Capitolo 68 - Il cecchino

L'indicazione di numero sconosciuto sul display del criptofonino sorprese il capo del nucleo antiterroristico da contaminazioni patogene della CIA, Jason Firth. A quel telefono non dovevano arrivare numeri sconosciuti.

Fu tentato di non rispondere, poi ci ripensò, "Sì?"

"Liam."

Jason riconobbe la voce di uno dei suoi.

"So che non dovrei comunicare così, ma so anche che il tuo telefono è sicuro... ho delle informazioni."

"Su cosa?"

"Sul virus cinese e... su Philippe Martin."

Jason attivò sia la registrazione sia la comunicazione al settore operativo che quella chiamata doveva essere rintracciata.

"Dammi i dettagli."

"Un collega di Martin è fuggito dalla Cina rifugiandosi in Marocco, me l'hanno comunicato i nostri agenti laggiù. Non ho fatto altro che andare a Casablanca e trovarlo... non è stato difficile."

"Ottimo lavoro! Ora..."

"Ascolta, lui non vuole andare da nessuna parte, ma è disposto a parlare con te e vuole qualcuno dell'intelligence italiana, mi ha fatto il nome di un Colonnello."

"Giussani?"

"Sì, lui."

"Non si fida di nessuno, vuole solo voi... nessun altro."

"Dammi tutte le indicazioni."

"Venite a Casablanca, giovedì prossimo, Ristorante King... in serata... diciannove locali. Lui vi raggiungerà al tavolo e... te lo ripeto, se vede altra gente fa saltare l'incontro."

"Verrà solo lui?"

Silenzio. La voce si fece più incerta, "Sì, ma ascolta..."

Jason sentì cadere il segnale della linea, "Liam! Merda."

Un istante dopo stava chiamando il centro operativo.

"Trovato qualcosa?"

Rispose una voce giovanile. L'agente, poco più che un ragazzo, era davanti a tre monitor e indossava una felpa con cappuccio buttato all'indietro, mentre parlava masticava un chewin gum, "Mi dispiace, zero: la telefonata arrivava da una VOIP che è passata attraverso server di mezzo mondo, i nostri traceroute se la sono presa nel didietro e..."

"Lascia perdere le stronzate tecnologiche. Cosa significa? Che non avete capito nulla?"

"È così, mister Firth."

-

Liam Rehman, trentadue anni, era una agente della CIA da quando ne aveva ventitré. Conosceva tre lingue e aveva un diploma di laurea, requisiti minimi per entrare nell'intelligence americana. Da due lavorava sotto copertura.

Liam, inginocchiato in terra, porse il cellulare a uno dei tre uomini incappucciati vicini a lui, lo stesso che, poco prima, aveva interrotto la comunicazione.

"Bene, ottimo lavoro."

La canna di un revolver era appoggiata alla tempia dell'agente. Liam sapeva di avere poche possibilità, ma se ce ne fosse stata anche solo una tra tante...

L'anelata speranza durò poco, il colpo che gli maciullò il cranio spense quell'unica possibilità.

Casablanca
Marocco
Tre giorni dopo

Lungo il viale che portava alla moschea Hassan II il sole della sera proiettava due lunghe ombre, quelle di due uomini che camminavano affiancati. Non sembravano turisti, davano più l'idea di uomini d'affari.

Uno di loro era Jason Firth della CIA, l'altro era il colonnello Adriano Giussani del nucleo operativo antiterroristico dell'AISE italiano.

Jason aveva mille pensieri, "Sei pronto?"

"Credevo che sarei venuto da queste parti solo per passarci le vacanze", Giussani guardava avanti a sé mentre parlava.

"Vedila così, come una vacanza, te ne accorgerai quando passeremo davanti ai bar e ai ristoranti della Cornice."

L'italiano ridacchiò sotto i baffetti ben curati, poi si fece serio, "Ti fidi del tuo agente?"

"Di lui sì, ma... Come ti ho detto, la sua telefonata non ha seguito i soliti protocolli, e da allora non sono più riuscito a rintracciarlo."

"Sei sicuro che era lui?"

"Assolutamente! Era Liam. Ma ho paura che sia successo qualcosa."

