VOGLIA DI LEI

Erano delle ore ormai che stavo cercando uno stratagemma per rivederla. Mi sentivo un vigliacco solo pensandolo. Quello che stavo facendo andava contro tutto ciò che mi ero imposto e a quello che mi aveva ordinato il drago. Solo un folle si sarebbe messo contro di lui, ed io lo ero. Almeno la metà di quanto lo era Còrin. Più difficoltà si infilavano tra di noi, più la passione aumentava. Pazzesco!

Girai a caso lungo le vie di Loveland prima di imboccare la strada che portava verso casa sua. Avrei affrontato il Drago una volta per tutte, poi avrei preso Còrin con me, le avrei baciato i capelli, ci avrei giocato con le dita, l'avrei portata alla cascina... NO! BASTA!!! Basta così.

Non era giusto. Non era giusto. Maledizione!

Colpii un cassonetto col tacco della scarpa e restai a fis-sarlo mentre rotolava lungo la strada. Il dolore pian piano si stava esaurendo, lasciando spazio alla rabbia. Invertii la mia direzione, battendo in ritirata. Se l'avessi vista, nello stato d'animo in cui mi trovavo non sarei stato in grado di tener fede alla promessa di starle sufficientemente lontano. Non potevo mettere in pericolo la vita della donna che amavo solo per appagare il mio egoismo. Ero forte, potevo farcela.

Affrettai il passo e ripresi a girovagare senza méta, allon-tanandomi il più possibile da casa sua. Ad ogni passo, sentivo la felicità svanire e lasciare posto alla furia.

Dannazione a lei! Dannazione a tutte le donne!!!

Strinsi le dita della mano e continuai a stringerle sempre più forte finchè le ossa mi fecero capire attraverso un rumore secco che si erano spezzate. Per i cinque secondi seguenti sentii un fastidioso martellio sulle nocchie, poi tutto tornò come prima. Intatto. Nessuna ferita, nessun osso rotto. Strinsi di nuovo la mano e questa voltai non mi fermai. Dovevano rompersi. Tutte le mie ossa. Le dovevo sbriciolare, volevo che restassero così a lungo per dimostrare di essere uguale a qualsiasi altro uomo. Ma il dolore non si protraeva oltre i cinque maledettissimi secondi. Fissai disgustato la mia mano quando i fari di un'auto la illuminarono. Era perfetta.

E poi il respiro mi si troncò in gola.

Sulle prime m'infuriai col destino. C'era una possibilità su un milione che noi due ci trovassimo per caso alla stessa ora, nella stessa via. Poi in un secondo momento capii che non era colpa del destino se Còrin sceglieva di fare sempre la cosa meno giusta.

La vidi scendere dall'auto e con la coda dell'occhio calcolai la distanza tra me e l'angolo della casa più vicina. Non sarei riuscito a nascondermi prima che lei riuscisse a raggiungermi perciò mi appoggiai rassegnato al tronco di un albero e incrociai le braccia.

Còrin alzò lo sguardo al di là della strada e mi venne in-contro. Impostai l'espressione più dura e gelida di cui ero capace. Dovevo farle credere che ero seccato di vederla.

"Cosa ci fai qua Deniel?".

Umm... interessante! Anche lei si fingeva seccata. Non era molto credibile, comunque decisi di darle spago.

Le inviai un sorriso arrogante. "Adoro Loveland di notte".

"Non puoi avermi seguita".

Infatti non lo stavo facendo. Stavo scappando. Ed un'altra volta tu mi hai complicato il lavoro.

"Lungi da me".

"Come sta la tua fronte?".

"Meglio".

Scrutai i suoi occhi. Erano troppo felici di vedermi.

"E la tua amica, Irene, come sta? E' ancora sconvolta?". Non m'importava saperlo ma discutere con lei delle persone che amava era un buon modo per continuare a far parte della sua esistenza. Lei dava molta importanza ai suoi amici e dava molto peso a ciò che le dicevano. Di fatto il problema di Còrin era che non ascoltava me, ma tutti gli altri sì.

"Non l'ho sognato, vero? L'ombra eri tu! Sei stato tu ad ucciderlo!".

Voleva sempre una risposta a tutto. Non lasciava mai niente al caso. Mi resi conto in quel momento che avrei dovuto risponderle. Non perché volevo. Ma perché desideravo che mi guardasse con fiducia.

"Sì, certo".

Non sembrò funzionare molto. Mi lanciò uno sguardo carico di disprezzo e il mio cuore si sbriciolò. Era quello che volevo, no? Volevo che si allontanasse, volevo che mi odiasse perché io non potevo fare altrettanto con lei. Ma allora perché ogni volta che stava cominciando a vedermi con gli occhi dell'odio, mi costringevo a fare dietrofront? A fare qualcosa che l'avrebbe in qualche modo legata nuovamente alla mia vita?

"E l'unica cosa che t'importa è che Irene stia bene? Non ti importa che una vita sia finita per colpa tua?", mi accusò.

"Mi confondi con qualcuno che prova rimorso".

"Già, tu non ne provi".

"Ne proverei se fosse stato il tuo di collo a fare crack".

Le sue guance si arrossarono. Infuriata era stupenda!

"Come fai ad essere così insolente e arrogante dopo aver ucciso un uomo?"

Piegai la testa di lato, sforzandomi di non ridere. Il micetto che si crede tigre - pensai divertito. Com'era buffa e attraente quando si arrabbiava.

"E tu come fai ad essere tanto ingenua e coraggiosa da chiamare insolente e arrogante un assassino?".

Fissai gli occhi nei suoi in cerca della paura. Ero certo che prima o poi sarebbe arrivata, eppure il suo viso si ostinava alla calma. Tirò un profondo respiro e il vento lo portò fino a me.

"Quindi sei tu l'assassino che stiamo cercando", sussurrò.

Sorrisi, ricacciando in gola la voglia di strangolarla. Se so-spettava di me perché non tentava di scappare? Doveva aver paura, non era normale altrimenti.

"Il diritto di giudicare male è uno dei tanti privilegi di cui abbiamo largamente approfittato".

Furibonda mi voltò le spalle e fece per allontanarsi.

Non potevo lasciarla andare. Non potevo. Non meritavo una vita insieme a lei, ma almeno un minuto. Un minuto soltanto. Non mi sarebbe bastato, ma era pur sempre un minuto in più per parlare con lei. Ero cosciente del fatto che quel minuto l'avremmo trascorso litigando... era l'unica cosa che riuscivamo a fare bene insieme, ma per nessuna ragione al mondo le avrei permesso di andarsene proprio ora.

Non ti lascio lontano dai miei occhi.

Mi mossi impulsivamente, senza controllare velocità e forza, e riuscii a riacchiapparla prima che potesse fare più di un passo.

"Sono un assassino, Còrin, ma non quello che state cer-cando".

"Vorrei poterti credere".

I fanali di un auto di passaggio proiettarono un fascio di luce verso di noi, abbagliando Còrin. Ne aprofittai per osser-vare la linea del suo collo. Com'era fragile.

"Mi sto muovendo per trovarlo prima che lui trovi qualcuno di voi", le confidai senza esagerare con i dettagli. Per nessuna ragione al mondo dovevo lasciarmi sfuggire che Andrew era passato da me solo qualche ora prima per propormi di collaborare con lui.

