INDAGINI
Quando arrivo alla palestra impiego qualche secondo ad accorgermi che Luke mi sta già aspettando seduto sulla panca davanti alla porta d'ingresso. Gli vado accanto senza neanche degnare di un' occhiata quello che sta cercando all' interno del suo borsone. Ho ancora i nervi a fior di pelle a causa di Andy.
"Ce l'hai fatta". Il suo sorriso mi scatena un moto di entusiasmo. Provo a ricambiare, stiracchiando un angolo della bocca. Penoso! "Perciò è questo il vostro posto di ritrovo!?".
"Già. Scusa il ritardo". Lascio cadere la mia tracolla accanto al lui, sulla panca, e frugo nella tasca esterna alla ricerca delle chiavi. "Mio padre si è messo in testa di psicoanalizzarmi!".
Solleva un sopracciglio. "Non solo te".
Mi metto sul chi va là. "In che senso, scusa?".
Schiocca la lingua, poi alza le mani in alto e le lascia rica-dere di colpo sulle ginocchia. "Dai Còrin. Tuo padre è strano forte, non puoi negarlo".
"Strano?". Mi sento impallidire.
"Strano è un eufemismo".
"Perché lo pensi?... Fa attenzione a dove metti i piedi, c'è una piastrella rotta".
Gli faccio strada fino alla sala degli allenamenti. Luke si guarda attorno per un po', poi riprende il discorso.
"Dìco... l'hai visto l'altra sera come mi guardava? Sembrava volesse leggermi nel pensiero. E peggio ancora... sembrava proprio riuscirci".
"Addirittura?". Lo fisso a lungo, sforzandomi di rimanere impassibile, ma è più facile dirsi che a farsi. Fingo allora di essere distratta da qualcosa fuori dalla finestra.
"Beh, a me ha dato quest'impressione".
Mi stringo nelle spalle, e vado a sedermi accanto a lui. "Andy è il classico padre all'antica. E' naturale che con te si sia lasciato prendere un po' la mano. Probabilmente voleva capire se noi due abbiamo fatto...", la voce mi si affievolisce appena mi rendo conto di ciò che sto per dire.
"Sesso?". La parola rimbomba all'interno della sala.
Mi va quasi di traverso la saliva. "Non sono qui per parlare di questo".
"Giusto". Ha un tentennamento prima di continuare. "Immagino tu abbia capito del perché mi sono rivolto a te".
"Perché io, Andrew, Anne e Nick siamo gli unici che possano salvare la città?".
"Siete bravi, non lo metto in dubbio. E, anche se i vostri metodi non sono proprio... legali, vi devo la mia gratitudine. Ma se ti ho cercata non è certo per fermare cinque ladri d'auto". Parla con ovvietà, come desse per scontato che ci fossi già arrivata da sola.
"Ah no?", chiedo ingenua.
I suoi occhi si spalancano. "Mi stai dicendo che non hai i-dea del vero motivo per il quale ho bisogno del tuo aiuto?".
Scuoto la testa in segno di diniego, aggrottando la fronte. Non intuisco neanche lontanamente dove voglia arrivare.
"Còrin", esclama, esasperato. Le sue ginocchia sbattono contro le mie. "Vuoi farmi credere davvero che non state facendo nulla per fermare il pazzo assassino che circola per Loveland da un paio di settimane?".
Per qualche istante sto zitta per verificare se almeno una simile notizia possa provocarmi un qualunque tipo di emozione. Ma il cuore continua a battere regolare e il respiro rimane lento e monotono.
Luke mi squadra incredulo. "Sono state trovate dieci persone morte. Persone normali. Per lo più impiegati di banca, commesse", dice e poi sta zitto, in attesa che le sue parole facciano presa su di me.
Nessun emozione ancora.
"Davvero non ne sapevi niente?", mi chiede dubbioso. "Non li hai letti i giornali?".
Mentre ascolto distratta ciò che sta dicendo, comincio a capire il senso delle parole di mio padre. Ecco perché è tanto in pena quando esco la notte. Ecco perché mi ha rimproverata per il mio scarso spirito di sopravvivenza. Me ne sono andata in giro per la città, per nottate intere, senza preoccuparmi di chi avessi incontrato. Troppo codarda per uccidermi, ma non abbastanza da non sapere che ogni ronda potrebbe essere la fine delle mie sofferenze.
