10
Arlene era persino più piccola di Chesterville. La Main Street era una strada larga, costellata da piccoli edifici tutti immersi nell'oscurità. Tutti tranne uno: una catapecchia di legno con un'insegna basculante. Da una piccola finestra scaturiva una luce lattiginosa. Ripper la superò e, mentre rombava ammazzando la quiete di quel posto, si rese conto di non sapere dove dirigersi.
Rallentò, fece inversione e tornò alla bicocca con l'insegna. Sul pannello di legno erano disegnate una scarpa e un martello. Smontò e si diresse alla porta. Avvicinò il viso al vetro polveroso e sbirciò all'interno senza riuscire a vedere molto. La luce veniva fuori da un andito, in fondo, che costituiva il passaggio per raggiungere un'altra stanza. Non c'erano movimenti di sorta né sentiva rumori provenire dall'interno. Se qualcuno c'era, doveva essere maledettamente silenzioso. Decise comunque di bussare. Restò in attesa e quando decise per una seconda, energica bussata, una sagoma sbucò dal nulla e barcollò fino alla porta. Ripper riuscì a capire solo che si trattava di un ometto minuto. L'ometto si fermò a non più di tre passi dalla porta, proprio dove iniziava la zona d'ombra dell'anticamera.
«Siamo chiusi», disse.
Dalla voce sembrava anziano.
«Questo lo vedo», fece Ripper. «Voglio solo sapere se nei paraggi c'è una fattoria.»
«L'unica che mi viene in mente è la fattoria dei Miller, ma è abbandonata da un pezzo.»
«Come ci arrivo?»
L'uomo si prese qualche secondo prima di rispondere. «Devi proseguire verso est. Quando arrivi al bivio, prendi a destra. Esci dalla città e tira dritto per un paio di miglia. Te la vedrai sbucare sulla destra.»
Ripper restò a osservare l'ometto in ombra. Non riusciva a vederlo in faccia e la cosa lo innervosiva. Aveva la sensazione di parlare con un fantasma.
Dacci un taglio con queste stronzate.
«Dritto verso est, destra, e ancora dritto per due miglia. Tutto chiaro», disse e si voltò per andarsene.
«Ragazzone», chiamò l'ometto.
Ripper si congelò mentre era ancora nell'atto di girarsi. Una lama di ghiaccio gli si piantò nella schiena e la pelle gli si accapponò di colpo. Provò a parlare all'ometto che lo spiava dal suo fortino di tenebra, ma quando aprì bocca gli uscì solo un sussurro incomprensibile.
«Non c'è nulla in quella fattoria. Ci troverai solo i fantasmi dei Miller che vagano per le stanze della casa patronale.»
«Chi sei?» chiese Ripper.
Iniziava a pensare che oltre quel vetro ci fosse Red. Un Red con la gola tagliata e un buco nel cranio, grosso come una noce, dal quale si intraveda la massa spugnosa e pulsante del cervello.
«Cosa vai cercando, eh, figliolo?» chiese
(lo spettro)
l'ometto oltre il vetro.
Era Red, non poteva essere che lui. Non era riuscito a convincerlo durante il trip mentale sulla collina e aveva ottenuto un lasciapassare dal Vecchio Barbuto per tornare tra i vivi e ribadire il concetto.
«Fanculo», ruggì Ripper.
Un'espressione furente gli imprigionò la faccia mentre afferrava il pomello e iniziava a strattonarlo come se volesse sradicare la porta dai cardini. Il vetro tintinnò. La figura bruna non fece una piega per tutto il tempo, cosa che accrebbe la furia di Ripper.
«Finocchio del cazzo! Fatti vedere o giuro che do fuoco a questa bicocca di merda!»
Ripper iniziò a prendere a calci la porta. Solo allora l'uomo decise che era giunto il momento di darsela a gambe. Girò i tacchi e infilò a tutta birra l'andito dal quale era sbucato. Per un breve istante la luce lattiginosa dell'andito illuminò i suoi lineamenti. Ripper poté vedere che non si trattava di Red e da incendio che era, la collera si ridusse a un focherello sulla capocchia di un cerino.
