Capitolo 93 - Lotta per la sopravvivenza

L'urlo fu così intenso che sembrò squarciare le tenebre e a Lauren parve quasi di sentirne l'eco. Un'eco che però continuava a sentire, più flebile. Non era la sua eco, c'era qualcun altro.

"Continua a urlare, arrivo, mi senti?"

Un qualcosa di indistinto le fece capire che l'avevano sentita. Era anche pronta a giurare che la voce fosse femminile.

Nuotò ad ampie bracciate, fermandosi soltanto per urlare di nuovo e per capire la direzione esatta.

In pochi minuti arrivò a intravedere una figura, era una donna.

"Sono qui!" In un attimo fu vicina a quella testa che spuntava dall'acqua. Prima ancora di riconoscerla, vide che Jane stava tenendo a galla un altro corpo, era Jiao.

"Eccomi, lascia fare a me", Lauren afferrò l'amica, che sembrava priva di sensi, poi si voltò verso la virologa, "Tutto ok?"

"Sono viva, con qualche livido ma viva, ma lei..."

"Ora le do un'occhiata. Jiao, mi senti?" Le toccò il viso, come per rassicurarla, ma non era cosciente. Appoggiò allora due polpastrelli alla carotide e sentì che c'era battito.

"È viva."

Nello stesso tempo Lauren sentì qualcosa di denso e scivoloso sulle proprie mani, era sangue.

Cercò di capire cosa potesse fare. La sua priorità non era salvare Jiao, ma Jane, ma continuava a tenerla fra le sue braccia. Un colpo di tosse della ragazza la riportò alla realtà, ma dalla bocca fuoriuscì solo sangue. Il viso era cereo, ma quando il suo sguardo, ormai assente, incrociò quello di Lauren, sembrò riprender vita e un sorriso le si disegnò sul volto.

"Sapevo che saresti venuta a cercarmi."

La Scorpion Venon non si aspettava di trovarsi in una situazione del genere. Fino a poco tempo prima aveva finto un rapporto di amicizia con Jiao, ma questo era poi diventato qualcosa di diverso e ora se ne stava rendendo conto.

"Sono qui, bambina."

Jiao diventò seria, "Promettimi che domani mi offrirai un drink nel solito bar."

Lauren per un attimo esitò, poi trovò le uniche parole che avrebbe voluto dire: "Te lo prometto."

Alla ragazza si illuminarono gli occhi e la sua bocca assunse per l'ultima volta la forma di un sorriso.

"Te lo prometto", ripeté l'amica.

Jiao richiuse gli occhi e Lauren capì che se n'era andata.

Non ricordava l'ultima volta che aveva pianto, forse non lo aveva mai fatto. Sentì dentro di lei un sentimento mai provato, una miscela di rabbia, dolore e sconforto. Tutti aspetti che si era abituata a ignorare e che, alla fine, cercò di ignorare anche questa volta.

"È... è... morta?"

"Sì, Jane, è morta."

Lauren lasciò che quel corpo inerme si staccasse da lei e si allontanasse, fino a scomparire nella notte.

La sua faccia era glaciale come al solito, ma lei sapeva di non esserlo e continuava a sentire quel maledetto groppo alla gola.

"Non è stata colpa tua, non potevi fare altro", Jane aveva colto il suo disagio e voleva esserle di conforto.

"Non stavo pensando a questo."

La virologa capì che era il caso di stare zitta.

"Non l'avessi fatto, saremmo morte tutte e tre", fissò l'altra, come per dare maggior forza alle sue parole, "Pensavo soltanto... che ho perso un'amica."

Poco tempo prima, sullo yacht...

Batchelor continuava a premere il tasto su quella specie di walkie talkie che Axel gli aveva dato.

"Niente... dall'Helicopters nessuno risponde, silenzio radio forse, oppure un guasto, cazzo."

"Che facciamo?" Noah come al solito era imperturbabile.

"Non starei qua ad aspettare di finire in acqua come un topo, senza far nulla... cerchiamo Lauren. Aveva parlato del garage di dritta, no?"

"Esatto."

"Ok, scenderemo lì."