E per dirmi anche qualcos'altro.

Il ricordo delle sue spiegazioni mi turbò, riportando a galla i miei istinti meno nobili. Per la prima volta, dopo ventisette anni passati a credere che non esistessero emozioni simili, il desiderio delle sue labbra, delle sue mani, dei suoi capelli, si agitarono nel mio stomaco. Desideri che non mi avevano mai invaso a tal maniera, dal momento che quando ci frequentavamo, ero più che altro concentrato a non farle del male.

Vattene... vattene... vattene finché sei in tempo - urlai dentro di me.

Ma il tempo era già scaduto: vidi una ciocca di capelli sci-volarle lungo la spalla, i miei occhi restarono ammaliati lungo le linee affascinanti della sua clavicola e scesero in basso, lentamente, immaginando le altre linee del suo corpo nasconde dalla maglia sottile. No. No. No!

Restai per un po' immobile, combattuto, scegliendo con calma se troncare la discussione o se rubarle ancora qualche minuto. Ovviamente scelsi la seconda opzione: le afferrai la mano, impedendole di allontanarsi anche solo di un centimetro da me.

Appena la toccai il suo cuore si fermò e poi prese a battere così forte che temetti di sentirlo esplodere. Sorrisi compiaciuto.

"E perché lo fai?", mi chiese.

Non era ovvio? Possibile che non capiva di essere lei il motivo che mi spingeva a trovare quell'assassino? Lei non era propriamente un'attira disgrazie, lei se le andava a cercare. Avrei scommesso tutto l'impero che mio padre mi aveva lasciato che sarebbe stata proprio lei la prima ad imbattersi con quell'assassino. Alla luce di ciò come potevo anche lontanamente pensare di non fermare quel pazzo?

"Ricordi la nostra recentissima discussione a proposito della mia codardia?", la domanda era assolutamente retorica.

Mi guardò, incerta. No, decisamente non ne capiva il motivo.

"Nessuno deve osare toccarti, e considerato che tu i guai te li vai a cercare aumenta la percentuale di possibilità che sarai la prossima vittima", mi spiegai meglio.

Il suo cuore non accennava a rallentare. Provavo quasi pena per lei e per un attimo fui tentato di lasciarle andare la mano. Fu solo un attimo.

Tirai un profondo respiro e maledissi la mia vita, destinata a finire almeno un centinaio di anni dopo la sua.

"Se fosse facile morirei al posto tuo", dissi, inconsapevole di star parlando a voce alta.

"Solo poche ore fa hai affermato che mi volevi morta, che mi hai sognata in una pozza del mio stesso sangue... a quale versione di Deniel devo credere?".

A quella che ti ama alla follia. A quella che morirebbe per te milioni di volte pur di salvarti.

Quando parlai non riuscii a impostare la voce al tono aspro che volevo. "Se proprio devo scegliere preferirei che credessi a quella più perfida. Odiarmi potrebbe essere molto salutare per te".

"Se avessi voluto uccidermi sarei già morta".

"Sì, lo saresti". Non c'era dubbio su questo

"E invece sono ancora viva".

"Per ora". Sulla sua incolumità invece c'erano parecchi dubbi.

"Siamo giunti ad un vicolo cieco, eh?".

Che novità! "Come sempre del resto".

La mia risposta la fece infuriare di nuovo e per la seconda volta cercò di allontanarsi.

Ma porca miseria! Vuoi stare con me un secondo?

Non arrivai nemmeno a concludere il pensiero che già l'avevo raggiunta. Le sfiorai una mano con la mia per fermarla. Almeno mi parve così, finché dopo qualche istante mi accorsi che la mia idea di tocco fuggevole per lei equivaleva ad una morsa. Lasciai andare le dita.

"Mi fa infuriare il solo pensiero che qualcuno possa toccarti con dolcezza, figuriamoci il contrario. Questa è la versione a cui devi credere".

Rabbrividii al solo pensiero di vederla nuovamente aggredita. Ah, ma le cose sarebbero cambiate. Prima o poi, avrebbe imparato a fare ciò che volevo io. E non certo per soddisfare una forma di mio egoismo. Mi bastava solo che smettesse con le ronde, poi per il resto poteva fare quello che preferiva... nel limite del possibile.

"Capisco tu sia preoccupato per me...".

Se fossi semplicemente preoccupato non rasenterei la pazzia ogni volta che ti vedo uscire di casa all'imbrunire.

"Mi sento molto protettivo, in effetti", concessi.

"Ma al di là di certe situazioni spiacevoli, posso rischiare di morire in ogni modo".

Ero così impegnato a sentire il suono della sua voce che non capii bene cosa stesse dicendo. Posai le dita sulla sua spalla in modo tale da non fare arrossare la sua pelle. Per un attimo sembrò incerta.

"Ad esempio potrei morire in un incidente d'auto, oppu-re...", continuò.

Senza quasi accorgermene aumentai la pressione delle dita, così le feci scivolare lungo il suo fianco per controllare che le spalle fossero intatte.

"O per un infarto...", fissò la mia mano con uno strano sguardo ed io le sorrisi di rimando.

Se rischiava la vita anche solo per un incidente d'auto allora era molto meglio allontanarla dalla strada. Le riacciuffai la mano, stando attento questa volta a misurare la forza e la guidai verso la panchina più vicina. Giocherellai con le sue dita morbide e le sentii tremare tra le mie. I suoi occhi si riempirono di confusione. A cosa stava pensando? La fissai a lungo nel tentativo di decifrare la sua espressione.

"Non potrai salvarmi sempre. E non potrai nemmeno uccidere chiunque provi a toccarmi".

"No?", la osservai incredulo.

"Tu che dici?".

Sospirai rassegnato. Mi scocciava ammetterlo ma la sua logica, per una volta, non era completamente sbagliata; considerando che lei attirava volontariamente ogni disgrazia, avrei finito con l'uccidere ogni abitante di Loveland.

Come potevo quindi proteggerla? Come facevo a tenerla lontana dalla morte?

"E' maledettamente frustrante", sbottai.

"Davvero tu non... muori? Cioè non come potrei... insomma... morire io?".

Contrassi la mascella. Mai una volta che dicesse qualcosa di prevedibile. Saltava da una domanda all'altra come se non fosse capace di pensare ad una sola cosa per volta.

"Non sono immortale, se è questo che intendi. Niente è davvero immortale, tranne forse i sogni, almeno finchè non si realizzano".

"Quindi muori solo se vieni colpito alla gola?".

Mi voltai a guardarla e finalmente nel suo sguardo vi trovai la paura, molto più di quanta ne volesse mostrare. Il suo orgoglio era pari alla sua incoscienza.

"Deve essere un colpo netto. Non superficiale", le spiegai. Dovevo fornirle più dettagli possibili su come uccidermi qualora fosse stata costretta a difendersi da me. "Qualunque arma o oggetto che si voglia usare, deve trafiggermi nel mezzo", mi battei un colpo sul pomo d'adamo per accertarmi che capisse bene.

Di nuovo i suoi occhi si spalancarono dandomi la certezza che stava credendo ad ogni mia singola parola.

"Però le ferite ti causano dolore", constatò. La voce era distorta dall'angoscia. Cose le prendeva ora?

