SOLO LA MORTE NON BASTA
Avrei voluto restare in quel sogno per tutto il resto della mia esistenza ma appena i miei occhi si spalancarono sulla luce del giorno, la vera vita mi colpì, brutale.
Evitai di fare colazione – infondo erano solo tre giorni che non mangiavo – per arrivare a casa di Anne con un largo anticipo. Durante la notte, come avevo immaginato, ero riuscito a dare forma al dolore strano e nuovo che m'inondava le vene come fuoco. Ed ora dovevo parlarne con lei. Non tanto perché mi andasse di farlo, ma perché sapevo che era l'unica persona in grado di consigliarmi per il meglio.
Quando bussai alla sua porta avvertii alcuni passi non fa-miliari. Improvvisamente un volto nuovo apparve sull'uscio.
"Salve". La voce era simile a quella di Anne, dedussi che fosse sua madre.
"C'è sua figlia?".
La donna spalancò la bocca per parlare ma non emise al-cun suono. I suoi occhi non si schiodarono dalle mie labbra nemmeno per mezzo secondo.
"C'è?", domandai sgarbato. La domanda era molto semplice.
"Chi?", mi chiese con un timbro di voce così flebile che temetti di vederla svenire.
"Anne", scandii bene ogni sillaba.
Questa donna mi dava l'impressione di stare male. Quando mi aveva aperto il colorito del suo volto era diventato pallido ed ora si stava colorando di un rosso acceso.
"Vuoi entrare?", mi invitò. Anche se non sapevo niente su certe cose, non ero idiota. E il tono di questa donna era estremamente malizioso.
Affilai lo sguardo all'interno della casa e scorsi Anne in-ciampare in un tappeto per correrci incontro.
"Zia Rosy, questo è Deniel. Deniel, questa è mia zia. Zia, capisci?", ci presentò impacciata, ripetendo altre due volte la parola "zia".
Stavo guardando due squilibrate! Su questo non avevo alcun dubbio.
La donna allungò la mano verso di me ed io la strinsi per educazione, misurando la mia forza. Quando feci per ritrarla, mi accorsi che le sue dita stavano facendo di tutto per trattenere le mie. Con un piccolo scatto mi liberai della stretta e lanciai un'occhiata eloquente ad Anne. Che diavolo avevano in testa le donne di Loveland?
"Zia, io vado a lezione. Ci vediamo per pranzo", la salutò, fiondandosi verso la mia moto.
Salutai la signora con un secco movimento della testa e mi allontanai percependo il suo sguardo sulla schiena. Quando raggiunsi Anne, il nervoso mi stava quasi paralizzando. L'aiutai a salire sulla moto e sfrecciai nuovamente verso la cascina. Appena entrò si guardò attorno con aria critica, poi svuotò la sua grande borsa sul tavolo ed allineò delle strane bottiglie e qualche pezza bucherellata.
"Non mi va che vivi in questo tugurio", commentò schifata, osservando delle ragnatele che penzolavano dalle travi del soffitto.
Restai qualche minuto imbambolato e sorpreso, mentre lei si dava da fare per gettare in un angolo tutte le cose che non le piacevano e che invece a me erano indispensabili.
"Cosa stai facendo?", le chiesi irritato, quando gettò sotto la finestra un nastro in stoffa di Còrin.
Ricordavo benissimo il giorno in cui glielo avevo – per così dire – rubato. Era stata la notte in cui avevamo accompagnato Nick alla sua prima ronda. Al ritorno lei si era fermata a chiacchierare con me ed io, vinto dalla bramosia di toccarle i capelli (la cosa di lei che più adoravo) le avevo sfilato il nastro che li teneva raccolti. Sorrisi a quel ricordo. Ero mai stato così felice o più felice di quel momento? Sì, pensandoci bene, sì. Lo ero stato. Quando le mie labbra avevano toccato le sue...
Scossi la testa disperato e rassegnato. Se ci avessi pensato un altro secondo ancora, tutti i miei propositi sarebbero crollati.
"Allora! Di cosa vogliamo parlare oggi?", mi incalzò mentre passava un panno attorno al vaso sopra il tavolo.
"Di Còrin".
Sbuffò. "Ovviamente! Cos'altro vuoi sapere?".
"Voglio sapere perché non mi vuole. Aldilà del fatto che sono "la morte", ci sono altri motivi che la spingono a non volermi? Tu di certo lo sai".
Prese tempo prima di rispondere. Nelle sue parole una dose eccessiva di scetticismo.
"Tu... credi di non essere... di avere qualcosa... di poter...".
Ero impaziente. "Con parole tue, Anne".
"Còrin ti vuole, stupido!".
"Impossibile", ansimai tra me e me.
Mi girò la testa e lottai contro lo stordimento. Dovevo abituarmi a ciò che il mio cuore faceva ogni volta che qualcuno mi parlava di lei e imparare ad ignorarlo. Mi osservai nel riflesso della finestra e vidi il conflitto che infieriva dentro di me. Era davvero difficile credere a ciò che affermava Anne, ma ancor di più era ignorare del tutto la possibilità che, per qualche assurda ragione, Còrin mi voleva. Se le cose stavano davvero così, avrei dovuto essere ancor più forte per dar retta a quel briciolo di coscienza che mi ricordava di cosa lei avesse bisogno. Meritava amore e felicità, due cose che sicuramente io non avrei potuto offrirle.
"Impossibile?", ridacchiò. "Posso confermarti che se una ragazza passa un intero mese a piangere non è perché non ha altro di meglio da fare".