I due si lanciarono lungo una scaletta che portava al ponte sottostante.

"Hai il fiatone, capo?" Noah correva davanti facendo i gradini della pedana a due a due.

"Impiccati, non sono un uomo d'azione, non più."

In breve, raggiunsero il garage, ma di Lauren e Jane nessuna traccia.

Alcuni uomini stavano trafficando sulle moto d'acqua, altri erano appena usciti dal portellone con un tender.

Batchelor e Noah si avvicinarono a un gruppo che sembrava non li avesse nemmeno visti. Erano troppo presi con dei cavetti elettrici che spuntavano da una PWC modello Kawasaki.

"Quelle due troiette hanno fatto un bel casino, qua non va più un cazzo", disse uno di loro.

Batchelor guardò Noah, il quale ammiccò. Avevano subito capito cosa fosse successo. "Non perdiamo altro tempo, torniamo sul ponte. Prima che questa bagnarola affondi."

Noah non se lo fece ripetere e ricominciò a correre, con dietro l'altro, sempre più ansimante.

"Cosa aspettano a chiamare dall'elicottero?" Batchelor si stupì di avere ancora fiato per parlare.

"Lo faranno, non possono lasciarci qua."

"Se non sono stati abbattuti."

"In quel caso che facciamo?"

Batchelor non ce la fece più, si fermò appoggiandosi a una paratia, "Merda... o parlo o corro."

"Ora sei fermo, parla."

"Lasciami riprendere fiato... Ok, allora, il piano B è... tornare sull'idrovolante... se lo ritroviamo."

"Se lo ritroviamo?"

In quel momento la trasmittente cominciò a gracchiare.

"Qui Axel... rispondente."

"Finalmente!" Noah premette il tasto di trasmissione, "Dove eravate finiti?"

"Un sottomarino indiano ci stava preoccupando... ci siamo allontananti soltanto un po'."

Noah pensò che se quel sottomarino avesse avuto un SAM sarebbe valso poco allontanarsi, "Ok, stiamo salendo sul ponte di coperta, raggiungeteci e calate il verricello, arriviamo."

L'Helicopters, mezzo più idoneo per viaggi extra lusso, era comunque stato adattato per operare anche come mezzo di soccorso, senza alterare le caratteristiche per cui era stato costruito.

Batchelor correva boccheggiando dietro a Noah, non mancava molto al ponte.

A ogni passo si rendevano conto che lo yacht oscillava in modo preoccupante. Le luci della nave illuminavano un ponte deserto, inclinato in modo innaturale.

Batchelor guardò in alto come se le tenebre potessero aiutarlo a sentire meglio. E forse fu proprio così: il rumore familiare delle pale di un elicottero risuonò nelle sue orecchie come fosse una melodia.

L'Airbus Helicopters ACH160 si librava a poche decine di metri e un verricello stava scendendo sopra la sua testa.

"Noah!" Fu inutile chiamarlo era già al suo fianco.

Al cavo d'acciaio era fissata un'imbracatura.

"Prima tu."

"Non sia mai detto, prima il capo."

"Ok, direi che non è il caso di perdere tempo."

Batchelor infilò le gambe nelle grosse asole e si bloccò con una chiusura di sicurezza,

"Ci siamo, attaccati a me, saliamo in due."

"Meglio uno alla volta, io farò il secondo giro."

La luna ormai illuminava quasi a giorno e a Batchelor sembrò di vedere quello che forse stava solo immaginando: un nuovo missile increspava l'acqua. A velocità ipersonica stava sfregiando la superficie del mare e non era la sua immaginazione.

"Un altro! Un altro fottuto missile!"

Noah si avvinghiò al compagno, "Forse è meglio salire in due."

"Via via! Tirate!" Urlò Batchelor mentre alzava un braccio.

***

Quando sorse l'alba le due donne galleggiavano in acqua ormai da diverse ore.

La stanchezza, la sete e le ferite, se pur lievi, non erano nulla di fronte allo sconforto di essere sole in quell'immensità.

Solo Lauren aveva l'aria ancora attenta di chi cerca ogni particolare che può fare la differenza tra vivere o morire.