"E' Andrew che si preoccupa di quello che dobbiamo fare e di quale zona dobbiamo controllare. Io mi limito a uscire di ronda", gli spiego.
Nei suoi occhi passa un lampo di collera. "E Andrew non ti ha informata dei seri rischi che stai correndo ad andartene in giro senza protezione? Non ti ha detto niente del pazzo che uccide a sangue freddo le sue vittime?".
Alzo le spalle, indifferente. Chissà da quanto tempo me lo stava ripetendo? Anche se non ricordo di aver mai affrontato un simile discorso con Andrew, non escluderei che lui abbia cercato in tutti i modi di mettermi in guardia. Il problema non è lui. Il problema sono io! Sono stata così distratta, così impegnata a riempire le mie giornate con mille impegni, che non ho fatto caso a quello che stava accadendo attorno a me.
"Lo fermerò!", assicuro, dopo qualche secondo di riflessione. Poco importa il prezzo che dovrò pagare per restare fedele a questa promessa. Spero sia alto...
"Còrin? Stiamo parlando di un assassino che uccide senza un evidente motivo, con una freddezza raccapricciante", si spazientisce, "gradirei più prudenza da parte tua".
Ancora una volta alzo le spalle. "Non è la prima volta che fermiamo degli assassini".
"Chi?...", spalanca la bocca.
"Ti ricordi quei ragazzi che bruciavano le proprie vittime e ne seppellivano i resti al cimitero?".
Muove lentamente la testa su e giù. Gli occhi si spalancano man mano che i ricordi gli riaffiorano. "Abbiamo dato loro la caccia per settimane e poi di colpo...", schiocca le dita, "più niente. Svaniti!... sei stata tu, dunque?!".
"Io ed Andrew", preciso, "in meno di mezz'ora".
"Non ci posso credere!". E' ancora sbalordito. Lancia un'occhiata davanti a sé, nel punto più lontano della sala, rimuginando su qualcosa. "E voi avete qualcosa a che fare con la faccenda alla CBM?"
La voragine si riapre nuovamente, inghiottendomi senza preavviso. Un brivido mi attraversa la schiena e quando provo a parlare riesco ad emettere solo un gemito.
"Che cosa c'è?", si allarma.
Tiro un lungo respiro.
"Noi non c'entriamo niente con la CBM", mento, e per un istante studio la sua espressione accigliata, pregando in silenzio di essere stata abbastanza convincente. Dichiarare ad un poliziotto di aver ucciso un personaggio così influente nella società come Rylen, equivale ad ammanettarsi da soli.
Mentre Luke mi tiene aggiornata sulle sue ultime scoperte – che ovviamente non portano a nulla di concreto – mi sforzo di non pensare che i metodi di Andrew e miei superano di gran lunga i suoi. Non lo voglio fare per il semplice fatto che voglio concedere a Luke una possibilità.
Ma ben presto la mia attenzione si perde altrove, perse-guitata dall'intrusione di un ricordo ben preciso. Un ricordo fastidioso e insistente che spunta tra i miei pensieri ad intervalli irregolari, senza preavviso, e mi riempie la testa con il volto di Deniel contratto dal dolore, con le sue labbra piegate in una smorfia sofferente mentre la mia mano lo colpisce a tradimento. L'ultimo ricordo che ho di lui.
E la milionesima lacrima resta a mala pena impigliata nelle mie ciglia.
"Tu non stai bene", la voce di Luke ha il potere di ripor-tarmi alla realtà.
Sbatto gli occhi un paio di volte. Abituata da settimane a non pronunciare il nome di Deniel, oggi ho dovuto sopportare ben tre discussioni su di lui. E ora, l'unica cosa che voglio è evitare qualunque genere di fastidio. Soprattutto domande sul mio stato emotivo.
Gli do una leggera gomitata nel fianco. "Non ricominciare".
Finge di chiudersi le labbra con una cerniera e balza in piedi, afferrandomi le mani per tirarmi su.
"American grill", propone.
Ci penso un po' su dopo aver controllato l'ora.
"Lo prenderò per un sì", ammicca, fraintendendo voluta-mente la mia esitazione.
"No, aspetta....".
Ma lui non mi da retta. Mi afferra per un polso e mi trascina fino alla sua auto, parcheggiata sul retro della palestra. Con un gesto teatrale spalanca la portiera e allunga una mano per invitarmi a salire.