"E allora perché mi ha ucciso?", mi scappò, ma non me ne pentii. Dopotutto era ora che sapesse tutta la verità.
Anne lasciò cadere il panno sul tavolo e si voltò dalla mia parte. Le labbra erano incurvate all'insù.
"Sei un morto molto affascinante".
Non aveva capito. Lo dedussi dal fatto che il suo respiro era rimasto regolare. Perciò mi armai di pazienza. Dopotutto era logico che avesse reagito in questo modo dal momento che la leggenda sull'essenza della vita non aveva mai attraversato i confini del Tibet. Nel mondo occidentale la gente si accaniva alla ricerca di favole che parlavano di uomini-lupo, streghe e draghi a due teste. Un giorno, mentre stavo spiando Còrin, avevo sentito due ragazzine parlare perfino di vampiri... Dio, che assurdità. Come poteva la gente credere davvero che l'immortalità fosse umanamente possibile? Io stesso prima o poi avrei dovuto affrontare la morte. Non sapevo quando, ma sapevo che prima o poi il mio viaggio sarebbe finito, in un modo o nell'altro. Niente è per sempre, anche se è più facile credere al contrario.
Di riflesso al mio lungo silenzio i suoi occhi cominciarono a studiarmi. Anne, in passato, aveva dimostrato di essere più acuta di Còrin su certi argomenti, quindi supposi che pian piano ci stesse arrivando. Ora attendevo che scappasse urlando come una pazza.
Invece restò calma, la sua sicurezza intaccata. I suoi occhi mi dimostravano che ricordava ma che non mi credeva fino in fondo.
"Non dici niente?", la stuzzicai. Infondo ero curioso di sa-pere il suo pensiero al riguardo.
Prese un grosso respiro e afferrò nuovamente il vaso e la pezza, ricominciando da dove aveva interrotto.
"Riguardo cosa?", chiese ingenua.
Questa sua domanda m'innervosì. Forse mi ero sbagliato. Forse non era assolutamente più acuta di Còrin. Mi lasciai scivolare su una sedia e accolsi la testa tra le mani, stringendo le tempie.
"Ti ho appena detto che mi ha ucciso".
"A me non sembra".
Sembrava davvero poco curiosa di proseguire il discorso, eppure, con la coda dell'occhio, la vidi unire le mani e contorcerle, a disagio. Ci stavamo lentamente inoltrando nella mia vera natura e ancora non era scappata.
"Eppure sono qua, vivo, davanti ai tuoi occhi", proseguii cauto, tenendo sotto controllo la sua espressione.
Restò calma. "Lo vedo".
"Quindi ora, mi piacerebbe molto se mi domandassi come questo sia possibile".
"No", alitò e smise di controcersi le mani. Finalmente nei suoi occhi vidi il terrore. "Lo so già!". Poi di colpo, tornò tranquilla. Non riuscivo a starle dietro. "Perciò era vera la leggenda che avevo trovato su Internet?".
Annuii e bloccai i lineamenti del mio volto in un sorriso apparentemente tranquillo, mentre dentro di me il panico scavava avido.
La reazione di Anne era sbagliata e completamente diversa da ciò che mi aspettavo. Ero confuso, quasi più di lei... no, per la verità ero squarciato in due. Non ero più così certo che essere sincero con lei avrebbe portato a qualcosa di buono. Un conto era raccontare delle leggende, un altro era mostrare una prova evidente di quanta verità ci stesse alla base di queste presunte leggende. Perché era scontato che ora sarebbe corsa da Còrin a dirglielo e lei avrebbe cominciato a vedrermi veramente come un mostro omicida. Due parole più che sufficienti per farla allontanare definitivamente da me.
"D'accordo! Che cosa sei Deniel?", mormorò infine, retrocedendo senza neanche rendersene conto.
Cercai di essere onesto e allo stesso tempo disinvolto. "La leggenda già la conosci. Io non muoio. O almeno, non come possono morire le persone normali". Aabbassai il timbro della voce quando vidi il suo volto sbiancare. "Hai paura?".
"Sì! Troppa per continuare questo discorso".
Era comprensibile. Dovevo lasciarle il tempo di metabolizzare prima di pretendere che capisse ciò che io per primo ancor oggi non avevo capito. Non ricordavo in che modo mi avessero dato l'essenza della vita, né quando. Quindi come potevo aspettarmi che lei riuscisse ad accettare tutto questo?
"Devi smettere di seguire Còrin", aggiunse non appena le sue guance ripreso un po' di colore.
"Perché?".
"Perché non è giusto. Per lei. Ora ho capito cosa nascon-deva dietro le sue lacrime. Deve sapere di non averti ucciso. Devi parlarle".
Scossi la testa. "Questo è fuori discussione".
"Perché ti ostini a starle lontano?", sbottò.
Sussultai. Aveva del coraggio per aggredirmi in questo modo. In brevi attimi si era trasformata da preda a predato-re. Patetico! Se non mi fossi sentito tanto a terra sarei scoppiato a ridere.
"E' molto pericoloso per lei starmi accanto".
"Non avresti tutto questo spirito protettivo verso di lei se volessi farle del male. E' ora che voi due vi parliate".
"Se lei avesse voluto parlare ancora con me non mi a-vrebbe ucciso".
"Ma lei non ti ha ucciso!". M'indicò con la mano, girando il palmo verso l'alto. "Deniel tu sei vivo, ti sto vedendo, ti sto parlando".
Mi passai la mano sulla fronte. Come avevo potuto giudi-carla più acuta di Còrin? Le avevo appena rivelato di essere un semi-immortale, perché non capiva?