"Certo".

Sembrò esitare. "E quanto impiegano a guarire?".

"Dipende dalla ferita".

Guardai i suoi occhi per capire se potevo proseguire. Mi aspettavo da un momento all'altro di vederla fuggire via da me. Era un mistero che non l'avesse già fatto.

Nello sguardo vi trovai dolore e incomprensione. Come poteva capire ciò che andava contro la natura umana? Ed io come potevo spiegarglielo senza terrorizzarla?

"Dalla tua ho impiegato una manciata di minuti per riprendermi".

Scrollò la testa, incredula. Una ciocca di capelli le sfiorò la guancia.

"E non è rimasta nemmeno una cicatrice?", ansimò. Di nuovo sorpresa ma niente paura.

"Niente", confermai con un filo di voce.

"Nemmeno un graffio?".

Sorrisi con malizia, tirando un lembo della mia maglia. "Vuoi controllare?".

"No, ti credo", disse veloce, abbassando lo sguardo.

Uau! Era arrossita.

"Però puoi morire di vecchiaia?", perseverò.

"Comincerò a essere vecchio quando compierò duecento anni".

Le ci volle un minuto comodo per digerire la risposta. Fissai intensamente i suoi occhi per capire ciò che stava provando ma la confusione che li riempiva mandò nel caos anche me.

"Duecento anni!", esclamò poi.

"Te l'ho già detto, il mio corpo invecchia molto più lenta-mente del vostro".

Restituii il suo sguardo e restai incantato. Le sue labbra piegate verso il basso in una smorfia... le sue labbra così morbide. Mi sarebbe bastato avvicinarmi di tre centimetri appena per sfiorarle con le mie.

Avvicinati... fallo, fallo, fallo!

NO!

"Scusami!", dissi, guardando subito altrove. Come avevo potuto essere così stupido? Mi ero distratto un solo secondo e subito la mia vera natura era riemersa.

Còrin sbattè le palpebre come risveglindosi da un lungo sonno.

"Cosa è successo?".

"Stavo per ipnotizzarti", ammisi.

Apparve più confusa di quando la stavo ipnotizzando.

"Ah... grandioso!".

"Non l'ho fatto di proposito".

La sua confusione si trasformò in sorpresa. "Non sei tu a decidere quando farlo?".

Ero abituato ad essere sempre sicuro di ciò che volevo. Mentre ora era tutto confuso e in tumulto.

"Solitamente sì. Ma è' difficile restare concentrato quando parlo con te. Va sempre a finire che faccio delle cose involontariamente e desidero cose di cui mi pento un minuto dopo".

"Quali cose?".

Tipo baciarti, spogliarti e... Feci un sorrisetto. "Non vorresti saperlo".

"Posso farti un'altra domanda?". Nel dirlo piegò le labbra in un sorrisino colpevole.

Come potevo resistere ad un sorriso simile? "D'accordo".

"Quel giorno che io ti ho....", si morse le labbra, incapace di proseguire. Nella voce era tornato il dolore. "Che ti ho...".

"Pugnalato?".

Deglutì e la sua espressione mutò ancora, velandosi di tristezza.

"Quel giorno vidi un'ombra sotto casa di Andrew. Eri tu?".

Accennai un sorriso. Quindi dopo tutto mi aveva visto?

"E anche tutte le altre ombre?!", continuò, "Pensavo di avere le allucinazioni e invece eri tu?".

Il sorriso scompare di colpo. "Non volevo seguirti. Sapevo che era sbagliato ma sapevo anche che era molto più semplice commettere un errore che permetterti di andare incontro alla morte".

"Incontro alla morte?".

"Hai una vaga idea di quante volte ti ho salvato la vita in questo ultimo mese? La situazione stava diventando quasi ridicola".

Còrin incrociò le braccia e distolse lo sguardo per celarmi il broncio. Assurdamente continuava ad essere convinta di non aver bisogno della mia protezione. Zuccona!

"Perché per tutto questo tempo ti sei limitato a seguirmi da lontano?", gli chiese.

Non avrei ceduto ancora ai miei istinti, privandole la pos-sibilità di una vita felice. Fu questo pensiero che mi convinse a non mentirle.

"Perché non sono un egoista. Sono la cosa più simile ad un mostro...".

"Non sei una cosa", mi corresse con un sibilo.

"Ma sono un mostro", mi ostinai. "L'unica cosa che so fare è uccidere. Sono nato per questo. E tu tendi a scordarlo con troppa facilità".

Vidi le sue labbra socchiudersi e la conoscevo abbastanza bene per intuire che stava per dirmi che non era vero, che mi sbagliavo. Solo una persona ingenua come lei poteva pensarla così.

"In queste ultime settimane mi sono ripetuto di non amarti così tante volte da straziarmi. Ma era l'unico modo, l'ultima bugia che mi rimaneva per lasciarti libera, per permetterti di stare accanto ad una persona normale".

Le sopracciglia le si aggrottarono in un'espressione irritata.

"Ed io pensavo invece che fossi morto. Non ho mai creduto davvero alla leggenda e... aspetta un momento!", alzò la voce di colpo, come se fosse arrivata or ora ad una conclusione.

Andai nel panico. Cosa aveva ricordato? Cosa avevo fatto? Perché di colpo sembrava inorridita? Che problema aveva?

"Tu sei normale", strillò.

La fulminai con lo sguardo. Se continuava così mi avrebbe fatto diventare i capelli bianchi.

"Speravo che continuare a lasciarti credere che fossi morto ti avrebbe in qualche modo aiutato a dimenticarti di me. Invece non ha fatto altro che accrescere la tua agonia. Ti vedevo soffrire, spegnerti giorno dopo giorno, affrontare le ronde con completa distrazione e volevo intervenire. Ma se l'avessi fatto, se ti avessi parlato anche una sola volta, sapevo che non avrei trovato più la forza o il semplice interesse di capire cosa fosse giusto o sbagliato per te".

Vidi un leggero rossore affiorarle sulle guance e percepii la sue pelle accaldarsi.

Non farlo... resisti. Non baciarla... non farlo.

"Tu non sei come ti descrivi...".

"Còrin", sbottai. Cosa dovevo fare per convincerla? Dovevo forse decimare gli abitanti di Loveland? "No, no. Aspetta. Lasciami finire".

Ho alternative? Sospirai rassegnato.

"Puoi davvero dire di non aver sfiorato nemmeno per un secondo la tua anima? Di non averla mai incontrata? La prima volta che ci siamo visti mi volevi morta, e nemmeno mi odiavi. Questo è essere un mostro, te lo concedo. Ma ora? Se continui a sostenere di essere lo stesso mostro mentiresti".

Mi premette un dito sul petto e il mio cuore si fermò.

"La tua anima è qua dentro. Intatta. Perfetta. Ed è inutile che tenti di convincerti del contrario".

"Perché hai tentato di uccidermi allora?", m'infuriai.

Fino a quel momento ero convinto che l'avesse fatto per mancanza di fiducia nei miei confronti ma ora si rimescolavano tutte le carte. C'era davvero la possibilità che l'avesse fatto per non vedermi mai più. Il solo pensiero installò dentro di me il desiderio impellente del sangue e della distruzione.

