RICORDI
Guardo nel vuoto senza vedere nulla mentre le parole di Anne mi penetrano in testa, una ad una, lentamente, gelandomi il sangue.
Sbatto le palpebre una decina di volte, nel tentativo di vedere nitido il volto terribilmente serio di Anne, ma tutto quanto resta avvolto in una nebbia sottile e statica. Ad ogni rantolo che esce dalla mia gola, ogni cosa attorno a me si fa più offuscata. Attorno agli occhi vedo solo mille puntini opachi che compaiono e scompaiono. Serro la mascella per spazzare via un'ondata violentissima di nausea. Sopra il ronzio che riempie le mie orecchie, comincio a distinguere nettamente le ultime parole di Anne: chiedimi perché credo che quella leggenda sia reale...
E a questo punto comincia la tortura vera!
Chiedimi perché credo che quella leggenda sia reale...
Fino a questo momento ero convinta di essere preparata a qualunque reazione scaturita dalla mia mente. Mi sbagliavo!
Il tentativo di Anne non era stato quello di resuscitare la parte di me che avevo sepolto in una baratro nero, ma di aprirmi gli occhi. E se non fossi stata così incatenata alla realtà, all'umanamente possibile, forse ci sarei riuscita già da tempo e senza il suo aiuto, anzichè ripetermi che ciò che in questi ultimi giorni mi aveva spronato a lottare, altro non erano che una stupidissima allucinazione.
"Còrin?", la voce di Anne mi arriva in un eco lontano.
Mi da uno strattone ma non riesco a riemergere dal mio stato di shock. Mi perdo ad osservare i leggeri fasci di luce che ondeggiano davanti a me, evidenziando i granelli di pol-vere che si rincorrono in piccoli vortici. Appena sposto la pupilla di lato, una forte fitta alla testa mi obbliga a tornare concentrata sui mille granelli grigi che si spostano veloci, mossi dal respiro di Anne. La sua bocca si muove frenetica davanti al mio naso ma non riesco a captare neanche una sillaba. E' come se fossi stata catapultata in un film muto. E sono troppo terrorizzata per concentrarmi sul labbiale, troppo spaventata di scoprire che in realtà è tutto un sogno o un'altra allucinazione.
Un altro strattone mi provoca fitte in tutto il corpo. Chiudo gli occhi per un istante e quando li riapro resto sconcertata. Quanto è durato questo istante? Dove sono?
Provo a girare la testa ma i miei muscoli non rispondono ai comandi. Sei occhi ansiosi mi studiano. Un paio scompaiono dal mio campo visivo e poi tornano a pararsi davanti a me. Riconosco il volto di mio padre e di tutti i miei amici. Vorrei dir loro che sto bene, che è tutto a posto, ma non sono capace di aprire le labbra. Sono ancora nello stesso film muto di prima. Tante bocche si aprono per poi richiudersi, ma mi pare che nelle mie orecchie sia entrato un intero sciame di mosche. Non c'è più alcun suono, alcun respiro. Né il mio né quello degli altri. Nessun fruscio del vento. C'è solo un fastidiosissimo ronzio acuto, simile al fischio del treno.
Poi finalmente recepisco un eco lontanissimo. Riconosco la voce di Anne, così lontana che mi pare stia parlando da un centinaio di metri di distanza. "Lo so che non avrei dovuto tenervelo nascosto...".
La voce di mio padre è la più facile da distinguere. Forse sta urlando. "E lei lo sa? Glielo hai detto?".
"Non ho fatto in tempo a dirglielo. Mentre parlavo è diventata così".
"Quindi ancora non sa che Deniel è qui? Che non se ne è mai andato?", la voce di mio padre questa volta mi raggiunge più attenuata di quella di Anne.
Man mano che parlano, nella mia testa si vanno a creare degli spazi vuoti. Capisco che è il dolore che se ne sta andando, sebbene abbia la netta sensazione di essermi persa nel mio stesso corpo. Ogni mia terminazione nervosa non ubbidisce ai miei ordini.
