UN MONDO PER NOI

Bussai alla porta una decina di volte prima di percepire l'avvicinarsi dei passi. Irrigidii i muscoli della faccia nel tentativo di mantenere le labbra piegate in un sorriso riverente.

Anne aprì la porta e restò a fissarmi con aria stravolta per un minuto buono. Potevo intuire i suoi pensieri; ero forse un fantasma?

"Che ci fai qui?", mi chiese infine, fissandomi come fossi stato un mostro. E probabilmente era proprio così che mi vedevano tutti gli amici di Còrin.

Se ora fossi stato sincero con lei dicendole che una pugnalata allo stomaco non bastava per uccidere un semi-immortale, oltre che a vedermi come un mostro avrebbe cominciato a darmi del pazzo.

Una profonda ruga le attraversò la fronte, sembrava incerta e arrabbiata allo stesso momento.

"Quando sei tornato?", domandò.

Aggrottai le sopracciglia nel tentativo di dare un senso alla sua domanda. Tornato da dove? Dall'inferno? Esaminai il suo viso cambiare colore e un dubbio atroce infuriò in me prima che lei potesse aggiungere altro: Còrin glielo aveva detto di avermi "ucciso"?

"Posso entrare?", le chiesi, sebbene avessi la certezza matematica che si sarebbe rifiutata. D'altra parte, chi farebbe entrare un assassino in casa propria? Eccetto Còrin, ovviamente.

Anne si fece avanti, socchiudendosi la porta alle spalle. No, non voleva farmi entrare.

"Che cosa ci fai qua?". Sembrava non importarle di nient'altro.

Dovevo sforzarmi di essere gentile.

"Ho bisogno del tuo aiuto", risposi.

Studiai con impazienza le varie emozioni che sbocciarono sul suo volto. Era molto irritante dover aspettare una risposta. Generalmente ero abituato a pretenderle le cose. Ma avevo capito che con Anne era molto meglio andarci con i piedi di piombo.

"Per... per cosa?", finalmente rispose. Chissà perché bal-bettava sempre in mia presenza?

Vidi i suoi occhi fissare un punto del mio viso. Era ammi-razione? Stupore? O irritazione?

"Per Còrin".

"Sta male?", mi chiese con urgenza. "Le è successo qualcosa".

"Ancora no. Ma se continuerà ad affrontare le ronde in questa maniera...".

"Qu... quale maniera?", mi interruppe, gli occhi fissi ancora sul mio volto.

Eppure non la stavo ipnotizzando, ne ero certo. Presi un profondo respiro. Anne era strana quasi quanto Còrin.

"E' troppo distratta", le spiegai. "L'ho seguita per tutta la notte".

La verità Deniel, gridai a me stesso. "Per la verità la sto seguendo da settimane...", aggiunsi.

"Che cosa hai... hai fatto?".

"Subito dopo lo scontro alla CBM stavo per andarmene da Loveland ma qualcosa mi ha trattenuto". Sorvolai volutamente sul modo in cui io e Còrin c'eravamo salutati. "Ho cominciato a seguire Còrin e mi sono reso conto che sta soffrendo. Così tanto da non importarle di sopravvivere alle ronde. Da non importarle più di nulla".

I suoi occhi finalmente si abbassarono, dandomi la certezza che non la stavo ipnotizzando involontariamente.

"Lo so", sospirò, tentennando con la testa. "E' da quando tu te ne sei... cioè, da quando è convinta che tu te ne sia andato che è così".

"Lei mi crede morto".

Mi accorsi troppo tardi di essermi sbilanciato troppo. Irri-gidii la mascella in attesa di una reazione esagerata da parte sua. La sua calma mi stupì.

"Perché dovrebbe?".

L'espressione sorpresa era profondamente onesta. Non trovai nessun segnale che mi spingesse a credere che stesse mentendo. Quindi Còrin non le aveva detto nulla! Conoscendola, avrei dovuto aspettarmelo. Si era sempre dimostrata molto contraria al fatto di uccidere, quindi non c'era niente di strano nella sua scelta di non raccontare nulla ai suoi amici.

Afferrai Anne per una mano, trascinandola lungo il cortile. Mi sembrò di sentire le sue dita tremare e quando mi voltai, vidi che stava facendo di tutto per rallentare il mio passo. Era tutta qui la sua forza?

"Che cosa c'è?", sibilai, dimenticando completamente le buone maniere.

I suoi piedi restarono impuntati a terra. Mi fermai per paura di staccarle il polso.

