DICEMBRE 1944 - PARTE SECONDA

L'alba ci mostra la devastazione della notte in tutta la sua crudeltà. Cumoli di macerie sovrastano le strade sotto un cielo ancora grigio. Ha smesso di nevicare, ma il vento non accenna a diminuire alzando nugoli di polvere dagli edifici caduti. Il camion procede lentamente fra quelle strade, aggirando massi e travi di cemento, alberi caduti e voragini nel terreno. Quando infine giungiamo in vista del Danubio osservo con un mesto sorriso il ponte di fronte. Per fortuna non è stato colpito ma è proprio per questo che una fila di quattro autoblindo della Wermacht ne occupa tutto lo spazio. A quanto pare, è l'unica via rimasta per lasciare la città. Ci accodiamo, in allerta. Stare fermi insieme a un convoglio di tedeschi potrebbe essere un problema, ragiono tra me, ma la resistenza sembra per il momento essersi soffocata e l'incursione della sera precedente è ormai un lontano ricordo. Gli alleati devono aver proseguito verso nord lasciando dietro di sé una lunga scia di morte e distruzione.

Dobbiamo trovare del cibo e un luogo per riposare, ma qui sembra che non ci sia più nulla. Sento i soldati tedeschi sbraitare poco più avanti, ma nessuno di noi esce per non perdere altro tempo. Un'ora più tardi il camion supera il ponte e s'immette sulla strada che porta fuori da Linz.

Focolai si intravedono ancora alle nostre spalle con fili di fumo che s'innalzano verso l'alto come tante striature biancastre, mentre l'aria pungente continua a sapere di bruciato anche a distanza. L'asfalto corre in mezzo alla campagna austriaca, intervallato da buche e da tronchi d'albero caduti che rallentano ancora una volta l'avanzata. Proseguiamo fino a quando non avvisto sulla destra una vecchia fattoria. Un filo di fumo esce dal camino. Do l'ordine di muoversi in quella direzione, forse là troveremo del cibo.

Parcheggiato il camion sullo sterrato esco per primo, con Otto Bauer a qualche metro di distanza a coprirmi le spalle. Busso. Mi viene ad aprire una signora anziana che, riconosciuta la divisa da ufficiale delle SS, mi fa cenno d'entrare. Il tepore del fuoco nel camino mi scalda fin dentro le ossa. La donna mi dice che vive da sola da tanto tempo e che è felice di scambiare quattro chiacchiere con me. Scopro che è una fervente seguace di Hitler e che, come tutti noi, spera fino all'ultimo in una vittoria della Germania.

Rincuorato, faccio entrare anche i miei soldati e subito dopo la signora ci fa accomodare offrendoci ciò che ha, del pane e del formaggio fresco. Rimaniamo qualche ora per riposare e far asciugare i vestiti, poi ci rimettiamo in marcia.

Il confine con la Cecoslovacchia non è lontano. Laggiù ci attende la parte più difficile del viaggio, attraverso un Paese in cui solo qualche mese fa la Guardia di Hlinka, la milizia filonazista slovacca, ha allontanato i combattenti della resistenza dopo che i russi hanno attraversato il confine. I tedeschi so che hanno ottenuto il controllo della Slovacchia togliendole l'indipendenza, ma sono pure a conoscenza che il movimento partigiano non si è arreso del tutto ed è fuggito sulle montagne. Potrebbero esserci rappresaglie, per cui dobbiamo muoverci con cautela.

Due ore dopo aver lasciato la fattoria attraversiamo il confine diretti a nord-est verso Praga.

