli restituì quella lucidità che l'intera giornata gli aveva portato via. Pian piano, l'acqua si riscaldò sciogliendogli i muscoli e allontanando la tensione di quei giorni di prigionia. Per un attimo riuscì a illudersi di essere libero, fu solo un istante sfuggente, nel quale poté riassaporare la sensazione della normalità.

Ficcò la testa sotto il getto caldo e lasciò che l'acqua portasse via tutti i residui di terra e sangue dal suo corpo; si fissò il dorso delle mani, coperto di cicatrici nascoste dalla miriade di lentiggini. Prese la spugna e iniziò sfregare con ferocia, sentiva la necessità di grattarsi via quel giorno dalla pelle. Solo quando fu soddisfatto del bruciore che gli solcava la cute, si passò le mani tra i capelli e li lavò con la saponetta, ignorando la sfilza di sali e di saponi che faceva mostra di sé sulla mensola lì accanto, tutti riposti con cura in grosse ampolle di terracotta dipinta.

Quando il sapone prese a colargli sui piedi si gettò sotto l'acqua per sciacquarsi un'ultima volta; chiuse il getto e uscì grondando sul tappeto. Afferrò un panno e iniziò ad asciugarsi, strofinando i capelli con energia; si vestì, quegli abiti scuri erano comodi oltre ogni sua aspettativa. Si guardò allo specchio: aveva un aspetto migliore sebbene le occhiaie non lo avessero abbandonato, i capelli ancora umidi gli ricadevano scomposti sulla fronte. Avrebbe dovuto ritagliarli un po', ma in quel momento non era la sua priorità.

Recuperò i vecchi abiti e le chiavi, aprì la porta del bagno e uscì guardingo in corridoio, tornò in fretta in camera e gettò tutto all'interno. Richiuse la porta, si infilò le chiavi in tasca e tornò indietro, verso la piazza centrale, sperando che Fidel fosse andato in quella direzione. Quando ricomparve sul colonnato, qualcuno era ancora intento ad allenarsi, ma da un'enorme porta a doppia anta, opposta a quella da cui era entrato quella mattina, arrivava un vociare concitato. Si avvicinò e si affacciò titubante: i gladiatori erano seduti intorno a un grande tavolo imbandito con carne e pesce, verdure e vari tipi di pane. L'odore di tutto quel cibo gli aggredì le narici risvegliando una fame che fino a quel momento non si era accorto di avere.

«Vieni avanti ragazzo, nessuno ti farà del male», l'unico vampiro con i capelli brizzolati e dal fisico appesantito per l'età si accorse di lui e lo invitò a entrare, attirando l'attenzione degli altri. «Fategli posto, voialtri», richiamò alcuni dei commensali che gli lasciarono un posto libero accanto a Fidel e gli porsero piatto e posate.

«Grazie», bofonchiò a bassa voce sedendosi.

«Ti conviene parlare forte con me ragazzo, ho preso tante di quelle botte che ormai da un orecchio non ci sento più molto bene», l'anziano gli indicò l'elice sfregiata.

«Ma dall'altro ci senti fin troppo, vero Ostilio?» ribatté una donna; i primi capelli bianchi si facevano vedere e le rughe intorno agli occhi mostravano l'effettiva età, sebbene la bellezza ne ingentilisse i tratti.

«Mai detto di essere sordo del tutto, Mireia», rispose lui alzando un calice pieno di quello che all'inizio gli era sembrato vino, ma dal modo in cui oscillava nel bicchiere era troppo denso. Mentre quell'assurda idea si faceva strada nella sua mente, l'odore gli raschiò la gola: era sangue. L'aroma delle altre pietanze era riuscito a nasconderlo, ma i gladiatori stavano bevendo sangue. Fidel si accorse del suo sguardo bramoso, perché si alzò e gli servì subito un bicchiere.

«È da molto che non bevi sangue, non è vero?» annuì di sfuggita, gettandosi su quel bicchiere senza neanche attendere che toccasse il tavolo. Ingollò l'intero contenuto senza darsi il tempo di riprendere fiato e, come ebbe finito, posò il bicchiere davanti a sé, sospirando soddisfatto. Gli altri lo guardarono con espressioni divertite.

«La prigionia è dura, ragazzo. Per tua fortuna Lucilla ti ha salvato dalle grinfie di Clodio», Ostilio gli sorrise tra un boccone e l'altro.

«Anche questa è una prigione», rispose senza distogliere lo sguardo dal bicchiere ormai vuoto, ma qualcuno rise alle sue parole.

«Di fatto lo è, ma avrai molte più libertà qui che non altrove. La nostra padrona non ha mai fatto niente per reprimerci o renderci inferiori», la cicatrice che solcava il sopracciglio nero della vampira rese la sua espressione ancor più grave. «Ci vuole bene, anche se non potrà mai sciogliere il vincolo di schiavitù che ci lega a questo mondo», il suo sguardo scivolò rapido su alcune facce prima di posarsi sul cibo, sembrava che tutti volessero bene a quella ragazza, ma come potevano accettare una sorte tanto incerta non riusciva a capirlo. Forse soffrivano di una qualche sorta di sindrome. Si servì qualche fetta d'arrosto e un po' di patate al forno.