La conversazione tra Anne e mio padre sembra essere diventata un sogno. Ascolto attentamente, sforzandomi di registrare i punti salienti, ma non riesco a collegare ciò che si stanno dicendo. Alcune parole mi arrivano nitide, altre come suoni lontani, troppo basse perché possa udirle.
"Non le farà mai del male", Anne ribatte ad una frase che non ho compreso.
"Parli senza sapere", la voce di mio padre si alza di parecchi toni. "E' molto rischioso quello fai".
"Non è lui ad aver ucciso tutte queste persone", gli risponde Anne, con lo stesso tono convinto di prima. Devo essermi persa un'altra battuta.
"Non puoi esserne certa, Anne. Stai sfidando qualcosa di incontrollabile. Gli impulsi, gli istinti, i pensieri stessi di Deniel non sono comandati dalla sua testa. Quello che noi chiamiamo anima, lui non ce l'ha".
C'è un attimo di silenzio, anche se non ho la certezza che sia proprio un attimo. Non riesco più a mantenere il senso della realtà. E' come se il tempo mi scivolasse addosso veloce, irrefrenabile. Ho perso completamente la cognizione dei secondi, come se nella mia mente ogni ora equivalesse a interminabili attimi e viceversa.
Sento ancora la voce ansiosa e roca di mio padre. "Ma io ho vissuto con loro, ed è umanamente impossibile che una persona come Deniel possa far affidamento al proprio auto-controllo. Per quanto possa dimostrare di essere cambiato in meglio, per quanto lo reprimi, il suo istinto omicida continuerà a covare un desiderio tormentoso e ad alimentare una voglia incontenibile di togliere vite umane".
Con gli occhi fissi sui loro volti –non riesco più a metterli a fuoco- ripenso alle parole che tra tutte mi hanno colpita: lei lo sa che non se ne è mai andato?
Come se mi trovassi di fronte ad un proiettore, osservo attonita l'immagine che passa velocissima davanti ai miei occhi: il lampione illuminato, il marciapiede desolato, l'ombra che si muove avanti e indietro come a voler controllare casa mia. La sagoma che mi si avvicina mentre le labbra di Luke premono sulle mie... il ragazzo al campus?! Poi la mia memoria viene catapultata indietro nel tempo, a quel maledetto giorno, e un' altra immagine affiora nella stanza. Il posto non è più lo stesso; vedo alberi, la luna bianca che rischiara il cortile della villa di Andrew, me stessa seduta su un basso muretto, la mia mano che stringe il coltello ancora sporco del sangue di Deniel, e sempre la stessa identica ombra che compare e scompare a velocità sorprendente accanto agli alberi fitti e neri. Avevo creduto fosse solo un gioco di luce, invece era Deniel. Dopo che lo avevo accoltellato, mi aveva seguita fin sotto casa di Andrew. Ammesso che io decida di credere alla leggenda.
Abbasso per un momento le palpebre –o almeno a me sembra così- e quando le riapro tutto mi appare più nitido, più logico. I volti di mio padre e di Anne sono sempre lì, piegati su di me, ma qualcosa è cambiato. La stanza non è più illuminata dalla lampada del salotto, attraverso le finestre spalancate filtrano i raggi del sole e sento il cinguettio degli uccellini, spezzato a tratti irregolari dal rumore del motore di qualche macchina.
"Pensa a lui più spesso di quanto tu possa gradire", mormora Anne, voltando per un secondo la testa verso mio padre. Poi i suoi occhi tornano immediatamente a me.
Andy non risponde subito, distratto da qualche pensiero che gli frulla in testa. "Non permetterò che Deniel ricompaia nella vita di mia figlia. E non mi importa nemmeno se in questo ultimo mese è stato lui a proteggerla e a tenere lontano ogni delinquente affinché lei non dovesse trovarsi quasi mai nella condizione di combattere. Se non se ne è andato da Loveland è una decisione sua. Ma non permetterò che per uno stupido, momentaneo sentimento, lui metta a repentaglio la vita di mia figlia".