***

Siamo abbastanza vicini alla città, ma la monotonia del viaggio mi fa quasi addormentare, per cui cerco di dirottare i pensieri verso qualcosa che mi tenga sveglio. Ripenso così al lontano 15 marzo del 1939. Quella fu una data importante per noi perché fu quando le truppe tedesche, combattendo contro una devastante tempesta di neve e svariati problemi tecnici ai veicoli, fecero irruzione a Praga impadronendosi di fatto della Boemia e della Moravia. In quell'occasione i cittadini tedeschi della capitale salutarono e sventolarono le bandiere con la svastica, al contrario di gran parte dei cechi che invece mostrava la propria rabbia inorridendo, sopraffatta dall'impotenza e dalla disperazione. Lo ricordo bene quel giorno. Io mi trovavo ancora in Austria, ma molti colleghi ufficiali erano là e mi hanno raccontato ogni dettaglio. Un nuovo sobbalzo mi riscuote dai pensieri. Osservo di nuovo fuori. Come per Linz anche qui la guerra ha lasciato il segno. Ovunque ci sono macerie. Ponti semi distrutti, villaggi abbandonati, campagne bruciate. Sembra di attraversare l'inferno. I maledetti alleati non hanno risparmiato nulla, scagliando bombe a tappeto lungo tutto il perimetro del confine.

Il vento è finalmente calato, ma il cielo rimane scuro e minaccioso. Ogni tanto incontriamo un camion che si muove nella nostra stessa direzione, ma sono rari. Molti invece sono bloccati a bordo strada, con il motore fuori uso, come elefanti feriti. Non possiamo fermarci per dar loro una mano, non posso mettere a rischio la missione più di quanto già non stia facendo. Hitler si aspetta una risposta sul buon esito e io devo anteporre ciò a tutto il resto.

Otto Bauer si è slogato una caviglia nella sosta precedente scivolando su alcuni sassi bagnati e ha gran parte della gamba destra gonfia. Non ho nulla per aiutarlo a parte il ghiaccio che, per fortuna, non manca. Ci siamo fermati poco prima per riempire nuovamente un secchio con la neve che Otto sta usando per tamponare il dolore. Forse una volta giunti a Praga nel distaccamento tedesco potremmo trovare cibo e medicinali, ma fino ad allora dovrà stringere i denti.

Il tempo scorre lento mentre proseguiamo verso nord. La campagna è monotona, lunghe strisce di terra bianco marrone intervallata da qualche casolare. Non abbiamo incontrato posti di blocco fino a questo momento e nemmeno troppa gente.

I villaggi che oltrepassiamo sembrano deserti. La maggior parte dei negozi è vuota, con cartelli che proclamano la chiusura per la vittoria del Reich. Le strade sono piene di spazzatura e il puzzo è intollerabile.

La giornata sta volgendo al termine quando in lontananza si intravede finalmente il profilo di Praga.

***

Vedo il castello di Praga che svetta sulla collina come una muta sentinella. Lo osservo dal finestrino mentre il camion passa lentamente sobbalzando sul Ponte Carlo. Per fortuna le bombe degli alleati sembra che abbiano risparmiato gran parte della città e dalle notizie ricevute pare che le milizie naziste stiano ancora tenendo duro nonostante la continua guerriglia della resistenza.

La città però appare silenziosa e sinistra, apparentemente pacifica, ma so che non è così. I miei informatori mi hanno messo in guardia. Dopo l'attentato e l'uccisione di Heydrich, avvenuta due anni prima, le cose sono molto peggiorate in tutto il territorio e le bande partigiane possono adesso contare su quasi cinquemila uomini. Il Protettorato non è ancora stato attaccato, ma non so quanto ancora potrà durare questa situazione. I Russi sono molto vicini e questo preoccupa. Le truppe filosovietiche stanno tentando di conquistare la gran parte dei territori al confine con la Germania pronti a stringere un cappio intorno al nostro Führer adesso che l'intera Europa sta vincendo la guerra. Le loro manovre sono favorite dalla miseria e dalla demoralizzazione per le sconfitte subite oltre che dalla perdita dei quadri migliori dell'esercito sul fronte dell'Est. Le incursioni si stanno intensificando sollevando la popolazione e incitandola a insorgere. Dovremo fare molta attenzione.