"Del tipo?"

"Che forse è una trappola... e che ci sia la possibilità che ci ammazzino."

Giussani non sembrò scosso più di tanto, di questo ne avevano già parlato, ma era la prima volta che sentiva Jason essere così esplicito. "Allora... rischiamo di essere come vitelli al macello."

"Per questo ho predisposto una squadra pronta a intervenire."

"Potrebbero ucciderci in mille modi."

"Per esempio?"

"Non saprei, per esempio io farei saltare in aria l'Hotel."

"Voi italiani guardate troppi film americani", ridacchiò Jason.

Giussani lo squadrò per un attimo, "Sei stato tu a fare l'uccellaccio del malaugurio."

"Vero... Colonnello, è che non me la cavo bene come agente operativo, preferisco il lavoro d'ufficio, quindi sono un po' agitato."

Giussani sbuffò, "E pensare che io di incontri al buio non ne facevo nemmeno al liceo con le ragazze... detto questo, se avessero voluto ucciderci l'avrebbero fatto senza farci venire in Marocco e soprattutto senza metterci in allerta, mi sento... ottimista." Il suo sorriso stemperò di poco la tensione.

"Qualsiasi cosa succeda, siamo preparati e abbiamo chi ci copre le spalle... coraggio."

-

Le onde si infrangevano sugli scogli, ma dalla grande vetrata del ristorante i suoni giungevano ovattati. Tutto sembrava come trasmesso da un megaschermo.

Jason, per un attimo, riuscì ad accantonare l'angoscia che fino a poco prima lo stava attanagliando, ora si stava leccando le dita dopo aver aggredito alcune portate.

Un sorridente Adriano non riuscì a trattenere una battuta: "Voi americani siete veramente messi male, se per gustare della buona cucina dovete venire in Marocco."

Jason manovrava freneticamente le posate, "Come hai detto che si chiama questa roba?"

"Tajine, nient'altro che pollo e patate con spezie, il trucco è la cottura... lenta, ma in terracotta. Vedo che ti è piaciuto."

"Non erano male, ma non sono nelle condizioni di apprezzare." L'americano parlò con la bocca piena, continuando a masticare, poi si pulì con un tovagliolo.

"Non si direbbe", bisbigliò Giussani.

Jason continuò, "Allora, ricapitolando, mi hai di fatto confermato che uno dei due agenti uccisi a Roma probabilmente era corrotto e che sarebbe stato lui a uccidere l'altro, salvo poi rimetterci lui stesso la pelle."

"Nonostante tu ti stia ingozzando... sei stato attento."

"Inoltre...", l'agente della CIA assaggiò altri bocconcini di pollo e patate, "dietro a tutto questo sono invischiati alcuni vostri personaggi... istituzionali, anche se non mi hai ancora fatto i nomi."

"Stiamo indagando, ma posso dirti che è così."

"Ok, ma che cazzo significa tutto questo?"

Adriano giocava con la forchetta tra le pietanze senza prendere nulla, "Beh, mi sembra abbastanza chiaro no?"

Jason strabuzzò gli occhi con una faccia palesemente sorpresa, "Illuminami."

"Se qualcuno voleva uccidere o catturare monsieur Philippe, appena scappato dalla Cina, significa che ha una fottuta paura di quello che può raccontare."

"Sull'epidemia di un nuovo virus."

"E su come si è originata."

"E questo cos'altro ci porta a pensare?"

"Che c'è qualcuno che con questo virus sta giocando, e sta giocando in modo molto sporco."

Jason per la prima volta smise di manovrare la forchetta, anche perché ormai nel coccio era rimasto ben poco.

Adriano assaggiò il primo boccone, "E tu cosa pensi?"

"Beh, penso che Mathys era molto vicino a Philippe, e come sappiamo è stato ucciso, lui e la sua compagna." Jason scrutò Adriano, "Era un agente molto preparato, ma è stato ammazzato, lui e lei, come se i killer fossero..."

"Dei professionisti?"

"Già."

Adriano appoggiò i gomiti al tavolo e il mento sulle mani giunte.

"È una storia del cazzo, Jason, non sappiamo di chi fidarci, forse anche tu potresti non essere ciò che sembri."