"Se è vero che sono tutto questo esempio di virtù perché hai pensato di sbarazzarti di me?", le chiesi.

Le sue dita giocherellarono con un lembo della sua giacca e capii che stava tentando di eludere la domanda. I secondi passavano.

"Pensavo che per te non ci fosse alcuna speranza", mor-morò di getto. Doveva esserele costato un enorme sforzo ammetterlo perché il suo labbro tremò, come prossimo al pianto.

"Cosa te lo ha fatto pensare?".

Prese un lungo respiro, rifiutandosi di guardarmi negli occhi.

"Ricordi quando hai fatto del male a mio padre e a me?".

Sprofondai nel panico al ricordo di come avevo desiderato ucciderla. In un solo attimo avevo cancellato dalla mia mente ogni momento passato con lei, ogni ricordo piacevole che mi aveva regalato, pianificando alla perfezione come ucciderla. Come avevo potuto farle del male? E peggio ancora, come potevo rischiare di fargliene ancora?

"Certo che sì. E' il motivo per cui ti sto alla larga", dissi. La furia mi fece tremare la voce.

"In quel momento avevo pensato che non fosse rimasto più niente di umano in te. Nei tuoi occhi vedevo solo un mostro. Un mostro bramante di morte che doveva essere fermato, anche se...", si fermò, esitante.

"Continua". Una parte di me sapeva già come sarebbe proseguita la frase e bramava di sentirla pronunciata dalle sue labbra. Guardai la luna... avevo troppa voglia di baciarla.

"...già sapevo che senza di te sarei certamente morta anch'io", bisbigliò.

Come se le avessi mai permesso di morire!!!

Che assurdità!

Avrei attraversato in ginocchio l'intero inferno per poter tornare da lei e proteggerla dalla vita.

Distolsi lo sguardo dalla luna e mi accorsi che le guance di Còrin avevano perso tutto il loro rossore, sbiancando in maniera preoccupante. Si passò veloce una mano sotto gli occhi e solo allora notai una lacrima rimasta intrappolata tra le dita. Mio Dio! Avevo parlato di nuovo ad alta voce?

"Ehi, ehi, no!". Le presi il volto tra le mani, in cerca del suo sguardo. "Non osare piangere, non farlo".

Tirò su col nasino, facendo uno strano rumore che non avevo mai sentito, e le lacrime aumentarono.

"Non piangere a causa mia, non lo posso sopportare". Dovevo per forza aver parlato ad alta voce altrimenti non si spiegava la sua reazione. Involontariamente avevo definito assurdi i suoi sentimenti mentre in verità erano la cosa più dolce che potesse esistere nella mia vita.

"Non intendevo dire che i tuoi sentimenti sono assurdi, è la fiducia che riponi in me ad esserlo".

Roteò gli occhi, esasperata. Una lacrima le restò impigliata all'angolo della bocca. Strinsi la mano in pugno per impedirmi di raccoglierla.

"Darti fiducia non è un errore".

Ingenua... ingenua ragazza! Non solo è un errore ma è an-che un suicidio.

Avrei venduto l'anima che non avevo per ficcarglielo in testa.

"Non ti rendi conto che non è senza di me che morirai, ma standomi accanto?". Parole dure ma era necessario che le ascoltasse.

Di colpo si arrabbiò. Non che la cosa mi sorprendesse ma quella sera avevamo detenuto il nostro record: ben 15 minuti di pace prima di litigare.

"Va bene, allora! Sei cattivo, perfido, irrecuperabile. Va meglio così?".

Per mezzo secondo fui tentato di preparare gli occhi all'ipnosi per convincerla a vedermi per il mostro che ero.

"Hai dimenticato di menzionare l'aggettivo letale".

Còrin sbattè le ciglia un paio di volte per sfuggire al mio sguardo. Alcune ciocche di capelli le ballarono davanti al na-so, nascondendomi l'espressione sul suo viso.

"Se sei davvero così letale, irrecuperabile eccetera, com'è che non hai fatto nulla quando hai visto Luke baciarmi?".

Scattai in piedi. Era pazza? Perché aveva nominato quel cane? Voleva risvegliare la mia furia?

"Luke", digrignai i denti. Era il caso di dirle che ero stato lì lì per ucciderlo? Per la seconda volta quella sera avrei confessato un omicidio intenzionale. Restai in silenzio cercando di controllarmi, ascoltando il battito accelerato del mio cuore. Ero troppo vicino al limite. Dovevo riaccompagnarla a casa. Dovevo essere certo che non le avrei fatto del male. Perché aveva nominato quel Luke?

Indietreggiai di un passo quando la sete di morte mi riempì la gola, infuocandola. Le avrei spiegato la mia reazione così che avrebbe capito e poi me ne sarei andato.

"Sulle prime, la tentazione di ucciderlo è stata davvero allettante". Strinsi le mani in pugno. Tremavo per la furia. "Ma poi, subito dopo, è subentrato qualcos'altro".

Spalancai gli occhi quando inconsciamente immaginai le mie mani squartare ogni lembo di pelle di quel pezzente. Feci un altro passo indietro, concentrandomi sul volto di lei per cacciare dalla mia mente quell'immagine allettante.

"E' molto strano. Non ho mai ucciso perché desideravo farlo o per piacere personale. Ad esclusione di quel tale che ha aggredito te e la tua amica Irene".

Sorrisi compiaciuto. Dio come lo avevo voluto morto. Sorvolai volutamente su gli altri che avevo ucciso per difenderla e continuai.

"E quando ho visto appoggiarsi sulle tue le labbra quelle di quel cane sono stato colto da un desiderio incontrollabile. Non volevo la sua morte, volevo semplicemente fargli provare quello che stavo provando io stesso in quel momento".

Appoggiai la mano attorno allo schienale della panchina e lo vidi disintegrarsi. Non ero calmo. Non lo ero per niente. Lasciai scivolare dalla mano un pezzo dello schienale e restai a fissare la sua espressione perplessa. Cosa non riusciva a capire ora?

"Cosa c'è?", le chiesi.

"Hai... hai appena distrutto la panchina".

Ah, ecco cosa l'aveva sconcertata. Non che ero un assassino, ma che la panchina era danneggiata.

"Ho un po' di difficoltà a controllarmi quando penso a Lu-ke", ammisi. Appoggiai nuovamente la mano sul pezzo salvo dello schienale e vidi alcuni frammenti di legno spezzarsi sotto le mie nocche. Mi ero calmato rispetto a prima. I danni alla panchina stavano diminuendo. Buon segno. Significava che da lì a poco potevo azzardarmi a toccare anche lei. "Comunque se può farti stare tranquilla ho intenzione di sforzarmi di non fargli del male".

Per i cinque secondi seguenti Còrin restò in silenzio, con gli occhi immobilizzati sulla panchina disintegrata.

"Ma non prenderla come una promessa", aggiunsi, curioso di sapere cosa avrebbe risposto. Speravo volesse vederlo morto quanto lo volevo io.

Mi guardò, esasperata, e scoppiai a ridere. La sua bocca spalancata per la sorpresa era la cosa più divertente che avessi mai visto ma non bastava a calmarmi.