Lei andò avanti. "Quindi basta parlare di stupide leggende! Concentrati sulla realtà dei fatti. Lei. Ti. Vuole!!!".
"Ma io non...". Strinsi i denti. Era così difficile dirlo... "Sono io a non volerla".
Era questo il dolore nuovo, incontrollabile che mi aveva afflitto nelle ultime ore. Ed ora che avevo trovato il coraggio di tradurlo in parole, se solo avessi saputo come si faceva a piangere... Dio quanto avrei pianto!
"Non la vuoi?", ripetè, fissandomi in modo indecifrabile.
"Oh sì, che la voglio. Non immagini neanche quanto".
"Sei consapevole di essere un po' confuso, vero?".
"La voglio ma non posso volerla, non posso farle questo".
Abbassò lo sguardo per ammirare il vaso, poi venne a sedersi accanto a me per accarezzarmi una spalla.
"Deniel, hai dimostrato di essere capace di controllarti. A volte, e bada che non sto esagerando, hai dimostrato di essere migliore di altri. Inizialmente pensavo anch'io che tu non fossi ciò di cui Còrin avesse bisogno. Ma poi ho avuto modo di parlare con te, ho visto ciò che fai per lei e ciò che hai fatto per tutti noi. Quindi penso che...".
"No, Anne", la interruppi.
Lei aveva visto una piccola parte di me, quella che avrei potuto cambiare e modellare. Ma l'altra no. Per quanto mi sforzassi era sempre lì, in agguato, pronta ad affiorare per ricordarmi chi ero veramente.
"Io sono diverso da lei. Sono diverso da tutti voi. L'essenza stessa della vita scorre nelle mie vene".
"E allora?", sorrise.
"E allora la mia esistenza è diversa dalla vostra", partii in quarta, desideroso finalmente di dare voce ai pensieri che mi avevano tormentato. "Non mi ammalo mai, dormo meno di voi, mangio solo di tanto in tanto. A volte mi capita di usare troppa forza senza rendermene conto e di ferire chi sta attorno a me. Inoltre, quando tu e Còrin sarete due anziane di novanta anni, io sarò semplicemente un uomo di trenta. Perfino ora sembro più giovane di lei".
"Ma non di molto". Incontrò il mio sguardo e il suo respiro accelerò.
"Andrà sempre peggio. Io resterò pressoché uguale mentre lei dovrà fare i conti col tempo".
"Dunque è questo quello temi: prefirisci farle credere di essere morto piuttosto che mostrarle il tuo volto sempre uguale. Dio, mi sembra di star parlando con Dorian Gray!", finse di rabbrividire e continuò. "Non c'è un modo per frenare questo processo...? non so nemmeno io come chiamarlo".
Scossi la testa poi balzai in piedi. "No, non esiste. Per il suo bene, Anne, devo cercare di resistere e starle lontano".
"Tanti auguri, allora!", provò a scherzare senza averne voglia. Infatti un secondo dopo tornò di nuovo seria. "Co-munque io sono qua, sappilo, non ti lascerò solo".
"Ottimo!".
"E ti darò una mano a rimettere in piedi questa casa".
Le sorrisi, anche se non avevo in corpo nessun sentore di allegria. "Affare fatto. Ti pagherò ovviamente".
"Così mi offendi".
"Lascia almeno che ti offra la colazione. Sono tre giorni che non mangio e sto svenendo dalla fame".
"Tre giorni?", mi interruppe sconvolta.
Ammiccai, beffardo. "Te l'ho detto, non mangio quanto voi".
"Giusto", borbottò così piano che la suoneria del suo telefono coprì quasi totalmente la sua voce.
Quando fissò il display, vidi chiaramente la sorpresa nei suoi occhi trasformarsi in angoscia. Afferrò il cellulare lam-peggiante da sopra il tavolo e me lo dimenò sotto il naso.
"Cosa devo fare?", urlò agitata.
Lessi sul display il nome di Còrin e il sangue mi si gelò. Stavo per strapparglielo dalla mano per rispondere ma lei la ritrasse in tempo, ignara che stavo impazzendo al desiderio si sentirne la voce.
"Che cosa devo fare?", mi chiese ancora. "Rispondo, non rispondo, che faccio?".
"Rispondile!".
Anche se indirettamente e da lontano, potevo sempre sentire la sua voce. Era meglio di niente. Ma subito ci ripensai. Se volevo starle lontano non potevo concedermi tentazioni. Spalancai la porta e salii sulla moto con l'intenzione di allontanarmi il più possibile dalla voce di Còrin. Purtroppo avevo fatto i conti senza Anne. La vidi sulla soglia e la curiosità vinse su tutti i miei propositi.
"Ciao Còrin", rispose con impeto, tenendo gli occhi sbarrati e fissi su di me.
Perché mi aveva seguito?
"Non ne ho idea", la sentii dire dopo qualche secondo.
"Ma che dici? Non capisco di cosa tu stia parlando!", rispose a qualcosa, ridendo tesa.
Mi sforzai di intuire il tema della conversazione, ma non ci riuscii. Volevo andarmene ma la curiosità mi tratteneva come una calamita.
"Ah!", esplose sorpresa, ed io sobbalzai sulla sella. Era successo qualcosa a Còrin?
"Scusa! Avevo promesso a Nick che ti avrei informata io. Ma poi mi sono dimenticata. Comunque era un falso allarme. La madre di Irene era convinta di aver visto un'ombra aggirarsi nel loro giardino sul retro e...".
Passarono alcuni secondi nei quali Anne prese a dimenarsi sui piedi.
