Capitolo 13 - Ludi.

Il primo giorno dei ludi era arrivato. Sospirò ripensando alla fiumana che ingombrava le strade del centro. Cittadini di tutte le estrazioni sociali che speravano di trovare ancora qualche posto libero per assistere ai giochi. Il carro che le aveva portate fin lì aveva fatto una fatica indicibile per raggiungere la destinazione. Per fortuna però erano arrivate e potevano godere dell'ombra e del silenzio dei vomitoria dedicati alla nobilitas.

«Finalmente siamo arrivate.» Basilea sbuffò, sistemandosi una ciocca corvina sfuggita dall'acconciatura.

«Già.» rispose distratta, avviandosi per i corridoi sperando che nessuno le raggiungesse pretendendo di conversare lungo tutto il tragitto che le avrebbe portate allo spalto dedicato a tutti i proprietari dei gladiatori.

«Lucilla.» l'amica si fermò, obbligandola a voltarsi. «Hai i migliori gladiatori di tutta la Repubblica, vedrai che vinceranno.» sorrise a Basilea. Dannazione, tra le due quella forte era lei. Sarebbe dovuta essere lei a rassicurare Basilea, che sicuramente avrebbe fatto di tutto per trattenere le lacrime durante i giochi, che si sarebbe dileguata con una scusa, per evitare che gli altri la vedessero piangere per la morte di uno dei suoi gladiatori o semplicemente per un vampiro che aveva conosciuto. Eppure gni volta era la solita storia. Era diventata ciò che era, ma non certo per la sua spietatezza. Le stavano a cuore i suoi gladiatori, erano amici e confidenti, che mai avrebbe voluto vedere trafitti da un gladio o smembrati da un animale. Fino ad allora era andata bene, ma la Fortuna è cieca. Per quanto la dea bendata sarebbe rimasta a suo favore? Sospirò e riprese a camminare. Finiva sempre così, si consolavano a turno. Lei con la mente sovraffollata di pensieri negativi, senza però che riuscisse a versare neanche una lacrima, Basilea sorridente, ma che avrebbe pianto fino a farsi venire un mal di testa terribile.

«Vorrei solo che questo paese cambiasse.» i loro passi rimbombavano tra le pareti di pietra, ma ad ogni metro che guadagnavano, le grida dei molti spettatori si facevano più forti.

Prima di affacciarsi sul balcone e incontrare i volti irritanti degli altri, si fermò e prese un respiro profondo. Stirò le labbra in un sorriso, pronta per l'ennesima recita durante la quale avrebbe dovuto sorbirsi in silenzio le frecciatine e le battute altrui.

«Andiamo.» Basilea le sorrise a sua volta e uscirono.

«Lucilla! Pensavamo che ti fossi persa nella calca!» Domitilla alzò il calice ricolmo di vino in segno di saluto. La donna era sdraiata su un triclinio, che si godeva le prelibatezze offerte dall'organizzazione dei ludi.

«Non potrei mai perdermi i miei gladiatori che fanno a pezzi gli avversari.» le sorrise cordiale, ma sapevano bene entrambe l'astio che nascondeva quella battuta. Gli altri presenti risero, portando avanti la commedia.

«Prego, sedetevi pure.» Marco Valerio si inchinò leggermente, attendendo che fossero sedute entrambe, prima di imitarle ed offrire loro da bere. «Ragazzo, un po' di vento!» l'uomo gesticolò irritato in direzione di un giovane vampiro che avevano lasciato lì con un enorme ventaglio per fare aria. Il ragazzino si avvicinò scattante, come se qualcuno lo avesse punto. Prese a fare aria per rinfrescarli. Era mattina, ma l'afa si faceva già sentire. Era un giorno piuttosto umido e certo non aiutava.

«Siete state davvero fortunate mie care. Nessuno dei vostri vampiri si scontrerà.» Marco Valerio riprese a parlare. Lo osservò lisciarsi la barba, in attesa di una risposta.

«Sì, decisamente fortunate.» convenne con lui, bevendo un po' del vino che le avevano offerto. Detestava bere di prima mattina, ma ancor più avrebbe detestato ascoltare loro che tentavano di convincerla a farlo.

