Capitolo 10 - Kung Fu
Zhao Huang sapeva che la sua fuga sarebbe stata una chiara ammissione di colpa. Una volta scoperto il furto, tutti al centro di virologia avrebbero capito che era stato lui a trafugare le micro-provette.
Ma questo era stato preventivato, ora la sua preoccupazione maggiore era un'altra. Temeva coloro per cui aveva fatto il lavoro, non era ingenuo, il rischio che poteva morire esisteva, ed era concreto. Per questo motivo si era tenuto una fialetta, ma in quel modo aveva innescato un ciclo vizioso. Primo scenario: se avesse ammesso di essersi tenuto una fialetta, l'avrebbero ucciso. Secondo scenario: se l'avessero ucciso, come avrebbe potuto dire di essersi tenuto una fialetta e con questa ricattarli?
"Maledizione, sono un imbecille", piagnucolò l'uomo.
Forse esagero, pensò, ma sapeva che stava camminando sul filo di una lama affilatissima.
Aveva un unico pensiero: che fosse seguito. Ma se l'avessero visto andare verso il suo appartamento, forse, non si sarebbero insospettiti. Così sperava.
Quando entrò si sentì più sollevato. Prese lo zainetto che aveva già preparato, conteneva solo l'indispensabile per il brevissimo termine.
Si buttò su un divano, con lo zainetto stretto fra le braccia, come se quell'oggetto gli desse sicurezza. Non poteva andarsene, dovevano verificare il materiale, così era il patto.
Doveva solo attendere
***
La sera era già calata, Zhao si stava appisolando, ancora disteso sul divano con lo zainetto stretto a sé.
Lo squillo del suo Xiaomi lo fece trasalire.
"Numero sconosciuto, sono loro", pensò.
Con la sensazione dello stomaco che gli si stringeva, premette il dito sulla cornetta verde.
"Signor Zhao Huang, il suo bonus è stato attivato, la ringraziamo per averci scelto, buona giornata."
Anche se sembrava un messaggio commerciale, Zhao Huang conosceva benissimo il suo vero significato. Cominciò a smanettare sul cellulare, entrò nel suo account per fare la verifica che avrebbe cambiato la sua vita. L'accredito era stato sbloccato, aveva appena ricevuto 500 bitcoin, che alla data di quel giorno erano quotati, ciascuno, 8.771 dollari americani.
"Ho sul conto più di quattro milioni di dollari", disse trattenendosi dall'urlarlo, in preda a un'euforia quasi incontrollabile, "grazie Satoshi Nakamoto o chiunque tu sia."
La piacevole eccitazione lasciò il posto a un'altra dal sapore strano, agrodolce potrebbe rendere l'idea. Era ricco, ma ora veniva la parte difficile, quella di far perdere le sue tracce, il più presto possibile.
***
Il palazzo di Zhao aveva due ingressi principali, oltre alla rampa box. I suoi soci, da ora in poi ex soci, sapevano che lui non possedeva un'auto, ma tutti e tre gli ingressi erano sorvegliati da uomini appostati.
Il telefono di uno dei due uomini che stazionavano nei pressi dell'ingresso principale suonò. "La merce è stata verificata, chiudete l'affare... definitivamente."
L'uomo col telefono fece un cenno all'altro e scese dall'auto dirigendosi all'ingresso del palazzo.
Zhao credeva di aver preso tutto quanto gli serviva, ma preferì ricontrollare il contenuto dello zainetto, "È la terza volta che ci rovisti dentro, tranquillo hai tutto, devi solo scendere sotto", ormai parlava da solo.
Si alzò dal divano e si avvicinò a un tappeto. Lo spostò.
Comparve la sagoma di un riquadro in legno, era il coperchio di una botola. Sbloccò l'apertura e l'aprì, tirando in alto la grossa anta. Si infilò al suo interno e cominciò a scendere da una scaletta di alluminio, sempre stringendo a sé lo zainetto. Si fermò un attimo a guardare il suo appartamentino. Da quell'inusuale angolazione, mezzo dentro e mezzo fuori dalla botola, gli sembrava diverso, oppure era il fatto che non l'avrebbe più rivisto a dargli quella sensazione. Ritirò sopra la botola il tappeto e la richiuse.
Prima della scoperta della sua fuga sarebbe passato un po' di tempo, esattamente quanto gli serviva.
