Capitolo 1 - Arena.

Noia. Pura noia. A Lucilla non erano mai piaciute le riunioni. L'enorme sala in cui si riuniva il Senato pullulava di patrizi che non riuscivano a stare zitti: persino mentre era il Princeps Senatus a parlare, il brusio non spariva mai del tutto. Li osservò, come piccole zanzare, agitarsi sui propri posti. Le sedie di legno imitavano il marmo, materiale pregiato, ma di certo scomodo, se i propri culi dovevano rimanere ancorati lì per ore. L'andamento circolare della sala, come quello di un anfiteatro, rendeva l'acustica ottimale; gli spalti, quelli sì, erano rivestiti con grossi blocchi di marmo bianco, le esili scrivanie seguivano l'andamento curvilineo dell'ambiente, lì dietro i senatori attendevano con malcelata impazienza che il discorso infarcito di vuota retorica terminasse.

Da lì in cima aveva una visuale ottima su tutta la sala e sul Princeps, che argomentava gongolando nella sua toga pregiata: Porcio della Gens Iulia, la gens che più delle altre credeva di avere il diritto di governare, ma Porcio non era certo uno dei membri più svegli; era solo una pedina necessaria a monopolizzare le cariche della Repubblica. Arricciò le labbra disgustata.

Accanto a lei, i principali componenti delle altre quattro gentes maiores attendevano come statue greche che quella riunione terminasse; sotto di loro, negli anelli più bassi, c'era la nobilitas, esponenti delle gentes minores.

Ne avrebbe fatto anche a meno di starsene là, ma ormai era lei la capofamiglia, mater familia di una casata in rovina, ma mai avrebbe concesso la soddisfazione agli Iulii, ai Caecilii, ai Fabii e agli Octavii di vedere la sua gens cadere. Avrebbe mantenuto il controllo e avrebbe trovato un modo perché il suo cognome non finisse con lei.

«Con questo per oggi è tutto», la voce bassa e rauca terminò il discorso. La folla di senatori iniziò a disperdersi, trascinando le sedie e riprendendo le conversazioni che erano state lasciate a metà.

I corridoi erano ostruiti dalle persone che si accalcavano per uscire il prima possibile. Avrebbe voluto essere già fuori, ma sapeva che sarebbe stato inutile tentare di guadagnare l'uscita; rimase seduta osservando la fiumana.

«Lucilla!» una voce squillante la riportò alla realtà. Sorrise voltandosi verso la folla, una figura alta e snella stava cercando di raggiungerla muovendosi controcorrente in mezzo alla calca di senatori. I ricci neri rimbalzavano sulle spalle come molle e gli occhi azzurri luccicavano di gioia: Basilea Flavia, amica fidata e capofamiglia di una delle gentes minores.

«A cosa è dovuto tutto questo entusiasmo?» le sorrise canzonatoria alzandosi in piedi. L'amica la abbracciò stringendola con forza. «Allora, perché sei così felice?» la squadrò sapendo che tutto quel brio nascondeva qualcosa. Si presero sottobraccio e scesero i gradini per uscire con calma dal palazzo, Basilea le sorrise gongolante, trascinandola per la strada affollata. I ciottoli allisciati dall'usura premevano sotto i sandali.

«Ho sentito che sono appena arrivati nuovi prigionieri dal fronte. Sono molti e molto belli. Pensavo di andare a dare un'occhiata, magari mi puoi dare qualche consiglio su come scegliere i migliori gladiatori», Lucilla rise. L'amica era troppo affascinata dai vampiri e troppo attratta da qualunque bell'uomo, ma le aveva promesso di insegnarle a valutare i vampiri, per portare avanti la piccola scuola gladiatoria del padre. Nessuno meglio di lei sapeva che era importante scegliere con cura chi portarsi in casa e l'amica, a differenza sua, non si era mai occupata di quell'aspetto; il padre aveva sempre gestito in prima persona l'acquisto dei vampiri.

«Va bene, andiamo all'asta. Anche se Illirico non sarà affatto felice di vedermi», sbuffò divertita.

«Perché mai? Compri sempre tanti schiavi da lui», la mora la guardò con un sopracciglio alzato.

«Dice che spavento gli altri compratori. A quanto pare si è sparsa la voce che mettersi contro di me è rischioso», sorrise imitando un'espressione losca; anche se quelle erano tutte dicerie, si divertiva a entrare nella parte.

«Fandonie! Sei sempre stata onesta, giusto?» diede una leggera spallata all'amica. La adorava, sempre pronta a difenderla anche quando era colpevole.