Tornò alla moto, montò in sella e ripartì senza voltarsi indietro. Percorse la Main Street a tutta velocità. Giunto al bivio prese a destra, quindi uscì da Arlene. Come gli aveva anticipato l'uomo, dopo un paio di miglia vide comparire il fantasma di una costruzione. Rallentò e abbandonò il manto stradale. La Fat Boy sobbalzò sul terreno accidentato più congeniale a un pick-up o a una moto da cross. Spense il motore e sfruttò l'inerzia del movimento per avvicinarsi di qualche altro metro, quindi smontò ancor prima che la moto avesse tempo di fermarsi e prese a spingerla, chino sul manubrio come se volesse farsi piccolo per non essere visto. Arrivò alle spalle della casa patronale e lasciò lì la moto, quindi si prese un attimo per preparare la mossa successiva.
Non aveva un piano. Non era mai stato un grande stratega. Di solito si buttava nella mischia a testa bassa e dare la carica a tutto ciò che si muoveva. Quello bravo a pianificare era Ryder. E con gli uomini che aveva a disposizione, avrebbe potuto preparare un'accoglienza coi controfiocchi.
Se non mi faccio venire un'idea sono fottuto.
Di sicuro c'erano uomini piazzati lungo tutto il perimetro della fattoria. Era un miracolo che non l'avessero già individuato.
Chi ti dice che un Angel di vedetta non stia riferendo proprio adesso a Ryder di aver visto un tizio in moto che rallentava sulla strada e veniva giù verso la casa patronale?
Si abbandonò contro la parete insudiciata e picchiò la base del pugno sulle assi annerite in un gesto di stizza.
Sono nella merda fino al collo e anche più su.
Per quanto, se anche avesse avuto un buon piano era comunque disarmato. Di sicuro quegli altri lo aspettavano con catene, coltelli e mazze ferrate.
Pensa, maledizione, pensa.
Ryder aveva parlato di una stalla. A parte quella e la casa non c'erano altri posti in cui potersi nascondere. Quindi Ryder, e di conseguenza Red, dovevano essere entrambi in una delle due costruzioni. Era certo che fosse Ryder in persona a sorvegliare Red, perché il vecchio era la sua polizza, e trattenerlo equivaleva a tenere Ripper per le palle.
Continui a correre dietro ai fantasmi, ragazzone?
Ripper sobbalzò. Si guardò intorno come se si aspettasse di vedere qualcuno, ma era solo.
«Che diavolo...»
Era stato un pensiero suo o cosa?
Si chiese se non stesse impazzendo.
Niente del genere, ragazzone, solo cerca di non sbroccare. Ti servirà tutta la materia cerebrale a tua disposizione – che non è molta, perdona la franchezza – per tirarti fuori da questo casino nel quale stai per ficcarti.
«Red?» chiese Ripper con un filo di voce. «Sei tu?»
E chi sennò, la fata turchina?
«Ma cosa... come...»
Prendi un respiro e non fartela sotto.
Ripper si lasciò scivolare lungo la parete alle sue spalle finché non si ritrovò seduto. «Dove sei?»
Non ne sono sicuro. È tutto immerso in una luce accecante. Ricordo solo che un attimo prima ero seduto a parlare con te e un attimo dopo ero qui, in questo mare bianco.
La bocca di Ripper si spalancò. «Allora non è stato...»
Un sogno? Una risata bronchitica e tuttavia gioviale rimbombò nella mente del biker. Era reale quanto la tua moto. Pensavo che ormai l'avessi capito. Mentre eri svenuto ti trovavi in bilico tra la vita e la morte, come è successo a me. La differenza è che tu ce l'hai fatta a tornare indietro mentre io no.
Le parole di Red aprirono le porte a una nuova consapevolezza e Ripper si rese conto in un istante di averlo sempre saputo. Quella parte di sé, sepolta sotto la superficie della coscienza, affiorò per raccontargli la verità che aveva bisogno di sentire: Red era morto.
Ma non darti pena per il vecchio Red. Meglio così che per colpa di un cancro. E adesso basta piangere sulla birra versata e apri le orecchie. Te lo dico chiaro e tondo: non ce la farai a tenerli a bada da solo, quindi ecco che devi fare.
«Non me ne vado, se è questo che stai per chiedermi.»
Lo so, lo so, accidenti alla tua testaccia dura, ecco perché l'unica cosa che puoi fare, se vuoi salvarti le chiappe, è uscire allo scoperto.
«Ti ha dato di volta il cervello? Mi impiccheranno al primo ramo.»
Fidati del vecchio Red. E poi non mi sembra che tu abbia un piano migliore.
Ripper digrignò i denti. Avrebbe voluto avere abbastanza cervello da poter imbastire qualcosa. Consegnarsi a Ryder come un pacco regalo con tanto di fiocco non gli pareva l'idea del secolo, ma Red sembrava convinto.