"Dove mi stai portando?", si lamentò.

L'avevo spaventata? Bene!

"A casa mia".

I suoi occhi si accesero di rabbia, ma appena si scontrarono con i miei tornarono a spegnersi.

"Non voglio venire a casa tua".

La strattonai più forte e per poco non cadde a terra. "Lo farai comunque".

"Ho detto di no", alzò la voce, impuntando i piedi nella ghiaia e lasciando dietro di se due profondi solchi.

Fu in quel preciso istante che capii che le donne erano maledettamente testarde. Non era una prerogativa di Còrin, tutte le donne lo erano. Tirai un profondo respiro. Non ero abituato a parlare con le persone né tanto meno a ragionarci, e mi resi conto che provare a ragionare con una donna sfiorava l'impossibile. Non mi restava da far altro che giocarmi la carta dell'ipnosi.

La fissai intensamente, muovendo le pupille da destra a sinistra. In un batter d'occhio tutte le sue restrizioni svanirono e mi seguì ammutolita lungo il viale senza sognarsi di sollevare altre polemiche. Quando entrammo nella cascina era ancora sotto l'effetto ammaliatore dei miei occhi. Percepivo la sua curiosità e il suo desiderio di guardarsi attorno, se non altro per capire dove l'avessi portata, perciò chiusi le palpebre per una frazione di secondo in modo che potesse liberarsi da sotto la mia influenza. Le sue pupille tornarono a dilatarsi e il sorriso scomparve completamente dalla sua bocca.

Mi armai di pazienza ed attesi che si orientasse. Impiegò molto più di quanto pensassi. Infine aprì la bocca di mezzo millimetro e parlò rigida.

"E' una casa molto bella. E' carino e romantico che tu abbia deciso di regalarla a Còrin".

Romantico? No, non era per questo che l'avevo fatto.

"Era il minimo che potessi fare, dal momento che mi sono comportato in maniera molto sgarbata la prima volta che l'avevo incontrata".

Mentre ancora stavo parlando, il ricordo vivo della lacrima che le era scivolata accanto alla tempia quando stavo per ucciderla, mi colpì più forte di una pugnalata. L'avevo ferita, umiliata, colpita con una ferocia inaudita, e lei aveva continuato ad amarmi.

"Già, l'hai quasi uccisa", polemizzò.

"Quasi!", rimarcai, inviandole uno sguardo d'avvertimento. Forse non le era ben chiaro che non le conveniva mettersi contro di me.

Si mosse per la stanza con circospezione, senza mai perdermi di vista. "Perché mi hai portata qui, Deniel?".

"Avevo paura che Còrin potesse passare a casa tua. Non volevo che mi vedesse". Mi morsi la lingua un'altra volta. Perché glielo avevo detto? Che cavolo le importava? Non dovevo giustificare le mie decisioni con lei?

"Perché no?".

Come potevo dire ad alta voce quelle parole che solo pensandole mi straziavano? Avrei perso il controllo nel pronunciarle? Strinsi i denti e serrai i pugni. Qualunque reazione avessero scatenato in me dovevo impedirmi di prendermela con lei. Tirai un profondo respiro e contai lentamente fino a tre prima di rispondere.

"Perché Còrin non mi vuole".

Scoppiò a ridere. Negli occhi un'ombra di scetticismo. "Devi essere completamente pazzo. Non credo che al mondo esista una donna che non voglia stare con te".

Mi rabbuiai. "Anche tu?".

Temevo la risposta. Ma dopo aver visto come si comportavano con me le donne che incrociavo lungo la strada, era una domanda che dovevo assolutamente porle.

Notai il rosa sulle sue guance. "Sì".

La sua affermazione, nonostante me l'aspettassi, m'inondò le vene di rabbia. Feci un passo avanti, puntando gli occhi contro la sua gola. Se non avesse ripreso a parlare avrei ceduto alla tentazione di ucciderla.

"Ma non starei mai con te. Non potrei mai fare un torto simile a Còrin. So che non ne sai molto su come funzionano certe cose ma suppongo tu ti sia reso conto dell'effetto che fai alle ragazze. Mi sorprende che nessuna abbia mai tentato di violentarti".

Aprii la bocca per parlare ma la richiusi subito. Quella pa-rola l'avevo già sentita. Quando? Ah, sì...

"Còrin, la seconda volta che la incontrai, temeva appunto questa cosa", mi ricordai.

Il rosa sulle sue guance aumentò. "Ha tentato di violentarti?".

