Capitolo 66 - Le terme dei papi
Elisabetta aveva vagato per tutta la giornata senza una meta precisa. Aspettava solo notizie, ma queste non arrivavano. Decise allora di tornare nel suo appartamento.
Appoggiò borsetta e chiavi su un mobiletto e si buttò sul letto.
Era esausta e al diavolo se il tailleur si stava stropicciando. Si liberò delle scomodissime décolleté in vernice nera con tacco a stiletto da 12, sue inseparabili amiche, ma che quel giorno aveva odiato.
Rimase lì, distesa, con lo sguardo fisso al soffitto.
Era affascinata da quella cittadina ricca di storia, che nel 1257, per una trentina d'anni, divenne la nuova sede dei papi, dopo che Alessandro IV fuggì dalle congiure dei nobili romani. C'era tanto da raccontare e avrebbe potuto avere molto materiale per scrivere qualcosa. Scienza e storia, un bel mix.
Non era stato difficile convincere la redazione. Affidarle la stesura di una serie di articoli sulla valorizzazione di quei luoghi: dalle nuove tecnologie che si stavano sviluppando, al far rivivere l'antica storia che ancora permeava ogni anfratto. Il suo editore avrebbe arricchito lo scarno ambito scientifico e storico della rivista.
Ma la verità era un'altra, lei si aspettava Michelangelo Rey, al quale aveva consegnato il materiale ricevuto da Jane Yifei. Doveva capire se, aver riposto in lui la sua fiducia, fosse stata la cosa giusta.
Riteneva di essere molto brava a classificare le persone, gli uomini in particolare e sperava, anche questa volta, di non essersi sbagliata.
Era ancora sdraiata sul letto, immobile e pensosa, con la sua forte carica di sensualità.
Fu solo girandosi verso il comodino che notò qualcosa. Era un dépliant, allungò una mano e lo prese. Lesse 'Le Terme dei Papi'. Poteva essere qualcosa di interessante, ma subito notò una frase scritta a penna: Gentilissima EF, oggi potrà essere nostra ospite, per entrare basterà il suo nome.
Quel messaggio portava una data, la data di quel giorno e quella sigla non poteva che essere riconducibile a lei.
Elisabetta non credeva che fosse opera dei gestori dell'appartamento, troppo discreti, quasi inesistenti, tantomeno l'agenzia a cui si era appoggiata.
La cosa era curiosa e al tempo stesso inquietante. C'era solo un modo per togliersi i dubbi che le stavano nascendo in testa: le terme erano nelle vicinanze e aveva un disperato bisogno di rilassarsi.
Si rimise in piedi stiracchiandosi, Ok, ancora un piccolo sforzo e poi lascerò libero sfogo al totale abbandono psicofisico... e scoprirò l'origine dell'invito.
Si cambiò, cercò uno zainetto e vi infilò, tra altre cose, un costume.
Prese l'iPhone, chiamò un taxi e un attimo dopo fu in strada.
Indossava dei jeans neri attillati e un leggero giubbottino in similpelle, oltre a comode scarpe da ginnastica. Sotto, portava solo una canottierina nera.
Passò le mani tra i capelli biondi e con un elastico si fece una pony tail, come amava chiamare la coda di cavallo.
Il taxi era già lì ad attenderla.
"Ciao, bella, dove ti porto? A casa mia?" Il tassista, che sembrava la copia sputata di un John Travolta di qualche anno fa, quello di Pulp Fiction, dallo specchietto retrovisore non smetteva di guardarla.
"Per oggi solo terme, quelle dei papi, poi... chissà."
"'Poi chissà' è uguale a... 'le faremo sapere presto', che tradotto significa: 'non farti più vedere, amico'."
La ragazza sorrise, "Ma fa così con tutte?"
Lui continuava a fissarla, e guardare la strada sembrava fosse l'ultima delle sue preoccupazioni, inoltre, quella vecchia e sgangherata Passat non era certo una Tesla a guida autonoma di livello tre.