«Non ho mai fatto niente di disdicevole. La cosa peggiore che abbia mai fatto è stato continuare a rilanciare per far pagare di più a Clodio», scoppiarono a ridere, non era certo niente di scandaloso.

«Siamo arrivate», Basilea trattenne un guizzo di gioia davanti al vecchio anfiteatro in cui si tenevano le aste; entrarono e percorsero uno dei vomitoria: sulle gradinate in pietra gialla della cavea erano seduti gli astanti, presero posto in basso, dove potevano vedere meglio i prigionieri nell'arena.

Erano anni che la Repubblica combatteva contro le Colonie e, più guardava i resoconti della guerra, più le venivano in mente le conquiste galliche: Cesare che tentava di sottomettere i barbari. Divide et impera! Era quello che stavano facendo anche loro, tentavano di annientare e sottomettere quelle neonate nazioni, che loro chiamavano solo Colonie.

«Signori e signore, l'asta è aperta!» tuonò Illirico in mezzo alla sabbia. Quando la vide tra gli spalti, il suo volto bruno si arricciò in una smorfia infastidita; tornò vicino all'alto panchetto dove aveva posato i suoi appunti, scansò le trecce brizzolate dalle spalle e fece cenno a un mercenario che sparì nell'ombra delle gallerie. L'uomo tornò alla luce del sole poco dopo con la prima prigioniera. Era poco più che una ragazzina. Qualcosa nel suo petto si rivoltò, ma, come ogni volta, si ripeté che non poteva farci nulla, non avrebbe mai potuto salvare ogni singolo vampiro.

Osservò la pelle diafana, arrossata sui polsi dalle manette d'argento che i mercenari si divertivano a usare senza necessità; le grandi iridi scarlatte saettavano da un astante all'altro, il terrore che le attraversava le rendeva liquide e ancora più lucenti. I capelli biondi le ricadevano spettinati sulle spalle esili; il corpo era un po' emaciato, ma trasparivano le forme gentili, i fianchi morbidi e il seno tondo. Quell'aspetto era il suo biglietto di sola andata per l'inferno. Sarebbe stata contesa tra qualche libidinoso privato e Clodio, il proprietario della Domus Voluptatis, il grande e lussuoso bordello della città; lì, chiunque avesse soldi a sufficienza, poteva trovare un'ampia scelta di giocattoli con cui divertirsi e soddisfare i desideri più licenziosi. Per le stanze dell'enorme villa capitava di trovare anche alcuni umani, tutti coloro che per vie traverse erano divenuti schiavi ed erano stati venduti all'asta.

Clodio alzò la mano contendendosi la ragazza con un componente della gens Fabia, rilanciarono qualche volta, ma alla fine il nobile si arrese.

«Venduta a Clodio Octavio, proprietario della Domus Voluptatis!» osservò l'uomo sorridere soddisfatto.

«Disgustoso. Quell'uomo tratta i suoi schiavi come fossero oggetti», Basilea lo guardò, mentre quello gioiva dell'acquisto.

«Il prossimo schiavo è un soldato», Illirico indicò l'uomo con un gesto teatrale, un vampiro con i capelli brizzolati, alto e muscoloso; gli occhi rossi erano scuri, quasi marroni e i lineamenti duri lasciavano trasparire una quieta rassegnazione al proprio destino. Sarebbe di sicuro diventato un gladiatore o un manovale.

«Questo? Sembra essere adatto», la mora le si accostò sussurrandole nell'orecchio.

«Non devi solo guardare l'aspetto fisico, devi imparare a carpire il più possibile del loro carattere», lo indicò con un cenno del mento. «Dall'aspetto e dall'età deve essere un soldato navigato, forse era un comandante, abituato a dare ordini, non a prenderli», non poteva esserne certa, ma quella pacatezza la inquietò. «Di rado un prigioniero si rassegna così facilmente alla propria condizione, quindi diffida sempre di chi sembra troppo tranquillo e a proprio agio», l'amica annuì, osservando l'uomo che era stato venduto a un altro astante.

«Andiamo avanti. Ecco a voi il pezzo forte di questa mattina!» Illirico indicò due gemelli che si abbracciavano a vicenda, un maschio e una femmina. I capelli rossi e ricci della stessa identica tonalità incorniciavano i volti tondi coperti di lentiggini; gli occhi rossi erano inondati di lacrime, ma i bambini non osavano gridare, né supplicare.

«Oh dei», Basilea si portò le mani alla bocca, turbata. Le offerte si susseguirono numerose, in una ferrea contesa.