Rimase al buio per pochi istanti, poi un suo movimento fece accendere una luce. Si trovava nel locale al piano sotto che fungeva da ripostiglio.
Indossò in fretta una parrucca dai capelli mossi e lunghi e si mise dei baffetti finti, aggiustandoseli davanti a un piccolo specchio.
Non era granché come travestimento, ma per uscire dal palazzo poteva bastare.
Prese lo Xiaomi, sapeva che era geo localizzabile e che distruggerlo avrebbe insospettito i suoi clienti, l'avrebbe abbandonato lì. Lo posò in terra. Senza troppe difficoltà sarebbe sparito, se la fortuna gli avesse degnato un po' di attenzione. In fin dei conti pensava di essere stato abbastanza corretto. Ma fu proprio il pensiero di essere stato abbastanza corretto a farlo rabbrividire: non conosceva gli standard con cui quelle persone classificavano quel concetto. Preferì scacciare quei pensieri.
Attese per alcuni istanti davanti all'unica porta di uscita di quel localino. Sentiva solo il rumore dei battiti accelerati del suo cuore. Sbloccò con delicatezza la serratura e aprì la porta con circospezione. Fuori sembrava non esserci nessuno, ma una stretta d'acciaio lo afferrò per un braccio.
L'uomo di fronte a lui, di corporatura snella, era vestito di scuro e lo teneva fermo come la zampa di un gatto tiene bloccato un topo. La paura di Zhao era come quella di un topo appena catturato.
L'uomo gli premeva alla gola uno stiletto da 15 cm, "Ascoltami, ci siamo dimenticati di chiederti i dati del tuo account, ma sono convinto che ce li darai. Torniamo dentro."
L'uomo spinse Zhao all'interno dello sgabuzzino.
Nel frattempo, ne sopraggiunse un altro. Vestiva allo stesso modo, ma era più grassoccio, "Complimenti per il trucco, non ti avrei riconosciuto", poi rivolto al compare, "Sta collaborando?"
"Lo farà... lo farà", sghignazzò il primo. Subito dopo strappò la parrucca a Zhao e lo spinse con violenza contro una parete. L'azione fu quasi istantanea e il pugno sferrato alla bocca dello stomaco fece quasi svenire il biologo. Lo zainetto cadde a terra, mentre lui si accasciò cercando di provare a respirare.
Con molta lentezza Zhao cercò di rialzarsi, "Cosa volete?"
Il lì quán era una mossa di Wushu, l'arte marziale cinese erroneamente conosciuta come Kung-fu. Un nuovo colpo sferrato col pugno nella parte addominale lo piegò in due facendogli uscire un fiotto di sangue dalla bocca, "Dove eravamo rimasti?"
Zhao tossì e altro sangue gli fuoriuscì dalla bocca, "Vi prego...", tossì di nuovo, "farò tutto quello che volete."
"Ne siamo convinti", ridacchiò uno dei due.
"Le credenziali."
"Prima... prima dovete sapere una cosa, è importante."
I due si guardarono, "Se è un trucco", la voce dell'uomo col pugnale sembrava uscire dall'oltretomba, "ci supplicherai di farti morire... in fretta."
"No, no, ascoltate", Zhao si sollevò. Sputava sangue e si reggeva a malapena, "Ho trafugato una fialetta in più ed è qua, vi do anche quella... con le credenziali."
I due si scambiarono un'occhiata, poi il coltello tornò a premere sulla gola del malcapitato, "Può darsi che ci possa interessare, ma ricorda... se stai facendo il furbo ti scuoio vivo, con questo... e molto lentamente."
Zhao tremava e sudava, "Niente trucchi è di sopra."
"Andiamo."
Uno dei due risalì la scaletta della botola che portava all'appartamento, l'altro spintonò il biologo per mandarlo avanti.
"Seguilo, io ti starò dietro e non fare nulla di strano."
In breve, tutti e tre si ritrovarono nell'appartamento.
Squillò il telefono di uno dei due, "Sì, tutto a posto, stiamo solo gestendo un imprevisto, a breve sarà tutto sistemato."
L'uomo chiuse la telefonata, "Allora?" ringhiò.
"È nel frigo", balbettò Zhao.
"Andiamo."
Si diressero nel cucinotto.
Zhao stava per aprire il frigo, ma una mano lo fermò.