"Già! Ma era solo il loro vicino di casa... ora devo andare", tagliò corto, mordendosi il labbro. Era chiaro che la infastidiva parlare a Còrin con me davanti.
"Còrin, sul serio. Non... non posso parlare con te in questo momento", parlò veloce.
Accesi il motore e m'infilai il casco.
"Non credo". La sentii rispondere spaventata. Poi scoppiò in una risata isterica. "Evitarti? Ho solo detto che non so se avrò il tempo di venire a lezione".
Altra breve pausa.
"Stai vaneggiando", brontolò, sollevando gli occhi.
Capii che non stavano affatto parlando di me né di qualcosa che era successo l'altra notte perciò lottai, vincendo contro la curiosità. Ingranai la marcia, facendo slittare la ruota posteriore sulla ghiaia.
"Ciao...", mi urlò Anne.
Alzai una mano per intimarle si tacere.
Nei giorni successivi ebbi modo di parlare con Anne solo per telefono. Mi disse che Còrin stava molto male ma non mi spiegò che cosa avesse. Si comportava in modo molto evasivo e molto spesso il suo cellulare suonava a vuoto. Pensai che si fosse pentita di darmi una mano o che la mia presenza e la mia natura l' avessero spaventata al punto da indurla ad evitarmi.di
Sollevai lo sguardo sulle meraviglie che aveva fatto a casa mia. Aveva perfino appeso delle tende nuove alle finestre e tagliato il prato. Come poteva aver cambiato idea?
Sapevo che non mi aveva mentito riguardo la salute di Còrin perché per un'intera notte ero rimasto a vegliarla accanto alla finestra del suo salotto e mi ero reso conto che non stava bene per niente. Avrei desiderato fare di più o perlomeno starle accanto anche alla luce del giorno ma era una idea irrealizzabile. Che frustrazione!
Il terzo giorno attesi Anne con impazienza, ma lei non bussò alla mia porta. Che cosa era successo? Cercai di con-centrarmi su ciò che le avevo detto l'ultima volta che c'eravamo visti. Probabilmente aveva realizzato il fatto che dovevo essere morto. Sebbene – al contrario di Còrin - si fosse dimostrata propensa nel credere alle leggende, erano pur sempre leggende. E potevano spaventare. Mi convinsi di essere la causa della sua assenza, perciò decisi di lasciarle un po' di tempo per metabolizzare il fatto che ora eravamo la cosa più vicina a degli amici, per così dire.
Uscii per prendere aria e mi lasciai cadere sull'erba, allar-gando le braccia e assaporando il profumo dei fiori che avevo piantato accanto allo steccato.
Mi mancavano i profumi del Tibet, la vista delle montagne rocciose e delle vallate immense dove pascolavano –proprio in questa stagione- dei piccoli greggi di capre selvatiche. Qua a Loveland la temperatura era sempre troppo mite, il silenzio era continuamente spezzato dai motori delle macchine e le luci della città offuscavano il cielo. Mi mancava casa mia, ma sapevo che al momento non potevo tornarci. Là, il mio Maestro mi stava attendendo.
Chissà se lo avevano già messo al corrente del mio tradimento. Sicuramente era questione di tempo ma la cosa non mi preoccupava più di tanto perché sapevo che chiunque avesse mandato per vendicarsi non sarebbe stato alla mia altezza. Gli unici che avrebbero potuto sconfiggermi li avevo uccisi e il Maestro era una persona troppo importante per scomodarsi a venire fin qua per me. Perciò, tutto sommato, sebbene non l'amassi, Loveland era il posto più tranquillo e non potevo abbandonarla col rischio che, non trovando me, la vendetta fosse ricaduta su Còrin. Anche se il Maestro non sapeva nulla della sua esistenza né di come rintracciarla, aveva sufficienti seguaci per ammazzare l'intera popolazione di Loveland.
Guardai in su: il cielo sopra di me era un'indistinta mac-chia nera. Provai a cercare qualche costellazione ma le luci delle case vicine si mescolavano a quella lucente delle stelle. In più c'era qualcos'altro che m'impediva di mettere a fuoco il cielo. E quella cosa era un volto splendido, mille volte più squisito delle costellazioni che riuscivo a vedere sulle cime innevate del Tibet. Sospirai irritato. Non riuscivo a togliermi quel volto dalla mente. Posai il mento sopra le ginocchia e sbirciai nuovamente verso le stelle. Di nuovo, accanto all'orsa maggiore, quegli occhi grandi e scuri mi stavano spiando.
"Cosa vuoi da me? Cosa diavolo mi hai fatto?", sussurrai.
Se Anne non avesse deciso di tenermi alla larga avrei chiesto consiglio a lei. Doveva pur esserci un modo per cacciare dalla mia mente il pensiero di Còrin. Questo modo doveva esistere. Altrimenti come facevano le persone a vivere?
Se non avessi sterminato la mia famiglia avrei potuto confidarmi con loro ma adesso ero solo e non sapevo che fare.
Improvvisamente mi venne in mente mio padre. Non Rylen, che come padre non era stato un granché, ma Andy. Mi aveva allevato durante i primi cinque anni della mia vita, mi conosceva perché mi aveva trasformato in ciò che voleva io fossi, e poi si era dimostrato una persona corretta. Si era lasciato quasi uccidere per permettermi di vendicare la morte del mio vero padre. Sì, forse lui poteva aiutarmi.