"Non è momentaneo, Andy, lo sai meglio di me", lo con-traddice Anne.
"Non ha importanza!!!", sbraita. "Quel ragazzo è letale. E non lo voglio accanto a lei".
Faccio un lungo respiro. Sono così presi dalla loro discussione da non rendersi conto che sono come... tornata.
"Anne, sforzati di metterti nei miei panni", la voce di Andy sfiora l'implorazione. "Come posso vivere sapendo che Deniel potrebbe ucciderla anche solo limitandosi a guardarla?".
"Gli devi dare un'opportunità", ribatte risoluta. Tiene lo sguardo incollato al suo senza mostrare il minimo cedimento. "Maledizione Andy, lui è tuo figlio!".
"Non dire eresie".
Per un lungo momento si fronteggiano, occhi negli occhi, senza quasi respirare.
"L'hai cresciuto per i primi cinque anni di vita. Non sarai il suo padre biologico, d'accordo, ma sei l'unica persona che gli sia rimasta. Che tu lo voglia o meno devi sforzarti di ricordare che Deniel ha massacrato tutta la sua famiglia per salvarti. Sei tu ora, la sua famiglia. Accettalo!".
Andy si strofina il volto, passandosi poi le dita tra i capelli radi e appiccicati alla fronte. Le guance sono rosse di collera.
"Non posso farlo, Anne. Non ci riesco", sospira tormentato.
"Scusa se mi permetto, Andy, ma sarebbe proprio il caso che tu faccia un piccolo sforzo per riuscirci".
Involontariamente muovo un dito della mano, catturando la loro più completa attenzione. Anche se a me non sembrava mi stavano tenendo d'occhio.
"Còrin?", mio padre si lancia contro di me, posando le mani sulle mie ginocchia. "Ti senti bene?"
Faccio per rispondergli ma la voce ancora non riesce ad uscire. Mi rannicchio sul divano, stringendomi le ginocchia al petto e attendo di riemergere definitivamente dal mio stato confusionale.
"Còrin, è tutto finito. E' tutto passato", cerca di tranquillizzarmi. "Stai tranquilla, tesoro. Vedrai che andrà tutto bene. Non sarà come prima. Ti porterò via da qui. Dimmi dove vuoi andare ed io ti ci porterò".
Con uno sforzo immenso riesco a sollevare il braccio e a contorcere le dita della mano come se volessi stringere qualcosa. Piego la testa di lato mentre ogni suono, ogni forma, ogni respiro, tornano al loro posto. Poi spalanco la bocca per parlare ma contemporaneamente i miei occhi si sgranano, senza che abbia dato un ordine ben preciso. Respiro a pieni polmoni accorgendomi che l'aria che ho in corpo è appena sufficiente. Ogni parte di me riconosce come un corpo estraneo e deteriorante tutto il dolore, tutta la sofferenza che ho inghiottito per giorni e giorni e lo espelle in un urlo graffiante, lacerante. L'urlo che per tutto questo tempo ho soffocato. L'urlo che mi ha tenuta intrappolata all'inferno. E poi accadono tre cose simultaneamente: sento il mio corpo spinto verso l'alto, la gola comincia ad ardere, e man mano che la mia voce si affievolisce, la voragine sotto i miei piedi si richiude de-finitivamente. Esausta cado all'indietro, sprofondando la schiena nei cuscini del divano.
Anne, con immensa cautela, mi scuote per una spalla. "Còrin?".
Tiro un profondo respiro. Ora che il mio corpo non è più paralizzato riesco a far defluire meglio l'aria dalla gola ai pol-moni.
"Cos'è successo?", chiedo.
"Sei stata assente un bel po'. Ci hai fatto preoccupare da morire. Andrew sta dando i numeri, se ne è andato via quasi piangendo, non l'ho mai visto in quello stato... devo avvisare che ti senti meglio". Si blocca, corrucciata, studiandomi da più vicino. "Perché tu stai meglio, vero?".
"Dov'è?", le chiedo in un sussurro.
"Dovremmo chiamare un medico", interviene mio padre, accarezzandomi la fronte. "Sei tutta sudata...".