Il tassista sembrò riprendersi dal suo stato di estasi, "Come ha detto?"
"Intendevo... è sempre così espansivo con le sue clienti?"
"Solo quelle bruttine come lei, perché immagino si sentano tanto sole", sghignazzò.
"Un vero paladino", Elisabetta sorrise e non riuscì a trattenere un commento: "Lei assomiglia a John Travolta."
"Certo, sono io."
"Sì, certo... John Travolta ha quasi settant'anni."
"Sono ringiovanito", la risata dell'uomo non si fece attendere.
-
Le Terme dei Papi erano appena fuori Viterbo.
Dopo aver percorso la strada dei Bagni, presero quella che fiancheggiava le terme e che portava all'ingresso.
"Tenga il resto, paladino delle povere racchiette senza speranza."
"Per lei potrei anche tornare e riportarla a casa gratis."
"A casa sua?"
Lui si sganasciò dalle risate, "Sa che è proprio simpatica, per essere un simile schianto di passerona?"
Lei preferì non insistere. Scese dal taxi e si allontanò, ostentando però un'occhiata seducente che regalò un'ultima gioia al tassista.
Elisabetta Farnese non era la tipa da arrossire per complimenti del genere. Il suo limitarsi a sorridere, con quell'espressione di compiacenza e al contempo di distacco, l'aveva spesso tolta da situazioni imbarazzanti.
Con lo zainetto buttato su una spalla si mosse in direzione dell'entrata delle terme.
Alla reception, con stupore, sentì scandire il suo nome.
"Signorina Farnese? Le cerco subito l'invito per entrare."
"L'invito?"
"Oggi alle terme si accede solo su invito e lei ne ha uno."
"E chi dovrei ringraziare?"
"Purtroppo non saprei dirglielo", il sorriso della receptionist accompagnò la consegna di un braccialetto magnetico.
-
Elisabetta preferiva la sauna al bagno turco, l'idea di un'umidità al 100% la faceva sudare ancor prima del tempo. Ma voleva vedere la famosa grotta, nota per essere un vero e proprio bagno turco naturale. Era scavata nella roccia e l'acqua termale portava la temperatura a 48°C.
Dopo essere stata negli spogliatoi fece la rituale doccia, sorseggiò dell'acqua, poi seguì le indicazioni che la portarono alla grotta.
Le terme erano deserte, qualsiasi suono echeggiava nelle ampie sale, lo scorrere dell'acqua creava note naturali di sottofondo.
Si stupì quando vide che era già arrivata a destinazione.
Prima di entrare appese l'accappatoio, si tolse il bikini della Maison Eres e lasciò tutto all'esterno, comprese due ciabatte infradito da cinque euro. Avvolse attorno a sé un ampio telo in spugna ed entrò nella grotta.
Sapeva quanto fosse pudica la mentalità italiana sull'uso o meno del costume in posti del genere, ma lei preferiva le usanze nordiche: niente costume.
In ogni caso era sola e non ebbe nessuna remora nel sistemare il telo su una panca distendendosi sopra.
Socchiuse gli occhi. Il momento peggiore era quello iniziale, impiegava sempre del tempo ad acclimatarsi. La grotta era illuminata da tenui luci a led, ben mimetizzate. Il vapore rendeva tutto piacevolmente irreale.
Sembrava l'effige di una dea, in un corpo atletico ed elegante in mostra ai mortali. Un tatuaggio sulla caviglia testimoniava che anche le dee erano vanitose.
Un rumore la fece ridestare. La porta d'ingresso della grotta si era aperta e subito richiusa. Nell'aria alterata dai vapori e dalle luci soffuse intravide un uomo che si era appena seduto su una delle panche vicine all'entrata.
Si mise seduta, avvolgendo il telo attorno alla vita.