"No", scoppiai a ridere. "Lei temeva che io volessi fare questa cosa a lei. Ma onestamente non avrei saputo proprio come farlo". Ammettere di non saper fare una cosa era abbastanza umiliante.

Anne si accomodò sul divano, accavallando le gambe e rimuginando qualcosa tra se e se.

"Fare cosa?", mi chiese infine.

Mi stavo irritando e divertendo allo stesso modo. Era interessante scoprire cose nuove, un po' meno che ad insegnarmele fosse Anne.

"Non so come si fa a violentare una persona. Né se è una cosa bella o brutta".

"Tu non sai...?", le parole le morirono in bocca. Il sorriso scomparve dalla sua faccia e i suoi occhi presero a studiarmi attentamente. "Mi stai dicendo sul serio che...".

Il divertimento momentaneo scomparve lasciando posto solo all'irritazione. Usai un tono duro nel proseguire la sua frase lasciata a metà. "Non so cosa devo fare per violentare una persona".

Si schiarì la gola. Sembrava star cercando le parole esatte. "Comunque è una cosa molto brutta. Non la dovrai fare mai".

"Perché no?".

Non riuscivo davvero a capire. Dopo tutto non stavamo sicuramente parlando di uccidere. Mi rabbuiai. C'erano troppe cose in questo nuovo mondo che non si dovevano fare. Da quando ero nato mai nessuno aveva osato porre dei limiti alle mie azioni. Ero stato libero, mentre ora mi sentivo intrappolato in una prigione di divieti assurdi, schiavo di sentimenti che non avevo mai provato e legato ad una catena di ormoni e sensazioni che mi facevano impazzire. A far bene, avrei dovuto scappare da questo posto. Ma il pensiero di lei, sempre lei, nella mia testa... lei era ovunque dentro di me. Avrei potuto girare il mondo, nascondermi nelle montagne di casa mia, ma sapevo che il suo volto mi avrebbe ossessionato oltre qualunque confine territoriale.

Anne si voltò di punto in bianco verso di me per gettarmi le braccia attorno al collo. I miei muscoli vibrarono, già pronti per l'attacco.

"Cosa fai?", ringhiai.

"Ti faccio un esempio, okay? Ma tu non... uccidermi per favore".

Annuii piano e restai in attesa, concentrandomi sui suoi polsi che mi sfioravano le orecchie. Dovevo respirare, ma l'odore della sua pelle mi faceva venire la nausea. Respira... respira! Poi di scatto avvicinò le labbra alle mie e le premette contro.

A quel punto fu davvero difficile controllarmi. Serrai gli occhi per tutto il tempo e strinsi le mani in pugno. Non c'era un immagine sufficientemente violenta che potessere racchiudere la miriade di sensazioni che stavo provando. I pensieri erano inarticolati, troppo veloci, uno peggio dell'altro. Mi martellavano in testa e mi facevano pompare il sangue nelle orecchie. Mi aggrappai al divano per non saltarle addosso. Se mi fossi mosso anche di un solo centimetro, sapevo che l'avrei uccisa. Glielo avevo promesso... non dovevo perdere la calma.

Quando dopo soli due secondi staccò le labbra, retroce-dendo di qualche centimetro per potermi guardare, feci per colpirla con lo scopo di uccidere. Notai che stava per dire qualcosa e la mia curiosità le salvò la vita.

"Ti è piaciuto?", sussurrò.

Non dovetti pensarci neanche mezzo secondo. "No".

Le sue guance divennero porpora. "No?".

L'avevo offesa? Faceva l'offesa? Come si permetteva? A-vevo ucciso per molto meno, anzi, per la verità avevo ucciso punto e basta. Mai a nessuno, oltre a Còrin, avevo permesso di avvicinarsi tanto a me. E lei faceva l'offesa?

"Sì?!", mi corressi incerto.

"Sì?", urlò furiosa.

Scrollai la testa. Le donne erano proprio delle pazze.

La fissai. "Anne, temo che ogni risposta darò ti farà infu-riare perciò...".

Tirò un profondo respiro. "Hai detto che non ti è piaciuto, quindi se io provassi a rifarlo tu non saresti d'accordo?".

L'immagine delle mie mani attorno alla sua gola mi fece trasalire. Doveva piantarla di provocare la parte di me che Còrin non era riuscita ad annullare.

"Assolutamente no", confermai. Il mio voleva essere un avvertimento, eppure i suoi occhi non si erano riempiti di paura.