"Dov'è?", mi ostino. Sento di star per vomitare. "Ditemi dov'è?", annaspo.
"Stai calma, Còrin, non ti agitare", dice Anne.
"Dov'è?", mi agito. "Voglio saperlo... vi prego".
"Non dirglielo", le ordina Andy nel momento stesso che i miei occhi incrociano i suoi.
"Ditemi. Dov'è. Deniel", sibilo tra i denti.
Anne sposta rapidamente lo sguardo da me a mio padre. E poi di nuovo su di me.
"Alla cascina", mi risponde infine.
Prima ancora che finisca di parlare mi alzo con uno scatto dal divano e mi precipito verso la porta, scansando Andy con una spinta quando prova a sbarrarmi la strada. Non so ancora bene cosa ho in mente di fare, ma so che Andy l'ha già capito.
"Non lo farai", mi inveisce contro. "Mi hai capito? Non senza il mio permesso".
"Non hai nessun potere per fermarmi".
Mentre m'infilo la giacca, scorgo nel suo sguardo cupo brillare delle lacrime.
"Ti ucciderà, Còrin", mi avverte.
"No, non lo farà". Lo liquido con un movimento brusco della testa, libero il braccio dalla sua stretta e spalanco la porta. "Non l'ha mai voluto fare".
Ed è davvero stato così. Sempre!
Cammino lentamente per la campagna profumata e verde, impaziente di arrivare il prima possibile e allo stesso tempo desiderosa di prolungare i pochi attimi, i pochi metri che mi separano dalla cascina. Conosco la strada a memoria perciò non mi è difficile trovare lo stretto lembo di terra appena visibile in mezzo ai cespugli, che funge da sentiero e s'insinua all'interno della campagna. L'ultimo acquazzone ha lasciato decine di pozzanghere in segno del suo passaggio, alcune delle quali si allargano da un lato all'altro della stradina. Il vento leggero si intrufola tra i rami sopra la mia testa facendo scivolare verso terra alcune goccie di pioggia, rimaste impigliate tra le foglie. Mi arrotolo l'orlo dei jeans fin quasi al ginocchio, sollevo il cappuccio della maglia sopra la testa e proseguo verso destra, dove da lontano riconosco il suono di un ruscello, segno che sto per arrivare a destinazione. I colori della campagna cambiano, schiarendosi di poco, il sentiero diventa meno viscoso ed è più facile proseguire. Mi fermo un momento per riprendere fiato e ne aprofitto per levare il fango dalle suole delle scarpe strofinandole avanti e indietro sopra una striscia d'erba. Un uccellino si leva in volo, urlando un richiamo e l'istante successivo un'altra dozzina di uccellini esce dal proprio nascondiglio, emettendo un forte fruscio. Sollevo lo sguardo per ammirare i loro volteggi a spirale, e in un batter d'occhio decine di stormi in formazione riempono il cielo ceruleo, senza una nube che imbianca l'orizzonte, ricordandomi che è quasi il tramonto. Riprendo a camminare in fretta, sforzandomi di ragionare con lucidità e freddezza a ciò che mi ha detto Anne circa l'antica leggenda. Non c'è nessun dettaglio a questo punto che possa indurmi a sospettare che le leggende legate alla vita di Deniel siano delle semplici parole tramandate per il piacere di spaventare la gente. Eppure un piccolo angoletto della mia coscienza continua a dirmi che non è possibile, che non devo crederci.
Un ramo mi blocca la strada e lo spingo di lato, rabbiosa. Da quando in qua perdo tempo con delle leggende?
Il fatto che Deniel sia sopravvissuto con uno squarcio nello stomaco non ha alcuna spiegazione razionale, è vero, ma se è per questo nemmeno il fatto che possa vivere su per giù duecento anni ne ha.
Mio malgrado penso ad alcuni particolari a cui fino ad oggi non avevo mai fatto caso: non lo avevo praticamente quasi mai visto mangiare né dormire. La sua forza e quella dei suoi fratelli era a dir poco inquietante e surreale. Dimostrava molti meno anni di quelli che in realtà aveva.