"Facciamo noi", l'uomo col coltello fece un cenno all'altro che aprì il frigo."
"Dov'è?"
"In un contenitore del latte, dovete prenderlo, ma maneggiate con cura, la fiala va estratta togliendo il tappo."
"Questo?"
"Sì, quello."
L'uomo prese in mano con circospezione quello che sembrava un normale contenitore del latte, lo stava trattando come fosse radioattivo.
"Come lo apriamo?"
"Beh semplicemente si svita prima il tappo poi... vi dirò la parte più difficile."
L'uomo, come stesse disinnescando un ordigno, svitò il tappo e lo tolse.
"E ora?"
"Ora dovete fare così...", Zhao si avvicinò con passi lenti al contenitore.
Gli altri lo guardavano incuriositi e allo stesso tempo timorosi.
Il biologo diede una botta violenta con la mano alla bottiglietta che volò in aria. Il latte si disperse ovunque.
Gli altri due uomini credettero di aver rotto un vaso di Pandora e per un attimo rimasero paralizzati.
Fu questo attimo che permise a Zhao di lanciarsi sul frigorifero e prelevare un recipiente di plastica, simile a quello per le uova.
Lo aprì ed afferrò la provetta che vi era dentro.
"Cari amici vi presento la quinta fialetta di un nuovo virus, molto infettivo e soprattutto molto contagioso, ma forse lo sapete già. La fialetta è di vetro, non è una provetta di plastica... c'è una sostanziale differenza: il vetro è fragile."
Lo sguardo di Zhao brillava di una luce sinistra, d'improvviso da vittima si era trasformato in potenziale carnefice.
I due uomini provarono più stupore che paura, ma non per molto, stavano riprendendo l'autocontrollo.
"Cosa vorresti fare ora?"
"Nulla, me ne vado e voi starete qua."
"E se non fossimo d'accordo?"
"Beh, semplice, in tal caso questo finisce in terra e fra due... tre giorni al massimo, pregherete chi vi sta assistendo di fare qualcosa, il nostro amico non ha un bel carattere."
I due si guardarono come per cercare di capire se Zhao bleffasse o meno.
Perché avrebbe dovuto tenere nel frigo una provetta? Per avere un'arma in più, ma forse questi virologi o biologi che siano, tengono sempre delle provette nel contenitore delle uova, provette di qualsiasi tipo, magari innocue. I loro pensieri si accavallarono, ma si interruppero con le parole di Zhao.
"Buttate in terra tutte le armi che avete, subito."
Dopo un attimo di esitazione il coltello e due revolver furono gettati sul pavimento.
"Bene, ora tu apri quel cassetto e prendi il nastro adesivo da pacchi."
"Bravo così", Zhao stringeva stretta nel pugno la provetta e tendeva il braccio verso di loro, come impugnasse una sacra Jiàn a doppia lama.
"Tu, mani dietro la schiena e tu, immobilizzalo col nastro."
"Poi anche i piedi."
"Bene, molto bene, ora un bel giro di nastro anche sulla bocca."
Zhao guardò il nastro, ce n'era ancora molto, "Fai alcuni giri sui fianchi, attorno alla sedia. Stringi bene."
Quando ebbe finito l'uomo con in mano il nastro guardò Zhao, "E ora?"
"Ora girati."
L'uomo eseguì l'ordine e Zhao si sentì sollevato nel vedere immobilizzato l'amico Bruce Lee, ora doveva sistemare l'altro, ma la sua tranquillità durò un'istante, l'uomo di spalle di fronte a lui eseguì una mossa di hòu dàn tuǐ.
Colpì Zhao al volto con la pianta del piede, con la gamba tesa all'indietro.
Zhao non pensava che avrebbero reagito, aveva colto in loro la paura di un pericolo sconosciuto. Ma era evidente che il secondo Bruce Lee aveva cambiato opinione.
Il biologo cadde a terra, ma non lasciò la fialetta, perlomeno fino a quando non gli si frantumò in mano.
In una scena, che sembrava scorrere in una sorta di slow motion, Zhao pensò che sarebbe stato meglio che avesse bleffato, invece di sottrarre una vera fialetta di virus, portarsela a casa e usarla come arma da difesa.