«Domani vi voglio tutti pronti per un allenamento di gruppo, i prossimi giochi sono vicini e nessuno vuole deludere Lucilla lasciandoci la pelle, dico bene?» Ostilio si schiarì la voce, i gladiatori risposero in coro, tra versi di gioia e lamentele. «A proposito, io come già hai capito sono Ostilio e sono il vostro istruttore. Tu invece, ragazzo, come ti chiami?»

«Lucas», rispose tra un boccone e un altro.

«Ti serve un nome da gladiatore, qualcosa che ti caratterizzi», Ostilio aveva alzato la forchetta sulla quale era infilzato un pezzo di carne e la stava scuotendo per sottolineare il concetto.

«Ho io il nome adatto: Tacito», Fidel sorrise sornione. «Non è un tipo di molte parole», il biondo affogò una risata nel bicchiere.

«Hai ragione, non è molto loquace al contrario tuo», Ostilio sogghignò sarcastico suscitando l'ilarità dei presenti, ma un attimo dopo si fece serio e lo fissò dritto negli occhi. «Voglio che ti sia ben chiaro: i ludi non sono uno scherzo, si combatte per uccidere, è questo che gli umani vogliono. Dovrai allenarti tutti i giorni, anche di notte se fosse necessario», gli occhi di un rosso denso lo scrutarono severi. «Se tieni alla tua pelle, dovrai imparare a essere spietato con coloro che ora vedi solo come dei tuoi simili. Dimenticati che possano risparmiarti per pietà», le espressioni dei presenti erano disgustate e rassegnate. «Gli altri gladiatori sono trattati come bestie, non conoscono gli agi che sono concessi a noi e a pochi altri, la loro sopravvivenza dipende dalla loro bravura e non esiteranno a ucciderti, se questo significa per loro ricevere un pasto caldo in più», il vampiro insisteva a fissarlo, cercando di capire se il messaggio fosse arrivato in maniera corretta. Contraccambiò lo sguardo con un'espressione inflessibile, era giovane non certo stupido, men che meno era un illuso.

«Ho capito», annuì e riprese a mangiare, aveva troppa fame per preoccuparsi di ciò che sarebbe successo in un futuro abbastanza lontano, voleva solo vivere un giorno alla volta.

«Allora Tacito da dove vieni di preciso?» Victor, quello del combattimento di quella mattina, lo fissò con l'unico occhio rosso acceso di diffidenza; lo stava valutando, cercando di capire che tipo fosse e che segreti potesse nascondere.

«Vengo da un paese del sud-ovest», rimase vago, non voleva parlarne. Era troppo doloroso pensare al passato e a ciò che aveva lasciato indietro.

«Quindi dal confine», Victor però non sembrava intenzionato a mollare l'osso. «Eri un soldato?» la domanda arrivò a brucia pelo; squadrò il vampiro, iniziava a non piacergli, con quel mezzo sorriso sul volto, che tutto aveva tranne di allegro, Sembrava una pallida cicatrice su una pelle ancor più pallida. I capelli neri, corti e curati erano forse l'unica cosa che aveva tenuto della sua precedente vita da soldato, non aveva molti più anni di lui, ma qualcosa gli diceva che doveva essersi arruolato per volontà, non per obbligo.

«Ero stato chiamato, ma mi hanno catturato prima», lo fissò dritto in quell'unico occhio, sperando che non facesse altre domande.

«Strano però, non ci sono stati altri attacchi ai civili, che si sappia. Come hai fatto a finire in mani nemiche se non eri al fronte?» un vampiro che fino a quel momento era rimasto zitto con la testa ficcata nel piatto, si era intromesso, fissandolo sospettoso. Strinse il pugno intorno alla forchetta, non si sarebbe fatto insultare da degli sconosciuti, non avrebbe accettato neanche una velata allusione alla possibilità che fosse un disertore o peggio.

«Ormai è difficile capire con certezza dove arriva il fronte, ci sono zone in cui di giorno girano gli alleati e di notte i repubblicani. Sono stato preso di sorpresa da un gruppo di umani in ricognizione», si impose di sembrare calmo e riprese a pulire il piatto con il pane, ormai era pieno, ma sentiva lo stomaco ancora insoddisfatto.

«Lasciatelo stare, si vede che non vuole parlarne. Nessuno di voi era così socievole il primo giorno, o ve lo siete dimenticati?» Mireia bloccò sul nascere ogni altra domanda, poi tornò a rivolgersi a lui. «Per oggi nessuno pretende che tu ti alleni, puoi riposarti o fare ciò che preferisci, da domani invece inizierai l'addestramento. Ostilio non scherzava, i ludi sono vicini e lì vale la legge del più forte», la donna gli sorrise prima di salutare e uscire dalla mensa. Non era affatto un'idea malvagia quella di riposare, iniziava a provare curiosità per quei suoi nuovi compagni, ma dopo essersi rimpinzato, era il turno del proprio corpo di farsi sentire: le ferite bruciavano e sentiva braccia e gambe pesanti. Sarebbe stato capace di addormentarsi lì sulla sedia, quindi decise di ritirarsi nella propria camera.


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