Intanto il vento è calato, ma fa ancora molto freddo. La neve non ha risparmiato nemmeno Praga che mi appare come una debole donna vestita di bianco. In giro non si vede anima viva. I negozi sono chiusi, con cartelli che proclamavano la vittoria del Reich e ovunque si vedono cumuli di spazzatura. Le poche auto che ho notato sono tedesche e pattugliano i quartieri in cerca di dissidenti.

Non ci sono altri mezzi a giro se non qualche bicicletta, gettata ai lati delle strade o poggiata ai muri sporchi delle abitazioni e qualche tram logoro con i vetri spaccati. Alcuni di loro sono fermi all'ingresso della città vecchia, abbandonati come oggetti ormai inutili. Qualche gatto si muove fra i rottimi lanciando il suo debole miagolio.

Proseguiamo in silenzio. Ormai siamo vicini e ciò che spero di trovare per i miei soldati all'interno della sede del Protettorato e soltanto cibo e qualche medicinale. La gamba di Otto è sempre più gonfia e temo che non sia in grado di proseguire nel viaggio. Dopo quindici minuti, entriamo nel quartiere del Castello e fermiamo il camion a pochi metri dalle possenti mura che circondano la Cattedrale. Scendo per primo, ordinando ai soldati di stare in guardia. Intorno a me c'è un gran silenzio, rotto soltanto dalla voce della guardia che mi si avvicina con il fucile puntato.

«Ufficiale Frederich Wagner» sbatto i piedi per terra alzando la mano nel saluto ufficiale del Reich «sono in missione per conto del Führer. Ho bisogno di passare la notte al sicuro.»

Il soldato osserva la mia uniforme e quando gli faccio il nome di Kurt Daluege mi fa passare subito. Conosco Kurt da molto tempo e so che da un paio d'anni ha preso il posto di Reinhard Heydrich al comando del Protettorato. Anche se le sue condizioni di salute sono pessime, a quanto mi è stato riferito, sono sicuro che ci darà l'accoglienza che meritiamo.

Mezz'ora più tardi il camion entra all'interno delle mura. Per stanotte ci attende un riposo tranquillo e caldo.

***

Come avevo sospettato la caviglia di Otto Bauer è lussata. Il medico che l'ha visitato è stato categorico e gli ha proibito di proseguire nel viaggio, per cui all'alba siamo ripartiti solo in quattro, me compreso. Ci attende l'ultima parte del viaggio. Non ho voluto comunque altri soldati. Il carico è troppo prezioso e non posso rischiare che qualcuno al di fuori dei fedelissimi da me scelti possa scoprire cosa trasportiamo. Le truppe tedesche di stanza al protettorato ci hanno rifornito di cibo e munizioni per cui sono confidente che arriveremo a destinazione in tempo. Kurt Daluege non è stato di molte parole. L'ho visto male, con un colorito pallido e gli occhi spenti, non certo l'uomo che ho conosciuto anni addietro quando era a capo della Ordnungspolizei, la polizia d'ordine pubblico della Germania nazista. Spero che possa rimettersi presto.

La mattina si è aperta con un cielo stranamente sereno. Il gran vento della notte precedente deve aver spazzato ogni residuo di nuvole e noi procediamo convinti che tutto andrà per il meglio. Il morale è alto così troviamo anche il tempo per alcune battute e qualche risata. Appena lasciata la città, però, Fritz prende posto sul pianale del camion insieme a Felber. La campagna è solitaria e quello potrebbe essere il luogo perfetto per un attacco. Dobbiamo essere pronti a tutto. Io invece rimango seduto accanto a Cramer. Dopo alcuni chilometri fuori Praga avvisto da lontano il profilo di un grande parco naturale, un'immensa distesa verde scuro con striature di bianco che si estende lungo il confine orientale. Sembra un'ombra minacciosa e provo un'improvvisa quanto insolita sensazione di pericolo.

«Comandante» mi dice Hermann distogliendomi dai pensieri quasi avesse letto nella mia mente «ha visto?» e mi indica un punto poco più avanti.

Osservo con attenzione. «Sembra che la strada sia bloccata.» Le mie paure si acuiscono.

«Forse un albero caduto» commenta Cramer.