"Vale anche per te, Colonnello."

Giussani annuì poi guardò l'orologio, "E ora vedremo... forse, monsieur Philippe Martin, sono le 18:50, non manca molto."

Jason riprese la forchetta, ma il piatto era vuoto. Desiderò un'altra porzione di Tajine.

Il Colonnello si guardò attorno, "Tra la gente del ristorante non vedo nessuno di sospetto."

"E come dovrebbe essere un sospetto? Ti dico solo che per questo i nostri film ti potrebbero essere d'aiuto." Jason, ricurvo sul piatto, alzò gli occhi, "La vedi quella sola che sembra una studentessa? La sua borsetta potrebbe essere piena di esplosivo. Oppure quella giovane coppia che pare in luna di miele, non girarti, lui è nervoso e passa più tempo a guardarsi in giro che a guardare lei. E ti garantisco che da una così gli occhi non glieli stacchi facilmente di dosso."

Giussani si stirò i baffetti.

"Non ho ancora finito, che mi dici di quello con la barba che parla con gli altri due, tre tavoli dietro di me. Sono i primi che ho adocchiato."

"Cosa hanno di speciale?"

"Uno è francese madrelingua, l'ho capito passandogli vicino, ma non chiedermi come l'ho capito, mentre gli altri sono del posto. Tutti e tre stanno parlando in amazigh, la lingua berbera, e a tratti in francese."

"Che c'è di strano?"

"Nulla, il francese lo capiscono e lo parlano quasi tutti, ma quello non parla solo francese, è francese, ci scommetterei la paga di un mese. Inoltre, appena ci ha visti arrivare, ha smesso di parlare."

"Cosa dovrei pensare, quindi?"

"Che sono tutti potenzialmente sospetti, ma c'è una cosa..."

"Cosa?"

"Il mio gruppo controlla il ristorante da due giorni e sanno chi merita di essere preso in considerazione."

Giussani sorrise, "Mi sento sollevato, il tuo discorso mi aveva inquietato."

L'agente della CIA vide il cameriere poco lontano e alzò la mano per richiamarlo, spostandosi un poco di lato.

La pallottola sibilò a pochi millimetri dalla sua tempia, dopo aver disintegrato la vetrata in migliaia di schegge.

Jason e Adriano si buttarono subito a terra.

Nonostante non fosse in forma smagliante, Jason riuscì a rotolare sul pavimento, cercando di portarsi verso la base della vetrata semidistrutta. Girava su se stesso sentendo i vetri conficcarsi nella carne. La gente urlava e fuggiva terrorizzata verso le uscite. Vedeva gambe che si muovevano alla rinfusa sopra di lui. Quella che sembrava una studentessa inciampò e gli cadde addosso, sentì i leggings di lei strofinarglisi sulla faccia. Lei si rialzò e fuggì urlando in preda all'isteria. Lui rotolò ancora, nemmeno fosse un criceto ubriaco, e andò a sbattere contro il muretto alla base della vetrata, ormai semidistrutta. Cercò freneticamente la pistola che teneva nella fondina ascellare e la estrasse.

Erano passati solo pochi secondi da quando una pallottola da 7,62 mm aveva rischiato di spappolargli la testa.

Della gente che urlava e scappava in modo disordinato non vi era più traccia, ora regnava solo un silenzio innaturale.

In quei pochi secondi Jason si era dovuto mettere al riparo, armarsi e capire da dove proveniva lo sparo. Più o meno aveva fatto tutte e tre le cose.

Il sudore gli scendeva dalla fronte. L'adrenalina e la tajine gli stavano creando problemi allo stomaco, ma ancora non se ne rendeva conto.

Si stava chiedendo dove fosse finito Adriano, la risposta arrivò subito: era al suo fianco, anche lui con un'arma in pugno.

"Tutto ok?" Jason fu rincuorato nel sentire la propria voce e capire che ancora riusciva a parlare.

"Tutto ok."

"Sei sempre ottimista, Colonnello?"

"Vai al diavolo."

Jason deglutì, "Con cosa ci hanno sparato?"

