VELOCE...FORTE...AGILE
Dopo la litigata dell'altra sera, io ed Andrew non ci siamo più sentiti e non so nemmeno in che rapporti sia con Anne. Ovviamente ho perlustrato alcuni quartieri della città per conto mio ma, senza la guida di Andrew, le mie ronde si sono rivelate superficiali e infruttuose, smentendo così la mia assurda convinzione di essere autosufficiente.
Il giornale locale nel frattempo non fa che riportare fatti di cronaca, incitando tuttavia la gente a non farsi prendere dal panico. E per fortuna al momento sembra che nessuno – a parte i giornalisti e mio padre – stia dando un peso eccessivo ai numerevoli omicidi.
La polizia locale -ovvero Luke e Bren, anche se la gente non lo sa- ha dichiarato che al momento istituire il coprifuoco comporterebbe più scompiglio che altro.
In definitiva per nessuno è cambiato niente, tranne che per le poverette assassinate.
E per me. Da quando Andrew mi ha messo da parte, Luke ed io abbiamo cominciato a vederci spesso con la scusa delle ronde serali. E al momento sembra che mio padre non abbia nulla di cui sospettare. D'altro canto mia madre è a dir poco euforica e l'altro giorno l'ho perfino beccata a spulciare una rivista di abiti da sposa. Assurdo...
Appena sento il campanello scatto lungo il corridoio e spalanco la porta, accendendo contemporaneamente la luce della veranda.
"Ciao", Luke mi saluta, lanciando come di consueto un' occhiata furtiva verso il salotto. Sembra sempre sentirsi in colpa quando mi vede, come se fosse un reato uscire con me. Anche se, guardandola dal suo punto di vista, non è del tutto sbagliato ragionare in tali termini. "Salve Andy".
Dal salotto ci raggiunge il brontolio di mio padre. Finge di non star ascoltando, ma intanto ha abbassato il volume della televisione così tanto, che non sento più la voce del telecronista sportivo. Non si meriterebbe neanche la metà della gentilezza di Luke.
"Che cosa hai voglia di fare?", gli chiedo. Ovviamente sappiamo già cosa dobbiamo fare ma è necessario bleffare per sviare i sospetti di mio padre.
"Stavo pensando di andare a fare una passeggiata verso il lago. Se ne hai voglia anche tu".
"Perfetto". Prendo la giacca appesa all'attaccapanni, ac-canto al giubbotto da pesca di mio padre, e quando gli passo accanto comincio a recitare l'alfabeto al contrario. E' un trucco che ho escogitato e sembra funzionare. Mai dimenticare che mio padre è empatico!
I suoi occhi di colpo sembrano quasi voler entrare dentro i miei. "Dove andate?", mi chiede.
i... h... g... f... e...
"Un giretto al lago", mento.
L'osservo di sbieco per valutare se se l'è bevuta o meno, e qualcosa nel mio sguardo sembra non convincerlo.
...d... c... b... a.
"Il tempo di un gelato. E poi subito a casa", concede.
Mi sforzo di sorridergli come se niente fosse e, nella fretta di fuggire, agguanto Luke per un braccio e lo trascino lungo il vialetto. "Sbrighiamoci! Ho praticamente un'ora di tempo".
Camminando di fretta arriviamo alla periferia ovest di Lo-veland, buia e desolata, alle spalle del Motel Super 8. Il silenzio è inquietante, rotto di tanto in tanto dal fischio del vento e da qualche lattina vuota che rotola a terra.
All'incirca ogni tre minuti mi volto per controllare se qualcuno ci sta seguendo. Anche se non vedo nessuno, sento come la sensazione che da qualche parte, nascosti nel buio, ci siano due occhi che non ci perdono di vista. Scommetto che si tratta di Andrew.
Rallento il passo per controllare lungo una fila di viuzze e scorgo Luke fare altrettanto.
"Quando voi uscite di ronda cosa fate?", gli chiedo curiosa.
"Noi le ronde, come le chiami tu, le facciamo in macchina. E ci portiamo dietro sempre la nostra amica", da un colpetto alla pistola appesa al cinturone e aggiunge, "soprattutto in questo ultimo periodo".
Rabbrividisco. "Già! L'assassino".
Mi afferra una mano. "Non lascerò che ti succeda qualcosa di brutto".
Il mio cervello prende a girare a mille, fermandosi su Deniel. Anche lui non faceva altro che ripetermelo e la cosa assurda è che mi sentivo più al sicuro tra le braccia di un assassino che tra quelle di un poliziotto. Ritraggo la mano, infastidita, e riprendo a camminare lungo la via silenziosa.
"Andrew ha scoperto qualcosa?", si informa.
"Se ne sta sempre appiccicato al suo computer a fare ri-cerche, ma ancora niente".
"A proposito!", si mette a frugare nella tasca interna della giacca alla ricerca di qualcosa. Ne estrae un piccolo libro con la copertina strappata in più parti. Ha l'aria di essere rimasto sepolto sotto la polvere da almeno una ventina d'anni. "L'altro giorno stavo ripulendo i nostri archivi e mi è capitato questo tra le mani".
Lo afferro e subito un'immagine sbiadita sull'angolo destro della copertina cattura la mia attenzione. Chino la testa per guardarla da più vicino.
"E' il tatuaggio che avevano quei tali", mi ricordo.
"Forse può interessare ad Andrew".
"Altroché!", esclamo grata, nascondendo il libricino nella mia borsa.
Luke affonda le mani nelle tasche dei pantaloni, fissando un punto davanti a sé, e per un po' resta in silenzio, perso dietro chissà quale pensiero.
A passo lento ci allontaniamo dalla zona trafficata per controllare le vie periferiche che conducono al cimitero. Da quando siamo usciti di casa la temperatura è scesa e si è alzato il vento. Alcune ciocche di capelli mi schiaffeggiano la guancia e ho un bel da fare per tenerli fermi dietro alle orecchie.
