Castelli di sabbia

Sentire il rumore del mare è come ascoltare il respiro della Terra: l'onda che si ritrae è aria trattenuta; lo sciabordio sulla battigia è un soffio rilasciato.

Il sole caldo sulla schiena, protetta dalla crema e dalla maglietta; le mani immerse nella sabbia che, prepotente, invade ogni centimetro di pelle: si incastra nei peli delle gambe, più folti e neri da soli pochi anni, si sente nel costume, cedendo a ogni scrollata, per raggiungere gli altri granelli suoi fratelli.

Non c'è niente di più bello per Pietro.

Nonostante la calura estiva, nonostante il baccano dei bagnanti, nonostante sia solo in questo suo piccolo, intimo mondo, dare una forma statica a qualcosa di così effimero come la sabbia, lo rende felice.

È difficile, certo... Trovare il posto adatto, non troppo lontano dall'acqua, per fare scorta facilmente, né troppo vicino, per proteggere la creazione dal mare stesso. Preparare una base abbastanza liscia, delle dimensioni giuste per sviluppare la sua idea. Tenerla al sicuro da passanti curiosi, invadenti, che spesso lo additano come "strano".

Pietro crea, ma non per gli altri: lo fa per se stesso e per sfidare la natura. E anche oggi, si chiede, vincerà lui o la sabbia?

È tornato un po' bambino, volendo tirare su un intero castello, ma paletta e rastrello non gli bastano più come strumenti di lavoro: il suo progetto oggi richiede spatole e pale, che della plastica della sua infanzia hanno ben poco.

Un'area di lavoro di tre metri per due è stata difficile da trovare in mezzo agli ombrelloni dei turisti, però ce l'ha fatta e piano piano ha tirato su quattro torri angolari e un portone di accesso; prevede di abbellire il castello con merlature, finestre, tetti a cono e un fossato... Come potrebbe mancare il fossato?

Ed è mentre si sta accingendo a lisciare il tetto lungo l'ala nord, che un pallone colpisce impietoso la torre est, mandandola in frantumi.

«No!» quasi sente dolore lui stesso nel vedere quello scempio.

«Palla!»

Solleva lo sguardo, lucido, di odio, verso il ragazzo che gli fa un cenno con il braccio per farsi ritirare la palla.

No, idiota, la parola giusta è "scusa"!

Pietro si alza e afferra il pallone col desiderio di squartarlo, mentre una ragazza gli corre incontro con espressione mortificata: «Mi dispiace» dice, guardando il disastro tra di loro: «Tu stai bene?»

A quella domanda Pietro si riscuote: si sta davvero interessando a lui? Impossibile... Nessuno l'ha mai fatto. Nessuno l'ha mai notato.

Indurisce ancora lo sguardo e lascia cadere la palla pochi metri più in là, assicurandosi che non rotoli in direzione dell'idiota.

«Ehi!» urla l'energumeno cerebroleso.

La ragazza si volta e solleva le mani per fermare la sua corsa e qualsiasi intento di violenza gli possa essere balenato nella testa. Recupera il pallone e glielo lancia, ma resta lì, nei pressi del castello di sabbia: «Mi dispiace» ripete, «è stata colpa mia... Non sono brava a beach volley.»

Pietro la guarda, ancora incredulo che gli stia rivolgendo la parola. E per cosa, poi? Per scusarsi?

È bella. È bionda. È abbronzata.

Che ci fa ancora lì?

«Sono Marcella» sorride.

Lui arrossisce e volta la testa, sperando che lei non lo noti: «Pietro» mormora piano.

«Ehi, Marcy!» La voce dell'idiota, ancora lui, giunge a loro da lontano: «Vieni o no?»

Marcella si gira, sbuffando: «No! Così non faccio altri danni!» Poi si avvicina a Pietro: «Senti, posso rimediare in qualche modo? Posso darti una mano a sistemarla?» gli chiede, indicando l'ammasso informe ai loro piedi.

Il cuore del ragazzo batte più veloce, forse perché lei vuole toccare la sua opera, o forse perché le è così vicino che può intravederne i capezzoli sotto la stoffa leggera del bikini colorato.