«E va bene», acconsentì Ripper, seppur a malincuore. «Facciamo a modo tuo.»
Si mise in piedi e aggirò la casa fino ad arrivare sul davanti. Le finestre al secondo piano erano orbite vuote che fissavano l'eternità. Ripper ricordò quel che aveva detto l'ometto
(non c'è nulla in quella fattoria. Ci troverai solo i fantasmi dei Miller che vagano per le stanze della casa patronale)
e grugnì per scacciare il gelo lungo la schiena.
«Ryder!» urlò. «Sono qui, vieni a prendermi!»
Attese, ma non colse nessun movimento dietro le finestre al secondo piano e del piano terra. Dalla casa non si levò neanche uno scricchiolio. Possibile che non ci fosse nessuno appostato lì dentro?
«Andiamo, non ho tutta la notte! Fatti vedere, fottuto pezzo di merda, e sistemiamo 'sta faccenda!» Visto che non si muoveva una foglia, si avviò verso la stalla. «Ti nascondi, eh, cacasotto? Mentre te la fai sotto, perché non mandi fuori un paio dei tuoi? Ho voglia di sciogliermi i muscoli!»
Si fermò a pochi passi dalla costruzione fatiscente. L'ingresso era spalancato e sembrava una grossa bocca famelica.
«Se ti aspetti che vengo dentro sei tutto matto», disse, rivolgendosi al buio uniforme all'interno della stalla. «Basta con queste stronzate, vieni fuori e risolviamola. Io e te. O devo pensare che te la fai sotto?»
Per un attimo ebbe l'assurda sensazione che il buio si agitasse come una cosa viva. Poi Ryder sbucò dall'oscurità come un incubo.
«Ce l'hai fatta», fece Ripper.
«Hai fatto prima di quanto mi aspettassi. Ci tieni proprio a quel matusa, eh?» replicò Ryder prima di inviargli uno dei suoi sorrisi da squilibrato. «È sul retro. Lo vuoi vedere?»
«Dacci un taglio, lo so che l'hai fatto fuori.» Ryder sussultò come se l'avesse schiaffeggiato. «L'avevi architettata fin dall'inizio, non è vero? L'avresti fatto fuori comunque. Di' un po', come hai fatto? L'hai impiccato come hai fatto con Creeper o gli hai sfondato la testa come hai sfondato quelle di Sonny e Spike?»
L'espressione di Ryder mutò in choc.
Allora è vero.
«Sei un figlio di puttana fuori di testa», ringhiò Ripper.
«Non dirlo.»
«Che cosa? Che sei uno schizzato figlio di puttana che si scopa i cani randagi?»
Ryder snudò i denti: due file di pietre tombali interrate nelle gengive. Un furore infernale gli imbrigliava il volto.
«Mi ci gioco l'uccello che hai dato una bottarella a Creeper prima di appenderlo come un salame. E a Sonny, prima di sfondargli la testa», continuò Ripper. «Poi, già che c'eri, l'hai messo tra le chiappe di Spike per vedere che effetto faceva spingerlo in un buco più piccolo.»
Ghignò. Se avesse avuto a disposizione uno specchio nel quale guardarsi, avrebbe visto un sorriso identico a quello di Ryder.
«Sei il più schizzato figlio di troia del pianeta.»
Ryder ringhiò: un brontolio basso simile a quello di un motorino.
Lo stai mandando fuori di testa, si disse. Poi, come un faro nella nebbia: dagli l'ultima spintarella.
«Di un po', schizzato di uno psicopatico, com'è fottersi un cadavere?»
Ryder si lanciò su Ripper muggendo. Provò a placcarlo, ma Ripper intuì le sue intenzioni e scartò di lato. Le braccia di Ryder afferrarono l'aria per un momento, poi il numero uno degli Angels finì lungo disteso, impattando il terreno con un ougf! di sorpresa.
«Che ti prende, cavallo pazzo? Già stanco?»
Ryder fece per rimettersi in piedi ma Ripper fu lesto a stampargli la suola dell'anfibio sulle chiappe, rispedendolo a terra.
«Fammi vedere quanta voglia hai di staccarmi la testa.»