Balzai sulla moto e sfrecciai verso le luci della città. Ormai conoscevo a memoria tutte le stradine secondarie che portavano a casa di Còrin perciò impiegai molto poco ad arrivare. Quando parcheggiai la moto davanti al vialetto vidi Andy e sua moglie seduti sul dondolo in giardino, sotto la grande quercia. Sapevo che anche lui mi aveva visto perché mi puntava con lo sguardo. Molto facilmente, grazie alle sue capacità empatiche, aveva già intuito il motivo che mi aveva spinto fin lì.
Attraversai il vialetto, pregando che Còrin non fosse in casa, e quando li raggiunsi vidi sua moglie aprirsi in un grande sorriso.
"Tu sei Deniel, vero?", mi riconobbe, alzandosi dal dondolo per stringermi la mano.
"In carne ed ossa", le risposi, fissando Andy.
Era molto tranquillo, perciò intuii che Còrin non doveva essere in casa e nemmeno nei paraggi.
"Ciao Deniel", mi salutò gelido. Poi si rivolse dolcemente alla donna. "Perché non mi lasci un attimo da solo con questo mio amico?!".
Lei lo fissò in modo strano ma subito ubbidì, salutandomi con un gentile gesto della testa. Allora non era vero che le donne non ubbidivano agli uomini? Era semplicemente Còrin che non ubbidiva a me.
Attesi che si chiudesse la porta d'ingresso alle spalle e mi accomodai accanto ad Andy.
"Avevi promesso che te ne saresti andato", mi ricordò. Il tono era ancora molto gelido. Eppure ero una specie di figlio per lui.
"Ci ho provato", ammisi. "Ma qualcosa mi ha trattenuto".
"Immagino che questo impedimento sia stata mia figlia".
Annuii, fissando un punto davanti a me.
"Ed ora sei venuto a chiedermi come fare per dimenticarla". Non aveva l'aria di essere una domanda.
Annuii ancora.
"Vedi Deniel, non si può dimenticare, è impossibile". So-spirò un paio di volte prima di continuare. Stava cercando le parole esatte per non ferirmi? O quelle più azzeccate per farlo? "I ricordi restano, sono le persone ad andarsene. Perciò, la risposta alla domanda che ti stai ponendo io non ce l'ho perché non c'è un metodo per dimenticare. Ce né però uno per vivere senza la persona che ami", aggiunse in fretta.
"E qual è?", chiesi speranzoso. Sapevo che Andy aveva la soluzione al mio problema e non stavo più nella pelle.
Sospirò ancora. "Non vivere".
Aggrottai la fronte. Anne era mille volte più brava a spie-garmi le cose.
"Papà... ma come si fa a vivere e non vivere allo stesso tempo?".
Andy si accigliò nel sentirsi chiamare papà, ma badò a ri-prendere il controllo delle proprie emozioni. Mi ero sempre sforzato di essere la persona che lui desiderava che fossi ed ora sembrava odiarmi proprio per quello che ero. In che altro modo dovevo chiamarlo? Almeno mentre eravamo soli volevo permettermi di considerarlo un padre, come quando ero bambino. Sorrisi al ricordo di quante volte la sera mi aveva raccontato le storie dei primi guerrieri tibetani. Erano le più belle favole che avessi mai sentito.
"Allora?", lo incalzai.
"Questa è la vita vera, Deniel. Che altro posso dire?".
"Mi hai insegnato tutto papà, perché non mi hai mai detto che esisteva l'amore? Perché non mi hai mai detto che esistevano le donne? Perché me lo hai tenuto nascosto?".
"Perché ero un idiota", parlò piano. "Perché dovevi crescere senza distrazioni per diventare un vero guerriero".
Trascinai le gambe sopra il dondolo e le cinsi con le braccia.
"Ora però so che esiste questa cosa e non so come affrontarla", mi lamentai.
"L'amore non è una cosa e non devi affrontarlo ma viverlo".
"Ma come posso viverlo se tu mi hai detto che per dimenticare bisogna non vivere?". Avevo una gran confusione in testa.
Vidi le sue labbra piegarsi all'insù in un triste sorriso. Poi i suoi occhi si colmarono di dolcezza e la sua mano mi accarezzò una spalla. Non l'aveva mai fatto.
"Stai cercando da me delle risposte che solo la vita ti può dare. So che ami Còrin e spero che l'ami abbastanza da capire che devi lasciarla andare".
Mi guardò negli occhi per dieci lunghi secondi; stava leg-gendo la risposta che volevo dirgli ma si rifiutava di accettarla. Continuò a guardarmi nella speranza di starsi sbagliando, di aver interpretato male i miei pensieri, ma dopo quegli interminabili dieci secondi dovette arrendersi.
"Già!", disse secco, come in risposta al mio pensiero. "Non posso nemmeno sognare di sperarlo. Tu e Còrin siete legati da qualcosa che va oltre all'amore. Nemmeno io e mia moglie abbiamo toccato certi picchi d'amore in più di venti anni di matrimonio e ti assicuro che l'amo tanto da darle la vita".
Sospirò ancora, sbirciando velocemente verso i miei occhi.
"E' ossessione, passione, follia, ciò che provi per lei. Speravo che non accadesse e onestamente non credevo nemmeno esistesse un sentimento simile. Leggo dentro di te che non troverai mai la forza di lasciarla andare. Ora sei convinto di riuscirci ma non sarà così".
"Ti sbagli".
"La mia empatia non ha mai sbagliato", mi contraddisse.