«Non è necessario» risponde brusco.

Marcella ci rimane male, si vede. Ma non si arrende: «Però voglio farlo.»

«Non ne saresti capace.» La vuole allontanare, la deve allontanare, altrimenti lei capirà quanto ne sia attratto e comincerà a prenderlo in giro, come fanno sempre tutti.

La ragazza mette su un broncio delizioso e prova a difendersi: «Ok, forse è vero, però posso aiutarti. Posso portarti l'acqua, no? Non tocco niente, giuro!» Alza la mano destra, mentre posa la sinistra sul cuore.

Pietro cede. Contro ogni presupposto, si arrende a quella dimostrazione di buona volontà, e sospira rassegnato: «Ok, portami l'acqua. Ma non toccherai niente! Hai giurato!» La punta con l'indice per ammonirla ancora una volta.

Lei sorride, mandandolo di nuovo in paradiso, afferra un secchio e corre alla riva. Le gambe scattanti, i capelli che tentano di asciugarsi al vento... L'adolescenza funziona così, come il bastone di un rabdomante: punta dritto alla sorgente della vita.

Marcella lo osserva in silenzio: è concentrato ed è chiaro che non vuole essere disturbato. Ma lo fa anche perché sarebbe un peccato sprecare questo momento con le parole: vedere le mani di Pietro raccogliere la sabbia e modellarla a suo piacimento, bagnarle nel secchio per inumidire pochi centimetri quadrati di un intero castello, è estremamente affascinante.

Come può la sabbia, simbolo di precarietà, dello scorrere del tempo, trasformarsi in qualcosa di così stabile?

È seduta accanto a lui, che invece è inginocchiato per lavorare meglio in altezza; ha la fronte aggrottata e la punta della lingua che fa capolino dalle labbra; è ricoperto di sabbia dalla testa ai piedi e, soprattutto, sembra felice.

Lei non se la ricorda l'ultima volta che si è sentita così.

Avrebbe voglia di toccarlo, di allungare la mano per districare quei ricci che di nero non hanno più niente, per quanti granelli ci sono finiti in mezzo. Forse, toccandolo, potrà bearsi anche lei di quello stato di grazia.

«Da quanto lo fai?» si lascia sfuggire, per poi tapparsi la bocca con entrambe le mani.

Lui la guarda di sfuggita, senza smettere di creare: «Da sempre.»

«Sei bravissimo» ammette, incoraggiata dalla sua risposta inaspettata.

«C'è gente molto più brava di me...»

Si sta sottovalutando, forse inconsapevolmente, ma a lei non importa: «Beh, io non conosco questa gente... Non ho visto altri lavori. Ma quello che stai facendo qui, adesso...» Fa fatica a trovare le parole giuste: «Tu sei un artista!»

Pietro si ferma e si volta a guardarla con un'espressione incredula, poi dura: «Se sei rimasta per prendermi in giro, puoi risparmiarti la fatica.»

Le ha fatto male. È da quando le ha parlato la prima volta che non fa altro che farle male. «Non ti sto prendendo in giro! Sei davvero bravo! Non lo vedi da solo?» gli indica la sua opera imponente stagliarsi sulla tela del mare.

Il ragazzo abbassa di nuovo gli occhi: «Forse è così... Forse è per questo che...» ma si interrompe.

Marcella gli sfiora una spalla per esortarlo a continuare; lui sobbalza e ha di nuovo quegli occhi da cerbiatto spaventato puntati su di lei: «Il mese prossimo andrò a Rimini, per il campionato nazionale» confessa infine.

Il volto della ragazza si illumina di sorpresa e felicità: «Davvero? In bocca al lupo!» Poi incrocia le braccia al petto e annuisce orgogliosa: «Li sotterrerai tutti!»

Ed è quella battuta che fa ridere Pietro, lo fa risplendere della gioia della sua giovane età e del suo vero essere, che finalmente, con Marcella, si apre al mondo.

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Il prompt era questo (numero 1):

https://www.wattpad.com/705151873-shadow-writing-contest-2019-yellow-awards

Questo racconto ha vinto il 2° posto del contest "Shadow Writing Contest 2019" di ShadowAwardsITA .

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