Jane notò che la compagna osservava con insistenza un punto preciso.

"Cosa hai visto?"

"Qualcosa."

L'altra guardò nella stessa direzione.

"Non vedo nulla."

"Guarda bene."

Jane si concentrò, "C'è qualcosa che galleggia."

"Esatto."

La virologa osservò meglio, ma non capiva cosa potesse essere.

"Non arrovellarti il cervello, te lo dico io di cosa si tratta, sono i rottami di una delle due moto d'acqua."

Jane provò una stretta al cuore, cosa ce ne facciamo di quattro rottami?

"So anche a cosa stai pensando, che quei rottami non serviranno a nulla."

Lauren smise di osservare quei pezzi galleggianti e la fissò, "Invece potranno essere preziosi."

"Per cosa?"

"Per due motivi: uno, quei resti ci possono aiutare a essere identificate più delle nostre teste."

"E due?"

"Potremmo trovare qualcosa di utile."

"Non ci avevo pensato, allora perché non andiamo?"

"Perché c'è qualcos'altro con quei rottami."

Jane tornò a scrutare i resti dello scooter.

"Non vedo nulla."

"Credo sia uno dei due uomini."

La virologa capì che era meglio non dire più nulla, aspettava solo un cenno di Lauren.

"Ascoltami. Ora andiamo a vedere, tu mi segui, ma non lasciare mai che la distanza tra me e te superi quattro o cinque metri. Se la corrente ci separasse non potrò più riprenderti. Non starmi troppo vicina però, non so cosa ci aspetta. L'amico potrebbe essere armato."

Jane non disse nulla.

"Tutto chiaro?"

"Sì... sì."

"Ok. Ti ho osservata, ti muovi bene, si capisce che sei una buona notatrice. Ora non devi fare altro che starmi dietro, non perdermi mai e non ti avvicinare, ok?"

"Ok, ok."

-

I rottami erano distanti un centinaio di metri. Le due donne si avvicinarono con molta cautela.

Col passare del tempo era sempre più evidente che una persona galleggiava vicina ai rottami.

A dieci metri Lauren si fermò.

"Mi senti?"

Nessuno rispose.

Ripeté la frase, senza ricevere alcun riscontro.

O è morto o fa finta di esserlo.

"Jane, aspetta qua e non allontanarti. Se vedi che i rottami si spostano seguili. Le correnti possono essere imprevedibili."

"Va bene e... stai attenta."

Lauren non fece caso alle ultime parole.

Con poche bracciate arrivò nelle vicinanze dei resti dello scooter. L'uomo galleggiava aggrappato a uno scatolotto di plastica, forse la carenatura di una delle due Kawasaki.

Non sembrava muoversi, ma lei sapeva che un cadavere ben difficilmente rimane aggrappato a un rottame.

Poteva vedere entrambe le mani. Perlomeno non impugnava nulla di pericoloso.

Esaminò anche il resto dei rottami, solo pezzi di plastica, nulla di utile.

Pensò che non aveva importanza se l'uomo fosse vivo o meno, sarebbe tornata da Jane e sarebbero rimaste in zona, come si era detto.

Guardò verso la donna, era sempre a pochi metri di distanza, allora si mosse per tornare da lei. Lauren si muoveva dosando con attenzione le forze. Aveva appena fatto la prima bracciata quando sentì un urlo e vide che la compagna si stava agitando.

Capì subito cosa volesse segnalarle.

In un istante si immerse e cambiò direzione, come fosse una virata in piscina.

Nuotando sott'acqua vide sopra di sé la figura di un uomo. Non ne fu stupita più di tanto, se lo aspettava, si sentì solo una stupida per non essere stata subito pronta.

Ora doveva pensare ad altro: al pugnale in mano all'uomo.

Risalì in superfice e si preparò ad affrontarlo.

Era di fronte a lei, sul viso aveva i segni di una ferita leggera.

La sua espressione era piena di odio, sembrava avesse un solo desiderio: ucciderla.

Lauren lo osservò bene, cercando ogni possibile punto debole o qualsiasi potenziale forma di pericolo.

Si scrutavano come due sfidanti in un duello, muovendosi in acqua con estrema lentezza, ciascuno in modo circolare rispetto all'altro.