"Sei pensieroso", gli faccio notare.
Annuisce, mugugnando qualcosa di incomprensibile. Difficile intuire cosa gli stia passando per la testa.
Facciamo ancora qualche passo in silenzio.
"A cosa stai pensando?", indago.
"Pensavo che a me non è concesso fuggire da tutto questo". Col pollice batte qualche colpetto sul distintivo appuntato al bavero della giacca, lo solleva per dargli un'occhiata e lo lascia ricadere. "Non posso sottrarmi al mio ruolo di poliziotto. Rischio la mia vita ogni giorno per proteggere i cittadini di Loveland... ma voi... tu perché continui a farlo? Hai già trovato gli assassini di tuo fratello, continuare è assurdo".
"Non è assurdo", rispondo distratta, frugando nelle tasche della giacca alla ricerca di un nastro per capelli.
I suoi lineamenti si contraggono in un altro tentativo. "Invece sì. Deve esserci qualcosa che ti spinge a rischiare la vita per gli altri".
"Ovviamente". Raccolgo i capelli in uno chignon e riprendo a camminare lentamente lungo la via.
Un gatto, sdraiato sotto la pensilina arrugginita di un ne-gozio d'armi, solleva la testa per guardarci. I suoi occhi gialli ci seguono curiosi fino a quando svoltiamo l'angolo e spariamo dalla sua visuale.
"Illuminami", mi sprona.
"Guarda la nostra città", dico, accompagnando le parole con un ampio gesto con la mano. "Guarda le aiuole fiorite ad ogni angolo, le strade pulite, le villette a schiera. Lo diresti che in una simile città avvengono tanti crimini? Una volta che hai visto cosa si nasconde dietro tutto questo, non puoi più chiudere gli occhi e far finta di niente". ll che per quanto mi riguarda è una verità ed una menzogna allo stesso tempo, dal momento che vivere o morire non fa alcuna differenza per me.
"Oh, andiamo... non venire a parlarmi di sacrosanti dove-ri", protesta infastidito.
Piego le labbra in una smorfia. "Non ho mai parlato di sa-crosanti doveri. Ho solo detto che non riesco più a far finta di niente. Ad andarmene al cinema sapendo che molto probabilmente, tra le vie più buie c'è una donna che sta urlando o una bambina che sta per essere picchiata. Ho il potere per impedire che queste cose accadano e ho tutta l'intenzione di continuare ad usarlo".
Mi fissa ancor più intensamente. "Pensaci bene a quello che fai. Tu non elimini il problema. Ti limiti a spostarlo in una città che non è la tua".
"Ti riferisci al fatto che non consegniamo i criminali alla polizia? Che li invitiamo semplicemente ad allontanarsi?".
"Esattamente!".
Riprendo fiato, nervosa. "Questo è risolvere il problema. Esclusi i presenti ovviamente, non possiamo certo vantare dei poliziotti competenti. Allontanando da qui i delinquenti, non facciamo altro che consegnarli in mano ai poliziotti delle altre città vicine. E, a sentire i telegiornali, sembra che stiamo riuscendo benissimo nel nostro intento".
Arriccia il naso, segno che le mie parole hanno avuto il giusto peso su di lui.
"Ora, dimmi quello che sai sull' assassino che si aggira tra le nostre strade", gli chiedo.
Si stringe nelle spalle. "Speravo potessi dirmi tu qualcosa di interessante".
Alzo lo sguardo, confusa. "Io?".
"Ho chiesto il tuo aiuto proprio perché i miei colleghi stanno brancolando nel buio", si confida.
"Brancolano nel buio perché non riescono a trovarlo o perché non hanno mosso un dito per cercarlo?".
"Còrin", sbuffa. "E dai...".
"Ok... d'accordo". Alzo le mani in segno di resa. "Beh, a questo punto ci resta un'ultima carta da giocare".
Imbocco una stradina laterale e mi fermo davanti ad un portone di metallo grigio. Mi guardo attorno prima di tirare in basso la pesante maniglia arrugginita.
"Dove mi stai portando?".
Lascio andare la maniglia con uno scatto. "Da qualcuno che può sapere cosa sta accadendo", gli spiego, tirandogli le maniche della giacca. "Ma non posso entrare con te conciato in questo modo".
"Che stai facendo?", sibila, cercando di bloccarmi i polsi quando provo a sfilargli la giacca.
Con movimenti veloci e decisi gli slaccio il cinturone.
"Forse non ci faranno caso", sospiro, nascondendo il tutto sotto una panchina di cemento.
"Chi non ci farà caso?", sbotta. "Poi per favore piantarla di spogliarmi?".
Lo ignoro. "Ora dammi il distintivo".
Sgrana gli occhi, cercando di risistemarsi la maglietta dentro i pantaloni. "Stai scherzando?".
Allungo la mano verso di lui, muovendo le dita. "Il distintivo, Luke".
"A che ti serve?".
"Voglio essere certa che non lo tirerai fuori per arrestare qualcuno".
"Scordatelo!".
"Luke", lo imbecco, rendendomi conto con una fitta d'ansia che il mio coprifuoco sta per scadere. "Vuoi scoprire qualcosa sull'assassino oppure no?".
Esitante, estrae il distintivo dalla tasca posteriore dei pantaloni e me lo sbatte sul palmo. "Contenta?".
"Molto", sorrido, addentrandomi nel corridoio illuminato da un'unica lampada a neon che si spegne e si accende ad intervalli irregolari.
Alla mia destra, Luke mi segue silenzioso, sussultando ad ogni rumore. Proseguiamo fino davanti ad un'altra porta di metallo da dietro la quale ci raggiungono le note frastornanti di una canzone rap. Quando la spalanco, non sono ancora riuscita a liberarmi dalla sensazione spiacevole che portare Luke in questo posto sia stato un errore madornale.
