Bevendo le mie lacrime
Apro gli occhi lentamente, lasciandovi penetrare piano piano il bagliore che attraversa gli alberi dalle larghe foglie.
Dove diavolo sono finita? Continuo a chiedermelo da un giorno ormai.
Ho caldo. Ho maledettamente caldo.
Ho sete. E ho anche fame.
Beh, di sicuro sono viva, se ho ancora tutte queste necessità.
Quando mi sono svegliata, sputando acqua, sale e sabbia, ero felice di poter ancora sentire quei conati venir fuori dalla mia gola; non credevo che dopo solo un giorno avrei desiderato la morte.
Io non sono capace, non posso farcela.
Come potrei mai sopravvivere in un posto del genere?
Non sono mai entrata a far parte degli scout, non sono mai stata in campeggio, io odio il campeggio, odio la natura, gli insetti, la fanghiglia, gli animali che non posso gestire, le piante che potrebbero avvelenarmi anche solo toccandole, odio aver paura dell'orticaria, odio me stessa per non essermi abbandonata all'oblio del mare.
Sospiro, di nuovo.
Sento la bocca arida e le labbra secche. Mi gira la testa.
Devo mangiare. Devo bere.
Per cosa poi? Per rimanere in vita ancora un giorno? Per cosa? Per aggrapparmi alla speranza che qualcuno venga a salvarmi?
Nessuno sa dove sia finita: quello stupido cellulare è finito sul fondo dell'oceano, e comunque non sarebbe servito a nulla... in mezzo al nulla.
Mi sollevo a fatica dalla sabbia: che fastidio! Me la sento ovunque, pronta a sottopormi un trattamento esfoliante che avrei decisamente fatto a meno di subire.
La mia pelle è uno schifo, altroché! Per non parlare delle scottature: prima che riacquistassi i sensi, non so per quanto sono rimasta esposta ai raggi diretti del sole, priva di qualsiasi protezione, ma sento tirare la pelle sulla nuca e sulle braccia.
Mi sfioro le labbra e le sento ruvide sotto i polpastrelli rinsecchiti.
Ho sete.
Guardo davanti a me la distesa d'acqua che si fa beffe di me e della mia condizione: non posso berla e non posso attraversarla.
Mi giro per puntare gli occhi in mezzo alla giungla: se il mare è una minaccia quantomeno nota, i pericoli di una foresta mi sono totalmente sconosciuti. Che animali potrei incontrare? Potrei cacciarne qualcuno? Rido da sola come una pazza. Con cosa dovrei cacciare? Io poi, che quando gioco a freccette mando il dardo addirittura al di fuori del disco più grande! Ho una mira di merda e ora voglio cacciare? Mi andrà bene se riuscirò a fare io da preda a qualcosa.
Mi volto di nuovo verso il mare, sfiorando l'idea della pesca, ma scarto anche quella: non ho nessuna nozione a riguardo e ho i riflessi di un bradipo in letargo.
Un grido soffocato dalla frustrazione mi muore in gola.
Ok, potrei provare a raccogliere qualche bacca, no? Sì, peccato che sono ignorante anche in quello: e se poi mangio qualcosa di velenoso? Com'era quella cosa dei colori? La natura usa colori sgargianti per difendersi, quindi basta che trovi qualcosa che non sembri una giacca di Sir Elton John e andrà tutto bene... Credo...
In realtà sono sorpresa anche di essere durata così tanto: conoscendomi, mi sarei data per spacciata già da un pezzo; non credevo di avere una forza di volontà così grande, una voglia di sopravvivere così potente.
Io che non ho mai fatto attività fisica in vita mia, io che la cosa più vicina a uno sport che abbia mai praticato è lo yoga, sono riemersa dalle acque, rigettata dalle onde come un qualunque detrito forse, ma pur sempre con un pizzico di aria nei polmoni.
Mi scandaglio ancora una volta, incredula: i miei vestiti fanno schifo, ma le scarpe sembrano aver retto il colpo; sento l'odore che emana la maglietta e mi convinco che sia salsedine; i jeans sono roventi attorno alle gambe, ma, visto che sto per attraversare una giungla, non ho alcuna intenzione di togliermeli; gli occhiali li ho persi, eppure continuo a portare l'indice alla radice del naso, come se volessi ancora tirarli su... che fastidio...
Mi avvicino a un cespuglio e, scansando qualche foglia, trovo alcuni frutti, o almeno credo lo siano, perché si schiacciano leggermente tra le mie dita, senza opporre particolare resistenza; sembrano more, o qualcosa di simile. Li annuso, ma oltre a sentirne il profumo esotico, non li riconosco. Allora chiudo gli occhi e spalanco la bocca per ingoiarne uno.
Quasi non ne sento il sapore. Però sono ancora viva.
Ok, ne mangio un altro, con più calma, mordendolo anche: è tenero e anche un po' aspro; ne colgo un altro e ne mangio ancora e ancora. Ho fame.
Signore, ti prego, fa' che siano commestibili.
Quando ormai penso di aver trovato finalmente la salvezza, sento la gola stringersi e il respiro farsi affannoso; un senso di nausea mi risale dallo stomaco praticamente vuoto e vomito quelle quattro bacche in croce ai piedi di un enorme albero.
Potrei morire intossicata da questa roba, potrei morire arsa dal sole, potrei morire...
Quando mi rialzo, mi sento più spossata di prima: ho perso tutte le poche energie che avevo nello sforzo del rigurgito. Il sapore amaro che ho nella bocca non se ne vuole andare e stento a trattenere la mano per ficcarmi una manciata di sabbia sulla lingua per esfoliare anche quella.
Maledizione!
Continuo a imprecare al nulla, sapendo che non riceverò mai una risposta.
Devo trovare dell'acqua.
Devo ragionare: una giungla è fatta di piante e le piante hanno bisogno di acqua. Da qualche parte qui attorno ci dovrà essere un fiume, un lago, qualcosa che sia potabile.
Continuo a camminare, addentrandomi in un posto che mi spaventa in ogni direzione; quasi spero di ritrovarmi davanti a un bivio, uno di quelli che spesso si incontrano nelle favole: da una parte la strada tetra, avvolta dalla nebbia, dissestata, presagio di sventura; dall'altra il sentiero battuto, illuminato dai raggi del sole, con tanto di fringuelli che fischiettano, pronti a invitarti a seguirli in un luogo sicuro.
Invece no: ovunque mi guardi vedo piante, alberi, nessun sentiero; osservo fiori che non ho mai visto neanche in foto e ascolto versi di animali di cui non conosco nemmeno l'aspetto.
Finché all'improvviso mi accorgo di un gorgoglio, sommesso, lontano, ma presente: non sto vaneggiando, lo sento. È acqua!
Tendo le orecchie, seguo quel suono come un marinaio il canto della sirena... Ed eccolo lì, il mio miraggio: un torrentello, appena sbocciato dalla roccia, che si fa strada attraverso la terra.
Sento il sapore del sale sulla lingua e non capisco, perché ancora non ho toccato l'acqua. Poi mi è tutto chiaro: sto bevendo le mie lacrime.
Un sorriso di commiserazione mi illumina il viso, mentre mi avvicino lentamente alla sorgente; mi chino, afflosciandomi sulle ginocchia, ignorando il dolore della terra sulle giunture. Allungo le mani a coppa e sento la frescura lenire l'arsura della mia pelle, mentre non riesco a smettere di piangere.
Avvicino le labbra a quell'acqua così fresca e bevo, bevo avidamente, come mai non ho fatto in vita mia, finché non mi sento sazia di acqua e di lacrime.
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Il prompt era questo (numero 1):
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