La voce della ragazza ruppe per prima il silenzio. "Non credo ti paghino abbastanza per questo."

L'uomo fece una smorfia di disprezzo, "Non sono i soldi a muovere le mie intenzioni. Tu hai ucciso mio fratello, gli hai spappolato la faccia."

Lei capì subito.

"Allora tu saresti il fratello di quel bastardo con la croce tatuata in fronte?"

"Sì, figlia di una scrofa... e sono anche quello che ti ucciderà."

"Mmh... sai quante volte l'ho sentita questa frase. Non quella sulla scrofa... quella di uccidermi."

L'uomo si avventò su Lauren urlando e sbracciando con violenza con un pugnale da sub nel pugno, ma la ragazza, con movimenti felini e aggraziati si mantenne a distanza.

La scena si ripeté più volte, l'uomo si comportava da stupido. Non aveva capito il gioco di lei: stancarlo fino a poi sferrare l'attacco finale.

Dopo tre tentativi andati a vuoto si fermò, forse non era così stupido, oppure furono le forze a venirgli meno.

Lauren avrebbe voluto stancarlo ancora, ma non poteva più aspettare, era il momento giusto.

Si lanciò verso di lui, aspettandosi che la affrontasse a viso aperto, in fin dei conti lei era pur sempre una donna indifesa. Invece accadde quanto non si aspettava.

L'uomo, a bracciate, si allontanò da lei, fu quasi una fuga.

Poi la ragazza capì cosa lui avesse in testa: andare da Jane! "Bastardo." Non perse tempo e si gettò al suo inseguimento.

L'uomo nuotava bene e con rabbia, Lauren faceva fatica ad accorciare la distanza tra loro.

Jane si accorse e cominciò a nuotare in direzione opposta.

"Brava, così... scappa!"

L'altra era più lenta, ma la sua fuga aiutò Lauren, che facendo valere la sua miglior tecnica di nuotata riuscì ad avvicinarsi all'uomo, fino quasi a poterlo afferrare.

Anche Jane non era lontana, sembrava una corsa contro il tempo a chi prima avrebbe catturato la propria preda.

L'uomo era a un metro dalla virologa.

Lauren però gli era ormai dietro.

Lei allungò un braccio e glielo serrò attorno al collo e con la mano gli bloccò il polso che stringeva il pugnale.

Fossero stati sulla terraferma l'avrebbe già disarmato e immobilizzato, in acqua le cose erano più complicate.

L'uomo si divincolava come una belva in trappola e a tratti riusciva a mandare sott'acqua la ragazza. Lui, molto più pesante e grosso, riuscì a sferrarle un calcio allo stomaco, l'acqua attutì il colpo che comunque diede i suoi frutti, perché lei mollò la presa.

Lauren si riprese quasi subito, ma l'uomo le fu subito addosso. Stavolta era lui ad afferrarla per il collo con una mano, mentre con l'altra si preparava a sferrare un colpo col pugnale.

La donna si concentrò sulla lama, gli afferrò di nuovo il polso e con un movimento secco glielo ruotò. L'uomo urlando lasciò sia il pugnale che la presa al collo.

Lei vide l'arma che stava scendendo negli abissi, "E no, tu mi servi."

Si immerse e con poche bracciate l'afferrò.

Ora era lei a essere armata.

Risalì in superfice, "Adesso facciamo i conti."

"Sì, baldracca, ora facciamo i conti." Era alle spalle di Jane e le stava cingendo il collo con il suo poderoso avambraccio.

"Non sei più così sicura di te stessa vero?"

Lauren sorrise in modo sinistro, Non sono mai stata così sicura, e lanciò con forza il pugnale.

La lama trafisse l'uomo alla gola. Lui allentò la presa sulla donna e si lasciò andare. Mentre scivolava in acqua il suo sguardo incredulo e ormai ceruleo continuava a fissare la ragazza.

Ti sfugge come abbia potuto fare quello che ho fatto?

Ignorò quello sguardo e, quando il corpo le passò vicino, con un movimento secco, gli sfilò il coltello dalla gola.

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