"Dovremmo discutere su come organizzare le ronde anziché mangiare", protesto, allacciandomi la cintura.
"D'accordo, mentre io mastico tu parli".
"Luke...".
"E dai Còrin...", mi zittisce.
Incrocio le braccia al petto, voltandomi imbronciata verso il finestrino. "Se muore qualcuno è colpa tua".
"Mi assumerò le mie responsabilità", scherza, sterzando verso la provinciale. "Ora di grazia ti vuoi rilassare?".
"Uhmm", mugugno, tornando a voltarmi verso di lui.
"Tregua?".
"Tregua", borbotto.
Ma in realtà riesco a rilassarmi solo una volta che svoltia-mo per Railroad Avenue, la via che sia affaccia sull'ampio piazzale dell'All-American Sports Grill.
"A chi mangia di più?", mi sfida appena ci sediamo ad un tavolino accanto al bancone. Sfoglia velocemente il menù saltando di netto la pagina dei dolci, poi alza una mano in un gesto educato per attirare l'attenzione della cameriera.
Appena si affaccia al nostro tavolo, sorridendo giusto per cortesia e tamburellando con la punta della matita sul block delle ordinazioni, Luke richiude il menù e mi sorride perfido.
"Ci può portare dieci hamburger, otto hotdog...".
Lo tiro per la manica. "Luke...".
Ma lui continua come se non avessi protestato. "Dodici sandwich, quattro porzioni di patatine e...", sposta per un momento lo sguardo dalla cameriera a me. "Coca o birra?".
"Luke...". Anche se credevo di non esserne più capace scoppio a ridere.
"Non vuoi bere?", mi domanda serio.
"Sì", mi arrendo, guardando imbarazzata la cameriera che sta ancora trascrivendo l'infinita ordinazione. "Mi può portare una birra?".
"Quanti anni hai?", mi chiede meccanicamente, senza guardarmi.
"Ahm... io...".
A questo punto mi guarda di sbieco per non più di due secondi. Aggrotta le sopracciglia e senza esitazioni la vedo segnare una coca cola per me ed una birra per Luke.
"Aspetti!", la richiama Luke, quando fa per allontanarsi. Lo osservo curiosa mentre rovista nella tasca interna del giubbotto scamosciato. Ne estrae un taccuino nero e lo apre davanti al volto arrossato della ragazza. "Garantisco io per la signorina", le dice senza pietà, sorridendo di sbieco. "Le porti una birra".
La ragazza indietreggia, paonazza, tracciando velocemente una riga sopra la scritta Coca. "Oh, lei è un poliziotto. Mi scusi", bisbiglia, inclinando la testa e infilandosi il block nella tasca del grembiule. "E' solo che non possiamo servire alcolici a chi non ha ventun anni. Non immaginavo che lei garantiva per la signorina. Mi scusi ancora".
"Sei crudele!", gli dico quando la ragazza è sufficiente-mente lontana.
Si allunga sul tavolo, annullando la distanza che c'è tra di noi. "Siamo tutti un po' crudeli nel profondo". E dal tono in-tuisco che si sta riferendo anche a me. Soprattutto a me.
Mi ritraggo infastidita e mi guardo attorno per sviare il suo sguardo insistente; la sala è quasi vuota, ad eccezione per un gruppo di ragazzini sui quindici anni che hanno tutta l'aria di star festeggiando un compleanno e per una coppia seduta accanto alla vetrata che a forza di baciarsi sta surriscaldando l'interno del' American grill. Aguzzo la vista sulla schiena della ragazza, più precisamente sulla sua maglietta rosa bordata di rosso. Come si sentisse il mio sguardo addosso si volta dalla mia parte, e solo a questo punto la riconosco. Ecco perchè la maglietta mi suonava famigliare; gliel'avevo regalata io per lo scorso Ringraziamento.
"Ciao", mi urla Irene, staccandosi impacciata dal ragazzo biondo ossigenato.
Quando i suoi occhi si posano su quelli di Luke ha un tentennamento, poi riprende a camminare verso di noi. "Che ci fai qua?", mi sorride. Si porta una mano alla bocca per proseguire. "Con lui?".
Rispondo con un'altra domanda. "Chi è quel tipo?".
Sorride appena, facendo spallucce. "L'ho conosciuto ad una festa al Twenty One". Gli fa cenno con la mano di avvici-narsi. "Ehm... non dargli troppa corda. Ho intenzione di scaricarlo a fine serata".
