L'ombra degli Angels

Ripper non aveva un club. L'unica cosa che aveva era la sua moto. Era tutto ciò di cui aveva bisogno. E quando montava in sella, il mondo spariva. Esisteva solo la strada, che si srotolava per miglia come la lingua di un gigante. La vita di Ripper si svolgeva lì, sulle miglia d'asfalto separate da una linea tratteggiata o continua. In sella al suo cavallo di ferro era come un cavaliere che andasse di contea in contea, affrontando ogni curva così come affrontava la vita: spingendo al massimo.

Sorpassò una piazzola di sosta. Il vento gli scompigliò i capelli. La strada era un rettilineo che lo sfidava a sforzare tutti i cavalli della sua Fat Boy. Ripper decise di accettare la sfida e accelerò. Più avanti un nuovo cartello indicava la svolta per una stazione di servizio. Alla velocità alla quale andava l'avrebbe vista nel giro di qualche minuto, ma avvistò prima un puntino lontano che ammiccava nel sole. Man mano che si avvicinava lo vide assumere la forma di un camper. Aveva una targa del Missouri.

Turisti.

Per Ripper, un piacevole diversivo.

Un sorrisetto gli tese le labbra. Accelerò spostandosi sulla corsia sinistra. Si portò in corrispondenza dell'abitacolo, rallentò e si voltò per una sbirciatina. L'uomo alla guida del camper aveva occhiali dalla montatura spessa, troppo grandi per il volto magro. Guidava tutto proteso in avanti e rigido come uno alle prime armi. Quando si avvide di Ripper, un'ombra gli oscurò il volto. Quel gigante in gilet di pelle e occhiali da sole aveva un'aria poco raccomandabile. Sembrava il classico Hell's Angel, Dio non volesse.

Ripper lo osservò da dietro le lenti scure. Diede un paio di sgasate e il motore della Fat Boy ruggì. Una testa fece capolino di fianco all'uomo occhialuto: si trattava di una donna sulla trentina, capelli biondo sabbia. Osservò Ripper con una punta d'ansia. Il biker sollevò il braccio sinistro e baciò il bicipite: ecco com'è fatto un vero uomo, pupa e la bionda si avvinghiò al braccio della mezzasega che le sedeva di fianco.

«Ehi!» gridò Ripper e la sua voce risuonò chiara e autoritaria.

L'uomo volse la testa di scatto, guardò un attimo nell'ampio specchietto laterale e tornò a concentrarsi sul biker.

«Che cazzo ci fate in mezzo al deserto?»

L'uomo spostava lo sguardo dalla strada a Ripper, come se volesse guardare contemporaneamente sia l'una che l'altro.

«Sto parlando con te, mezzasega!» La bionda disse qualcosa a Mezzasega. «Forse dovresti farti da parte e lasciar parlare quel bel bocconcino che ti siede di fianco! Ha l'aria di una che sa far andare la lingua. E chissà quante altre cose sa fare con quella bocca!»

I due veicoli avanzavano a piè pari. Ogni tanto Mezzasega provava a prendersi un vantaggio, ma Ripper recuperava in un lampo.

«Perché non vi fermate a bere un goccio col vecchio Rip? Conosco un tittie bar che è la fine del mondo!»

Mezzasega gli rivolse un'occhiata che si sforzava di essere minacciosa. Nel comico tentativo di intimidire Ripper, però, si distrasse dalla guida. Le ruote del camper lambirono il ciglio della strada e sollevarono una nuvola di polvere. La bionda squittì.

«Mezzasega, ma ce l'hai la patente? Guidi come Ray Charles.» Mezzasega sterzò e rientrò in carreggiata. «Facciamo così: se la signora solleva la maglietta e mi fa vedere i meloni, tolgo il disturbo in un lampo.»

La bionda scivolò in basso.

«Andiamo, non essere timida. Sono sicuro che la mercanzia vale il disturbo.» Ripper diede una sgasata come per incitarla. «Convincila tu, Mezza Tacca. Forse a te dà retta.»

Mezzasega lo guardò con occhi che, dietro le lenti spesse, sembravano due uova in camicia e Ripper sghignazzò come l'orco di una fiaba.

«Sei uno spasso, cazzo. Se avessi un pick-up ti piazzerei sul cruscotto. Di' un po', come ha fatto un coglione come te ad accalappiare una topa come quello?»