Le luci basse e intermittenti illuminano l'ampia sala grigia e i volti dei tre camerieri, indaffarati dietro il lungo bancone del bar.
"E' un club segreto?", mi chiede, osservandosi attorno.
"Non so se è un club ma di certo è segreto".
Controllo distratta una piccola lite tra due ragazzi in canottiera e proseguo oltre, verso il bancone.
"Ciao Jim", saluto cordiale il ragazzo che sta alla cassa.
I suoi occhi scattano immediatamente contro Luke e ci restano per un minuto buono. "Chi è lui?".
"Uno nuovo", gli rispondo, posando i gomiti sul banco tra un bicchiere di birra rovesciato e una bottiglia di vino vuota.
Jim fissa Luke ancora per qualche istante. "Un altro che si crede un supereroe", poi si volta verso di me. "Che cosa vuoi?".
"Indovina un pò", gli rispondo con tono ovvio.
Le labbra gli si tendono per l'irritazione. Poi mi guarda in cagnesco e posa sul banco due bicchierini colmi di un liquido biancastro. "Offro io".
"Nessun commento sulla mia età", sorrido gelida a Luke, mentre afferro un bicchiere. Poi torno a puntare Jim con lo sguardo. "Allora, hai niente da dirmi?".
"Grandioso!". Jim sbatte un pugno sul bancone. "Sei venuta a succhiarmi informazioni!".
Sollevo un sopracciglio. "Cos'altro dovrei succhiar...", mi blocco prima di pronunciare l'intera parola, certa che comunque la gaffe non sia più rimediabile.
"Scommetto che avrai una grande ricompensa per me se parlerò, non è così?", mi chiede sarcastico, le labbra tese ancora all'insù per la mia clamorosa gaffe.
"Ovviamente", mi porto il bicchiere alle labbra e fingo di bere un sorso. Solo l'odore mi fa girare la testa.
"Ovviamente?", sbotta furibondo, colpendo il bancone con un altro pugno. "Devo ricordarti come mi avete ricompensato tu e i tuoi amici l'ultima volta che vi ho dato una mano?".
La mia mente torna veloce allo scontro all'interno della CBM e alla promessa di Andrew. In effetti non c'eravamo comportati onestamente con i nostri informatori.
"Andrew ti aveva promesso una notte di assoluta libertà", cantileno, roteando gli occhi.
"E così non è stato", ribatte acido. "Quella notte ho trovato te e quell'altra ragazza a bloccare i miei piani".
"Quali piani?", interviene Luke, improvvisamente attento.
Gli do una gomitata al fianco per farlo star zitto. "Andrew però non c'era. In fin dei conti ha mantenuto la parola".
Jim si sporge sul bancone, avvicinando il volto ad un pal-mo dal mio. "Mi stai prendendo per il culo?".
"Ehi!". Luke lo spinge via. "Datti una calmata".
Istintivamente sollevo il gomito alla mia sinistra, preve-dendo e parando così il pugno che Jim sta per tirare sulla mandibola di Luke. Lo immobilizzo afferrandolo per il colletto della camicia. Con la coda dell'occhio noto gli sguardi sospettosi dei ragazzi seduti sugli alti sgabelli vicino a noi.
"Jim... calmati! Lascia perdere il mio amico e ascoltami. Ho bisogno del tuo aiuto".
Mi stringe i polsi e allarga le braccia in modo tale che le mie dita si stacchino dalla sua camicia. "Cosa mi dai in cam-bio se ti dirò quello che so?", attacca, quando gli altri due sono usciti dal retro del bancone.
"Tre minuti", gli rispondo laconica.
Mi fissa sorpreso, abbassando le sopracciglia. "Tre minuti per cosa?".
"Tre minuti, Jim", sorrido perfida, "poi chiamerò...".
"La polizia?", gracchia disgustato.
Con la coda dell'occhio vedo Luke scolare l'intero bicchierino tutto d'un fiato.
"Oh, no, niente polizia; fa parte del nostro tacito accordo. Chiamerò invece la mia amica Anne e il mio amico Andrew e insieme al mio amico qua presente", indico Luke con un gesto della mano, "ti daremo una ragione valida per scegliere liberamente se continuare ad essere il nostro informatore o se abbandonare Loveland in meno di due ore".
Jim non batte ciglio, ma so bene che dentro di sé sta a-vendo luogo un conflitto. I nomi di Anne e di Andrew sono la peggior minaccia che sarebbe potuta uscire dalle mie labbra.
Dopo quasi un minuto afferra il bicchiere vuoto davanti a Luke e lo sostituisce con uno pieno. Poi si sporge verso di me. "Che informazione ti serve?".
Luke strabuzza gli occhi, incredulo, versandosi in gola il secondo bicchierino. Lo sento deglutire a fatica.
"C'è un assassino, Jim. Cosa puoi dirmi di lui?".
Per un istante resta in silenzio, perso dietro a pensieri difficili da immaginare. "Ha ucciso un mio uomo. All'inizio pensavo fosse stato uno di voi... ma poi, per quanto mi ripugni ciò che fate, ho pensato che non siete degli assassini. Diciamo che siete la cosa più vicina a dei poliziotti", nel pronunciare l'ultima parola gli sfugge una smorfia disgustata e Luke trasale. "L'ho visto spezzare il collo a un mio uomo senza un minimo di esitazione. E' molto forte", si ferma a riflettere. "Forse più forte della tua amichetta Anne", aggiunge. "Sembra agire d'impulso, senza seguire una logica o un disegno prestabilito...".
"L'hai visto?!?", lo interrompo col cuore in gola.
Annuisce lentamente, mordendosi il labbro inferiore.