Nel momento in cui la fialetta gli si ruppe in mano, per una frazione infinitesimale cercò di trattenere il respiro, poi vide l'uomo di fronte a lui che stava raccogliendo uno dei due revolver. Si avventò allora su di lui con il pugnale, che senza rendersene conto si era ritrovato tra le mani, e proprio con le due mani unite lo trafisse al petto.
Fu un colpo mortale e l'uomo cadde all'indietro senza emettere alcun gemito.
Zhao era in piedi, con in mano il pugnale che lasciò subito cadere a terra.
Respirava a fatica e ansimava. Grumi di sangue gli uscivano ancora dalla bocca e si accorse che la fialetta, rompendosi, gli aveva provocato una piccola ferita sulla mano. Premette e fece uscire un po' di sangue.
Il virus ormai aveva contaminato il locale e con grossa probabilità anche lui stesso. Si coprì bocca e narici con la maglietta come fosse una specie di maschera protettiva. Raccolse da terra lo zainetto e se lo mise in spalla.
Nel frattempo, l'altro uomo legato alla sedia emetteva grugniti incomprensibili, ma dal significato eloquente.
"Tranquillo, hai il nastro attorno alla bocca, basta solo che non respiri dal naso."
Cercò la parrucca e la prese in mano.
Scese attraverso la botola al locale sotto e senza alcuna precauzione uscì nel corridoio.
Si fermò con la schiena appoggiata alla parete e tolse la maglietta dalla faccia.
Ansimava, rendendosi conto che non vi era nessuno.
Gli era parso di rimanere in apnea per un tempo infinito, in realtà aveva respirato più del dovuto.
Buttò la maglietta.
Si ricordò che vi era un bagno in fondo al corridoio, vi si precipitò.
Si lavò mani, braccia, faccia e collo con molto sapone, tutto quanto pensava potesse essersi contaminato. Si guardò allo specchio e, preso da una sorta di frenesia da decontaminazione, si diede una lavata anche sulle spalle e sul petto, infine si lavò i capelli.
Mentre si asciugava guardò la ferita, era poco più che un taglietto e non sanguinava più.
"Ok, tranquillo. Così va bene, molto bene."
Si asciugò i capelli strappando pezzi di carta dall'asciugamani a rotoli.
"Ok, ok."
Si guardò di nuovo allo specchio, non aveva una gran bella faccia, era gonfia, ma non certo per colpa del virus, non ancora perlomeno.
Rovistò nello zainetto, estrasse una scatola di paracetamolo e inghiottì una pastiglia da 1000, "Non credo basterà se il virus mi ha contagiato, ma è pur qualcosa."
Sentiva i mugolii dell'uomo immobilizzato e gli pareva fossero urla.
Nello zaino aveva inserito dei ricambi, prese una maglietta e la indossò.
"La parrucca, dov'è?" pensò a voce alta.
La vide in terra, la raccolse e se la mise.
Dei baffetti posticci invece nessuna traccia, dovevano essersi staccati nella colluttazione e non aveva alcuna intenzione di andarli a cercare.
"Va bene così."
Respirò profondamente e si avviò all'ascensore di servizio.
Scese al piano terra.
Un porticino che sperava non fosse controllato l'avrebbe fatto uscire nel cortile, se lo richiuse alle spalle.
Fuori non c'era nessuno, ora doveva girare l'angolo.
Mentre stava tergiversando, alle sue spalle sentì riaprirsi la porticina da cui era uscito e trasalì, gli si gelò il sangue.
Quando vide che era un addetto alla manutenzione del giardino, si sentì come avesse vinto la lotteria nazionale.
"Quei giardini non finiscono mai di richiedere attenzione."
Si stupì di aver detto una stronzata del genere e si stupì anche il giardiniere nel sentirla, tanto che gli rispose con un laconico "Per mia fortuna."
Zhao però non lo mollò. Continuava a proferire frasi di una banalità estrema, ma nel frattempo percorse un gran tratto del cortile accanto all'uomo, "Abito qui da diversi anni e devo dire che i giardini sono la cosa meglio tenuta del palazzo."
Si pentì subito di aver detto quella frase, in teoria la parrucca doveva farlo passare inosservato.
"Lo so mister Zhao che abita qua da diversi anni, mi chiedevo tuttavia come mai in tutti questi anni mi abbia rivolto la parola solo ora e con una parrucca in testa."
A questo commento Zhao non prestò molta attenzione, per lui era importante passare inosservato da quegli uomini che lo conoscevano appena.