Indietreggiai di un passo e poi di un altro. Non ero ancora sicuro di riuscire a controllare la rabbia in ogni circostanza, perciò era molto più prudente tenere Còrin lontano dalle mie mani.

"No, non andartene", mi supplicò.

Mi girai lentamente verso di lei, lottando contro la parte di me che avrebbe voluto baciarla fino alla fine dei giorni.

"Perché dovrei restare?".

"Perché sono io quella cattiva, non tu".

Il dolore che percepii nella sua voce fu per me un pugno in pieno stomaco. Eppure la cosa che più mi feriva era che sapevo esattamente come fare per rincuorarla, ma se ci avessi provato, quasi sicuramente avrebbe sentito la brutalità trasparire da ogni mia articolazione nervosa. Il desiderio di massacro che ribolliva tuttora nel mio sangue di sicuro era molto evidente. Troppo, perché lei non se ne accorgesse. Perciò scartai l'idea folle di abbracciarla per evitare di spaventarla di più e mi limitai a indossare la mia maschera da bastardo arrogante.

"Non essere ridicola, Còrin", borbottai.

Mi si avvicinò di un passo, gettandomi addosso il suo profumo. "Invece è così. Tu hai sempre detto che è meglio per me se mi stai alla larga, ma a conti fatti sono stata io l'unica che ha tentato di ucciderti. Sono io quella spregevole".

Mosse un altro piede in avanti. Ne seguii il movimento, preoccupato di vederla troppo vicino a me, sebbene lo desiderassi più di ogni altra cosa. Aveva dimenticato il nostro primo incontro? No, come potevo sperarlo, probabilmente ne portava ancora le cicatrici.

"Sono io il mostro. Sono io a non essere normale", continuò.

"Piantala! Non voglio più ascoltarti".

Vidi la sua caviglia sollevarsi quasi impercettibilmente da terra e istintivamente mossi un braccio in avanti. Non ti avvicinare, no, no, no!

Sembrò quasi leggermi nel pensiero perché immediata-mente si lasciò cadere sulla panchina, nascondendomi il volto. Imprecai tra i denti perché più di ogni altra cosa volevo vedere la sua espressione e capire cosa provava.

"Meriterei che tu mi odiassi!".

"Mentirei a me stesso se lo facessi".

"E meriterei anche che mi rivolgessi ogni insulto che conosci, che mi infliggessi una delle tante torture che ti hanno insegnato in Tibet...".

"No!", sbraitai. In meno di mezzo secondo la mia esistenza mi passò davanti agli occhi, riportando a galla ricordi che non credevo nemmeno fossero rimasti sepolti nella mia mente. Mi rividi a quattordici anni affrontare per la prima volta il Maestro; le sue dita che si conficcavano nei miei occhi fino ad accecarmi in modo da privarmi della mia arma più pericolosa, il suo stivale premuto contro le mie ginocchia fino a spezzarle in modo che non potessi sfuggirgli e poi di nuovo le sue dita dentro i miei occhi, ormai guariti... e così via fino all'alba del giorno dopo. "Non ti infliggerò mai niente di simile", ringhiai.

"Ma lo meriterei, davvero".

"E non accosterò parole oscene al tuo bellissimo nome".

"Dovresti farlo".

Mi sedetti accanto a lei per poter vedere i suoi occhi. I nostri sguardi si incontrarono per mezzo secondo e lei vacillò. Chissà perché reagiva così ogni volta che la guardavo! Niente ipnosi, niente sconvolgimento mentale. Era facile, ed era stato così da sempre. Funzionava persino sugli animali. Perché con lei no? Perché sembrava costantemente ipnotizzata dal mio sguardo? E cosa più assurda, perché quando la ipnotizzavo sul serio lei non cedeva completamente alla confusione? Forse la sue mente funzionava all'incontrario. Probabilmente era pazza. Ma certo. Avrei dovuto avvertire suo padre?

"Né troverò divertente vederti soffrire solo per fare un favore al mio orgoglio", continuai.

"Se fossi cattivo come dici dovresti trovarlo addirittura spassoso".

Afferrai una ciocca dei suoi capelli e lasciai che scivolasse tra le mie dita. Avrebbe mai smesso di emozionarmi così? No, sapevo che era impossibile. Lei era tutto ciò che mi era stato privato. Tutto ciò che cercavo senza neanche saperlo.

"Ti ripeto, vederti soffrire è una cosa che non riesco a tollerare", mormorai piano. Solo lei poteva arrivare a pensare ad una cosa simile. Pensai che fosse pazza. O forse stava cercando di provocarmi in qualche modo. D'altra parte, se non rischiava la vita in qualche modo non era contenta. Mi ero innamorato di una pazza.

Appena cercai di sollevarmi dalla panchina lei si strinse al mio petto in un modo che mi ricordò i bambini. E lei era la mia bambina. Una bambina da difendere da tutto e da tutti.

Nonostante fossi diventato molto abile a rimanere prudente e controllato nel contatto con Còrin ma tanti giorni lontano da lei sfiancarono la mia determinazione di allontanarmi subito e mi concessi qualche secondo per cullarla tra le mie braccia, anche se avevo la certezza che lasciarla dopo averla toccata sarebbe stato ancor più doloroso e difficile di prima.

Ascoltai il suo cuore battere all'impazzata contro il mio petto. Sperai che fosse la mia presenza ad accelerarne i battiti. Magari fosse stato così. No, no, non dovevo permettermi di sperarlo. Lei non doveva volermi.

"Il Deniel che ho conosciuto e che ho tentato di uccidere non avrebbe esitato ad odiarmi né a farmi del male. Chissa? Forse, anche se non lo vuole riconoscere, da qualche parte dentro di lui in effetti un'anima c'è".

La guardai cupo per una frazione di secondo, cercando la pelle del suo viso. Quando era arrossato diventava meravi-gliosamente caldo, una specie d'invito per la mia mano.

La felicità che sentii solo a toccarla non aveva precedenti. Ma era niente in confronto al dolore di dover rinunciare a lei.

Senza quasi rendermene conto accostai la bocca sul labbro che le tremava, ma appena lei si mosse realizzai ciò che stavo facendo. Dovevo essere impazzito. Non era questo ciò che si meritava. Mi allontanai trattenendo un gemito e quando mi scontrai nei suoi occhi fu davvero dura non percorrere il mezzo centimetro che mi separava dalla sua bocca. Lentamente spostai lo sguardo dalle sua labbra al suo collo; era così fragile che avrei potuto spezzarlo con una semplice carezza.

"Non ho idea di cosa sia quest'anima di cui parli, ma anche dovessi averne una, non saresti comunque al sicuro vicino a me. Almeno non finché una parte dentro di me continuerà a desiderarti morta".

Nella sua espressione vi lessi un miscuglio di tensione e sorpresa, ma non di paura. Assurdamente, lei non aveva mai avuto paura di me, mentre io mi sentivo terrorizzato da questa donna così piccola e fragile che era stata capace nella sua debolezza di contaminare, fin quasi a distruggere, anni e anni del mio passato.

Lasciai di nuovo scivolare gli occhi lungo il suo collo e in una frazione di secondo pensai a mille, miliardi di modi per poterla toccare.