«Pensare però com'è capricciosa la Fortuna! Se solo ti fossi rifiutata di fare a cambio di biglietto con Marco Valerio, Lucilla, avresti potuto scegliere i tuoi gladiatori.» Domitilla sorrise viperina. Strinse la presa sul calice per riuscire a mantenere la calma.

«Già, allora sì che avrei tenuto tra le mie mani la Vittoria.» sorrise tagliente.

«Pensavo che mi sarei trovata come un pesce fuor d'acqua qui nella Capitale. Un gruppo così ben consolidato di lanisti avrebbe fatto fronte unito contro un'estranea come me, ma vedo che anche voi avete le vostre beghe.» una donna mora si era avvicinata a loro. Il fisico formoso era contenuto a stento nel vestito crema che indossava. Ai polsi portava anelli d'oro e di rame. Aveva accolto in pieno lo spirito lussuoso della Capitale.

«Devi essere Poppea Claudia, la nuova lanista. È un vero piacere conoscerti.» Domitilla glissò sul commento e allungò una mano alla donna perché gliela stringesse. Forse non si sarebbe sentita un pesce fuor d'acqua, ma era sicura che ognuno dei lanisti a modo proprio avrebbe tentato di farla desistere dal suo intento di ingrandirsi proprio nella Capitale. Loro erano tutti appartenenti a delle gentes originarie di quella città, erano bene o male tutti senatori o possedevano cariche d'altro genere. Lei invece? Era solo un volto ed un nome. Figlia di nessuno. Almeno dal loro punto di vista.

«So che i tuoi vampiri, Felix e Tacitus si scontreranno con i gladiatori di Domitilla.» Memmio riprese il discorso interrotto, lasciando Poppea a bocca asciutta. Quell'uomo amava mettere zizzania e non sopportava che qualcuno gli sottraesse quel piccolo piacere.

«Ah, sì. Sono capitati nello stesso girone. Sarà una sfida interessante.» Domitilla sorrise nervosa, rigirandosi una ciocca bionda tra le dita.

«Decisamente uno scontro interessante, soprattutto visti i precedenti tra Zack e il piccolo Manuel!» Clodio sbucò prendendoli tutti di sorpresa. Il suo palco d'onore era poco distante, ma era passato come suo solito a salutarli.

«Precedenti che hai contribuito a creare.» ironizzò col sorriso stampato in faccia, ma Clodio sapeva che la sua era una vera e propria accusa. Lo vedeva dai suoi occhietti neri che, al contrario del sorriso, erano fiammeggianti.

«Si sono decisi ad iniziare!» fu l'unico commento che riuscirono a strappare a Settimio. Il vecchio non amava particolarmente i loro battibecchi mascherati da complimenti.

Si zittirono tutti, anche gli altri lanisti seduti più in là. Clodio si godette la presentazione in piedi insieme a loro. Da un palco nascosto, si udì la voce potente del presentatore, che iniziò ad introdurre la prima giornata dei ludi.

«Spettatori! Signore e signori, finalmente è arrivato il momento! Sono felice di inaugurare questa edizione dei ludi con i combattimenti tutti contro tutti!» l'intera cavea scoppiò in un boato così forte che i triclini sotto di loro tremarono. Il vino nelle coppe ondeggiò e l'argenteria tintinnò contro il tavolino. «Che entrino i gladiatori del primo girone!» il boato si intensificò ancora.

A stento si sentì il rumore degli ingranaggi che sollevarono le grate degli ingressi. Dalle arcate distribuite lungo tutto il perimetro dell'arena uscirono i gladiatori. Uomini e donne appesantiti dalle armature apparvero sotto il sole inclemente. I raggi riflessi sul metallo resero difficile riuscire a distinguerli. Sembravano lucciole incattivite che avrebbero lottato per diventare l'unica fonte di luce. Osservò i vampiri fare qualche passo nella sabbia, iniziando a percuotere gli scudi in legno e ferro con i gladi. Incitavano il pubblico prima del segnale d'inizio, urlando e voltandosi su se stessi per osservare l'enorme platea che gioiva. Al centro, la rastrelliera con le altre armi luccicava solitaria, in attesa che venisse alleggerita.