Si sentì in imbarazzo, ma non si mosse. L'atmosfera sfuocata le stava dando sostegno, ma anche inquietudine.
"È tutto di suo gradimento?"
Elisabetta si chiese se l'uomo stesse parlando con lei.
La risposta le uscì con un leggero balbettio, che non gli si addiceva, "Il... il bagno turco?"
"Non solo... chiedevo se apprezzasse anche il resto, mon amie."
La voce dell'uomo era ferma e chiara, con un vellutato accento francese.
Lei cercò di poterlo vedere meglio, ma non era facile, per ora rappresentava solo una figura indistinta e l'aver tolto le lenti non l'aiutava.
Poi un pensiero si fece largo nella sua testa, "Devo essere grata a lei... per questo invito?"
L'uomo sbuffò divertito, "Non mi deve nulla, ma di fatto sono io che l'ho invitata, lo ammetto."
"Ci conosciamo?"
"In parte."
"In che senso?"
"Nel senso che lei non conosce me, ma io ho una buona conoscenza di lei."
Ottimo, pensò la donna, ci mancava l'ammiratore misterioso, "Sono lusingata, ma come dovrei interpretare il suo gesto?"
"Non lo deve interpretare, deve solo seguire le mie indicazioni."
Elisabetta aspettò un attimo prima di rispondere, "Lei è troppo misterioso per i miei gusti."
"Lo ammetto, ma mi ascolti e mi lasci dire quello che ho da dirle."
Sorpresa e incuriosita, la donna non aggiunse altro.
"So che di lei mi posso fidare. Cosa non altrettanto palesabile con altri personaggi", si fermò un istante, come se volesse capire quanto la donna stesse ascoltando con attenzione, "Quando uscirà dal bagno, nel suo costume della Maison Eres, parlo degli slip, troverà qualcosa. Se la porti via subito, con discrezione. Non le sarà difficile usarla."
"Di cosa si tratta?"
L'uomo si alzò, "Faccia come le ho detto e... ha degli ottimi gusti, a parte la qualità delle infradito", aprì la porta e indugiò, senza voltarsi, "Sto facendo questo... per Jane."
Elisabetta era sbigottita, "Come, per Jane?"
Lo strano personaggio nel frattempo era scomparso, avvolto dai vapori. Lei balzò in piedi e si precipitò verso la porta semiaperta, Non è possibile, queste cose succedono solo nei romanzi scadenti.
Una coppia, all'esterno, stava appendendo i propri accappatoi.
Elisabetta si guardò attorno e non vide nessun'altro, non poteva essere l'uomo di fronte a lei, era senza una goccia di sudore.
"Avete visto qualcuno uscire da qua?"
I due, sulla sessantina e in evidente sovrappeso, guardavano la donna come ebeti, lui in particolare. Poi la donna si rivolse al compagno, "Credo che i tuoi occhi si siano incollati addosso a questa... questa..." terminò con una specie di grugnito di chiara disapprovazione.
Elisabetta, imperlata di gocciole di sudore, stava di fronte a loro, nella sua nudità statuaria, come Venere appena uscita dalle acque, "Non finisca la frase signora...", rispose con una leggera inclinazione della testa su un lato, "Le sarà difficile crederlo, ma sono una stimata giornalista e sono più che convinta che sia lei, che suo marito, abbiate già visto una passerina e due tette."
La donna si trascinò nella grotta grugnendo di nuovo, seguita con una certa riluttanza dal marito, al quale Elisabetta fece l'occhiolino.
Merda, mi sono persa il tipo.
Solo all'ora si rese conto che le terme non erano così vuote come sembravano all'inizio, si infilò l'accappatoio e prese le sue cose.
Strinse in una mano gli slip e si accorse che contenevano qualcosa. Si trattava di una chiavetta USB. L'uomo misterioso non aveva sparato solo panzane.
Andò verso gli spogliatoi, ma prima bevve una sorsata d'acqua. Si sentiva disidratata e non era solo l'effetto del bagno turco.