E aveva ragione. Era impossibile per lui sbagliare o frain-tendere le intenzioni degli altri. Ogni tanto mi era capitato perfino di invidiargli certe facoltà. Non sarebbe stato affatto male intuire cosa passava nella testa di Còrin. Era sempre così imprevedibile, faceva sempre l'incontrario di ciò che le dicevo io e non ascoltava nemmeno gli ordini di Andy, il drago. Nemmeno io, che ero tanto potente, mi ero mai sognato di ribellarmi al suo volere, mentre lei non sembrava spaventata nemmeno quando Andy si arrabbiava. Mi chiedevo se alle volte non se le andasse proprio a cercare.
"Lascia comunque che ti rammenti una cosa: in te hai l'essenza della vita", continuò.
"E se a lei non importasse un accidenti di questo?".
Andy continuò come se non avessi parlato. "Dovessi un giorno fare l'amore con lei rischieresti di perdere il controllo e di ferirla. E i figli? Ci hai pensato ai figli che lei un giorno vorrà? Come credi che nasceranno? Inoltre, quando lei sarà un'avvenente signora di quarant'anni, tu sembrerai ancora un ragazzino di venticinque anni. Come pensi che vi guarderà la gente? Come pensi che ti guarderà lei?".
Rabbrividii al solo pensiero. Era questo il motivo principale che mi aveva convinto a stare lontano da lei. Ma sentirlo dire da Andy era tutt'altra cosa.
"Potresti dare anche a lei l'essenza della vita", proposi disperato. Era l'ultima carta che potevo giocarmi.
"E condannarla? No, questo mai".
"Non sarebbe una condanna".
"Non lo era per te, dal momento che la tua vita era strettamente legata alle montagne del Tibet. Pensaci Deniel. I tuoi processi evolutivi corrono a rilento. Vivrai anche più di centosettant' anni, vedrai tutti i tuoi cari andarsene. Dovessi avere dei figli moriranno di vecchiaia e tu assisterai impotente alla loro morte. Tu sei immune a qualunque malattia mentre mia figlia non lo è. Saresti disposto a sopportarlo? Sapresti sopportare il dolore di vedere il corpo della donna che ami deteriorarsi nel tempo o per via di qualche malattia?".
A questo punto la lotta interiore dentro di me sfociò in una vera e propria guerra. Sarebbe stato molto più semplice se avessi accettato le parole di Andy e ammesso la mia incapacità di tenere Còrin fuori dalla mia testa. Ma c'era davvero bisogno di pensare a certe eventualità? Mi avrebbe effettivamente aiutato immaginare il corpo della donna che amavo trasformarsi in un involucro sempre più vuoto? O avrebbe scatenato in me un'incontenibile desiderio di sperimentare tale eventualità prima di arrendermi? Nella mia testa si sovrapposero due volti: quello affascinante, enigmatico, seducente di Còrin. Gli occhi accesi di rabbia, la bocca piegata in una smorfia, l'espressione combattiva che assumeva ogni volta che le dicevo che era indifesa. L'altro era quello di sua madre, la moglie di Andy. Più stanco, rugoso e pallido. Gli occhi trasmettevano tutta la sua vita trascorsa nella completa dedizione alla famiglia. Erano così diversi da quelli di Còrin.
Eppure, malgrado la differenza lampante tra questi due volti, immaginavo che gli occhi di Còrin si riflettessero in qualche modo in quelli della madre. Era stata lei a crearla, perciò qualche tratto era pressoché identico. Come lo erano diventati i miei con quelli di Andy, anche se non era il mio padre biologico. Lui mi aveva creato e col tempo avevo imparato a somigliargli nelle piccole pose che assumevano le mie labbra. Nei miei occhi, c'era un po' di saggezza di Andy.
Poi di colpo, mi rifugiai nelle uniche parole accettabili che Andy mi aveva detto da quando mi ero seduto accanto a lui.
"Hai detto che io e Còrin potremmo fare l'amore?".
Dagli occhi di Andy partirono delle scintille di rabbia. Una vena gli pulsò alla tempia, segno che la mia domanda l'aveva infastidito.
"Ho detto che se tu facessi l'amore con lei, rischieresti di farle del male", mi corresse.
"Perché?".
"Perché tu sei cento volte più forte di lei. Quando si fa l'amore con una donna che si ama, tutti gli istinti, tutte le percezioni, tutti i pensieri svaniscono. Io ti vedevo con lei. Tutte le volte che la toccavi dovevi usare cautela, incanalare gli eccessi. Ma se dovessi fare l'amore con lei non saresti più in grado di controllare la forza".
"Ma tu ci sei riuscito con tua moglie".
"Io sono il Drago, non ho l'essenza della vita. Mentalmente sono il più forte, ma fisicamente sei tu, il serpente, quello più forte di tutti. Se io dovessi scontrarmi con mia figlia è più che certo che vincerebbe lei. Ma tu, Deniel, se dovessi semplicemente stringerla a te con tutta la forza che hai la soffocheresti e le sue costole si sbriciolerebbero".
Mi morsi il labbro nel rendermi conto che aveva perfetta-mente ragione. Ricordai controvoglia le uniche due volte che l'avevo sfidata. La prima, con un solo pugno avevo rischiato di ucciderla. La seconda, usando due dita soltanto le avevo spezzato il braccio. Com'era fragile e indifesa quella ragazzina...
Afferrai con forza l'angolo del dondolo per costringermi a non scappare via. Il legno non era abbastanza resistente e si sbriciolò sul palmo della mia mano. Nemmeno le ossa e la pelle di Còrin erano sufficientemente resistenti, pensai.