Sempre affiancati, giunsero finalmente alla strada e lì incrociarono altra gente.
Zhao si guardò in giro con discrezione, gli sembrava che tutti lo stessero osservando.
"Bene, ora devo andare, grazie per la compagnia."
Il giardiniere lo guardò dubbioso.
"Dimenticavo, le consiglio di lavarsi bene con acqua e sapone, anche subito se riesce" e così dicendo il biologo si incamminò tra la gente.
Era agitato, ma rallentò il passo per poi cercare di assumere un atteggiamento disinvolto, doveva solo allontanare dalla mente una cosa: l'idea di essere stato contagiato da un virus di laboratorio.
Sapeva che era possibile, ma sapeva che non era così probabile.
Pensò a quei secondi. Quando la fiala si era rotta, all'inizio aveva trattenuto il respiro. Lo credeva o se lo immaginava?
In ogni caso non l'aveva fatto per molto.
Questi pensieri non lo portavano da nessuna parte, peggioravano solo la situazione.
Prima aveva un grosso problema, ora rischiava di averne uno enorme, ma non poteva saperlo, non ancora.
Adesso aveva una nuova identità, un nuovo passaporto e più di quattro milioni di dollari, sicuramente questo gli apriva nuove prospettive, doveva solo pensare a questo, anche se addosso, forse, aveva qualcos'altro.
La sua vita era cambiata e il suo nuovo nome era Jin Liang.
***
L'uomo legato alla sedia non ci mise molto a capire che era inutile gesticolare. Poteva pensare di essere stato fortunato e di non essere morto, oppure di aver contratto un virus che non gli avrebbe dato scampo. Preferì pensare alla prima ipotesi.
Si mise a saltellare con la sedia, ma fece poca strada, finì in terra quasi subito. Qualcuno dei suoi l'avrebbe liberato, pensò, doveva avere solo pazienza.
Passarono diverse ore di silenzio assoluto, fino a quando gli sembrò di percepire rumore di passi. Si chiese se fosse stato frutto della sua immaginazione. Solo nel momento in cui vide di fronte a sé due figure capì di non essersi immaginato tutto.
Urlò loro di slegarlo e di uscire all'istante da lì, senza rendersi conto che le sue parole risuonavano incomprensibili.
Uno dei due gli strappò il nastro adesivo che gli chiudeva la bocca.
"Smettila di strillare come una gallina."
"Slegatemi."
"Datti una calmata e dicci cosa è successo."
Nel frattempo, l'altro tagliava il nastro che lo teneva legato.
"Dobbiamo uscire di qui!"
"Certo che ce ne andiamo, ma dov'è finito il nostro uomo. Parla!"
"È scappato", guardò il cadavere steso in terra col pugnale affondato nel petto, "L'ha ucciso lui e..."
"Cosa?"
"Aveva un'altra fialetta."
L'altro lo fissò, "Dov'è?"
L'uomo che aveva tenuto per ore il nastro sulla bocca, ebbe un'esitazione, e avrebbe quasi voluto non poter parlare di nuovo, "...L'ha portata via."
Non si rese conto del perché non disse la verità, gli uscirono d'istinto quelle parole. Ripensandoci, si convinse di aver fatto la cosa giusta.
Avesse detto cos'era successo nella realtà, l'avrebbero ucciso.
Poco contava se fossero stati in due, oppure in tre a portare in giro il virus, se davvero fosse stato così temibile si sarebbe diffuso lo stesso.
Però lui sapeva la verità, gli altri no e gli altri avrebbero continuato a tenere un comportamento normale, mentre lui... Fu in quell'istante che si chiese cosa fosse meglio fare. Si sarebbe isolato? Si sarebbe ucciso?
"Che hai?"
La risposta non arrivò subito, "Niente, niente. Va tutto bene."
***
La sera Atsushi era a casa sua. Un uomo era morto, non era suo amico, ma lo conosceva da tempo. Aveva fallito il suo compito e per quello rischiava di essere ucciso. Ma tutto questo non lo inquietava come il fatto di poter essere stato contagiato da qualcosa di terribile.
Non sapeva cosa fare, poi si ricordò che sarebbe arrivata Mei-hui.
Per Atsushi lei non era propriamente un'amica, era solo una che amava scopare con lui.
>>>> continua ... >>>
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