OGGI - CAPITOLO 1

Centre de Conservation du Louvre

Liévin

FRANCIA

1

L'uomo aveva appena finito di squarciare il telo di plastica che rivestiva la cassa di legno quando l'allarme iniziò a risuonare fra le pareti di metallo.

Non avrebbe dovuto farlo, eppure, era successo.

Il virus elettronico che si era premurato d'iniettare nella centralina dell'edificio per bloccare l'afflusso di energia geotermica alle pompe di calore evidentemente era stato neutralizzato. Già, ma da chi? Non lo sapeva e comunque non era il momento più adatto per porsi una simile domanda. Adesso aveva un compito più urgente: portare a termine il furto prima che qualcuno lo bloccasse là dentro. Senza perdere la calma infilò perciò il coltello nell'incavo laterale del coperchio e fece forza. Appena sentì lo scricchiolio del legno che si rompeva, affondò la lama e spinse in avanti.

La cassa si aprì di scatto.

Lasciato il coltello, infilò la mano all'interno estraendo dapprima la carta argentata e il tessuto di protezione, infine, il dipinto conservato al di sotto. Una volta afferrato, lo mise sotto la giacca e recuperò il coltello. Era passato solo un minuto da quando era scattata la sirena, ma per lui era fin troppo. Doveva filarsela, e alla svelta. Si voltò e si mosse rapido verso l'unica via d'uscita possibile, il garage a fianco della camera di stoccaggio in cui si trovava. All'improvviso però le luci al neon che correvano lungo tutto il soffitto si accesero, illuminando quasi a giorno l'intero ambiente e dandogli così la conferma che qualcuno stava realmente riattivando tutti i sistemi. Senza perdere tempo si nascose dietro una delle enormi strutture di ferro che ricoprivano l'intera area fin quasi al soffitto, appiattendosi contro le casse contenute all'interno. A quel punto diede uno sguardo intorno a sé. Ce ne erano a centinaia di quei contenitori di legno e per il momento costituivano il nascondiglio ideale, ma non sarebbe potuto rimanere lì dentro ancora a lungo.

Cercò di pensare alle possibili vie di fuga.

L'edificio era una struttura gigantesca, più di diciottomila metri quadrati divisi in otto aree, con sale di studio, biblioteche, archivi e laboratori, quasi tutte realizzate sottoterra a parte il garage e il parcheggio esterno.

Non c'erano quindi molte alternative. Aveva studiato a lungo la piantina dell'area ed era dal parcheggio che sarebbe dovuto passare, sempre che le guardie di ronda avessero rispettato il giro di pattugliamento dell'intero perimetro esattamente come lui l'aveva osservato nei giorni precedenti. I pochi minuti tra un cambio e l'altro gli sarebbero stati sufficienti, altrimenti...

Alzò lo sguardo verso l'alto, pensando per un attimo all'opzione del tetto, ma poi scosse la testa scartando subito quell'idea. L'edificio era stato costruito per immergersi e confondersi nell'ambiente circostante e quella zona era stata perciò trasformata in una specie di giardino, con tanto di sensori di pressione e movimento che avrebbero segnalato la sua posizione non appena vi avesse messo piede.

L'allarme intanto continuava a risuonare fra le fredde pareti del deposito ricordandogli che il tempo scorreva veloce.

Guardò l'orologio. Ancora un minuto alla fine del giro di ronda. Si mosse furtivo al riparo delle strutture di ferro dirigendosi verso l'uscita e quando giunse a pochi metri dalla saracinesca che oscurava il passaggio usato dai camion, si fermò. Era ancora chiusa, ma a quel punto tanto valeva aprirla senza mezzi termini visto che ormai ogni precauzione sembrava andata a farsi benedire.

Il minuto era passato. Ora o mai più.

Schiacciò il pulsante a lato del muro e prima ancora che la saracinesca si alzasse del tutto, si gettò a terra rotolando fuori. La moto l'aveva lasciata sul lato opposto del parcheggio, sul bordo della strada, confusa tra la vegetazione. Gli sarebbero bastati solo un paio di minuti per raggiungerla per cui si alzò e scattò in avanti, ma proprio in quel momento l'intera area venne illuminata a giorno da quattro enormi fari a led. Una voce femminile squarciò il silenzio della notte. «Non si muova, o faccio aprire il fuoco.»

Si fermò di colpo.

Stava ancora cercando di capire da dove provenissero quelle parole quando vide avvicinarsi una donna con una pistola puntata su di lui. Portava un'uniforme nera con stampato all'altezza del cuore uno strano logo, una specie di occhio stilizzato racchiuso da un triangolo. Sotto, in rosso, la parola HORUS.

«Le Marquis Noir!» fece lei con un largo sorriso una volta giunta a pochi passi. «Quale onore!»

Lui la fissò dritta negli occhi con aria interrogativa. «E lei sarebbe...?»

La donna si fece seria. «Quella che l'ha incastrato, a quanto pare.»

«Di cosa sta parlando?»

«È un falso» gli rispose indicando la giacca «il quadro che ha appena rubato, è un falso. Lo abbiamo fatto noi, proprio per poterla cogliere in fragranza di reato e vedo con piacere che il piano ha funzionato alla perfezione.»

Lui alzò le spalle. «Quindi immagino che anche l'articolo sullo spostamento del dipinto non fosse vero...»

«Sono stata convincente eh? Avevamo bisogno di un pretesto per ricattarla e cosa ci può essere di meglio per uno come lei della rivelazione della propria identità?»

«Quindi lo farete?»

«Questo dipende da cosa deciderà nelle prossime ore.»

«Cosa intende?»

«Lo scoprirà presto» ribatté la donna senza aggiungere altro. «Adesso però venga con me» aggiunse poi facendo oscillare la pistola in direzione di una berlina nera a qualche decina di metri di distanza «noi due dobbiamo parlare.»

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