Provai ad immaginare cosa nascondeva sotto la maglietta, ma era un'immagine tutt'altro che nitida dal momento che non avevo mai avuto una donna così vicino. Avevo visto qualche foto sui cartelloni pubblicitari e in tv ovviamente. Ma Còrin era uguale o cento volte meglio? Pensai che fosse un milione di volte migliore a quelle ragazze fotografate in costume perché loro non mi davano emozioni, mentre lei me ne dava parecchie anche quando era ricoperta da strati e strati di stoffa.

Non volevo più immaginarla. Volevo saperlo. Non potevo più farne a meno. Trattenni il respiro e mi feci coraggio. Spostai lentamente il dito lungo la sua spalla e poi giù, verso il fianco tondo e morbido, sopra le linee delicate della sua gamba e quelle più marcate attorno al ginocchio. Infine mi spinsi nuovamente in su, lungo la coscia. Mi accorsi che lì era molto caldo e mi chiesi come mai.

Ero così attratto che per un momento temetti che il flebile gemito che sentii fosse sfuggito dalle mie labbra. Bloccai il dito sul suo ventre e fissai i suoi occhi smarriti. Mi sforzai di trattenere un sorriso. Quindi era questo ciò che le donne volevano?

"Devo starti lontano e non so più cosa inventare per riu-scirci", alitai contro le sue labbra.

"Potresti non inventare nulla e lasciare per una volta tanto che sia io a decidere della mia vita".

"E correre questo grosso rischio?", scherzai. "Sentiamo: cosa vorresti decidere per la tua vita?".

"Per cominciare che tu non te ne andassi via".

M' irrigidii per vincere l'impulso di muovere il mio dito verso la zona calda che stranamente mi attirava più dei suoi capelli. Ero convinto fosse quella parte di lei a sedurmi più di ogni altra cosa. Ma ora dovevo ricredermi.

"Còrin, non torno quasi mai sulle mie decisioni, ormai dovresti averlo capito", dissi. Cos'altro potevo dirle? Che una parte di me la desiderava tanto da farmi uscire di testa, mentre l'altra la implorava di allontanarsi finché mi era possibile recitare questa parte da fratello maggiore? O magari avrei potuto dirle qualche bugia responsabile. Ma il tono che avrei usato sarebbe stato quello giusto? Mi avrebbe creduto?

"Perché?", si agitò.

Non soffrire amore mio. Non soffrire.

"Perché quello che c'è tra noi due non è normale e soprattutto non è possibile", risposi.

Cambiai posizione in modo da allontanarmi senza che lei se ne accorgesse. Un minuto ancora e il mio dito avrebbe agito senza seguire i comandi del mio cervello.

"Guardaci, Còrin. Sforzati di ragionare per un momento. Siamo l'uno l'opposto dell'altra".

"Ma possiamo cambiare".

Non dovevo lasciarmi condizionare dalle sue speranze. Non dovevo commettere errori.

"Già. Se io diventassi come te non ci sarebbe alcun pro-blema... ma se fossi tu a dover cambiare?".

Rabbrividì davanti alla mia freddezza. Ma cos'altro avrei potuto fare?

"E' questo che ti spaventa?", mi chiese, allungando le sue mani verso le mie.

Riuscii a ritrarle giusto in tempo. Non si rendeva conto che ogni contatto con lei mi spingeva a desiderarne molti di più, a infischiarmene se ero il ragazzo giusto per lei o meno?

"Non questo", scossi la testa furioso. Quando si ostinava a non voler capire, mi irritava.

"E allora cos'è?", chiese. Questa volta però non c'era nessun cenno di speranza nella sua voce.

Dio quanto mi disprezzavo. Era colpa mia se lei stava soffrendo. Come potevo ancora desiderare che lei passasse tutta la vita in questo modo solo per appagare un mio desiderio?

"Il fatto di non sapere se è giusto o sbagliato uccidere", mi chiarii, alzando di scatto gli occhi sui suoi. "Tu sei cresciuta accanto a persone che ti hanno detto che uccidere è sbagliat,o perciò è naturale che la pensi allo stesso modo. Ma io? Sei davvero convinta che io voglia cambiare?".

In effetti avevo conosciuto poche persone al di fuori del Tibet. Chi mi assicurava che Còrin, Andrew, Anne e Nick la pensassero nel modo giusto? Potevano anche sbagliarsi. Se fosse assolutamente vero ciò che dicevano, se uccidere era sbagliato, perché mi era stato insegnato a farlo?

Si mordicchiò il labbro, aggrottando le sopracciglia. Riuscivo ad immaginare il suo cervello lavorare come una calcolatrice.

"E' una scusa!", sbottò, voltandomi le spalle. "Stai solo cercando di convincermi a lasciar perdere".

"Per favore, Còrin".

Sbuffai e le posai le mani attorno ai fianchi per farla voltare verso di me. Non ne avevo ancora abbastanza del suo viso.

"Comunque vadano le cose, su che base costruiremo il nostro futuro? Pensaci! Non si può certo dire che la nostra storia sia stata romantica", provai a farla ragionare.

"Lo è stata invece".

Testarda, testarda di una ragazzina.

"E quando lo è stata? Quando io ho deciso di lasciarti per darti una vita normale? O quando tu mi hai ucciso?".

"In questo modo riduci tutto in due singoli momenti", si lamentò.

Trattenni il respiro per una manciata di secondi. Non è così semplice amore mio!

"Tu non capisci", mormorai.

"Cosa? Cos'è che non capisco?", urlò, affrontandomi con lo sguardo. "Noi due abbiamo due vite, eppure ne stiamo vivendo una insieme".

"Non capisci che sono completamente diverso da te, Còrin, il mio organismo reagisce in maniera impeccabile contro ogni cosa tenti di attaccarlo. Le mie cellule, ogni mia cellula, si moltiplica un miliardo di volte più velocemente delle tue, intervenendo sul funzionamento del mio organismo prima che questo si avvicini alla distruzione e protraendo quindi la durata della mia vita e ritardando di conseguenza l' invecchiamento del mio corpo".

La guardai dritta negli occhi, intensamente, pregando che per una volta tanto mi desse retta. Avevo cercato di lasciarla libera di vivere, ma non ero abbastanza forte per lasciarla vivere da sola.

"Non mi importa", blaterò, mandandomi in bestia.

Come poteva non capire che le differenze tra di noi non si limitavano alla testa o ai ragionamenti? A quello, forse, una soluzione l'avremo anche potuta trovare. Ma come avrei potuto restare accanto a lei una vita intera con la paura di ucciderla per sbaglio, col terrore che prima o poi si sarebbe resa conto di quanto il mio corpo fosse differente da quello di qualunque altro uomo? Presto o tardi avrebbe cominciato a vedermi per quello che ero: un mostro.

"Dovrebbe. Perché in questo modo vivrò per un tempo indefinito anche se non infinito. Mentre tu no. Non potrò mai darti una vita normale, perché tu invecchierai molto più lentamente di me. Troppo lentamente".

"Non mi...", si morse il labbro per non completare la frase. Era diventata brava a capire come prendermi. "Devo andarmene".

Dentro di me ripresi ad urlare. Sì vattene... vattene finché sono in grado di controllarmi.

"Resta ancora un pò", le dissi invece. Non ero ancora pronto a vederla andare via.

"Pensavo avessi deciso di starmi alla larga".