"Se io fossi egoista e cattiva lo rifarei comunque", conti-nuò la sua spiegazione, ignara di quello che stava rischiando. "Questo è violentare".

Alzai la testa di scatto. "Tutto qua? Còrin aveva solo paura che io la baciassi?". Non riuscivo a crederlo. Che strane paure aveva quella ragazza. Usciva di ronda da anni, incurante del fatto che qualcuno potesse farle del male, e poi si spaventava per un bacio...

"Deniel?", mi chiamò. Le sue guance erano ancora rosso porpora. Giochicchiava impacciata con le mani, tenendo lo sguardo sprofondato verso terra. "Tu sai come si fa l'amore?".

"No. Ma non sono neanche un idiota", m'indignai.

"Non si violenta con un semplice bacio. Bisogna spingersi oltre".

Mi lasciai cadere contro lo schienale del divano. "Quindi avevo ragione nel sostenere che Còrin non mi vuole".

"Che intendi dire?".

"Se lei aveva tanta paura che io volessi fare l'amore con lei, significa che la cosa la disgustava".

Aprì la bocca per controbattere ma poi scrollò la testa e sospirò.

"E' così?", le chiesi. Che razza di masochista ero diventa-to?

Scrollò ancora la testa, passandosi una mano sulla fronte sudata. "Deniel, temo che non riuscirò a spiegarti tutto sul sesso e sui sentimenti delle donne in meno di un anno. Cambiamo discorso, vuoi? Dimmi piuttosto come posso aiutarti".

"Voglio che segui Còrin durante le sue ronde. Naturalmente farò altrettanto ma mi sento psicologicamente più tranquillo se so che con lei c'è una specie di guardia del corpo".

Era splendito saper di essere indispensabile a qualcuno. E questa era senz'altro la sensazione più strana che avevo provato da quando avevo lasciato il Tibet.

"Però non le devo dire che sei qui!".

Percepii una ruga profonda andare a scavare la mia fronte.

"No".

"Penso che dovrei farlo invece", s'impuntò decisa.

"No, non lo farai".

Anne scattò in piedi, in direzione della porta. Una nuova luce le aveva riempito gli occhi. Era rabbia o forse indignazione. Probabilmente entrambe le cose.

"Non lo farò perché per convincermi ovviamente mi ipnotizzerai!", mi accusò, lanciandomi un'occhiata ostile e gelida.

"Non lo farai perché non sei un idiota", la corressi. Non era la vera ragione, ma avevo costatato che per convincere le donne a volte bastava qualche complimento.

"D'accordo", confermò la mia teoria. "Ma domani sera dovrai occupartene tu. Ho un impegno con Nick. Tra l'altro nessuno di noi è di ronda".

M'incupii. C'era un assassino nelle vie di Loveland e sem-brava che a loro non importasse più di tanto. Gli avevo dato la caccia per giorni interi e la cosa sorprendente è che, nonostante le mie capacità – di gran lunga superiori ad un esercito di militari – non ero riuscito a rintracciarlo. Lasciai cadere il discorso. Infondo, non mi dispiaceva affatto trascorrere la serata a spiare Còrin. Era l'unico modo che mi restava per stare accanto a lei e in quel preciso momento era la cosa che più desideravo al mondo... ancora più di uccidere.

"Anne!", la chiamai avido. Dovevo sapere. Masochismo o no, dovevo assolutamente sapere.

Lei si voltò appena dalla mia parte, come se la infastidisse guardarmi. "Che c'è?".

"Tu e Còrin avete mai parlato di me?".

"No. Lei non ama parlare di te", si fermò per un attimo, pensando a qualcosa ed io ne aprofittai per controllare la sua espressione in cerca di una possibile menzogna. Era sincera.

"Per la verità sembra che non ami parlare e basta. E' co-me... assente. Non c'è con la testa. Tutti noi le parliamo ma non ci sente. L'unica volte che ho pronunciato il tuo nome è scoppiata in lacrime e...".

"Perché?", ringhiai. Mi faceva diventare pazzo il pensiero dei suoi occhi tristi. Come potevo continuare a farla soffrire anche non standole accanto?

"Perché le manchi". Eccola, la risposta!

Sorrisi, senza in realtà volerlo. Come potevo gioire dell'infelicità della donna che amavo? La sua nostalgia stava alla base della mia felicità mentre la mia gioia era la fonte delle sue lacrime. In quel momento capii che l'amore era la cosa più complicata che avessi mai dovuto affrontare. Con la vita tutto aveva inizio e poi arrivava la morte a chiudere i giochi. Ma l'amore restava, ti rincorreva, ti perseguitava, ti trovava ovunque. Era una maledizione senza inizio e fine! Nessuno ne era immune.