Il corno prese tutti di sorpresa. Il segnale acustico sovrastò per pochi istanti ogni altro rumore, poi fu il putiferio. I gladiatori scattarono sollevando nuvole di sabbia. Ognuno si avventò contro qualcuno e non ci volle molto perché ci fossero i primi morti. Avevano a disposizione troppo brevi istanti per decidere chi tra i due che li affiancavano fosse il meno pericoloso, chi sbagliava a valutare, finiva tradito alle spalle.

Seguì con fatica la chioma bionda di Francine, che sgusciava al pari di un'anguilla tra un avversario ed un altro. I gladi cozzarono più di una volta contro le armature e ogni volta che accadeva, un sussulto percorreva la platea. I gladiatori si separarono in piccoli gruppi, stringevano brevi alleanze che infrangevano poco dopo aver eliminato il problema comune. Quello era un celere riassunto di ciò che accadeva ed era sempre accaduto. Che si trattasse di schiavi disperatamente attaccati alla vita o di intere nazioni in cerca di gloria, l'esito non era dissimile. Crollavano tutti tranne uno. La legge del più forte, homo homini lupus, comunque lo si volesse chiamare. Seguì lo scontro senza guardare veramente, osservava armature ed elmi mischiarsi e alternarsi, con i riflessi del sole che coprivano le scene più cruente. Francine sembrava danzare, piroettando senza sprecarsi in movimenti superflui. Il suo era un ballo scattante e aggressivo. Fulminea come un dardo scoccato da un arco, parava e colpiva micidiale come una macchina. Non era mai riuscita ad andare d'accordo con lei e spesso aveva dovuto ammonirla, ma la sua bravura era innegabile. A volte le faceva persino paura. Sembrava quasi che godesse nel dispensare morte. Le labbra si distendevano in un mezzo sorriso ogni volta che combatteva. Durante gli allenamenti perdeva l'allegria non appena si fermava, come se non dare il colpo di grazia la facesse sentire incompleta, come se le impedisse di raggiungere il piacere.

Francine raggiunse la rastrelliera, ma dovette scansare un colpo che finì proprio addosso a quella. Le armi, prima ordinatamente riposte sulle mensole di legno, giacevano a terra, mezze sommerse dalla sabbia. Fu rapida, nel momento in cui si abbassò, afferrò un pugnale e lo lanciò contro il proprio avversario. La lama trovò la carne un soffio sopra l'armatura. Penetrò i tessuti con facilità, raggiungendo la trachea. Il vampiro tossì fiotti di sangue, crollando a terra privo di vita. Francine gli passò sopra senza alcuna misericordia, sfilò il gladio dalla presa ancora stretta della mano e lo lanciò falciando un altro avversario. Non ebbe il tempo di prendere altre armi che fu assalita da un'altra vampira. La donna si era gettata contro di lei urlando. Era in quei momenti in cui i vampiri sembravano vere bestie assetate di sangue, capaci di uccidere i propri simili, solo per puro piacere. Eppure non era così. Quella era solo una realtà distorta ricreata dagli umani, da loro senatori, per far vivere il popolo nell'illusione di una minaccia inesistente.

Francine uscì vittoriosa anche da quello scontro, ormai aveva perso l'elmo e la sua impeccabile armatura era lorda di sangue. Sfilò il gladio dalla schiena dell'altra e si gettò senza esitare contro un altro avversario. C'era persino un ragazzino. Per un attimo alla sua immagine si sovrappose quella di Fidel. Ricordò i suoi primi ludi, aveva rischiato di morire, letteralmente, la morte lo aveva evitato per un pollice. Il ragazzino nell'arena era ancora vivo, contro ogni ragionevole aspettativa, ma la stanchezza era visibile, ormai i suoi movimenti erano lenti e imprecisi. Osservò Francine che si faceva largo tra i vampiri, sfruttando le armi dei caduti e persino gli elmi. Lanciava la ferraglia addosso agli avversari per distrarli, prima di sferrare il suo colpo, preciso e letale. Arrivò alle spalle del ragazzino, ormai privo di scudo e di elmo. Il giovane vampiro era bloccato sotto la pressione di un altro avversario, che stava cercando di calare il gladio su di lui. La bionda fece fischiare la lama, recidendo i tendini delle ginocchia del ragazzo, che cadde a terra urlando di dolore. Ricevette il colpo di grazia dall'altro uomo, ma un istante dopo, anche lui era a terra, il gladio di Francine conficcato nella cassa toracica dalla fessura sulla spalla.