Per la prima volta, ebbi paura di me. Ero un assassino e per Còrin ero disposto a cambiare. Ma anche se ci fossi riuscito, rischiavo di continuare ad uccidere involontariamente. Volevo proteggerla da tutto ma non potevo proteggerla da me stesso. Se l'avessi uccisa per sbaglio non avevo idea di come mi sarei sentito perché ancora non avevo sperimentato tutte le sfaccettature del dolore. Supponevo tuttavia che sarebbe stato un dolore logorante che mi avrebbe portato alla pazzia.
"Inoltre, andresti contro ad un mio regolamento", aggiunse, brusco.
Girai la testa di scatto verso di lui. Dovevo essermi perso l'inizio della frase, preso com'ero ad immaginare la mia vita con Còrin.
"Quale regolamento?", chiesi.
"So che ora farai fatica a seguirmi ma cercherò di essere il più chiaro possibile. Mia figlia è poco più di una bambina, si sta affacciando ora al mondo adulto ed io sono un padre all'antica. Ti ho insegnato di persona a legarti alle tradizioni del Tibet. Qua a Loveland ci sono tradizioni diverse ma non per questo meno importanti".
"Non ti seguo".
"Sarò estremamente chiaro, Deniel: non voglio che mia figlia faccia l'amore prima del matrimonio".
"Ma lei l'ha già fatto", dissi di proposito. Se io non potevo fare nulla per tenerla lontana da Luke, sicuramente ci sarebbe riuscito suo padre. "L'ha fatto con quel poliziotto".
"E' proprio con lui in questo momento".
Si rabbuiò ed io feci altrettanto. L'ira stava nuovamente scorrendo nelle mie vene. Dimenticai all'istante tutti i miei pensieri e mi concentrai su quell'uomo rivoltante: Luke! Quanto lo desideravo morto.
"Di questo ne discuterò con lei, non con te", proseguì. "Ma se tu vorrai fare l'amore con lei dovrai sposarla. E non potrai farlo. Primo, per tutti i motivi che ti ho elencato poco fa, secondo, perché mi avresti contro. E non so se è il caso di ricordarti chi sono".
Realizzai la minaccia di Andy e mi trovai ad indietreggiare. Lui era il drago e gerarchicamente stava a molti gradini sopra di me. Era il braccio destro del Maestro, sebbene fisicamente non fosse un granchè. Aveva cresciuto me e i miei fratelli durante i nostri primi anni di vita, insegnandoci la teoria e le leggende più antiche. Perciò nessuno di noi aveva mai avuto il diritto o la possibilità di contraddire i suoi ordini. Per quanto doloroso o assurdo, io dovevo rispettare le regole. Era sempre stato così e se avessi cercato di cambiare sarei morto. Una specie di corte marziale!
Ma come potevo ubbidire all'ordine del drago? C'era un modo? Certo che c'era: non vedere mai più Còrin. Compor-tarmi come se non fosse mai esistita. Come se le sue labbra non avessero mai sfiorato le mie.
Salutai Andy e tornai a girovagare per le strade buie e deserte della città, spinto dal desiderio di sfogare tutta la mia frustrazione su Luke. Strinsi i denti contro l'urgenza di trovarlo e dovetti stare attento a non uccidere una ragazzina che stava passeggiando davanti a me solo per il gusto di ritrovare il vero me stesso.
Mentre setacciavo ogni via, cercai di distrarmi pensando al futuro di Còrin. Mi sforzai di vedere la sua vita con gli occhi di Andy: college, lavoro, matrimonio, figli. Tutte cose che con me non avrebbe potuto avere. Ad esclusione del lavoro probabilmente. Non avevo niente di bello da darle. Di mio avevo soltanto il respiro, e lo avrei donato a lei perché potesse continuare a respirare in eterno.
E poi l'immaginai dire di sì a qualcuno, accoglierlo nella sua vita, abbracciare Luke, e la furia mi fece desiderare di schiacciare il cranio di quell'individuo tra le mie mani. Andy aveva ragione. Non ero abbastanza forte da lasciarla andare. Ed ero troppo forte per poterla tenere accanto a me.
Svoltai per Madison Ave da dove partivano file e file di portoni grigio scuri, tutti bar frequentati dalla gente che Còrin e gli altri suoi amici si sforzavano di allontanare dalla città.
Il desiderio di uccidere Luke aumentava ad ogni passo che facevo, e poi esplose in un'inattesa, ineguagliabile furia quando lo vidi passeggiare con lei lungo il marciapiede di fronte a me. Sapevo che per come erano messi non potevano vedermi ma scelsi ugualmente di infilarmi in una via più piccola e buia da dove riuscivo a capatare solo parte della loro conversazione.
"So che mi pensi. So che mi vuoi", le disse. Ma non c'era convinzione nel suo tono. Doveva aver capito di essere troppo insulso e insignificante per lei.
Contrassi la mascella, le gambe mi si mossero automati-che in avanti. Bastardo!
"Penso e voglio un solo ragazzo. E non sei tu".
Il tono acido di lei fu la salvezza di Luke. Ero troppo sollevato dall'indignazione di Còrin per intervenire. Avevo impiegato molto tempo per rendermi conto che non la conoscevo, e ancora più tempo per capire che non l'avrei mai conosciuta a fondo. Ma il modo in cui aveva detto a Luke di allontanarsi, fu l'antidoto perfetto per alleviare la mia ira. Volevo che Luke morisse, questo sì, ma la sua morte poteva attendere. Era troppo divertente restare a guardare la sua espressione sconfitta.
Retrocessi fino al mio nascondiglio e ripresi a tenerli d'occhio.
"Spostiamoci da qui", ordinò a Luke, affrettandosi lungo la strada.