Faccio per commentare ma poi richiudo la bocca nell'accorgermi che è già a pochi passi da noi.
"Ciao", ci saluta secco. Non sembra troppo contento.
"Lei è la mia amica Còrin", Irene fa le presentazioni, "e lui è il suo...", ci pensa un po' su, "... lui è Luke".
Mentre le presentazioni continuano, la cameriera si avvicina con due vassoi stracolmi.
"Aspettate qualcuno?", ci chiede Irene, sedendosi accanto a me senza aspettare un invito.
"Una specie di sfida tra me e lei", le spiega Luke, ridac-chiando complice con me.
"Mi scusi?", la cameriera è ancora in piedi davanti al tavolo. Si dondola sui piedi, osservando attentamente Luke, neanche avesse paura di vederlo estrarre ancora una volta il distintivo. Infine sospira e prende a parlare a raffica. "Mi stavo chiedendo se avete scoperto qualcosa sull'assassino. Qua nessuna di noi si sente al sicuro visto e considerato che le vittime sembrano essere solo delle donne, e quando finiamo il turno di notte abbiamo paura a tornarcene a casa".
Luke si gratta la testa, quasi sorpreso, e dopo aver lanciato uno sguardo fugace ad Irene e al suo quasi ex fidanzato, lo vedo accennare un sorriso cordiale. "Gli stiamo dando la caccia".
Ho quasi un sussulto, che fortunatamente sfugge a tutti quanti. Solo io posso sapere che con quel "stiamo", Luke si stava riferendo anche a me.
"Non dev'essere così difficile scovare un assassino in una città così piccola!", il commento della cameriera suona un po' come un'accusa.
Luke la osserva senza battere ciglio. "Farebbe meglio a chiedere a qualcuno di passare a prenderla quando finisce il turno".
"Non è solo questo", riprende la cameriera, tormentando l'orlo del grembiule. "Vede, una mia amica è scomparsa e sono molto molto preoccupata per lei. E' incinta di sette mesi e ho il sospetto che...".
"Signorina!", Luke la interrompe, indicando le faccie im-provvisamente pallide di Irene e il suo amico.
Ma lei continua imperterrita. "Si chiama Sarah McLonlye ed è alta più o meno un metro e sessanta. Ho provato a chiamare la centrale ma nessuno mi ha dato ascolto".
"Beh", mi lascio sfuggire, "la mancanza d'interesse della polizia locale è proverbiale".
L'occhiata furiosa di Luke mi fa pentire subito di aver parlato.
"Signorina!", il tono si è fatto più serio. "Faremo tutto il necessario per ritrovare la sua amica. Ma per il momento non posso dirle altro. Mi capisce? Sono informazioni riservate".
La ragazza annuisce, sforzandosi di accennare un sorriso reverente prima di allontanarsi.
Per il resto della serata il discorso "assassino" non salta più fuori. Le faccie di Irene e del suo ragazzo hanno faticato a riprendere colore, ma quantomeno si sono sforzati di non pensarci e a movimentare la conversazione raccontandoci cosa avessero fatto nel week-end.
In più di un'occasione Luke ha cercato di afferrarmi la mano da sotto il tavolo e dopo un po' ho cessato di ritrarmi. E' stato quasi bello tenerlo per mano e fingere davanti alla mia più cara amica che sotto i suoi occhi non stava accadendo niente. Per la prima volta dopo settimane di ulra e pianti, mi sono sentita... viva.
Per questo motivo, una volta che Luke ha parcheggiato la sua auto davanti al mio vialetto, mi ritrovo quasi a desiderare di non tornare a casa. Sola, nella mia stanza, non troverò certo delle ottime distrazioni per non pensare a Deniel. Solo in presenza di Luke mi sembrava di stare meglio.
"Ci vediamo", si china per baciarmi sulla guancia.
"Aspetta un attimo", prendo tempo. La mano ferma sulla maniglia dello sportello. Sono almeno due ore che aspetto di potere parlare con lui di alcuni miei sospetti. "Mi chiedevo... le altre donne uccise erano incinta?".
Dalla bocca gli esce un respiro secco. Aggrotta le sopracciglia, annuendo come se fosse arrivato or ora alla mia stessa conclusione. "Ci avevo pensato prima, mentre la cameriera mi parlava della sua amica".