«E uno, e due...» Illirico stava per chiudere l'asta, quando l'amica alzò la mano e rilanciò. Attesero qualche istante, ma nessuno ribatté.

«Venduti a Basilea Flavia», Illirico sembrò soddisfatto dalla cifra.

Lucilla la guardò di traverso, sapeva che aveva un cuore troppo tenero, ma se voleva aiutare in maniera concreta i vampiri, non poteva farsi prendere dal sentimentalismo.

«Mi dispiace Lu, ma non potevo. Proprio no», la ragazza la guardò negli occhi, puntandola con le sue iridi azzurre. Non riusciva ad arrabbiarsi con lei, non ne era proprio capace.

«Non importa, ma ricorda che quando si ha a che fare con i gladiatori si deve fare molta attenzione ai soldi che si investono», distolse lo sguardo e tornò a fissare l'arena. Era stato portato un altro prigioniero: un ragazzo pallido e ricoperto di lentiggini, con i capelli neri appiccicati alla fronte sudata e gli occhi cremisi ricolmi di rabbia. In quattro lo tenevano fermo con le catene d'argento legate ai polsi e alle caviglie, la pelle era ustionata. Non voleva arrendersi all'idea di essere stato catturato, lottava con tutto se stesso nel tentativo di guadagnare una libertà inutile.

«Quindi devo supporre che lui...» l'amica indicò il ragazzo che si dimenava con l'indice smaltato. «... non sia affatto una buona scelta», terminò concentrata a squadrarlo da capo a piedi.

«No esatto, non è una buona scelta per i principianti», la guardò e sorrise sorniona. Alzò la mano e fece un'offerta, ma il riso le si spense quando si accorse che anche Clodio era interessato.

«Bastardo approfittatore», sibilò guardandolo truce. Doveva immaginarselo. Quel prigioniero non era solo perfetto come gladiatore, era bello, di quella bellezza che suscitava con forza l'interesse altrui, ma doveva aggiudicarselo. Non si sarebbe fatta soffiare un affare per la seconda volta. Alzò la sua offerta e così fece Clodio. Nel frattempo si mise in mezzo anche una donna. Ci mancava solo lei. No. Doveva spuntarla. Non le importava della spesa, i suoi gladiatori erano in forma e vincevano spesso portandole un enorme guadagno. Alzò ancora.

«Diecimila e uno, diecimila e due... venduto a Lucilla Sabinia, Signora dei Gladiatori!» Illirico la indicò con il suo modo di fare esagerato, le trecce gli rimbalzarono sulla schiena. Gli occhi del vampiro si posarono su di lei trasudando odio. Non sapeva quanto era stato fortunato.

«Direi che da questa asta ho imparato a sufficienza e vorrei portare a casa quei poveri bambini il prima possibile», Basilea le posò una mano sul braccio, delicata.

«Certo. Anche io devo portare a casa un acquisto impulsivo e credo che ci vorrà un po'», le sorrise complice.

Lasciarono gli spalti e sfilarono silenziose per il vomitorium, scesero le scale che portavano sotto la cavea, dove c'era l'addetto al rilascio degli schiavi venduti.

«Buongiorno Logan», salutò il vampiro, che ricambiò il sorriso, mostrando i canini limati.

«Buongiorno signore», fece loro un cenno col capo. «Era un po' che non ti vedevo da queste parti Lucilla. Sono duri a morire i tuoi gladiatori, eh?» il biondo rise mentre controllava che tutto fosse in regola. Si fece portare i bambini.

«Questa è la vostra nuova padrona», trattò i bambini come se non fossero della stessa specie. Dopo tanto tempo passato con gli umani, alcuni finivano per assimilarne la cattiveria, un modo come un altro per proteggersi dal dolore.

Basilea sorrise ai bambini, inginocchiandosi per arrivare alla loro altezza; li accarezzò, scostando i capelli dai loro volti arrossati, baciò con delicatezza i loro polsi ustionati, poi li prese per mano.

«Devono ancora essere limati i denti, fatelo appena potete altrimenti una qualunque sanzione ricadrà su di voi», ormai Logan ricordava tutto a memoria, regole, avvisi e sanzioni; sciorinò una serie di informazioni per lei e poi passò alle carte per il ragazzo.

«Ti dispiace se ti lascio da sola, Lu? Voglio portarli a casa e farli mangiare, devono essere affamati», come poteva negare qualcosa a quel viso da dea? Gli occhi azzurri erano così espressivi da far male.