"Con un fucile di precisione, forse un G28 Heckler & Koch. Non mettere fuori il naso, ha un caricatore da almeno dieci pallottole e una gittata di ottocento metri."

"Un cecchino?"

"Ma no, sarà Harry Potter incazzato perché gli hanno fottuto la nimbus 2000. Certo che è un cecchino!"

Jason inspirò ed espirò come se stesse per partire nei cento metri, "Che facciamo?"

"Ragioniamo."

"Ragioniamo?"

"Ragioniamo! A voi della CIA non insegnano a ragionare?"

"Ok, ok, ragioniamo."

Jason continuava a sudare, Adriano sembrava avere il controllo della situazione.

"Non poteva ucciderci entrambi."

"Cosa?"

Adriano sentiva di aver la bocca secca, si passò la lingua sulle labbra "Il cecchino... non avrebbe mai potuto ucciderci entrambi."

"No, direi di no e allora?"

"Questo significa solo che il suo compito è di tenerci inchiodati qua. Capisci cosa intendo?"

"Sì, lo capisco, significa che stanno per arrivare altri guai."

"Dobbiamo andar via da qui, subito!" Le parole del colonnello Giussani vennero sommerse da una scarica di colpi.

Quattro uomini armati con pistole mitragliatrici MAC-11 avevano fatto irruzione nel ristorante.

Non avevano ancora individuato i due agenti e sembrava che i colpi venissero sparati alla cieca.

Adriano puntò la sua arma contro la prima figura armata che vide e sparò tre colpi in sequenza.

Come i suoi compagni, l'uomo vestiva una tuta nera con in testa una maschera in nylon velato. Stramazzò a terra dopo aver scaricato un'ultima salva di proiettili che si disperse nel ristorante.

Mentre Jason sparava quasi senza guardare, Adriano sputò tre colpi che buttarono a terra un altro uomo incappucciato.

I due rimasti in piedi ora avevano ben chiara la situazione: sapevano dove stavano i loro obiettivi e sapevano che due di loro erano già morti.

La sorpresa di essere stati colpiti per primi e la vista dei compagni a terra li fece esitare un momento di troppo.

Adriano aveva nel mirino uno dei due, ma l'uomo con un guizzo felino si buttò dietro un tavolino rovesciato. Nel ricadere l'arma gli sfuggì e scivolò lungo il pavimento a un metro di distanza. L'altro buttò subito la mitraglia a terra alzando le mani al cielo.

"Jason, tienilo sotto tiro, io cerco di stanare l'altro."

"Ehi, tu, a terra a terra", Jason sembrava cavarsela meglio con le parole che con le armi, perché l'uomo si buttò subito sul pavimento, era chiaro che avesse capito la lingua inglese, "E mani sulla nuca."

L'americano fissò Giussani, "Che facciamo?"

"Eviterei di alzarci... per il cecchino e per quello dietro il tavolo... potrebbe avere un'altra arma."

Sirene in lontananza ruppero il silenzio, erano vicine e i segnali acuti e continui diventavano sempre più intensi.

"Pare che arrivino i rinforzi."

"Sperando che non sbattano noi in galera", Adriano sembrava più preoccupato di questo che dei due.

"Come lo staniamo l'altro?"

Per tutta risposta Adriano si rivolse all'uomo nascosto, "Esci con le mani alzate, subito... mi hai capito?"

A parole sarà difficile, pensò Jason.

Un urlo squarciò l'aria, l'uomo dietro il tavolino si era lanciato per cercare di agguantare la sua arma.

Due spari ravvicinati lo colpirono alle gambe, l'uomo urlando in modo rabbioso riuscì comunque ad afferrare la pistola mitragliatrice rivolgendola verso gli altri. Da quando era sbucato, il Colonnello l'aveva tenuto sempre sotto tiro, non poteva mancare il bersaglio. In quel momento avrebbe dovuto sparare per uccidere, ma esitò troppo. L'assalitore riuscì a vomitare una scarica di proiettili e uno di questi raggiunse Giussani penetrando in una spalla. Per il dolore lancinante l'italiano chiuse d'istinto gli occhi.

Jason premette più volte il grilletto, ma la sua semiautomatica emise solo dei secchi click, l'arma si era inceppata.