Brava! Allontanati da quell'infame. Ci penso io a difenderti. Allontanati, allontanati!
"Non scappare", le corse dietro.
"Non sto scappando. Ma ti ricordo che siamo di ronda e qua non c'è nessuno. A parte due turisti che stanno bevendo una coca-cola seduti sul marciapiede davanti al Motel Super 8".
"Aspetta un momento, Còrin!", la chiamò ancora. "Fermati un secondo e parla con me".
Lo ammazzo! Lo ammazzo!
Mi concentrai sulla figura di Luke, incapace di tenere a freno i miei pensieri omicidi. Notai che aveva i nervi del collo tesi. Era molto agitato, perciò non mi stupii più di tanto quando lo vidi afferrare Còrin per il gomito. Mi lasciò di sasso invece la velocità che impiegò nell'imprigionarla tra le sue braccia. Quando vidi le labbra di lui schiudere quelle di Còrin dovetti concentrarmi sugli occhi splenditi e terrorizzati di lei per non impazzire. Sembrava quasi mi stessero cercando. Cosa dovevo fare? Dovevo ucciderlo? Certo che dovevo farlo; stavo già progettando una strage.
Mi aggrappai al muro della casa per impedirmi di saltare in avanti.
Avrei impiegato meno di cinque secondi a percorrere i cento metri che ci separavano e altri tre per staccare la testa di Luke dal collo. Sarei stato così veloce che Còrin non avrebbe nemmeno avuto il tempo di reagire né di capire cosa stava accadendo di fronte a sé. Ma scartai l'idea. Preso dalla furia di staccare il corpo di Luke avvinghiato al suo, avrei finito col ferire anche lei e non potevo permetterlo. Inoltre, non avrei lasciato a lui il tempo di urlare né quello di soffrire. E meritava una morte cruenta. Perciò passai ad un'altra alternativa.
Avrei potuto aspettare che lui terminasse di infliggerle quella violenza, poi mi sarei avvicinato sul lato destro della strada e l'avrei attirato a me servendomi dell'ipnosi. Era un'operazione che impiegava molto più tempo e correvo il rischio che lei si accorgesse di sfuggita ciò che stava per capitare a quell'infame. Il rischio che lei avesse urlato era alto. Avrebbe richiamato l'attenzione dei ragazzi che stavano all'interno dei bar ed io mi sarei ritrovato costretto ad uccidere anche loro. Ammesso che per la sorpresa, l'urlo non le sarebbe rimasto intrappolato in gola il tempo necessario per permettermi di trascinarla lontano da lì. Sì, poteva funzionare.
Preparai gli occhi e mi spostai sul lato destro del marcia-piede, fuori dalla rotta visiva di Còrin. Avevo ancora le mani piene d'intonaco per quanto avevo stretto il muro. Un attimo prima di agire però mi bloccai, scontrandomi con gli occhi di Còrin.
Mi aveva visto? Questo dubbio mi mozzò il respiro. Sem-brava aver paura. Ne aveva? Probabilmente sì. Poche persone con me non provavano quel sentimento e fui felice finalmente che lei dimostrasse un atteggiamento pressoché simile a ciò che desideravo. Ovviamente non volevo che avesse timore di me, questo mai. Ma era un buon inizio perché finalmente mi aveva dimostrato di aver a cuore la propria incolumità, di non essere completamente e pericolosamente temeraria.
Almeno finché non la vidi ricambiare il bacio di Luke.
"Baciami ancora", farfugliò, continuando a guardare verso di me con la coda dell'occhio.
La rabbia mi scivolò nelle vene come lava mentre avanzavo verso di loro. Al diavolo i miei progetti di vendetta, al diavolo tutto. Lo volevo lontano da lei. Ora. Subito.
"Deniel!!!", urlò, staccandosi da Luke.
Il suo urlo mi paralizzò sul posto.
"Deniel?", ringhiò Luke a sua volta, scuotendola per le spalle. Anche lui si voltò dalla mia parte, ma non diede cenno di avermi riconosciuto.
In cuore mi balzò in gola appena la vidi spostare qualche passo in avanti, sempre più vicino a me. Compensai il suo movimento, retrocedendo fino nell'ombra. Come mi sarei comportato se Luke l'avesse seguita? Sarei riuscito a controllarmi se mi fosse venuto vicino? No, dannazione, no che non ce l'avrei fatta.
Còrin abbassò le palpebre per mezzo secondo ed io ne aprofittai per scomparire alla sua vista.
"Deniel...", ansimò. Era un richiamo.
"Sai, non è piacevole baciare una ragazza che spasima per un altro", la voce di Luke si mescolò a quella meravigliosa di lei.
Immagino che non sarà piacevole baciare nessuna ragazza dopo che ti avrò strappato la lingua – pensai.
Ripensai al dolore che avevo provato vedendo le labbra di quel cane muoversi su quelle di lei e un'idea atroce balenò nella mia testa suggerendomi una possibilità che non avevo ancora preso in considerazione: potevo causargli più dolore se l'avessi lasciato vivere. Uccidendolo avrei potuto appagare i miei desideri solo una volta, lasciarlo in vita invece mi permetteva di vendicarmi tante, tante, infinite volte.
Li lasciai allontanare, sorridendo cattivo nel vedere Luke, ignaro, camminare tranquillo lungo la strada. Nella mia testa già stavo escogitando una maniera perfetta per distruggerlo. Di modi ce n'erano parecchi e tutti allettanti, tanto che non potei sceglierne uno. Li avrei messi in pratica tutti, uno dietro l'altro, e non vedevo l'ora di cominciare.
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