Feci un ghigno cattivo. Se l'avessi provocata c'era la pos-sibilità che decidesse di trattenersi per litigare un altro po' con me. "Questo prima che mi rendessi conto che sei un'attira sciagure".

Roteò gli occhi, esasperata e si sollevò dalla panchina, puntando verso la sua auto. Di colpo mi tornarono in mente le sue parole: posso morire in un incidente stradale...

Oh mio Dio! Potevo impedirle di andare di ronda. Prima o poi avrebbe fatto ciò che le dicevo, ne ero più che convinto. Ma non potevo impedirle di usare la macchina.

Quando spalancò la portiera la precedetti, fermandomi tra lei e l'abitacolo. L'espressione di Còrin restò neutra ma sapevo di averla turbata. Restai in silenzio per un po', fissando le chiavi della sua auto che stringeva tra la mano sudata.

Con un movimento veloce della mano avrei potuto sfilar-gliele senza quasi che se ne rendesse conto... avrei potuto salvarla...

Il pensiero di non vederla mai più guidò le mie labbra verso la sua fronte. Avrei voluto di più, molto di più, ma dovevo imparare ad accontentarmi. Un bacio sulla fronte era già molto più di quanto potessi concedermi.

"Ti accompagnio io. Dimmi dove devi andare".

Nei suoi occhi tornò immediatamente la gioia. "A casa mia".

La fissai di rimando. Era immobile, le guance arrossate per la felicità, le mani sudate torturavano le chiavi.

Ero al limite massimo! Impaziente al peggio. Distolsi gli occhi dai suoi per paura di continuare a leggervi quel desiderio per me che spingeva i suoi istinti ad andare contro corrente. Era la prima persona che aveva dimostrato di non temermi e di fidarsi tanto da non scappare a gambe levate. Aveva reazioni opposte a chiunque altro. Invece di evitarmi, lei mi cercava, attirata come dal pericolo.

Contorsi le labbra in una smorfia di disapprovazione, pensando al perché non potesse sforzarsi di essere normale una volta ogni tanto e mi infuriai terribilmente quando una vocina dentro di me mi suggerì che non volevo affatto che lei lo fosse.

Vidi la mia espressione gelida riflessa nei suoi occhi e con uno scatto mi spostai dall' auto. Dovevo lasciarle almeno la possibilità di comportarsi come una persona normale e non avrebbe potuto farlo se avessi continuato a sbarrarle la strada. Dovevo farla allontanare. Dovevo trovare un pretesto per cacciarla e scelsi il più giusto.

"Allora non è il caso", ammisi, freddo. Chissà che faccia avrebbe fatto il drago se mi avesse visto in questo momento? "Ho ancora delle difficoltà nel dimenticare che Andy ha ucciso mio padre", mentii di getto.

Ma la realtà era ben lontana. La realtà era che se a casa sua non ci fosse stato Andy non avrei avuto più alcun ostacolo per comportarmi in maniera riprovevole.

Quando Còrin fece per dire qualcosa, dalla bocca le uscì solo un suono raccapricciante. Mi resi conto che la mia risposta l'aveva spaventata. Ovvio! Lei aveva delle grosse difficoltà a concentrarsi su se stessa. Finché era lei a rischiare la vita andava bene, si comportava da leone. Ma quando erano gli altri in pericolo si trasforma nel più innocuo gattino.

"Cosa pensi di... ?", si bloccò, mordendosi la lingua, ma intuii comunque la sua domanda.

"Stai tranquilla, non ho intenzione di ucciderlo".

Riprese a respirare e balzò sul sedile, avviando il motore e allacciandosi la cintura contemporaneamente. Aveva fretta di allontanarsi da me? A guardarla sembrava averne molta, eppure la sua mano restava immobile sul cambio, senza ingranare la marcia. Lo sguardo basso si rifiutava di incrociare il mio.

Poi, dallo stupido che ero, commisi l'errore di fissare le sue labbra piegate all'ingiù. Come erano invitanti. Attiravano la mia bocca come api al miele.

Vattene... vattene ora! - urlai disperato nella mia testa.

Cercai di respirare in modo normale, di contenermi. Ma non era esattamente come cercare di resistere all' istinto di uccidere qualcuno. Era più difficile, più doloroso. Il cuore mi martellava nel petto, il respiro era diventato un profondo unico ansimo. Provai ad indietreggiare per non permettere al suo profumo di raggiungermi, ma le gambe restarono immobili nello stesso punto. Cosa diavolo mi stava accadendo?

Doveva andarsene prima che le urgenze del mio corpo potessero farmi fare qualcosa di sconsiderato.

Via, via, via da me.

Stavo per cedere, stavo per baciarla e lei non se ne ren-deva conto. Aprì la bocca per dire qualcosa ed a quel punto crollai. Indietreggiai di un passo, fuori dalla bolla di calore sprigionata dalla sua pelle, giusto il tempo per non stringerla tra le mie braccia. Cinque secondi ancora e l'avrei afferrata per i fianchi. Non avrei avuto nemmeno il tempo di trascinarla fuori dalla macchina... l'avrei presa lì, su quegli scomodi sedili.

E poi, di colpo, proprio mentre stavo per vincere la mia lotta interiore, il destino giocò contemporaneamente tre carte a mio sfavore:

Còrin si passò velocemente la punta della lingua sul labbro inferiore, non abbastanza veloce comunque da permettermi di non accorgermene.

Un alito di vento sollevò una ciocca dei suoi capelli –la parte di lei che più mi tentava- lasciando scoperta una piccola parte della clavicola.

La spallina della sua maglia troppo larga e poco lusinghiera scivolò un poco giù dalla spalla piccola e pallida.

Sgranai gli occhi mentre di rimando a queste tre cose, una forza mostruosa, sconosciuta, spinse ogni mio muscolo, ogni mia terminazione nervosa a chinarsi verso quella creatura piccola e indifesa per prenderla. Se prima ero al limite, ora ero completamente in balia dei miei istinti. Cosa mi stava accadendo?

Smisi di tentare di controllare ogni parte di me, anche quella più piccola e insignificante. Allungai le braccia verso di lei così in fretta da non lasciarle nemmeno il tempo di accorgersene. In meno di sue secondi avevo già strappato in due parti la sua cintura per togliergliela e l'avevo afferrata per i fianchi, sollevandola dal sedile e spingendola contro la fiancata dell'auto.

Ero vagamente consapevole dello sguardo sconvolto di Còrin e del suo vano tentativo di respingermi. Aveva forse usato tutta la sua forza mentre puntellava le sue mani nel mio petto? Ed io con lei, stavo usando tutta la mia?

Non mi importava. Ero nella confusione più totale. Niente aveva più senso. Solo le sue labbra tremanti, i suoi capelli biondi che le lasciavano scoperta un'unica guancia, rossa quasi quanto le sue labbra, i suoi fianchi morbidi schiacciati sotto le mie dita.

Senza altre esitazioni premetti le labbra contro le sue e usai la lingua per schiuderle. Com'era strano, non avevo mai fatto una cosa simile eppure sapevo benissimo come farla.

