Capitolo 89 - Cin cin
Intorno a noi solo campi. Rigogliosi, dorati. Le spighe di frumento, aiutate dal vento, si piegavano sotto il peso dei chicchi.
L'auto percorreva la Provinciale 3 quando comparvero le prime case del piccolo borgo di Tuscania; edifici bassi, a due piani, ricostruiti dopo il terremoto del 1971.
Guardai Marika e lei ricambiò il mio sguardo.
Le strade erano deserte e mi aspettavo di vedere altri posti di blocco, ma per ora non ce n'era traccia.
Arrivati alla rotonda di piazzale Trieste, passammo per via Roma, per poi entrare dalla porta di Poggio, sovrastata dal suo orologio.
Vidi a sinistra la piazzetta del Duomo, mentre infilavo l'auto lungo il selciato della via di Torre del Lavello. Lì fermai la macchina, vicino a un grosso portone verde a cassettoni quadrati.
"Puoi lasciarla qua, tanto facciamo subito."
Marika prese dalla borsetta delle grosse chiavi, come quelle di una volta e aprì il portone. La seguii.
Il suo appartamento era accogliente, pur in un palazzo d'epoca, era arredato in stile moderno. Pensai che la parola più corretta fosse giovanile. Per ovvi motivi, evitai di far trasparire queste considerazioni.
Mi guardai in giro, mentre lei frugava nei cassetti e metteva delle cose in un borsone sportivo. Notai che ci infilava un Mac air ultrasottile, quelli che credo fossero cosmetici, una borsetta da toilette e la vidi cacciar dentro anche dei preservativi sciolti. Era finito tutto nel borsone, senza un criterio. Le confezioni di preservativi appiccicati al Mac e tutto il resto.
Sopra il borsone appoggiò una giacchetta leggera e due paia di jeans.
"Ok, a posto, portami pure nel tuo castello."
La guardai stupito, credo ci avesse messo meno di due minuti, ma forse mi sbagliavo, ci aveva messo meno tempo.
"Pensavo che voi donne aveste più cose."
"Le abbiamo, ma ora ci sono dei problemi; non posso permettermi di stare qua a scegliere cosa portare via. Ho apprezzato che mi hai accompagnata, ma non voglio causare intralcio."
Fui quasi sorpreso, "Ottimo."
"Il resto me lo ricomprerai con calma", disse uscendo dalla porta.
Sorrisi in modo tirato, e pensai che forse non stesse scherzando.
Andammo a casa mia e lì riuscii a convincerla a rimanere, almeno fino a quando non avessimo avuto le idee più chiare, poi, da solo, mi avviai verso il Centro. Durante il tragitto cercai di ricostruire i fatti che avevano portato alla pandemia e ripassai mentalmente quanto sapevo sui virus.
In certi casi i soggetti possono essere infettivi anche durante l'incubazione. In altre parole, persone asintomatiche, ma portatrici del virus, potrebbero infettarne altre. Il governo cinese aveva subito messo in quarantena l'intera megalopoli di Wuhan e poco dopo tutta la provincia di Hubei, cioè sessanta milioni di anime. È stato senza dubbio il più grande intervento di quarantena nella storia umana, almeno fino a questo momento. Sono stati annullati voli aerei, soppressi treni, autobus, traghetti, veicoli, tutto. È stato reso obbligatorio l'uso delle mascherine, che facevano però già parte della cultura locale, questo ha evitato problemi di scorte o remore comportamentali. Sono state annullate tutte le manifestazioni e la Cina, in qualche modo, si è preparata, ma forse, tutto questo non è bastato.
Arrivai al Centro ed entrai nel mio ufficio.
Alla mia scrivania era seduto John e si stava concedendo le solite libertà. La sua mano avvolgeva un calice da 84 cl con del cognac.
"Vorresti, per favore, togliere i piedi dalla mia scrivania?"
"Ho capito, abbiamo Marte in opposizione", bofonchiò senza scomporsi.
"Marte ce l'ho sempre in opposizione e non solo quello."
Il mio più fedele collaboratore, nonché amico di lunga data, tolse i piedi dallo scrittoio di mogano in massello bifacciale, in puro stile ministeriale.
Mi misi su una delle poltroncine di fronte, quelle per gli ospiti.
John mi passò un calice e mi buttai un po' all'indietro, posando i piedi sulla scrivania, dove avevano ripreso posto quelli di John.
"Niente mascherine?" mi chiese.