"Puoi descrivermelo?", insisto impaziente.
Jim alza lo sguardo gelido su un ragazzo che si è avvicinato a noi. "Sparisci!", gli ordina. Poi torna ad abbassare gli occhi sui miei. "Non è facile descriverlo. Quel ragazzo non sembrava nemmeno reale. Si muoveva ad una velocità sorprendente. E' sbucato da dietro ad un muretto alto due metri, ha ucciso il mio uomo con un colpo secco e ha tagliato la gola della sua ragazza. Poi ha fatto un balzo ed è scomparso dietro lo stesso muretto".
"Veloce... forte... agile...", ripeto.
Sopra pensiero guardo Jim allontanarsi verso lo scaffale alle sue spalle e scegliere una bottiglia di vino pregiato. La posa sopra un vassoio insieme a quattro calici.
Mi mordicchio il labbro; perché queste tre parole mi mettono addosso un'ansia ingestibile?
Luke mi da uno strattone ed io riprendo a respirare.
"Tutto bene?".
"Sì". Il tono della mia voce coglie tutte e due di sorpresa. Torno a concentrarmi su Jim. "Grazie per l'informazione".
"Al diavolo! Spero almeno che nessuno di voi torni a farmi visita nei prossimi giorni". Mi punta un dito contro. "Mi gioco la reputazione se qualcuno mi vede parlare troppo a lungo con certa gentaglia".
"A questo c'è rimedio". Tiro indietro il gomito, sollevandolo all'altezza della spalla. "Di sicuro ora nessuno qua dentro penserà che siamo amici". Faccio scattare il braccio in avanti, mirando alla sua bocca.
Jim retrocede, fino a sbattere contro le mensole colme di bottiglie, ed io ne approfitto per trascinare Luke giù dallo sgabello prima che la situazione degeneri.
"Dimmi dove posso trovarlo".
"Se lo sapessi ci sarei andato di persona", risponde, ta-standosi la mandibola.
Gli volto le spalle e azzardo un passo avanti. La rissa tra i due ragazzi di prima non è ancora cessata.
"A proposito, Jim, fai in modo che quei due smettano di litigare se non vuoi che spifferi alla polizia che in questo locale avviene il più grande scambio di droga di tutta Loveland", dico di proposito.
Luke sgrana gli occhi.
"Agli ordini", mugugna Jim, ignaro.
"Ho sentito bene?", balbetta Luke.
Imposto le labbra in un sorriso gelido. "Zitto e cammina!", bisbiglio frettolosamente con un impercettibile movimento della bocca.
Usciti dal locale, recupero la pistola e la porgo a Luke in-sieme al distintivo e alla giacca della sua divisa.
"Incredibile!", esclama, ancora sconvolto, mentre chiude la zip della giacca.
"Mi dici cosa c'è di così incredibile?".
Il respiro di Luke si trasforma in una risata. "A (sostituire con CON)quel tizio è bastato nominare i nomi dei tuoi amici per farlo parlare", ride più forte, prendendo la mia mano tra la sua. "Una volta lo avevo arrestato per una rissa e non ero riuscito a farlo parlare nemmeno dopo due ore di interrogatorio e minacce". Poi torna a farsi serio. "Meno male che non mi ha riconosciuto. Anche se inizialmente, da come mi guardava, ho temuto il peggio".
"Già... ho sudato freddo".
Ripercorriamo la strada al contrario puntando verso il ci-mitero. All'andata non avevo fatto caso di essere passata proprio davanti casa di Derryl. Lancio una veloce occhiata verso le finestre ma la luce è spenta e non distinguo nulla. Quante cose sono cambiate da allora...
"Sono contento di essere qui con te", dice di punto in bianco, dandomi una lieve gomitata sul fianco. "Non avrei mai creduto che un giorno io e te saremmo usciti di ronda insieme ma... sono contento di averlo fatto. Dopo tutto anche tu hai bisogno di protezione".
"Chi non ne ha?".
Sento la sua mano posarsi sul mio braccio e fare leva per girarmi verso di lui.
"Io voglio proteggere te". Suona quasi come una promessa solenne. "Solo te", precisa.
Lo fisso per un breve momento, sbalordita e senza parole. "O... kay... va bene. Mi fa piacere".
"Perchè ti amavo davvero", prosegue. Mi volto, ma lui mi prende per le spalle e mi fa girare di nuovo. "No, aspetta. Lo so, lo so, Còrin, che tra noi è tutto finito. E se non ti amassi ancora non avrei certo risollevato l'argomento. Ho provato a starti lontano, Dio solo sa se non l'ho fatto, e per un po' mi è sembrato perfino di riuscirci", mentre lo dice avvicina lentamente le labbra alle mie, "ma è stato tutto inutile".
Tiro indietro la testa con un movimento lento e gli poso una mano sul petto per fermarlo. "Comportati bene".
"E se non ci riuscissi?".
"Luke!", lo imbecco.
Abbassa le sopracciglia e un'ombra appare nei suoi occhi socchiusi. "Non voglio starti lontano".
"Nemmeno se te lo chiedessi...".
Comincia a scrollare la testa prima ancora che finisca di parlare. "Soprattutto se me lo chiedi. Perché so che non è quello che desideri. Una parte di te continua a volermi".
Ci penso su bene. "Sì! Hai ragione", ammetto infine. "Ma è una parte talmente piccola che non porterà a nulla di buono".
"Non puoi saperlo".
"Ok", sollevo una mano implorando tregua. "Basta così. Continuamo la ronda, vuoi?".
Ma appena provo a fare due passi in avanti, in un lampo mi si para di fronte, bloccandomi la strada.
"Sono ancora innamorato di te", il tono con cui lo dice ha un tale grado di sincerità da farmi arrossire.