Mentre la baciavo una sensazione di calore mi attraversò il corpo e istintivamente con una mano allentai la presa contro il suo fianco per abbassarle ancora di più la spallina della sua maglia. La visione della sua pelle mi fece uscire completamente di testa, e se a lei non fosse scappato uno strano gemito non so cosa sarei arrivato a farle.

Mi scostai di mezzo centimetro in modo che, parlando, le mie labbra continuassero a sfiorare le sue.

"Mi tremano le ginocchia", sussurrai.

"Ah!", alitò.

Mi accorsi che i suoi occhi erano ancora fissi sulle mie labbra, come fosse in trance. Forse non aveva nemmeno sentito l'ultima cosa che le avevo detto.

"E' sempre così? Baciare intendo", indagai.

Sbattè le palpebre. "Cosa?".

Sorrisi di rimando. "A quanto pare la mia bocca ti rende un po' distratta".

"Un po'", ammise, spostando lo sguardo.

Adoravo la sua timidezza.

Piegai la testa di lato e posai una mano sotto il suo mento per sollevarlo all'altezza del mio. Di colpo sentii lo stomaco trafitto da mille lame. Affinai lo sguardo sul mio pollice, attirato da qualcosa che prima non c'era. Era sangue. Quello di Còrin.

"No!", annaspai, ritraendomi di scatto. "Dio, no!!!".

Per qualche assurda ragione, tutto ad un tratto iniziai a vedere offuscati i contorni delle cose, come se un velo fosse stato calato davanti ai miei occhi. Uno strano, schifoso bruciore alla gola m'impedì di deglutire e una sensazione di bagnato all'interno degli occhi mi obbligò a sbattere le ciglia per due volte. L'offuscamento svanì all'istante ma il bruciore restò. Cosa mi stava succedendo?

"Mi dispiace". La voce mi uscì in un tono che non avevo mai sentito.

Aveva ragione Andy nel dire che non potevo amare senza causare dolore. Aveva ragione nel dirmi che se fossi stato travolto dal desiderio non sarei più stato in grado di misurare la mia forza, così sproporzionata rispetto a quella di lei. Mi aveva avvertito ed io non gli avevo dato ascolto.

Controvoglia ispezionai il suo corpo e ciò che notai mi gettò nello sconforto; la spallina che credevo di avere semplicemente sfiorato nell'abbassarla era ridotta in piccole strisce lacerate che nascondevano solo in parte la sua pelle insanguinata. Un profondo graffio le partiva dalla clavicola e scendeva per tutta la linea del suo braccio. Il labbro le sanguinava e accanto al suo fianco sinistro la maglia era strappata.

Sei felice ora? - mi chiesi - Ecco il premio che merito per aver ceduto.

"Perdonami".

"Non devo perdonarti nulla, tranne il fatto che hai smesso di baciarmi".

Aggrottai la fronte e spinsi nuovamente gli occhi verso i suoi. Era impazzita? Le procurava piacere essere ferita? Che fosse strana lo sapevo ma non pensavo fino a questo punto.

"Ma guardati, per un solo bacio ho rischiato di ucciderti".

Sollevò lentamente lo sguardo su di me ma non riuscii a decifrarlo. Cos'era? Orrore? Disgusto? Non riuscii più a guar-dare i suoi occhi perciò ebbi la pessima idea di abbassare di nuovo lo sguardo verso le sue ferite e il bruciore in gola au-mentò. Di nuovo dovetti sbattere le ciglia due volte.

"Uccidermi?", chiese.

Poi però fece come le avevo chiesto e abbassò lo sguardo su di sé, facendo un inventario completo dei danni che le avevo fatto.

"Mi hai strappato la maglia!", commentò. La sua voce era bassa e intensa ma non dava segni di collera.

Forse non aveva ancora notato il sangue. Le lasciai qual-che secondo ancora ma la sua espressione non mutò. Continuava a contemplare i buchi sulla maglia. Sì, non c'era più alcun dubbio. Era pazza!

"Ti ho ferito", le feci notare, sollevando di proposito il dito insanguinato sotto il suo naso.

Guardò lontano da me, arrossendo, infine riprese il con-trollo.

"Anch'io ti ho ferito", mentre parlò, il rossore sulle sue guance aumentò. Mi prese per mano e mi fece avvicinare allo specchietto della sua auto. "Lo vedi il tuo collo? Nella foga di stringerti a me ti ho conficcato le unghie nella pelle".

Fissai il punto che mi aveva indicato e vidi delle piccole mezzelune. Non erano niente in confronto a quello che le avevo fatto io e ciò non fece che farmi inferocire ancor di più con me stesso.

"Vai a casa ora", le suggerii rassegnato, spingendola con cautela verso l'abitacolo. Ero nuovamente padrone della mia forza.

"Deniel...", protestò, tentandomi. Mi aveva in pugno ma grazie al cielo l'avevo già obbligata a mettersi seduta. Non potevo più restare accanto a lei, avrei ceduto ancora e ancora e ancora, ne ero certo.

"Questa notte mi piacerebbe dormire un paio d'ore quindi se non ti è di troppo disturbo fila dritta a casa e restaci".

Affondò i denti nel labbro per non ribattere, voltandosi dall'altra parte per nascondermi la sua indignazione.

Ne aprofittai all'istante: mi avvicinai al suo orecchio per augurarle la buona notte, poi sfrecciai verso il punto più buio, aldilà dell'angolo di una casa, dove mi era possibile vederla.

Còrin alzò lo sguardo verso il finestrino, certa probabil-mente di scontrarsi coi miei occhi e sussultò nel vedere la strada vuota. Decisamente non era ancora abituata alla mia velocità.

Restai nascosto per i minuti seguenti, pregando che lei non scendesse dalla sua auto per cercarmi. D'altra parte, se l'avesse fatto non mi sarei stupito. Lei faceva sempre la cosa più insensata. Infine, con immenso sollievo, la sentii ingranare la marcia e la vidi scomparire lungo la strada buia e deserta.

Avrei preferito saperla guidare con la cintura ma ormai era ridotta in due inutili pezzi. Per la mia stupida foga continuavo a metterla in pericolo. Ero davvero la persona meno indicata per proteggerla.

In preda all'ansia corsi verso casa sua per accertarmi che fosse rientrata sana e salva, attesi che spegnesse la luce della sua camera e finalmente me ne andai a letto.

Stiracchiai le braccia dietro la testa e restai per un bel pezzo a fissare una crepa del soffitto, dedicandomi ai pensieri che mi martellavano in testa in un'alternanza di gioia e frustrazione.

Còrin sapeva che ero pericoloso e non le importava. Pur di starmi accanto rischiava la sua vita. Si credeva abbastanza forte da poter stare con me in tutti i modi possibili.

Pensai all'amore che provavo per lei. Un amore irresistibile, sfrenato. E lei lo ricambiava. Per un'assurda, strana ragione, mi voleva.

Tra i miei pensieri s'intromise quelle delle sue labbra, del suo sorriso sincero, e mi permisi di esultare della gioia che stare con lei mi arrecava. Almeno nelle mie fantasie potevo continuare a baciarla senza ferirla, potevo permettermi di immaginarmi accanto a lei giorno dopo giorno, vedendola invecchiare lentamente come me. Nelle mie fantasie, io meritavo il suo amore e potevo esultare perché mi amava, sorvolando sulla sua devastante vulnerabilità.



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