E poi un altro particolare si fa strada, spiccando tra tutti gli altri: si era lanciato dal terzo piano del mio college senza preoccuparsi nemmeno per un secondo di schiantarsi a terra.
Solo chi non può morire non ha timore della morte.
Quindi Deniel è immortale?
Scrollo la testa, incredula, vergognandomi di me stessa per averlo anche solo pensato.
Ad un tratto, vedo una breccia tra i bassi rami di meli. La grande radura, soleggiata e ricoperta da migliaia di petali gialli, si apre davanti a me in colori accesi. E' come se non me ne fossi mai andata. Come se, per tutto questo tempo, non fosse mutato niente. Tiro un profondo respiro e senza indugiare oltre attraverso l'immenso prato, puntando la cascina. Man mano che mi avvicino riconosco alcuni particolari che mi sembrano nuovi; sulle finestre sono state appese delle tende arancio e il tetto è completamente restaurato, segno che, come avevo sospettato in passato, non ha retto al primo acquazzone. Davanti all'ingresso parte un minuscolo sentiero di ghiaia bianca e termina dove inizia uno steccato che circonda tutto il perimetro della cascina. Sbatto le palpebre frastornata: è' umilmente meravigliosa! Le travi pitturate di marrone scuro sono attraversate da venature così bianche che riflettono i raggi del sole, l'intera facciata a sud è nascosta da migliaia di intrecci di edera selvatica, interrotti da una piccola finestrella rotonda. Sembra essere uscita direttamente dalla favola di Hansel e Gretel.
A passi lenti oltrepasso lo steccato. Noto che sono state piantate alcune orchidee accanto ad un altro tipo di fiore che non ho mai visto e che sprigiona un profumo simile a quello della menta. Mi ritrovo faccia a faccia con la porta d'ingresso. Quando abbasso la maniglia, ogni più piccola parte del mio volto si congela in una smorfia quasi di dolore. Non ho mai sentito il mio corpo desiderare qualcosa fino a questo punto. Voglio Deniel, anche solo per un secondo... ogni singola parte di me ha voglia di lui.
Spalanco la porta. Per un istante i miei occhi si fissano su tre grossi fasci di luce bianca che dalla finestra tagliano di netto il perimetro della cucina, allungandosi fino alla parete opposta.
Il panico mi riempie lo stomaco quando mi accorgo che è vuota. Istintivamente faccio un piccolo passo indietro, vincendo il tremolio che mi intorpidisce i muscoli delle gambe, gettando un'ultima occhiata all'interno: niente! Con un sospiro di rassegnazione appoggio la fronte contro il legno della porta. Il vento solleva qualche foglia arancio bruciato, facendola poi ricadere sulle mie scarpe. Con un calcio le spazzo via e mi lascio cadere a terra, stanca, trascinando la schiena contro il legno umido della facciata. La casa vuota e silenziosa scatena in me un dolore talmente straziante che non sono nemmeno in grado di rialzarmi e fuggire lontano. Nascondo il volto tra le ginocchia e raccolgo tutte le forze per riprendermi, ordinando ai miei ricordi di rallentare e focalizzarsi su un pensiero alla volta. Sembra funzionare. Man mano che pas-sano i secondi, sento dentro di me una nuova consapevolezza. Una voce antica, più antica della parola scritta, che ripete le stesse identiche parole che Deniel aveva pronunciato prima che affrontassi suo padre e i suoi fratelli:
<Ad alcuni giovani potenti e bellissimi, più potenti di qua-lunque altro guerriero esistente al mondo, è stata data l'essenza della vita>.
<E questo cosa comporta?>.
<Sono invulnerabili a qualunque tipo di attacco. Nessuna persona normale può fermarli. Possono guarire prima, invec-chiano molto lentamente. L'essenza della vita li ha resi quasi immortali>.
<Cerchiamo di restare ancorati alla realtà, per favore>.
<E' il nostro destino, Còrin. Ci è stato dato alla nascita>.
