Capitolo 98 - Te ne andrai, vero?

La giornata al Centro non era iniziata come una delle solite giornate. L'arresto di Santovito e di Elga Ansaldi aveva creato un certo scompiglio. Nonostante fossero passate da poco le otto del mattino, decisi di far ritorno a casa. Rimanendo avrei dovuto affrontare solo giornalisti avidi di cronaca e di gossip, senza parlare di certi colleghi. A tutti avrei dato la mia opinione a tempo debito.

-

Quando varcai la soglia di casa mia mi sentii in imbarazzo e le due donne sembravano più imbarazzate di me.

"Non mi aspettavo di trovarvi qua... assieme."

"Sono io fuori posto, stavo per andarmene", rispose Elisabetta senza giri di parole, per poi subito avviarsi verso la porta.

"Aspetta..."

La donna se ne andò senza dire altro.

Marika, davanti a me, mi fissò, per poi dirmi, "Non la segui?"

"Cosa stai dicendo?" chiusi la porta.

Buttai la giacca al solito posto e andai a cercare qualcosa di forte da bere.

Marika si avvicinò, "Ho visto lo sguardo che aveva quella donna."

"E che sguardo aveva?"

"Credo fosse simile al mio quando ti guardo."

Sbuffai, constatando quanto certe cose che noi uomini immaginiamo soltanto, alle donne non lascino alcun dubbio.

"Ci sei stato a letto?"

"Secondo te?"

"Non credo... non mi sembri così stronzo."

"Beh... sullo stronzo non sarei tanto sicuro, ma non ci sono stato a letto."

"Però ti piace."

Cominciai a innervosirmi, "Senti... non c'è nulla tra me e lei e..."

"E?... Parliamo di noi allora, cosa c'è tra noi?"

"Tra noi?"

"Sì, cosa c'è tra me e te. Perché non l'ho ancora capito."

Sospirai, "Mi piaci, sei carina, sei simpatica..."

"Fin qua sembra tutto ok, ma?"

"Non lo so, sarebbe un passo importante mettermi con te."

"Beh, certo, è sempre un passo importante mettersi con qualcuno. Forse volevi dire che questo è ancora più difficile perché ho ventidue anni meno di te, oppure... semplicemente, perché non mi ami."

"Stai banalizzando troppo."

"Non sono banalità."

La guardai nei suoi occhi scuri, osservai il suo viso delicato e mi avvicinai a lei.

I capelli erano un po' arruffati e non aveva trucco.

"Cos'hai da guardare?"

"La ruga glabellare."

"Cosa?"

Rey, con tutto il rispetto: ma vaffanculo!  Era quanto mi sarei aspettato, ma si trattenne.

"Quella piccola riga che hai tra le sopracciglia, si chiama così, mi piace quando la corrughi. Poi quando si invecchia si inspessisce e ne compaiono due, diventa cioè la ruga del leone, quella che ho io in pratica."

Lei mi fissò senza parlare.

"Ovviamente le mie sono meno carine della tua."

Cambiò subito espressione, "Sei incredibile, riesci a farmi ridere anche quando sono incazzata. E... ti piace?"

"La tua rughetta? Te lo detto, sì... ma anche il resto."

"Non si direbbe."

Feci una pausa per trovare le parole giuste, servì inoltre per dare intensità a quello che stavo per dirle, "Non devi pensare che sto giocando con te. Non c'è un'altra donna tra noi, ma ne ho una nella mia testa."

Marika continuò ad avere quell'aria indagatrice, "Non c'è una donna, ma ne hai una in testa? Intendi questa Elisabetta?"

"No, lei me la ricorda soltanto, hanno anche lo stesso orologio."

"E chi sarebbe questa?" Fece una sbuffata, poi si mise a sedere, "La conosco?"

"No. Risale a prima che arrivassi al Centro."

"Quindi io..."

"Con te poteva essere tutto perfetto, ma solo se..."

"Se ti fossi liberato dei tuoi fantasmi. E il fatto che sul 'perfetto' hai usato il verbo al passato non mi incoraggia", si girò dall'altra parte.

"Forse è meglio che non insistiamo", Marika disse quelle parole forse solo per testare la mia reazione, ma era evidente che aveva il cuore in frantumi.

"Credo sia meglio", non trovai altro da dire e non ne fui molto fiero.

Si girò di scatto, "Dimmi una cosa."

"Ti ascolto."

"Perché solo ora esce questa storia? Davvero non c'entra quella...?"

"Quella chi?"

"Lei, la giornalista."

Non risposi.

"Lo sapevo..."

"Te l'ho detto prima, c'entra relativamente."

Mi guardò quasi con compassione, "Cosa vuol dire relativamente?"

"Che non c'entra, ma un po' sì."

Si mise le braccia conserte, aspettando solo che parlassi.

"Come ti ho detto mi ha ricordato una donna, che non ho ancora dimenticato, sono due donne simili... tutto qua."

"Tutto qua? Mi sembra già tanto. Basta che passi una che ti ricordi una tua vecchia fiamma e ciao Marika."

Era inutile ribattere, la frase non le era venuta bene, ma aveva delle fondamenta di verità.

"Scusami, non volevo dire quello che ho detto."

"Non fa nulla."

Ci guardammo per secondi interminabili, poi mi avvicinai a lei.

La presi tra le mie braccia.

Tu, per me, sarai sempre qualcosa di speciale, pensai.

Non glielo dissi, quella frase sarebbe suonata come una sdolcinata da romanzetto sentimentale da quattro soldi... anche se era vera. Ma credo che lei lo capì.

Le sfiorai il nasino con un dito, mi sembrò che sorridesse, ma forse si era solo sforzata di farlo.

Poi passai il dito su quella rughetta impercettibile che si formava solo quando faceva la faccia contrariata.

La baciai, le nostre bocche si toccarono, le lingue si sfiorarono, le morsi con delicatezza un labbro, poi mi staccai da lei.

"Come al solito sul più bello smetti."

"Lo so."

"Te ne andrai, vero?"

"Sì."

Non rispose, ma ammiccò come per dire, "L'ho sempre saputo", una lacrima le stava rigando il volto.

"Addio, piccola."

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