Ryder si rialzò mulinando le braccia, perse per un attimo l'equilibrio e lo ritrovò. Si volse a guardare Ripper con gli occhi di un pazzo furioso. Un filo lucido di saliva, sottile come la tela di un ragno, gli scendeva da un angolo della bocca. Si lanciò di nuovo alla carica muggendo. Stavolta provò a sferrare un destro in corsa, ma Ripper si abbassò e gli rifilò un cazzotto alla bocca dello stomaco. Ryder accolse il colpo con un uff! e si piegò appena prima che l'altro lo placcasse come in un'azione da football. Ripper gli fu sopra come un leone sulla gazzella e prese a mitragliarlo di pugni. Ebbe il tempo di aprirgli un paio di tagli profondi su uno zigomo e sulla fronte, prima che gli Angels nascosti nella stalla si riversassero fuori a mo' di mandria impazzita. Ripper li vide sciamare come vespe incazzate e fece l'unica cosa possibile: batté in ritirata. Corse verso la casa, arrivò sul retro e montò in sella alla Fat Boy. Mise in moto ma riuscì a fare solo pochi metri prima che il motore iniziasse a tossicchiare e si spegnesse.
«Che cazzo ti prende?» Diede una rapida occhiata e si accorse della chiazza scura per terra, nel punto in cui aveva lasciato la moto. «Figli di puttana», ringhiò.
Gli avevano messo fuori uso il tubo della benzina. Smontò mentre l'avanguardia degli Angels aggirava la casa, mollò la Fat Boy e corse via. Il suono sferragliante della moto che crollava su un fianco fu una coltellata al cuore. Si diresse verso la strada, nella direzione dalla quale era venuto, facendosi arrivare i talloni dietro le orecchie.
Non di là, ragazzo! Ripper frenò. La casa, entra in quella maledetta casa e barricatici dentro come in un dannato fortino!
Ripper si guardò alle spalle. Gli Angels guadagnavano terreno. Guardò ancora la strada. D'improvviso si sentì come scisso in due persone distinte: una che correva verso l'asfalto e l'altra che andava verso la casa.
«'Fanculo.»
Si gettò a rotta di collo contro gli Angels. Buttò giù il primo con un diretto in pieno muso, quindi si fece strada fra altri due bikers mingherlini a spallate. Uno di loro riuscì a rifilargli un cazzotto sulla schiena. Ripper lo percepì come il prurito dovuto al morso di una zanzara, quindi ne fece volar via un altro come un birillo abbattuto da una boccia scagliata a folle velocità. Un quinto Angel gli si avventò contro. Ripper lo afferrò, lo sollevò e lo usò come ariete per farsi largo fra altri tre che arrivavano di gran carriera, poi lo gettò da parte come un sacco dell'immondizia.
Arrivò a risalire i gradini del portico prima che gli Angels ritardatari lo raggiungessero e si chiuse la porta alle spalle, bloccandola con il proprio peso. Tempo pochi secondi e udì rumore di passi frenetici su per gli scalini, poi il pomello prese a girare. Ripper ci chiuse il pugno attorno, fermandolo. Qualcuno iniziò a prendere la porta a spallate.
«Togliti di mezzo», disse una voce da fuori.
La porta smise di sussultare per un paio di secondi, poi il gran casino ricominciò, ma Ripper non mollò di un solo millimetro.
«Serve una mano?» domandò sorniona una seconda voce.
«Chiudi quel forno. Deve averla bloccata. Fai il giro e vedi se riesci a trovare un modo per entrare.»
Rumore di passi che si allontanavano. Ripper non si mosse, ma un occhio gli cadde su un'asse divelta del pavimento. Allungò una gamba e con la suola dell'anfibio la avvicinò a sé. Si accovacciò a prenderla e la usò per puntellare il pomello, di modo che non girasse. Non appena si allontanò, la porta ricominciò a sussultare come un polmone in iperventilazione. L'asse che aveva piazzato non avrebbe tenuto per molto. Doveva trovare qualcosa di più efficace.
Si allontanò, infilò un andito e si ritrovò in cucina. C'erano un tavolo e un paio di sedie. Prese una sedia, quella che pareva più solida, e tornò indietro. L'asse era ancora al suo posto, ma non c'era da fidarsi. Ripper si schiacciò contro la porta. I colpi avevano ora la cadenza di una lancetta dei secondi. Ripper aspettò una pausa e ne approfittò per fare il cambio. Con un calcio fece volare via l'asse e la sostituì con la sedia. All'udire i rumori che provenivano dall'interno, l'Angel di fuori si fermò, prolungando la pausa, quindi ricominciò con maggior impeto.