Si cambiò e alla reception fece chiamare un taxi. Non passò molto e uscì, salendo sull'auto in attesa.
"Ciao bellezza."
Non ci credo, ancora lui... John Travolta, "Il mondo è veramente piccolo."
"Certo", sghignazzò il tassista, "soprattutto se ti fermi ad aspettare la donna della tua vita."
"Donna della tua vita? Abbiamo fatto passi avanti, vedo."
"Dove la porto?"
"Scommetto che lo sa."
"Dove ero venuto a prenderla?"
"Proprio lì."
-
La vecchia Passat raggiunse in poco tempo la destinazione.
Elisabetta scese e dal finestrino pagò la corsa. Poi si soffermò un attimo.
"Tu cosa c'entri con questa storia?"
"Wow bambola, altro passo avanti, ci stiamo già dando del tu."
"Smettila di fare l'idiota, rispondimi", la voce di lei era ancora gentile, ma dal tono più serio, "Te lo ripeto: cosa c'entri con questa storia?"
"Quale storia?"
Elisabetta scrutò l'uomo, che sembrava volesse solo esplorare con lei i più svariati amplessi.
Forse lui non c'entra e se c'entrasse non ne caverei nulla, pensò, "Va bene, tieni pure il resto."
"Sognavo una mancia diversa."
"Puoi continuare a sognarla."
Il tassista risfoderò la sua solita risata e si allontanò con l'auto.
Alla prima svolta prese il cellulare.
"Sono John Travolta..."
"... Sto scherzando, ma sappi che anche la tua amica è una spiritosona."
"... comunque ho finito, ora lei è a casa... è stato tutto ok tranne per un fatto: il mio socio che si è infilato all'interno della SPA mi ha riferito che forse è stata avvicinata da un tipo, ma se l'è lasciato sfuggire, ha preso solo una vaga descrizione. Potrebbe essere stato un incontro casuale..."
"... Cosa è successo? Bisognerebbe chiederlo a lei."
-
La sera stava scendendo.
Elisabetta era da poco entrata nel suo appartamento.
Accese il MacBook e infilò la penna nella porta USB. Si aprì automaticamente una cartella che però, per visualizzare il contenuto, richiedeva una password.
"Che cavolo! Il tipo non ha detto che c'era una password."
Rimase incerta sul da farsi, ma non aveva tante alternative.
Inserì un invio a vuoto. Niente da fare.
Provò tutte le parole che sarebbero state subito smascherate, a cominciare da password e finendo con i classici 123, 123456 e cose simili, ma ancora nulla.
"Ragiona, Eli. Se avesse messo qualcosa del genere sarebbe stato come non metterla, ma l'ha fatto, allora significa che è più complicata di queste, ma non troppo, giusto?"
"Giusto!"
"E che cazzo di password può aver usato?"
"Già, che cazzo di password?"
"Qualcosa che conosciamo entrambi, noi e lui."
"Esattamente!"
"Terme?"
"Proviamo!" Niente.
"Grotta?" Niente.
"GrottaNaturale, con qualche maiuscola?", Niente.
"Magari con lo spazio", Niente.
"Tutto minuscolo?" Niente di niente.
Elisabetta lanciò un urlo di frustrazione che riecheggiò tra le pareti.
"Non puoi abbandonare, insisti, provaci ancora, Eli."
La donna si immobilizzò per un attimo, "Cos'ha detto prima di scomparire?"
"Ha detto... Sto facendo questo... per Jane."
"Jane!"
Le lunghe dita sensuali sfiorarono, senza batterli, i tasti del MacBook, come se cercassero misteriosi influssi propiziatori.
Poi scrisse la parola, jane, in minuscolo.
"Eureka, Eli, ce l'abbiamo fatta!"
La cartelletta del notebook, con un'animazione a effetto, aveva appena svelato i suoi segreti.
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