"Sarah McLonlye".
"Hai una buona memoria", commenta.
Mi stringo nelle spalle.
"A quanto pare i tuoi sospetti non sono infondati. In effetti l'assassino sembra seguire un modus operandi ben definito, prediligendo vittime di sesso femminile e... incinta", mentre parla annuisce lentamente con la testa, guardando fuori dal parabrezza. Poi vedo la sua guancia atteggiarsi ad un sorriso. "Sarà meglio per te se noi due facciamo sesso protetto d'ora in avanti".
Gli do un pugno sulla spalla.
"E dai! Stavo scherzando", si massaggia. "E comunque... ahia".
"Cerca di comportarti meglio", continuo a tenere il bron-cio.
Ridacchia appena. "Già! Dimentico che tu sei solo una ragazzina e certi argomenti sono taboo".
Irritata apro lo sportello ma appena provo a saltare fuori il suo braccio mi cinge la vita, trattenendomi dove sono. "Scusa. Davvero".
Decido di accettare le sue scuse. Però non accenno a smettere di atteggiare le labbra ad un broncio.
Luke ha ripreso a guardare fuori dal parabrezza. La ma-scella gli si è contratta e sulle mani posate sopra il volante si vedono i tendini.
"Posso farti una domanda senza che ti arrabbi?".
"Certo", rispondo in fretta, senza ragionare.
Continua a guardare un punto nell'oscurità. "Tu e Deniel avete fatto l'amore?... No, no. Non sono poi così certo di volerlo sapere", aggiunge in fretta.
Mi mordo un labbro. Basta! Basta! Basta! Eppure, anche se non ho voglia di parlare di lui, l'espressione malinconica di Luke mi spinge ad essere completamente sincera.
"Ci siamo baciati una volta soltanto". Se quello si poteva chiamare bacio.
Le sue labbra si stiracchiano. "Quindi non c'era una storia tra te e lui?".
"Onestamente? Non lo so".
Serra i denti e parla. "Come fai a non saperlo?".
"Non so spiegarlo. Perché la parola "storia" è pittusto ri-duttiva. Io e Deniel...".
"Ok, basta così", batte un pugno sul volante.
"Sei stato tu...".
"Ho detto... basta... così!", impreca, prendendosi la testa tra le mani.
"Luke", mormoro in preda ai sensi di colpa. Forse ho sbagliato a voler essere sincera con lui a tutti i costi. Parlare di Deniel fa male a me e fa male a lui. Ma allora perché ogni discorso, di qualunque natura sia, va sempre a finire su di lui?
Dopo un breve silenzio lo sento ridere, con amarezza. "Non avevi torto prima, nel dire che lo scarso interesse della polizia è proverbiale".
Per un momento lo fisso, presa in contro piede. La sua capacità di passare da un'argomento all'altro mi ha sempre spiazzata.
"Non volevo mancarti di rispetto, Luke. Ma purtroppo le cose stanno così".
"Ma cambieranno". Sembra molto sicuro, eppure non mi sento di credergli ciecamente. L'esperienza mi ha insegnato a fidarmi di lui come uomo ma non certo come poliziotto. "Ora che sono a capo della polizia prima o poi le cose cambieranno".
Improvvisamente m'immagino seduta attorno al tavolo della cucina con Nick, Irene, Anne ed Andrew a giocare a Monopoli. Come sarebbe bello se questa fantasia diventasse realtà. Una vita normale!
Si china per baciarmi in fronte. "Forse è il caso che vai. I tuoi genitori si chiederanno che fine hai fatto".
Faccio scattare lo suardo verso l'orologio sul cruscotto. Mi rendo conto solo ora che è quasi ora di cena.
"Nei prossimi giorni ti farò avere tutta la documentazione circa le vittime che si pensa siano collegate all'assassino".
"D'accordo".
Salto fuori dalla macchina e richiudo la portiera. Luke ha già avviato il motore e prima di ripartire abbassa il finestrino.
"Sai! Stavo pensando che in questo momento la tua amica Irene starà mollando quel poveretto".
"Vero".
Faccio due passi lungo il vialetto, poi mi blocco al suono della sua voce. "Ti prego, non fare in modo che questo accada anche tra di noi".
Mi volto. "Ma noi due non...". Richiudo la bocca accorgen-domi che sto parlando al fanali di stop della sua macchina.
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