"Còrin ti ama", continuò e il mio cuore cessò di battere. "Ed ho paura che continuerà ad amarti per sempre".

Impiegai qualche secondo di troppo a riprendermi dallo shock e quado rialzai gli occhi su di lei, mi scontrai con la porta socchiusa. Se ne era andata, silenziosa e confusa, la-sciandomi da solo a cercare la risposta alla domanda più difficile che mi fossi mai posto: perché è più bello soffrire per amore che gioire dell'odio?

Per le ore successive vagai per Loveland senza badare più di tanto alla direzione che seguivo. Sapevo comunque che, prima o poi, che lo desiderassi o meno, ogni strada percorsa mi avrebbe portato da Còrin. Ci arrivai qualche minuto prima del tramonto, il momento della giornata che preferivo, e mi nascosi nel solito posto.

La casa di Andy era bella. Molto più bella di quella che a-vevo regalato a Còrin. Mi piaceva come la luce del portico rischiarava parte del viale di ghiaia e di come la lampada del salotto riflettesse le ombre di Còrin e dei suoi amici.

Restai per gran parte della serata a fissare la ragazza dei miei sogni seduta sul divano, sebbene m'infastidisse vederla così vicino ad Andrew. Sapevo che tra loro due non ci sarebbe mai stato niente. Ma ora Anne mi aveva aperto la mente sul quello strano concetto di "violenza" e ne sapevo ancora troppo poco per essere certo che Andrew non l'avrebbe mai fatto con la mia Còrin.

Mi avvicinai al lampione e vidi la mia ombra sovrapporsi a quella di lei. Le nostre ombre si toccarono e un brivido mi attraversò tutta la schiena. Abbassai lo sguardo sulle mie mani e per la prima volta sentii di odiarle. Come sarebbe stato tutto più semplice se le mie mani non avessero toccato le persone, mosse solo dall'istinto di ucciderle. Potevano dare piacere e... sussultai! Questa non l'avevo mai pensata. Guardai ancora le mie dita, calcolandone mentalmente la forza. Alcune settimane fa avevo rotto l'osso del braccio di Còrin usando solo pollice e indice. Che cosa sarebbe successo se avessi usato tutte e cinque le dita? No, le mie mani non potevano dare piacere. Anche se mi fossi trattenuto con lei, cosa tra l'altro che in passato era successa parecchie volte, avrei tuttavia messo continuamente in pericolo la sua vita. Perché le mie mani, oltre a seguire l'istinto, sembrava uccidessero in-volontariamente.

Osservai la finestra di rimando e vidi Anne affacciata. Aveva le labbra piegate in un broncio ma non mi stupii più di tanto. Da quanto avevo potuto capire, le donne avevano una tendenza innata e perenne ad arrabbiarsi per le cose più assurde. Niente di cui preoccuparsi quindi. Spostai lentamente lo sguardo sulle facce all'interno del salotto e mi concessi per ultima quella di Còrin.

Le mie mani l'avrebbero uccisa. Non era una previsione né un muto desiderio. Era una certezza matematica. Fin tanto che dovevo salvarla da qualche situazione non correvo pericoli, ma appena sentivo nascere in me il desiderio di lei, non ero più in grado né di gestire, né di incalanare la mia forza. L'avevo presa in braccio più di una volta senza torcerle un capello, l'avevo salvata da un'esplosione, da mio padre... ma appena mi ero avvicinato per baciarla, per poco non le avevo strappato il labbro. Ed era stata proprio in quell'occasione che avevo capito che l'amore era un sentimento reale e non fasullo o momentaneo. Solo grazie all'amore ero riuscito ad irrigidire ogni muscolo ed a tenere le braccia tese lungo i fianchi. Se non ci fossi riuscito...

Un'ombra schiacciò la mia, interrompendo per un istante le mie supposizioni. Spalancai gli occhi verso la porta d'ingresso e trattenei a stento un ringhio: Luke! Improvvisamente mi accorsi della macchina della polizia ferma accanto al vialetto e mi nascosi nell'ombra.

Luke entrò, facendosi da parte per far passare Andrew e Nick. Li vidi correre lungo il marciapiede e poi li persi di vista. Qualche minuto più tardi vidi Luke uscire in compagnia di Còrin. Un altro ringhio mi sfuggì dalle labbra ed immediatamente lei si voltò dalla mia parte sgranando gli occhi. Pensai che mi avesse visto, ma poi dovetti ricredermi. Non stava guardando me, ma l'auto della polizia.