«Non ti preoccupare, me la caverò», le fece l'occhiolino, l'amica mimò un ringraziamento e si allontanò uscendo in mezzo alla strada affollata.

«Spero che tu abbia qualcuno dei tuoi scagnozzi al seguito o non riuscirai ad andare da nessuna parte con il tuo bel gladiatore», Logan le parlava con gli occhi ancora fissi sulle carte.

«Lasciatemi!» sentì la sua voce prima ancora di vederlo comparire da dietro la porta sbarrata, emetteva versi di protesta, intervallati da respiri rabbiosi e affaticati. I quattro mercenari lo tirarono dalle catene che gli cingevano anche il collo.

«Ora basta», non avrebbe permesso che un trattamento del genere proseguisse oltre. «Slegatelo», gli uomini la guardarono increduli, persino il vampiro aveva diminuito la forza con cui si dimenava.

«Non credo sia sicuro per voi—» iniziò uno dei carcerieri. Alzò una mano per interromperlo e scosse la testa, paziente.

«So bene cosa faccio; toglietegli le catene», gli uomini annuirono e iniziarono a liberare il prigioniero. Uno di loro lo teneva sotto tiro con una balestra nel caso avesse tentato di fuggire o, peggio, di aggredire qualcuno, ma, una volta libero, il vampiro non si mosse. Lo osservò: la diffidenza trasudava dai suoi occhi rossi, che la fissavano in attesa. In quel momento in cui aveva la libertà non sembrava più in vena di tentare una fuga impossibile.

«Come ti chiami?» lo guardò alzando un po' il mento. I capelli acconciati con spille e retine d'orate, rimasti fino a quel momento raccolti su una spalla, le scivolarono dietro, ricadendo sulla schiena scoperta.

«Dai dati raccolti...» Logan aveva iniziato a parlare sfogliando le carte alla ricerca del nome, ma lo fermò.

«Non ho chiesto a te, ho chiesto a lui», tornò con lo sguardo sul ragazzo che la stava osservando torvo; stava valutando se risponderle o stare zitto.

«Lucas, mi chiamo Lucas», sorrise soddisfatta.

«Bene Lucas, andiamo?» non attese risposta e gli diede le spalle suscitando l'agitazione dei presenti. Camminò flemmatica verso l'uscita, sapeva che Lucas non la stava ancora seguendo; era rimasto immobile a osservarla tra i suoi carcerieri. Poco dopo però la affiancò, seguendola per la strada affollata dai cittadini impegnati nei propri lavori. Il moro ben più alto di lei si osservava intorno spaesato. Seguì il suo sguardo che percorreva dubbioso gli edifici che li circondavano, doveva aver sentito solo vaghe storie, forse reputate più false che vere, riguardo alle città della Repubblica; dopo un po' tornò a tirarle occhiate furtive.

«Cosa ti fa credere che non ti aggredirò?» le mormorò senza farsi sentire dai passanti.

«Preferivi finire nelle mani di Clodio e farti limare i canini?» gli chiese osservando la bottega di ceramiche dall'altro lato della strada; si voltò verso di lui, che la fissava interrogativo con le labbra arricciate in una smorfia disgustata. Era chiaro che fosse ignaro di tutto.

«Tutti gli schiavi che finiscono a fare un lavoro diverso dal gladiatore vengono obbligati alla limatura dei canini per evitare che possano aggredire e dissanguare qualcuno. Benvenuto nella Repubblica!» eseguì un gesto teatrale allargando le braccia e indicando tutto intorno a sé.

«Che fine fanno i prigionieri comprati da quel Clodio?» Lucilla si lasciò sfuggire una smorfia contrariata.

«Se fossi finito nelle sue mani, saresti passato dal letto di una donna insoddisfatta a quello di qualche uomo in cerca di svago», sbirciò la sua espressione crucciata. «Tra qualche giorno mi ringrazierai per averti sottratto alle sue grinfie. Da come ti guardava avrebbe voluto essere il primo—»

«Dovrei ringraziarti perché mi mandi a morire?» la voce si fletté sotto il peso del sarcasmo tagliente, gli sorrise divertita.

«Sono anni che i miei gladiatori non muoiono e se non mi credi, sarai libero di chiedere a loro non appena arriveremo a casa.»

Il vampiro decise che la conversazione era finita e rimase in silenzio per il resto del tragitto, finché non imboccarono un largo viale di acciottolato che conduceva verso la zona residenziale. Gli ampi giardini dividevano tra loro le abitazioni dalla classica forma rettangolare.