Il ferito sparava urlando come una furia.

Quando Adriano riuscì a rimettere a fuoco la vista vide, che l'uomo era davanti a lui con la pistola mitragliatrice ancora fumante. La stava sollevando lentamente.

A terra, l'altro assalitore teneva la testa abbassata, senza capire cosa stesse succedendo.

Quello in piedi, con l'arma stretta nelle mani, sembrava assaporare ogni istante; da sotto il nylon della calzamaglia si poteva intravedere il suo ghigno ed era chiaro cosa avrebbe fatto.

Giussani premeva con il palmo della mano sulla sua ferita insanguinata, pensando a quanto fosse inutile quel gesto, visto che da lì a poco sarebbe morto.
Vide Jason compiere un ultimo atto disperato e lanciare l'arma addosso all'altro, che la schivò con facilità.

"Mae alsalama, Kasawi."

Tre colpi echeggiarono nel silenzio della sala.

L'espressione dell'aggressore si pietrificò sul suo volto, poi l'uomo stramazzò a terra; sulla schiena comparvero tre chiazze scure insanguinate.

Due uomini si erano materializzati all'ingresso del salone, vestiti con abiti civili. Ciascuno impugnava un'arma.

Adriano trovò la forza di urlare, "Non avvicinatevi, siete a tiro di un cecchino."

Jason sembrò scuotersi, "Datemi una pistola, la mia è fuori uso."

Uno dei due arrivati annuì, prese la sua Glock e la fece scivolare sul pavimento.

Jason la raccolse e subito arretrò il carrello dell'arma, inserendo nella semiautomatica il colpo in canna. Operazione inutile, la pistola era già armata.

Le sirene ormai erano vicine.

"Andate", la voce di Jason suonò come un ordine.

"Ok, noi saremo sempre in zona", I due uomini si dileguarono.

L'ultimo superstite della banda era ancora a terra. Aveva tentato più volte di rialzare la testa, ma altrettante volte aveva desistito. Ora, per l'ennesima volta ci riprovò, con cautela, poi prese la sua decisione: si rimise in piedi.

"Cazzo, sei stato buono fino a ora, stai fermo, non ti muovere!"

L'altro ignorò ogni ordine.

Giussani stringendo i denti puntò la sua arma su di lui.

"Resta fermo!"

L'uomo si lanciò puntando la vetrata.

"Alle gambe, Jason, spara alle gambe, quell'uomo ci serve."

Dalle pistole dei due partirono diversi colpi.

L'uomo continuava a correre, mentre alcuni proiettili gli spezzavano una tibia. Urlò, ma si resse in piedi. Sorretto dalla sola forza della disperazione riuscì adavanzare, strascicando le gambe.

"Fermati!"

L'altro si issò sopra il muretto della vetrata e per un attimo rimase lì, con due pistole puntate addosso.

"Non farlo, non farlo!"

Guardò per un'ultima volta gli altri due, poi si buttò nel vuoto.

"Cazzo", Adriano picchiò un pugno in terra.

Erano ancora al riparo di quei cinquanta centimetri di parete, alzare la testa per vedere che fine avesse fatto l'uomo, significava rischiare di prendersi una pallottola in testa dal cecchino. Rimasero fermi.

"Si è ammazzato", Jason lo disse come ne fosse ormai certo.

"Non è detto."

"Come ha fatto a sopravvivere?"

"Questo ristorante sorge a precipizio sul mare, se non si è sfracellato sugli scogli, forse è vivo."

"Se lo dici tu, Colonnello."

"Non vorrei cambiare discorso, mister Firth, ma cosa dicevi dei tuoi uomini? Che sanno benissimo chi merita di essere preso in considerazione?"

"I tipi che ci hanno aggredito non venivano da fuori, erano già dentro."

"L'ho pensato anche io, e credo che nessuno dei quattro fosse Philippe Martin."

Il suono delle sirene ora era forte come fossero appena lì sotto.

Meno di un minuto dopo fecero irruzione un gruppo di militari e poliziotti, "'awqifuu aljamie!"