La risposta mi affiora spontanea nella mente e la pronuncio prima di aver il tempo di riflettere. "E mi dispiace per te".
Aggrotta le sopracciglia ripensando a qualcosa, poi lo sguardo gli si illumina di comprensione. "Non sarà per via di quel ragazzino che ho visto alla scorsa festa di S. Valentino?".
"Non ti riguarda".
"Perfetto!". Soffoca un ghigno, senza ombra di buon umore. "Basta che arrivi il primo ragazzo con un bel viso e voi donne perdete la testa?".
"Mi avevi lasciata", alzo la voce.
"E tu ti sei consolata col primo che passava".
"Non essere offensivo, Luke".
Ho il sospetto che se non ci do un taglio netto, continuerà per ore a rivangare nel mio passato. Ed è una cosa che fa più male a me che a lui. Non voglio ricordare. Non ce la faccio. L'unica ragione per la quale mi permetto ancora di pensare a Deniel è solo per paura di dimenticarlo.
Luke si stringe nelle spalle, scalciando il borsone con la punta della scarpa. "E' solo che mi fa infuriare il pensiero tu possa soffrire per qualcuno che non sia io. Cioè...", sorride imbarazzato, "... intendevo dire che mi fa infuriare il solo pensiero tu possa soffrire".
"Io sto bene", lo rassicuro.
"Quello è solo un ragazzino. Cosa vuoi che ne sappia delle donne?".
"Non ne sapeva niente", rispondo sincera. E non è certo una critica, anche se dal sorriso di Luke intuisco che deve averla scambiata come tale. "Ma non era un ragazzino. Non lo era affatto".
Dalla sua espressione traspare del sarcasmo. "Ma se avrà avuto si e no diciott'anni".
"Ne aveva molti di più".
Chiudo gli occhi e mi sorprendo a sorridere al ricordo nitido del suo volto quasi infantile, invecchiato unicamente dallo sguardo splendido e ipnotico.
"Ma li portava molto bene", aggiungo.
Poi riapro gli occhi e l'immagine stupefacente di Deniel viene sostituita dal volto quasi anonimo di Luke. Per qualche strana ragione la sua espressione è tornata quella allegra di sempre. Ne capisco la motivazione solo quando apre bocca per parlare.
"Còrin, per certi versi tu sei la persona più matura che abbia mai conosciuto, ma a volte ti comporti proprio come una bambina".
Faccio una smorfia. "Non è un fatto così strano in una ra-gazza di vent'anni".
"Infatti!", sorride soddisfatto. Sembra proprio che gli abbia fornito la risposta che sperava. "Hai vent'anni. Ed è ora che capisca da sola chi è meglio per te".
"E scommetto che se proprio non dovessi capirlo da sola tu non vedrai l'ora di spiegarmelo".
Allunga una mano per accarezzarmi la guancia e ancora una volta mi ritrovo ad indietreggiare.
"Da come parli di lui, sembra che non ti voglia. Sbaglio?".
Ci penso un po' su. Quale verità posso dirgli?
"Non possiamo stare insieme". Come risposta mi sembra la più azzeccata. Indipendentemente dal fatto che Deniel sia vivo o morto, non potremmo in ogni caso stare insieme.
"Perciò non ti ama". Luke sembra arrivare all'unica conclusione accettabile.
"No!", lo smentisco. "Non ho detto questo".
"Se fossi lucida sceglieresti me".
"Non devo scegliere nessuno".
Mi afferra il mento con una mano, costringendomi a guardarlo dritto negli occhi. "L'hai già fatto".
"Non obbligarmi a dirti parole che non vorresti sentire", lo avverto.
Avvicina le labbra a pochi centimetri dalle mie. "Vuoi continuare a soffrire con lui? O preferisci essere felice con me?".
Lo fisso irritata. "Sei molto arrogante!".
"Solo perché ti sto offrendo un'alternativa?"
Respiro a fondo, ricacciando un urlo in gola. "Non voglio vagliare nessuna alternativa".
Atteggia le labbra ad un sorriso sardonico. "Come preferisci". Poi mi lascia libero il mento e si allontana di qualche passo. "Ma non venirmi a dire che non ti ho avvertita".
"Piuttosto mi strappo la lingua".
Per un po' restiamo in silenzio, guardandoci in cagnesco. Alla fine ripercorre in un lampo il metro che ci separa e si china in avanti per osservarmi meglio: "Sei proprio un'ingenua se credi che lui tornerà da te".
"Tu non sai niente. Ok?".
Tuttavia la verità delle sue parole mi colpisce come una frustata, facendomi venir voglia di urlare.
"E non siamo usciti per parlare di lui", gli ricordo quando mi rendo conto di essere arrivata al limite massimo della sopportazione. "Anche se a questo punto dubito di voler continuare la ronda in tua compagnia".
"Vuoi che me ne vada?".
"No", rispondo senza pensarci.
Il suo sorriso accecante mi fa venir voglia di rimangiarmi la risposta. Ma è troppo tardi. Come al solito, per sfuggire al dolore finisco con l'illuderlo.
"Visto? Arrabbiata o no mi vuoi sempre accanto a te".
Mi accorgo quasi troppo tardi che sta per afferrarmi la mano. Mi scanso giusto in tempo.
"Non comportarti da stupido", brontolo.
Abbozza un sorriso inquietante, distorto. "So che mi pensi. So che mi vuoi".
Le parole mi schizzano veloci, automatiche. "Penso e vo-glio un solo ragazzo. E non sei tu".
Luke si allontana di scatto, sollevando le mani come in segno di resa. "Alleluia!".
E nell'esatto momento, ai margini del mio campo visivo, scorgo un'ombra allontanarsi e nascondersi dietro l'angolo di una casa. Resto a fissarla a lungo, col fiato sospeso in gola.
"Spostiamoci da qui", suggerisco inquieta.