Restai nascosto nell'ombra finché la macchina sparì, senza osare respirare. Cominciavo a capire cos'era quel malessere alla bocca dello stomaco che di tanto in tanto sentivo. Era gelosia! Solo gelosia. La cosa più strana e schifosa che avessi mai sentito. Provai ad espellerla dal mio corpo colpendo con un pugno il muro della casa che mi nascondeva, ma non se ne andò. Provai anche ad immaginare la testa di Luke schiacciata dalle mie mani, il cranio spezzato in due, gli occhi infossati e venati di rosso, le labbra contratte e premute una contro l'altra fino a diventare un qualcosa di neanche lontanamente simile ad una bocca. Non servì neanche questo.

Luke sarebbe morto, questo era scontato. Ma intanto era con la mia Còrin e le sue labbra sarebbero potute stare su quelle di lei al posto delle mie. No! Dovevo trovarli.

Stavo per andarmene quando Anne sbucò dal nulla e si avvicinò a me.

"Devi essere pazzo".

La fissai sorpreso. Sì, le donne erano proprio strane!

"Ti ho visto sai!", continuò a strillare. "Cosa ti è saltato in mente di avvicinarti alla luce del lampione? Ti avrebbe visto anche un cieco. Per fortuna Còrin era distratta da altro".

"Sì, me ne sono reso conto", sussurrai per non spaventarla. Avevo ancora gli occhi fissi nel punto dove l'avevo vista scomparire con quel bastardo. "Che vuole quello da lei?".

"Aiuto per trovare l'assassino", mi rispose e il suo tono aggiunse un muto ovvio.

La studiai più attentamente. Era molto arrabbiata. E quando lo era le pupille le si dilatavano in modo sorprendente, la fronte le si increspava come quando non si capisce qualcosa.

"Sei furiosa perché non riuscite a trovarlo?", indagai.

"No!", sbraitò. Allargò le braccia facendole poi ricadere lungo i fianchi con un grosso tonfo. "Sono furiosa perché questa sera era l'anniversario mio e di Nick e anziché essere con lui a fare sesso sono con te a parlare di... di... di cosa cavolovuoi parlarmi ora?".

"Sei stata tu a venire da me", le feci notare. Poi sorrisi davanti alla sua rabbia. "Comunque, dato che sei qui, mi piacerebbe discutere ancora con te su ciò che vuole".

"Vuole chi?".

Mi strinsi nelle spalle. "Còrin".

Anne sospirò, sollevando gli occhi verso la finestra illuminata della casa. Poi infilò un braccio attorno al mio e mi spinse verso la strada.

"Accompagnami di ronda e allontaniamoci da qui", mi suggerì, sbirciando ancora verso la finestra. "Andy non è distratto come Còrin".

Andy... il Drago! L'unico al di fuori del Maestro che poteva decidere per me.

"Ha capito che stai nascondendo qualcosa?", indagai.

"Mi guardava in modo strano. Ma forse è solo perché gli ho rivelato di aver fatto sesso prima del matrimonio".

La curiosità tornò. Parlare con Anne mi risultava quasi più facile che con Còrin. Il più delle volte era lei stessa che iniziava un argomento e lo faceva senza nemmeno rendersene conto.

"E non si può?", chiesi. Chissà se fare sesso era più appagante di uccidere?

Camminò silenziosa per un tratto, probabilmente pensando alla risposta giusta da darmi. Poi vidi le sue labbra stringersi come per trattenere un sorriso, i suoi occhi mi puntarono per poco più di due secondi.

"Sì, che si può. Ormai lo fanno tutti prima del matrimonio. Solo che molte persone, vedi Andy, sono ancora molto tradizionaliste".

Per una frazione di secondo ripensai ai primi cinque anni della mia vita. Il Drago era sempre stato particolarmente legato alle tradizioni e non passava giorno che non me le ricordasse.

"Anche Còrin lo è?". Non era proprio una domanda. Quasi sicuramente il Drago l'aveva cresciuta nello stesso modo in cui aveva cresciuto me.

Le labbra di Anne si aprirono in un sorriso divertito. "Oh no... lei non lo è".

Il sangue mi si gelò e qualcosa dalle parti del fegato co-minciò a martellare.

"Se non è tradizionalista significa che ha fatto l'amore con qualcuno", mi accorsi troppo tardi di aver detto ad alta voce questo mio pensiero.