"E come potremmo bere questo nettare?"
"Giusto, allora cheers", sorrise alzando il bicchiere, "o, come si dice in Europa, cin cin."
"Cin, che per ironia della sorte deriva dal cinese Ch'ing Ch'ing."
John, aggrottò la fronte, "Sul serio? E cosa significa?"
"Non ricordo, una specie di ringraziamento, quello che so per certo è: non dire cincin a una giapponese."
"Perché?"
"Perché... chinchin, significa cazzo."
"Beh, magari la giapponesina si eccita", sghignazzò John.
Buttai giù tutto d'un fiato quell'ottimo liquore dorato invecchiato di oltre sei anni.
John mi squadrò, "Non si beve così questa leccornia, e lo sai. Un Napoleon non se lo merita."
"Verissimo, ma nemmeno noi ci meritiamo quello che sta succedendo."
-
Era il caso di mettersi al lavoro, John l'aveva già capito e stava chiamando il team.
In poco tempo arrivarono tutti nel mio ufficio, ognuno indossava una mascherina. Aprii un cassetto e ne presi due, una me la misi, l'altra la lanciai a John.
"Sedetevi pure. Io ero in piedi vicino alla mia scrivania, John preferì stare anche lui in piedi e si mise vicino alla finestra. Gli altri erano di fronte a me.
"Avete prodotto qualcosa?"
Di solito era Enea il portavoce. La sua aria era sempre quella di essere perennemente imbarazzato e indeciso, ma sul lavoro era un'ottima risorsa.
Prima che qualcuno potesse rispondermi andai a una lavagna elettronica touch screen. L'unica cosa d'alta tecnologia che ero riuscito a inserire in quell'austero ufficio.
Guardai la lavagna e disegnai un punto interrogativo col pennino capacitivo, poi passai in rassegna il volto di tutti: Enea, Dennis, Peter e Francesca, tutti tranne John. "Allora?"
Finalmente Enea capì che era il caso di parlare. "Ok, ok, ora diciamo cosa sappiamo", Guardò Dennis che gli fece il segno del pollice alzato. Francesca e Peter annuirono.
"La situazione cinese la conosciamo, sembrava non troppo preoccupante, in realtà il virus è uscito, è arrivato da noi e qua si sta comportando in modo anomalo. È molto più infettivo e si sta diffondendo velocemente."
"Avete realizzato dei modelli previsionali?"
"Sì, certo, per quanto grezzi."
"E cosa dicono?"
"Che il virus si diffonderà... in tutto il globo, in poche settimane."
Continuai io, "In questo momento il governo sta attuando il piano di emergenza che formalizzerà con un DPCM, ed è già in atto una specie di coprifuoco, come in Cina, ma questo lo sapete già. Ma torniamo a voi", li incalzai.
Enea riprese la parola, "L'utilizzo dei nostri due piani per avere informazioni..."
Lo interruppi, "So che i piani hanno funzionato e abbiamo raccolto molte informazioni, voglio conoscere solo le novità."
"Ok. Dopo l'ultimo invio di dati i server dell'Istituto di Wuhan non sono più stati raggiungibili, ma abbiamo ricevuto una mano da un gruppo che collabora con Anonymous, gli stessi hacker che attaccarono in blocco cinquecento siti cinesi, qualche tempo fa."
"Non mi sembrò una grande impresa, i cinesi pararono abbastanza bene il colpo. Poi quegli hacker fecero una cosa simile anche con gli americani e finì pure peggio."
Dennis intervenne, "Sì, ma questa è altra gente, una frangia più discreta e... più collaborativa."
"Come li avete convinti? Favori in cambio di favori?"
"Esatto, e direi che l'attuale situazione giustifica collaborazioni eticamente discutibili."
"Cosa avete scoperto?" sibilò John, i suoi occhi color ambra sembrava potessero trafiggere ciò che incontravano.
Enea, riprese, "Abbiamo avuto conferma di quanto scoperto in precedenza: il virus è di origine animale, poi, molto probabilmente, è stato manipolato in laboratorio, ma non abbiamo ancora delle prove. Però abbiamo scovato diversi documenti secretati dai quali è chiara una cosa..."
Enea si schiarì la voce, mettendosi una mano sulla mascherina, "Il patogeno è uscito da un laboratorio di livello di biosicurezza quattro, cioè il massimo e... i cinesi hanno perso il controllo."
"Cazzo", esclamai.
"Chinchin", mi fece eco John.
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