Riprendo a camminare, invertendo il senso di marcia. Sento contro le mie spalle gli occhi invisibili di qualcuno spiare ogni mio movimento. Mi sembra quasi di avere una telecamera puntata contro. "Scommetto che è Andrew".
"Non scappare", mi stuzzica, accennando una corsa per tenere il mio passo.
"Non sto scappando", obietto. "Ma ti ricordo che siamo di ronda e qua non c'è nessuno. A parte due turisti che stanno bevendo una coca seduti sul marciapiede davanti al Motel Super 8".
"Aspetta un momento, Còrin!", mi chiama ansioso. "Fer-mati un secondo e parla con me".
Quando mi volto verso di lui, mi afferra per il gomito e mi solleva quasi da terra per impedirmi di proseguire lungo la via. Infuriata cerco di divincolarmi, ma la sua presa è salda, mi fa male. Passandomi una braccio attorno alla vita, mi tira contro di sé così in fretta da non lasciarmi il tempo di ritrarmi.
"Ho bisogno di un tuo sì", mi alita contro.
Tento ancora di ritrarmi ma le dita di Luke si conficcano nella mia carne, come artigli. Malgrado la confusione che ho in testa, per mezzo secondo mi colpisce con intensità inaspettata l'assurdo desiderio di assecondarlo. Chiudo gli occhi, sforzandomi di non pensare a Deniel, ma appena lo faccio il suo volto compare nitido tra i miei ricordi, gettando nell'ombra quello di Luke.
E di nuovo la sensazione di essere in bilico sopra un baratro; la mano di Luke protesa verso di me, come un'ancora di salvezza, pronta ad acciuffarmi se dovessi sbilanciarmi troppo, e in fondo, nel buio degli abissi, gli occhi di Deniel che mi fissano imploranti, ipnotici, incitandomi a fare un tuffo nel vuoto per raggiungerlo.
Sono in bilico e non so che fare, perché qualunque deci-sione voglia prendere, non cancellerà il dolore che ho causato ad entrambi.
"Devo sapere se ho una qualche remota possibilità con te". Nel parlare schiude le labbra, sfiorando l'angolo delle mie.
Forse Luke è davvero la soluzione che vado cercando da giorni e giorni. Dopotutto, la solitudine che mi sono autoim-posta non mi riporterà indietro nel tempo. In nessun modo vedrò ancora le labbra di Deniel curvate in un sorriso beffardo mentre studia i miei atteggiamenti, così differenti da quelli di chi aveva conosciuto prima di allontanarsi dal Tibet.
Deniel... ecco cosa voglio. E non posso averlo. Mai più.
Solo a questo punto la mia voce si fa strada tra il nodo che ho in gola, pronta a protestare, ma è troppo tardi. Una mano di Luke si è già insinuata tra i miei capelli, all'altezza della nuca. L'altra sul mio fianco, sotto un lembo di giacca, mi schiaccia contro il suo petto. Posso percepire contro pelle il pomposo ritmo di gioia del suo cuore. E poi le sue labbra umide schiudono le mie, la lingua preme contro i miei denti per crearsi un passaggio. Istintivamente stringo le mani in pugno contro la sua schiena, spalancando gli occhi.
Ed è quel punto che noto la stessa ombra di prima.
Sollevo lo sguardo sopra la spalla di Luke, seguendone i movimenti; dal fondo della via si avvicina a noi emanando una furia che solo in pochi ho avuto la possibilità di vedere. L'incredibile familiarità di questa sagoma mi fa scendere un rivolo di freddo lungo la spina dorsale. E' ancora troppo di-stante perché possa riconoscerne i tratti del volto, eppure qualcosa nello scintillio di quegli occhi furenti e succhiusi mi da una gioia che non credevo avrei mai più potuto riprovare.
Una fiammella di vitalità dentro di me riprende a bruciare.
Poi le labbra di Luke si staccano dalle mie e nel medesimo istante la sagoma si blocca, mimetizzandosi nel buio.
Contro ogni logica, continuando a fissare la maestosa sagoma, premo le labbra contro quelle di Luke, intrecciando le dita dietro la sua nuca con violenza e frenesia. E la sagoma riprende ad avvicinarsi a noi, tremante di rabbia, fino a fermarsi a pochi centimetri dalla luce di un lampione. Sbatto le palpebre per una decina di volte, temendo di vederla scomparire, e pian piano nella mia testa affiora un nome.
Ma non ha senso...
Ogni muscolo, anche quello più piccolo e insignificante, mi si immobilizza fino ad impietrirsi.
Non può essere...
Di nuovo mi ritrovo a cercare la bocca di Luke, e di nuovo, accanto al cerchio di luce sull'asfalto, si allunga la figura di un uomo. Questa volta non ho più dubbi.
Mio malgrado comincio a vagliare ogni possibilità: un'allucinazione, il dolore, uno scambio di persona, sono impazzita... Il dolore e la pazzia possono causare allucinazioni, ma non tanto nitide. Generalmente si presentano come una fosca immagine dai contorni non ben designati e sfumano al primo sbattito di ciglia. Allora forse il mio subconscio mi ha portata a scambiare quell'uomo, a sovrappore al suo volto quello di qualcun altro. Ma anche questo dovrebbe collegarsi ad un qualche tipo di pazzia. Ed in genere un pazzo sa di esserlo. Mentre io mi sento normale. O almeno mi sentivo così fino a qualche minuto fa.
Strizzo le palpebre nel momento stesso che due occhi scintillanti bruciano nei miei, e quando trovo il coraggio di risollevarle, nella via non c'è più nulla. Un'allucinazione, sì. E se basta un bacio di Luke per farla riapparire...
"Baciami ancora", lo supplico.