Anne mi squadrò per un istante, mordendosi il labbro. Non mi era mai capitato di provare gelosia prima di questa sera, perciò non avevo idea di come si fosse trasformato il mio viso. A giudicare dall'espressione di Anne, e da come si era affrettata ad allontanarsi da me di qualche passo, i miei lineamenti dovevano essersi contratti in una maschera furiosa.

Alzai il viso verso il cielo, inspirando a pieni polmoni. Una sola cosa era certa: l'uomo che era stato con Còrin sarebbe morto.

"Magari mi sto sbagliando. Magari è più tradizionalista di quello che penso", fece retromarcia e scoppiò in una risata stridula. "Còrin che fa sesso? Nooo... ma cosa ti dice la te-sta?".

Le leggevo in faccia che stava mentendo. L'afferrai per le spalle. "Chi? E quante volte?".

Anne scosse la testa, riprendendo a mordersi il labbro, ed io persi la pazienza. Sapevo che non era corretto ciò che stavo per fare, ma sapevo anche che non avrei potuto uccidere ogni uomo di Loveland dell'età di Còrin. Perciò affondai i miei occhi nei suoi, mossi le pupille velocemente e in meno di tre secondi vidi il suo volto diventare arrendevole.

"Chi è il bastardo che ha osato stare con la mia Còrin?".

"Luke".

Strinsi i denti. "Per violenza?".

"No. L'ha voluto lei...", un lampo di lucidità le attraversò lo sguardo. "Mi fai male, Deniel".

Realizzai che dalla rabbia la stavo quasi stritolando le spalle. Mi scostai di un passo. Nel silenzio potevo sentire il suo cuore battere all'impazzata.

Anche se non ne avevo voglia mi sforzai di sorriderle, in modo che intuisse che non le avrei fatto del male, ma il suo cuore non accennò a calmarsi. Le piaceva dimostrarmi di essere coraggiosa, ma ogni tanto non riusciva a nascondermi la paura che provava nel stare sola con me.

"Mi dispiace", mormorai, chiudendo gli occhi il tempo necessario affinché si riprendesse.

Si lisciò una piega inesistente sulla manica, sbirciando seria verso di me.

"Non fa niente", borbottò.

"Anne, non sei obbligata ad aiutarmi". Non riuscivo a credere di averle detto realmente quelle parole né che le stavo pensando sul serio. Dovevo essere impazzito.

"Voglio aiutarti", rispose mentre retrocedeva di qualche altro passo, "ma tu devi sforzarti di aiutare me".

Aggrottai le sopracciglia, confuso, in attesa che lei mi fornisse qualche ulteriore dettaglio.

"Non posso aiutarti se ho paura di te. Non ti conosco ab-bastanza per capire se posso permettermi di abbassare la guardia quando mi stai accanto. Devo avere l'assoluta certezza che tu non mi farai del male. Neanche quando e se dovrò dirti delle cose che non gradirai".

Allungai la mano verso la sua e la strinsi delicatamente. Immediatamente le sue dita vennero scosse da un fremito.

"Non ti farò nulla, Anne", le promisi, vergognandomi. Co-me potevo prometterlo?

"Devi anche promettermi che non farai del male alle altre persone".

Ritrassi la mano e la fissai a lungo. Il viso di Anne era composto, gli occhi seri fissi sulla mia bocca. Era preoccupata. Ma preoccupata per cosa? Per se stessa o per le altre persone che vivevano a Loveland? Se davanti a me ci fosse stata Còrin avrei capito. Ma Anne era molto diversa da lei, e non potevo permettermi di ipotizzare sui suoi pensieri e sperare che non mi stupisse contraddicendo le mie teorie.

"Non posso promettertelo, Anne".

Lei scosse la testa, inspirando lentamente e socchiudendo gli occhi. "So che per te uccidere è una cosa assurdamente normale. Non sei cattivo, sei solo... diversamente buono. Ma mi piacerebbe vedere da parte tua qualche piccolo sforzo per riuscire a controllarti. Se ci riesci con Còrin e con me, credo che potrai riuscirci anche con altri".

"E' una possibilità". In effetti non l'avevo mai valutata. Anne poteva anche avere ragione. Forse avrei dovuto essere ottimista. Se mi fossi trasformato nella cosa più simile a ciò che desiderava Còrin le possibilità che mi accettasse sarebbero raddoppiate.

Anne si distrasse un momento per rispondere al cellulare. L'ascoltai discutere con Nick e notai che il suo volto man mano che trascorrevano i secondi si rilassava parecchio.