Superarono il cartello che annunciava la svolta. Ripper si portò pollice e medio alle labbra e fischiò. Mezzasega sobbalzò e per poco non perse di nuovo il controllo del mezzo. Si voltò, bianco come un fantasma. Ripper gli mostrò il medio, accelerò superando il camper e si involò sull'asfalto rovente. Svoltò nel piccolo spiazzo polveroso adibito a parcheggio, prese posto tra un pick-up Chevy e una Panhead e spense il motore. Smontò guardando il camper che passava oltre, si stiracchiò le reni con un mugugno e si palpò il pacco come per controllare che fosse ancora al suo posto. Il sole scintillava sulle cromature dei veicoli in sosta e si rifletteva sulle lenti da sole.

Ripper diede un'occhiata alla Panhead e si incamminò verso il bar alle spalle della pompa di benzina. Lester's, diceva l'insegna. Le lettere erano ricoperte di polvere. A pochi passi dall'ingresso gli giunse il suono ovattato della musica. Riconobbe Call me the breeze dei Lynyrd Skynyrd. Entrò nel momento in cui iniziava l'assolo di chitarra.

Il locale odorava di birra e sudore. Diverse teste si girarono a guardare. Ripper si sfilò gli occhiali e lasciò vagare lo sguardo per il locale. Molti avventori persero subito interesse. Altri lo seguirono mentre raggiungeva il bancone con passo deciso e ne approfittarono per sbirciare la toppa sul gilet di pelle: una donna dalla pelle lattea con ampie ali da angelo dispiegate. In una mano reggeva un teschio ghignante. Una scritta ai suoi piedi: Death's Angels.

Ripper inforcò uno sgabello, ripiegò le stanghette degli occhiali e ne fece passare una all'interno della catenina con piastrina militare che gli ricadeva sulla maglia nera, scolorita e strappata in più punti.

«Che ti porto?» chiese il barista, un tizio calvo e grasso con un anello al naso e orecchini a forma di teschio.

«Una birra», disse Ripper. «E inclina il bicchiere. Se ci trovo più di un dito di schiuma non becchi un centesimo.»

Il barista non batté ciglio, prese un boccale e lo riempì fino all'orlo. Eseguì l'operazione con la meccanicità di un automa, tornò da Ripper e glielo fece scivolare sotto il naso. Di schiuma non ce n'era, ma la cosa non scoraggiò il biker, che prese un sorso e allontanò il boccale con stizza.

«È calda come piscio», sbottò.

Un tipo con una cresta rosa, seduto tre sgabelli più in là, si girò a guardare.

«Offre la casa», disse il barista.

«Ci puoi giurare», fece Ripper, e riprese a bere.

D'un tratto sembrava aver dimenticato che la sua bevanda sapeva di piscio.

I Lynyrd si avviavano alla conclusione. Una rossa con una minigonna di jeans vertiginosa, che sedeva sulle gambe di un grassone con bandana rossa e canottiera, si avvicinò al jukebox sistemato in un angolo. Spulciò oltre il vetro, attese la fine della canzone, infilò una moneta e pigiò un tasto. Ci fu una sfilza di rumori meccanici. Un momento dopo la musica scaturì dagli altoparlanti sistemati all'interno del locale e Sammy Hagar iniziò a cantare I can't drive 55.

Ripper finì la birra, si ripulì le labbra col dorso della mano e ruttò in faccia al barista quando questi tornò a prendere il boccale. Anche stavolta non ottenne una reazione. Giudicò che quel panzone pelato fosse abituato a intimidazioni di ben altro tenore. Peccato, ci sarebbe stato di che divertirsi.

La rossa tornò a sedersi sulle gambe del ciccione e prese a carezzargli il pancione. Ripper stava guardando la scena e fantasticando sui cento modi in cui si sarebbe rigirato la rossa, quando qualcuno gli batté sulla spalla. Allora si voltò, le dita serrate a pugno, pronto a frantumare il naso del coraggioso ma molto stupido tizio che aveva osato toccarlo e si fermò giusto un attimo prima di sferrare il cazzotto. Le dita si rilassarono mentre fissava un tizio alto, con una barba biondo cenere e capelli lunghi dello stesso colore.

«Ciao, Hunter», esordì l'uomo. «È un secolo che non ci si vede.»

E la mente di Ripper tornò indietro.

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