<Se così fosse allora, non esiste un modo per uccidervi>.
<C'è un solo sistema per porre fine alle nostre vite. Per ucciderci dovete tagliarci la gola. E' l'unica parte di noi immu-ne all'essenza della vita>.
<Perché non me l'hai detto prima?>.
<Mi avresti creduto?>.
<Certo che no. Mi stai dicendo che se vi pugnaliamo al cuore, voi non morite? Deniel, questa è fantascienza>.
<La ferita si rimarginerebbe prima ancora che la vita ab-bandoni i nostri corpi>.
Ed io l'avevo pugnalato allo stomaco! Non avevo dato a-scolto alla sua spiegazione né tantomeno ci avevo creduto. Perché il difficile non è credere alle leggende, ma è darci il giusto peso.
Tutto il Mondo, ogni paese è governato da antiche leggende, alcune di queste rimaste sepolte sotto i massi, le erosioni del tempo, altre tramandate di bocca in bocca. Ma la domanda è: quanta verità c'è dietro ad ogni leggenda che ci è pervenuta dal passato? Quali sono quelle vere e quali no? Possibile che nella nostra realtà, nel nostro bisogno di tenerci ancorati all'umanamente possibile, ci siano migliaia di verità che vogliamo ignorare? L'uomo nero, i licantropi, i demoni, le streghe, gli immortali, fanno davvero parte del nostro Mondo o sono solo storie immaginarie usate nel Medioevo per spaventare la gente? E se sono vere, anche Deniel lo è?
Un altro ricordo sembra voler rispondere a queste mie domande. Nella mente sento la mia voce accanto a quella morbida e attraente di Deniel:
<Vorrei tanto sapere se è vero che hai 27 anni!>.
<Giorno più, giorno meno>.
<Sembri molto più giovane>.
<Probabilmente è per via del QI. L'energia vitale. La spinta indispensabile per animare la vita. Circola all'interno del corpo, attraverso canali chiamati meridiani ed è responsabile dello stato di salute, dell'efficienza delle cellule e di tutti i processi fisiologici>.
<Sembra straordinario>.
<Non è straordinario. E' una maledizione, non capisci? Guardami! Sono completamente diverso da tutti gli altri. In-vecchio più lentamente, il mio corpo è un centinaio di volte più forte e resistente di quello di chiunque altro, non ho la necessità di mangiare, dormire, bere quanto voi. Posso re-primere ogni bisogno quasi tutte le volte che voglio. E non è straordinario, perché tutto questo è servito a cancellare la mia anima e a farmi diventare un assassino>.
<Non lo sei veramente>.
<Ti stupiresti nello scoprire di quante persone sono morte per mano mia>.
Spalanco gli occhi per respingere quest'ultimo ricordo e per trovare il coraggio di dare un senso a questa situazione. Perché avevo scelto di non credergli? Forse l'avevo fatto perché, se davvero tutta questa faccenda senza senso è reale, significa che arriverà il giorno in cui l'uomo sarà leggenda? Ci saranno scritti che parleranno di noi essere umani, e immortali che si rifiuteranno di leggerli o di credervi ciecamente?
Prendo un sassolino e me lo rigiro tra le dita prima di lanciarlo e centrare in pieno uno palo dello steccato. Ne prendo un altro e provo a colpire lo stesso punto. Continuo così per un altro centinaio di volte, in attesa di vedere l'ombra di Deniel spuntare dal basso arco formato dai rami dei meli.
Ma il tempo passa, i minuti si rincorrono, tutti uguali, solitari, monotoni...
Il sole, calando dietro le montagne, incornicia d'arancio la campagna e allunga la mia ombra immobile e impaziente sulla stretta stradina di ghiaia. Alcune cicale urlano, nascoste dietro agli steli dei cespugli, alternando il loro richiamo con quello degli uccelli di ritorno verso il proprio nido. Le prime stelle appaiono sfocate, contrastando con l'azzurro intenso del cielo... segnando la fine di un'altra mia giornata senza Deniel.
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