Scambiando la mia confusione per eccitazione non lascia passare più di mezzo secondo prima di stringermi a sé per la terza volta. Comincio ad esultare quando questa specie di allucinazione riappare nel medesimo punto in cui era scomparsa. Il cuore mi si gonfia tanto che il respiro mi esce in tanti piccoli singhiozzi che crescono man mano d'intensità, fino ad esplodere in un urlo.
"Deniel!!!", pronuncio contro le labbra umide e morbide di Luke.
Di colpo i suoi denti si serrano per la rabbia e sbattono contro i miei, facendomi scattare all'indietro con la testa.
"Deniel?", ringhia, scuotendomi per le spalle. "Deniel?".
Si volta per seguire la traiettoria del mio sguardo e resta per un po' immobile a fissare la sagoma a qualche metro da noi. Ferma, più precisamente immobile, sembra davvero una allucinazione. Ma è davvero improbabile che sia io che Luke siamo vittime della stessa.
Spalanco la bocca, avanzando lentamente. Ad ogni mio passo la sagoma retrocede, come volesse mantenere la stessa identica distanza tra di sé e me, nello stesso identico modo di un sogno, quando si prova a raggiungere qualcosa senza riuscirci. Corro, corro, corro verso quella sagoma, ma ogni mio tentativo di raggiungerla è vano. E se fosse davvero un sogno?
Strizzo gli occhi, nel tentativo di mettere a fuoco i suoi li-neamenti confusi dalla notte e un secondo dopo, quando sollevo le palpebre, è scomparso di nuovo. Mi guardo attorno sbalordita, sentendomi di nuovo persa e sola.
Luke mi corre accanto. "Puoi smettere per favore di comportarti da pazza?".
"Deniel...", ansimo.
"E per favore puoi smettere anche di ripetere il nome di quello lì?".
Sento le ginocchia tremare. Gli occhi fissi nel punto dove avevo visto l'ombra. Quelli di Luke sulla mia bocca.
"Sai, non è piacevole baciare una ragazza che spasima per un altro. Anzi", mi stringe il mento per obbligarmi a distogliere lo sguardo dalla luce del lampione, "per un'ombra".
"Scusami. Davvero", farfuglio confusa, sviando il suo sguardo raggelante. "E' solo che quell'ombra...", scrollo la testa, sforzandomi di non apparire pazza. "Ho commesso un errore".
"Lasciatelo dire Còrin, sei strana forte".
Chino la testa verso le mie mani, gelide per lo shock, non sapendo in che modo poterlo smentire. Anche se "strana" non è propriamente la giusta definizione. "Pazza" senza alcun dubbio è la più azzeccata.
Deniel!
Se questo è davvero un sogno, non so se desiderare di svegliarmi o continuare a riviverlo all'infinito, per quanto la parte in cui bacio Luke somigli vagamente ad un incubo. Eppure, sento di essere disposta a baciare qualunque uomo di Loveland, se questo servisse a farmi rivedere Deniel. Questo è il problema. Questo è l'aspetto più crudo del baratro che mi ha inghiottita qualche mese fa. I sensi di colpa, il dolore, il rimpianto, la solitudine, la consapevolezza che nessun'altro riuscirà mai a farmi sentire viva, sono tutti ingredienti che mi impediscono di desiderare qualcuno. La consapevolezza che non riuscirò mai ad aprirmi con nessuno, senza sentirmi in qualche modo una traditrice.
"Vuoi tornare a casa?", mi domanda. Devo avere proprio una brutta cera.
Lo guardo a lungo prima di annuire. Di sicuro non vede l'ora che la serata finisca e la sua aria offesa scoraggia ogni tipo di conversazione. Man mano che i minuti passano sembra che la rabbia che sta provando, anziché scemare, si accumuli a dismisura.
Ci trasciniamo stanchi, con lo sguardo incollato a terra e le spalle ricurve, fino davanti a casa mia. Sotto la veranda perdo tempo a giocherellare con le chiavi. Non ho idea di che espressione ho e cerco di intuirla dal modo in cui Luke mi guarda. Non sembra impietosito... buon segno.
"Fammi sapere quando vuoi rischiare ancora la tua vita insieme a me", abbozzo, fissando le chiavi.
"Se proprio devo, preferirei rischiare la vita per te", precisa. Posa gli occhi sui miei per un breve attimo. "Perchè lo sai, lo sai vero, che io ti amo?".
Retrocedo di un passo verso la porta, smettendo automaticamente di giocherellare con le chiavi di casa. Scuoto la testa, sentendo ancora il sapore delle sue labbra sulle mie. L'annebbiamento e il dolore sono tornati. Restare lucida e concentrata è più difficile che mai.
"Attenta al gradino", ridacchia, indicando col dito l'ostacolo alle mie spalle. Sono talmente fuori di me che quasi non faccio caso a ciò che ho sotto i piedi.
"Còrin...", attacca mentre sto per aprire la porta. Ma poi sta zitto. O almeno così mi sembra, nonostante le sue labbra continuano a muoversi veloci, espellendo solo una specie di grugno che non riesco a decifrare. O che forse non voglio farlo. Gli ho davvero sentito dire "quel Deniel è sempre tra i piedi"?
Resto con la mano aggrappata alla maniglia. "Che... che cosa hai detto?".
"Niente", brontola, scrollando le spalle e allontanandosi di un passo. Infine la sua espressione si addolcisce. "Vuoi che venga a prenderti a scuola domani?".
"Per la verità ho appuntamento con Anne. Ultimamente si comporta in modo strano".
"Avete litigato?".
Ci penso un po' su. "No. Ma da quella sera che sono uscita di ronda con te e i tuoi colleghi sembra voglia evitarmi".
"Forse non le va giù che stai collaborando con la polizia", ipotizza. "Sarebbe anche capibile, dal momento che voi... insomma... non sto dicendo che siete dei criminali, ma di certo non rispettate la legge".