Basilea si alzò e si nascose all'ombra del corridoio. Avrebbe voluto seguirla e consolarla, ma avrebbe solo attirato l'attenzione degli altri su di lei. Non voleva che tutti la additassero come una debole, non meritava che le parlassero dietro. Percepì la fastidiosa presenza di Clodio svanire, forse si era accorto di Basilea e l'aveva seguita. Si trattenne dall'alzarsi per andare a controllarlo. Detestava le sue appiccicose attenzioni per la sua amica, ma doveva ammettere che si era sempre comportato con estremo rispetto. Tornò con l'attenzione sull'arena. Il corpo del ragazzino giaceva steso nella sabbia, il volto era coperto di sangue e di granelli raggrumati. Poteva esserci Manuel al suo posto. Sarebbe potuto succedere a Fidel. Era figlio di qualcuno. Forse i genitori avevano avuto la sfortuna di essere lì da qualche parte a vederlo morire, o forse tremavano nella casa di qualche nobile per l'angoscia che li attanagliava, sapendo che il loro bambino era lì a combattere. O forse ne erano totalmente ignari, forse ancora nelle Colonie, pregando ogni giorno di veder tornare il figlio. Erano tutte morti inutili, morti con le quali dovevano imparare a convivere. Sentiva il proprio cuore ogni giorno più pesante e i ludi erano una pugnalata che non poteva evitare. Nonostante quello però sapeva che la sua sola presenza avrebbe potuto fare la differenza per qualcuno. Era stata e avrebbe continuato ad essere la speranza per pochi. Poche anime, ma la cui vita era inestimabile.

La cavea scoppiò in un boato assordante. Per la seconda volta le coppe tintinnarono e i triclini tremarono. Focalizzò l'arena. Francine era l'unica ancora in piedi. Stava incitando la folla, gridando e gesticolando.

«Ebbene il primo giro lo hai vinto tu, Lucilla.» Memmio scolò il bicchiere e se ne versò un altro.

«Come hai detto tu, è solo il primo giro.» rispose atona. Non c'era gioia in quella vittoria.

«Sei l'unica lanista incapace di gioire della vittoria dei propri gladiatori! Sicura che non preferiresti veder morire Francine? Non l'hai mai amata molto.» Domitilla si era sporta verso di lei, suscitando le risate degli altri.

«Perché privarmi di una gladiatrice così abile? Non lascio che le simpatie offuschino il mio giudizio.» sorrise acida alla bionda.

«Che ne dite di andare a infastidire qualcuno, mentre ripuliscono l'arena per il prossimo scontro?» Clodio tornò tra loro accennando agli schiavi che avevano il compito di spostare i cadaveri e sistemare l'intera area.

«Ma certo, andiamo a trovare i nostri colleghi senatori.» Domitilla si alzò con eleganza e si avviò verso il corridoio seguita dagli altri.

Lucilla rimase indietro con Basilea, loro sarebbero andare a trovare Celio, sempre che non fosse sparito per divertirsi con qualcuno.

«Tutto bene?» le sorrise, appoggiando una mano sul suo braccio. Basilea annuì contraccambiando lo sguardo.

«Ora sì.» gli occhi chiari erano ancora rossi. «Era solo un ragazzino. Non doveva essere lì.» a stento annuì alle parole di Basilea. Avrebbe voluto dirle che aveva ragione, ma con che coraggio se era la prima ad avere un ragazzino tra i propri gladiatori? Avrebbe potuto fare in modo che Manuel finisse tra la servitù, evitandogli quel destino, ma non lo aveva fatto.

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