"Stai tranquillo...", cinguettò nella cornetta, "... sì, sì. Ci penso io ad avvertire Còrin".

Mi feci attento.

"Come?", trillò, allontanandosi da me di un passo. Restò in silenzio per un po' prima di riprendere a parlare, abbassando la voce di almeno due toni. "Ma certo che sono sola, con chi dovrei essere?", ridacchiò nervosa. "Io amo te, stupido!".

Tamburellai con la punta della scarpa, cercando di intuire dalle risposte di Anne ciò che Nick le stava dicendo.

"A proposito, quando hai intenzione di presentarmi ai tuoi? E' un bel po' che ci stiamo frequentando, quindi non tirare in ballo paroloni come "affrettato" o "prematuro" o ti do un buon motivo per andare nuovamente di ronda". Dal tono sembrava molto arrabbiata, eppure le sue labbra restavano piegate all'insù.

Non capii. Non subito almeno. Poi tornai con la mente alla cena che avevo fatto a casa di Còrin. Sua madre si era comportata bene con me ed era sempre stata gentile, più di quanto lo fosse stata con Nick o con Andrew. Ed io per la prima volta nella mia vita mi ero sentito al posto giusto ed avevo avuto la sensazione di essere meno solo. Sì, stavo cominciando a capire perché voleva conoscere i suoi genitori.

Quando ripose il cellulare nella tracolla le sue labbra erano piegate in un gran sorriso. Quando sorrideva era molto bella. Mi venne voglia di rivedere il sorriso di Còrin prima di tornare alla cascina. Stavo esagerando, e lo sapevo bene. Non riuscivo a trovare la forza di starle lontano neanche un'ora. Volevo vedere il suo viso, volevo pensare con lei. Come se i suoi occhi potessero in qualche modo ispirarmi.

"Ora devo andarmene", dissi. Arrestai il passo e invertii direzione.

"Ehi!", mi richiamò.

Mi voltai. Non mi ero reso conto di aver camminato tanto. "Che c'è?".

"Quello che sto per dirti è una muta regola del mondo occidentale che ti potrà tornare utile. Ma è risaputo che due persone che si stanno salutando si facciano almeno un se-gno".

"E che segno è?".

Alzò gli occhi e li fece roteare. Poi sbuffò, sfinita. "Limitati a dirmi ciao".

Aggrottai la fronte e cominciai a retrocedere.

"Ciao", farfugliai poco convinto. Se era questo che voleva sentirsi dire...

Mi voltai e proseguii verso casa di Còrin. Per tutto il tragitto lottai con me stesso nel tentativo di trovare un modo per starle lontano, ma il mio lato meno nobile e più sconosciuto vinse la lotta. Quindi tornai a nascondermi accanto al lampione e, vedendola affacciata alla finestra del soggiorno, m'innervosii. E' vero, non era più in compagnia di quel Luke – Dio quanto lo odiavo – ma ciò che sentii appena la vidi fu una pugnalata al cuore. Adoravo restare ad osservare quella strana creatura, tutto di lei mi emozionava, eppure tutto ad un tratto mi sentii incredibilmente infelice. Era un dolore nuovo. Più straziante di quello che provavo nel sapere che lei, pur di non avermi, aveva preferito uccidermi, più intenso di quello che provavo quando desideravo toccarla. E quanto lo desideravo...

Avvertii schiudersi la porta d'ingresso e con un balzo indietreggiai lontano dalla luce del lampione. Vidi Còrin puntare verso di me e trattenni il respiro. Studiò attentamente ogni centimetro del marciapiede e poi tornò sui suoi passi. Mi mossi in avanti, vinto dall'impulso di raggiungerla e bloccarla prima che sparisse dentro casa.

Immaginai come sarebbe stato afferrarla per i fianchi, farla voltare verso di me, affondare le labbra sul suo collo e spingermi verso parti che teneva nascoste sotto una maglietta troppo lusinghiera rispetto a quella che avevo visto indosso ad Anne. Ma poi questa immaginazione venne scacciata dal dolore.

Restai un'altra ora a spiarla, poi, quando le luci si spensero, attraversai lentamente la città e la campagna. Stavo male e non capivo il perché. Ciò nonostante, anche se al momento non riuscivo a darvi un significato, sapevo che durante la notte avrei trovato un nome a ciò che stavo provando. Mi sdraiai sul letto e in meno di due minuti sprofondai nell'unico mondo possibile per me e per lei.


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