"Se volevi arrestarci l'avresti già fatto".
"Non voglio farlo", dice, assolutamente sincero.
Il sangue sulle dita ferme sulla maniglia riprende a circo-larmi. "Solo perché ti siamo d'aiuto?".
"Ma no", sorride gentile. "Non per questo. Io...", si passa la lungua sulle labbra prima di continuare. "D'accordo... te lo dico. Ma giurami che non riferirai mai quello che sto per dirti. Passerei per un poliziotto negligente".
"Non lo sei?", gli strizzo l'occhio per fargli capire che non deve prendersela. Anche se negli ultimi anni Luke non ha fatto nulla per fermare la delinquenza di Loveland, devo ammettere che ultimamente si sta prestando al servizio dei cittadini. Lo fa part-time, d'accordo. E a volte sembra che lavori a puntate, ma è pur sempre meglio di niente.
Di nuovo mi ritrovo ad immaginarmi seduta attorno ad un tavolo con Anne, Andrew e Nick a giocare a Monopoli. E questa volta c'è anche Deniel. Nella mia immaginazione ovviamente non sa giocare, ma c'è! Assurdamente, contro ogni logica, c'è!
"Voi siete brava gente, venite da buone famiglie", riprende dopo un po'. "E tu per me sei... beh, già lo sai", sorride. "Se vi arrestassi, mi sembrerebbe quasi di ammanettare degli... eroi".
"Eroi?", rido. Mi hanno chiamata in tanti modo nella vita, ma eroe...
Si stringe nelle spalle, imbarazzato. "... Una specie...".
"Una specie?", ripeto seccata.
"Non so gli altri ma tu come eroe, sei un po'... bizzarra?", azzarda, pregando probabilmente di non offendermi.
"Io sono normalissima".
A questo punto è lui a scoppiare a ridere. "Tu? Normale? Ma se ti metti a parlare perfino alle ombre".
Di colpo sento il sangue fluirmi dalla punta delle dita e fi-nirmi all'imboccatura dello stomaco. "L'hai vista anche tu? Non me la sono sognata?", gli chiedo con slancio.
"Ah Còrin, Còrin", sbuffa, riprendendo a retrocedere lungo il vialetto. Quando ha raggiunto il cancelletto solleva frettolosamente il braccio in segno di saluto.
Resto per un po' ferma nella medesima posizione, fissando soprapensiero il lampione dove per la prima volta avevo intravisto un'ombra. Poi, appena il cuore riprende un ritmo suppergiù regolare, entro in casa, puntando immediatamente le scale. Dallo schienale del divano spuntano le teste di Andy e di mia madre.
"Tutto ok?", bisbiglia Andy appena raggiungo il terzo gra-dino.
Probabilmente ho un aspetto peggiore di quanto avrei mai potuto immaginare perché, appena mi guarda in volto, posa delicatamente la testa di mia madre sui cuscini del divano e mi raggiunge a grandi passi. Quando mi è abbastanza vicino,
studia per un lungo momento ogni parte del mio corpo per accertarsi che non ci siano ferite. L'ansia nei suoi occhi si placa e viene rimpiazzata dal solito sguardo di disapprovazione.
"E' stata una bella serata. Abbiamo mangiato un gelato enorme e Luke mi ha portata a visitare una parte del lago che non avevo mai visto", lo rassicuro, cercando di riportare sul mio volto un'espressione pacata. Eppure so bene che nei miei occhi lui è in grado di leggere la verità. "Notte papà".
Faccio per salire un altro gradino ma lui prontamente mi trattiene per un braccio. Sento che sto per perdere il controllo e l'ultima cosa che voglio è scoppiare in lacrime davanti a lui.
"Aspetta! Cosa è successo questa sera?". So bene a cosa si sta riferendo. Mai dimenticare che è empatico.
Sbuffo. "Papà...".
"Va bene", sussurra. Probabilmente ha intuito che sto per scoppiare in lacrime. "Lasciamo stare. Senti... ", mi lancia uno sguardo penetrante, "... dovessero servirti, tua madre ha spostato il disinfettante e le bende nel mobiletto del bagno".
"Non mi sono fatta neanche un graffio".
Tira un sospiro di sollievo. "Ah, Còrin, un'altra cosa", ag-giunge in fretta. La voce è tornata quella di sempre. "Mentre eri fuori ha telefonato Anne e mi ha lasciato detto che domani pomeriggio non sa se arriverà in tempo per il vostro appuntamento".
Mi acciglio. "Ha detto proprio così?".
Annuisce, voltandosi di poco verso il divano quando mia madre si muove per cambiare posizione.
"Senti papà, per caso l'hai guardata negli occhi ultima-mente?". So che è meschino da parte mia, ma non avendo altre scappatoie sono quasi obbligata a far affidamento sulla sua empatia se voglio scoprire in tempi brevi cosa le passa per la testa.
Annuisce ancora, quasi sorpreso da questa mia domanda.
"E...?", lo incalzo.
"E' molto confusa", asserisce. "So che ti sta nascondendo qualcosa, un qualcosa che non ha detto nemmeno a Nick".
"Che cosa ci sta nascondendo?".
"Tesoro, io non leggo nel pensiero. Percepisco solo le e-mozioni e di tanto in tanto riesco ad anticipare le intenzioni degli altri. Perché non le parli?".
Riprendo a salire i gradini. "Lo farei se si degnasse di presentarsi agli appuntamenti. Buona notte, papà".
"Sogni d'oro".
Mi lascio cadere sul materasso, esausta, senza nemmeno la forza di cambiarmi i vestiti e di togliermi le scarpe. Agguanto il mio peluches preferito e mi abbandono al sonno con quelle tre parole che suonano nella mia testa come una macabra ninna nanna: ... veloce... forte... agile...
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