"Buttiamo i ferri, Jason, prima che si incavolino", i due misero in bella mostra le armi col pollice infilato nella guardia del grilletto. Lentamente le appoggiarono a terra, facendole poi scivolare lungo il pavimento, lontano da loro.

-

Il ristorante si affacciava su un piccolo golfo, dalla vetrata si poteva ammirare il mare aperto mentre a destra era visibile la costa che si riportava in direzione del mare, arricciandosi in una sorta di promontorio.

Su quelle rocce, a oltre cinquecento metri di distanza, un uomo stava togliendo il puntatore elettronico di tipo militare a un G28 Heckler & Koch.

"Da questa distanza, con la vetrata e con il vento che..."

"Non avresti dovuto sbagliare."

Chi aveva parlato osservava il ristorante in lontananza, voltando le spalle al cecchino, che nel frattempo aveva riposto l'arma in una sacca con il resto dell'attrezzatura, compreso un cavalletto. Prima di chiudere la zip, il cecchino impugnò una Desert Eagle calibro .429, un'arma in grado di sprigionare il 45% di energia in più rispetto a una .44 Magnum. Il suo dito era appoggiato al grilletto.

"Il tuo compito, per ora, è finito... se avrò ancora bisogno di te saprò dove trovarti, è chiaro che dovremo rivedere il compenso." Le parole sussurrate dall'uomo si persero nella brezza leggera che soffiava in quel momento.

L'altro si alzò, tenendo la sacca sempre tra le braccia e continuando a impugnare l'arma nascosta al suo interno.

"Non voglio nulla."

Indietreggiò di alcuni passi e, sul retro di un vecchio furgone, buttò la sacca. Salì poi alla guida, sempre impugnando l'arma. Solo quando si fu allontanato appoggiò la semiautomatica sul sedile a fianco.

L'altro uomo non si era mai mosso da dove era.

-

Jason e Adriano erano ammanettati. Un militare aveva appena finito di medicare la ferita alla spalla del Colonnello Giussani.

"Diversi testimoni dicono che siete stati aggrediti."

"È la verità, Capitano."

L'uomo in divisa della Armée royale del Marocco, guardava i due come si guardano due pericolosi delinquenti.

"E voi vi siete difesi."

"Esattamente."

"Uccidendone tre e buttando dalla vetrata il quarto."

"No, quello si è buttato da solo", aggiunse Jason serio.

Il militare marocchino li scrutò di nuovo come per capire chi fossero realmente quei due. E dopo alcuni istanti glielo chiese.

"Chi siete?"

"Se dicessimo che siamo due turisti?"

"Che se ne vanno in giro con due semiautomatiche?" Il militare indicò col capo un ripiano sul quale erano appoggiate delle armi.

"Non le avremmo usate se non fossimo stati aggrediti", La voce di Giussani era calma e ferma.

"Chi erano i due che vi hanno aiutato?"

"Spiegheremo tutto ai suoi superiori, dopo che ci avrete portato nella gendarmeria."

L'uomo si accese una sigaretta, "Gendarmeria? Credo che marcirete nelle nostre galere, che da noi non sono ospitali come da voi."

Buttò fuori una nuvoletta di fumo, "E questa sarebbe la cosa positiva per voi. Ma veniamo a quella negativa: se non parlate e non mi dite tutto adesso, prima che vi possiate riposare in galera vi faremo sputare l'anima."

Il Capitano fissò in particolare Giussani, "E se ti stiamo medicando, uomo, è solo per tenerti in vita quanto basta." La bocca del militare assunse la forma di un ghigno sinistro.

Jason e Adriano si guardarono per un istante, "Ok, ora ascoltami, Capitano, e ascoltami bene", Il tono dell'agente della CIA suonava duro e minaccioso, anche se contrastava con la sua aria da impiegato impacciato.

"I documenti che ci avete trovato addosso non sono autentici, ora chiami il Generale di brigata Khalil Mehdi e gli dici solo una cosa: codice missione 909, lui capirà."

Di fronte a un incredulo Capitano, Jason si rivolse ad Adriano, "Tranquillo, fra non molto saremo fuori dai guai."

Ad Adriano tornò il sorriso, "Ma allora è vero quello che si vede nei vostri film americani."

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