«Siamo arrivati», sorrise davanti all'abitazione. Salì i gradini e attraversò il portico colonnato che costeggiava il perimetro. Entrarono dall'ampio ingresso e raggiunsero l'atrio luminoso al cui centro, sotto il lucernario, c'era la vasca nella quale nuotavano pesci rossi e bianchi.

«Lucilla!» la sorella comparve dal salotto adiacente e le corse incontro abbracciandola; la sottile tunica bianca si gonfiò seguendo i suoi movimenti.

«Androsilla», la strinse e le diede un bacio sulla guancia rosea. «Dov'è Adelina?» sciolse l'abbraccio e si guardò intorno.

«Eccomi signora!» la povera serva era arrivata tutta trafelata, incapace di stare al passo della ragazzina. Le ciocche d'ebano erano sfuggite dall'alto chignon e la veste era tutta stropicciata.

«Lui chi è? Un nuovo gladiatore?» Androsilla si mise di fronte a Lucas e gli sorrise guardandolo dal basso in alto senza timore. Adelina non riuscì a trattenere un verso preoccupato, ma il vampiro era troppo preso dallo stupore per poter reagire. La sorella scansò una ciocca bionda da davanti agli occhi e gli tese la mano.

«Io sono Androsilla Sabina Amata, qual è il tuo nome?» il guizzo che attraversò le sue sopracciglia scure tradì i suoi pensieri. Non aveva mai visto una mezzosangue, tanto meno avrebbe mai pensato di vederla in un luogo come quello.

«Mi chiamo Lucas», si riscosse rispondendo alla domanda, ma evitò di stringere la mano ad Androsilla che gli si affiancò prendendolo per mano.

«Credevo che fossi muto», esordì ironica mostrando i canini in mezzo al suo sorriso. «Vieni, ti mostro la tua nuova famiglia», iniziò a trascinarlo per la casa, indifferente alla sua mole e ai vestiti stracciati e sporchi di terra mista a sangue. Adelina li seguì come sempre a poca distanza, anche se era una vampira lei stessa, sapeva che anche tra loro poteva esserci chi vedeva male i mezzosangue. Lucilla li accompagnò, felice di vedere la sorella felice.

Arrivarono sul retro della casa, due servi aprirono il portone a doppia anta senza attendere ordini. Davanti a loro si aprì il porticato che circondava un ampio cortile in terra battuta in cui si allenavano gladiatori e gladiatrici.

«Questa è l'ala della casa dedicata a voi», Lucilla affiancò Lucas che osservava gli allenamenti senza sapere dove posare lo sguardo. «Qui potete allenarvi all'aperto, per i mesi più freddi invece ci sono palestre chiuse», indicò le porte che si affacciavano sul portico. «Avete enormi bagni, ampie camere in cui riposare e sale comuni dove potete mangiare e svagarvi come desiderate. Non avrai alcun vincolo qui dentro», sorrise osservando anche lei i primi che si erano accorti di loro e del nuovo arrivato.

«Uno specchietto per le allodole», si schernì ancora diffidente.

«Fidel», Androsilla che aveva lasciato la mano di Lucas corse in mezzo al cortile e saltò addosso al biondo che con la sua stazza la fece sparire nell'abbraccio che le riservò. Fidel riportò a terra sua sorella e si avvicinò salutandola con un sorriso.

«Non avevi detto che eravamo troppi?» il vampiro si passò una mano tra i capelli corti.

«È vero, diciamo solo che ho ripagato un torto subìto», gli sorrise colpevole.

«Lo hai soffiato a Clodio, eh?» l'amico puntò i suoi occhi rubino su Lucas scrutandolo senza nascondersi. «Starà ancora rosicando per non averla avuta vinta», emise una breve risatina, scuotendo la testa. Sapeva che una volta soli si sarebbe lamentato per quella scelta impulsiva.

«Vieni con me, ti mostro la tua camera e ti faccio conoscere gli altri», Fidel gli posò una mano sulla spalla, mettendo alla prova il suo temperamento. «Prima però, credo che una doccia sia d'obbligo, neanche Furio puzza così tanto dopo uno dei suoi allenamenti», Lucas si lasciò trascinare dentro subissato dalla parlantina del biondo. «Comunque mi chiamo Fidel, Macrinio durante i ludi. Tu?» si avviarono lungo il porticato.

«Lucas», rispose atono, non aveva molta voglia di fare conoscenza. Lucilla li osservò andarsene, mentre tentava di ignorare lo sguardo ostinato di Ostilio, il vecchio gladiatore non era felice di avere un novellino così a ridosso dei ludi.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top