Ripper si allontanò. Lo schienale era ben fissato sotto il pomello, ma forse era meglio aggiungere un po' di peso. Tornò in cucina e trascinò il tavolo attraverso l'andito. Era di legno pesante, proprio quello di cui aveva bisogno. Faticò più del necessario, ma alla fine riuscì a poggiarlo contro la porta. Si allontanò per dare un'occhiata. La porta sussultava ancora, ma meno di prima. Considerò che avrebbe retto il tempo utile perché pensasse a come uscire da quella situazione del cazzo.
Tornò in cucina e diede un'occhiata in giro. Aprì uno dopo l'altro tutti i cassetti in cerca di qualcosa di utile, ma li trovò vuoti. Prese allora a controllare i pensili ma, a parte qualche vecchia padella corrosa, non c'era nulla. Tornò indietro e percorse l'andito passando davanti alla porta. I tonfi avevano cambiato cadenza. Ripper pensò che chi c'era prima avesse lasciato il posto a un altro.
Entrò in una seconda stanza, dove non c'era nulla a parte la carcassa di una TV dallo schermo fracassato, un rialzo di legno sul quale la TV era piazzata e un divano con la federa strappata. Tutto il resto dovevano averlo portato via parecchio tempo prima. Tornò allora indietro e salì al secondo piano, cercando di fare meno rumore possibile per non farsi individuare. Gli scalini di legno che gemevano a ogni passo non lo aiutarono granché.
Il piano superiore era formato da un corridoio lungo il quale si susseguivano quattro porte. Ripper si accovacciò, camminò rasente il muro per non essere scorto dalle finestre che davano sul portico ed entrò nella prima stanza. La luce lunare filtrava dalla finestra e illuminava una porzione della parete sopra la testiera del letto. Ripper si rese conto che era la stanza di un bambino, perché sulla carta da parati scolorita erano disegnati dei cowboy a cavallo. Nel mezzo di due cowboy, subito sopra la testiera, campeggiava una macchia scura. Sentì la voce di Ryder informarlo che in quella casa era avvenuto un fatto di sangue. Gliene aveva parlato mentre erano seduti al bancone del bar dove Ripper aveva fatto sosta quella mattina, dopo aver terrorizzato Mezzasega.
Un'ombra alta e larga si allungò sopra di lui e strisciò sul pavimento della stanza. Mentre la guardava allargarsi come una macchia d'olio su una pozzanghera, gli sfrecciarono in mente le parole dell'ometto.
Ci troverai solo i fantasmi dei Miller che vagano per le stanze della casa patronale...
L'ombra si allungò come quella di un'eclissi, divorandolo. Un'asse del pavimento gemette. Ripper pensò che uno spettro non poteva far gemere le assi di un qualunque pavimento, poi un braccio gli si avvitò attorno al collo come un serpente e lo tirò su di peso. Tentò di liberarsi, ma il tizio a cui apparteneva il braccio aveva una forza mostruosa e non mollò la presa di un centimetro. Ripper batté i talloni sul pavimento, si portò le mani alla gola e provò a staccarsi di dosso le spire di quel serpente che gliela serrava, ma fu inutile. Fece scendere la mano e afferrò i calzoni dell'uomo, in un ultimo e disperato tentativo.
«Toglimi quella cazzo di mano di dosso, finocchio», recitò una voce in un tono piatto da far gelare il sangue.
«Ci penso io a questo stronzo», disse una seconda voce, meno ferma di quella che apparteneva al
(fantasma)
bisonte che teneva Ripper, e qualcosa sibilò nell'aria.
Ripper ne intravide il movimento con la coda dell'occhio prima che gli si abbattesse sul fianco come una clava. Il dolore fu intollerabile. Gridò e provò a piegarsi da un lato, ma il bisonte che lo teneva non glielo permise.
«Dagliene un'altra, dritto in testa», disse quella voce senza inflessioni.
«Il capo ha detto...»
«So quello che ha detto. Non voglio ammazzarlo, solo metterlo fuori gioco.»
Ripper pensò di approfittare di quel momento: mise entrambi i piedi in terra e si diede la spinta provando a buttare giù l'altro con la forza del suo peso, ma fu troppo ottimista. Il bisonte resse l'urto, barcollando appena. La morsa intorno al collo restò salda. Alla fine, l'unico risultato che ottenne fu di sentire il fianco farsi rovente.
«Da' qua, coglione», disse il
(fantasma)
bisonte.
Ripper sentì il corpo alle sue spalle muoversi e vibrare di rabbia. La morsa intorno al collo si allentò, poi due mani lo spinsero via, mandandolo a schiantarsi contro il muro. Ripper batté la faccia sulla parete.
Poi un miliardo di stelle gli esplosero in testa e non sentì più nulla.
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