Non ne sono convinto. Gli ordino di rallentare e fermarsi mentre grido a Goring e Felber di stare in allerta. Il camion si accosta sul margine della strada, a circa una cinquantina di metri dal grosso tronco disteso nel mezzo.

Fuori non si vede nessuno mentre gli alti alberi sulla destra creano ombre minacciose.

Poi d'un tratto scoppia l'inferno.

Il sibilo acuto di una palla di cannone strazia l'aria, subito seguito da un'esplosione a pochi metri dal camion. La strada salta in aria e una vampata di calore arriva fino a noi. Schegge di asfalto e terra ricadono sul telone del camion mentre grido a Cramer «Via! Torniamo indietro! Presto!»

Sento il rumore del motore andare su di giri, poi scorgo alcune figure che, schiena bassa, escono dalla boscaglia. Hanno i fucili puntati in avanti. Pochi secondi dopo iniziano a sparare.

Fritz risponde al fuoco da una delle feritoie del telo abbattendone un paio.

Cramer intanto gira il camion in direzione opposta, verso Praga, ma non riusciamo a fare che pochi metri prima di essere costretti a fermarci di nuovo per una violenta esplosione a qualche decina di metri in avanti.

Gli spari aumentano.

«I lanciagranate!» urlo cercando di sovrastare il rumore «usate i lanciagranate!»

Come in risposta al mio ordine sento un fischio acuto e poi vedo un'esplosione che fa schizzare in alto terra e neve. Le urla dei ribelli si perdono nel vento.

Esco dal camion e mi porto sul pianale.

«Comandante, cosa ha intenzione di fare?» domanda Felber con la bocca contratta in una smorfia di rabbia.

«Un diversivo. Voi continuate a tenerli sotto tiro.»

Fritz fa partire una nuova granata che incendia la vegetazione con un clangore assordante.

Afferro anche io un lanciagranate e scivolo fuori dal pianale. L'asfalto è freddo ma il calore delle fiamme si fa sentire anche lì. Avverto in lontananza un rumore familiare, sembra il motore di un altro camion. Forse qualcuno sta venendo in nostro soccorso. Gli spari riprendono e il telone viene crivellato di fori. Mi porto a ridosso del muso e corro rapido dalla parte opposta della strada, là dove ho intravisto una piccola baracca di legno. Sento i proiettili sibilare sopra la mia testa, quindi mi chino e proseguo la corsa ventre a terra. Qualche secondo più tardi spalanco la porta con un calcio e mi fiondo dentro.

Ho il fiatone, ma adesso ho una visuale migliore della zona circostante e dei ribelli. Ne avvisto subito un paio. Lancio una granata e l'esplosione offusca il rumore delle mitraglie.

Poi uno strano silenzio cala su tutto.

Nuvole biancastre si alzano verso il cielo mentre alcuni alberi in fiamme fanno sciogliere la neve nella campagna circostante. Mi azzardo a guardare fuori e noto un camion tedesco in avvicinamento. Poco dopo si ferma accanto al nostro. Ne escono una trentina di soldati tedeschi che si sparpagliano nella boscaglia. Qualcuno abbaia ordini, poi gli spari riprendono.

Quasi non credendo al colpo di fortuna inaspettato, attendo ancora qualche istante, poi esco e mi metto a correre. Il camion è vicino, posso già vedere Goring e Felber che mi fanno cenno di salire sul pianale. Mancano pochi metri quando un dolore acuto al fianco mi fa cadere a terra. Cerco di rialzarmi, ma un secondo proiettile mi si conficca nella schiena. Ricado a terra con un urlo, lasciando scivolare dalla mano destra il lanciagranate. La vista si annebbia. Riesco a intravedere Fritz che scende dal pianale e si getta a terra mentre Felber copre la sua avanzata verso di me. Due mani forti mi tirano su. Perdo sangue e non riesco a muovermi.

«Forza Comandante, forza!» le parole di Goring mi giungono lontane. Tutto il mio corpo è dolore. Uno sparo vicino costringe Fritz a lasciarmi di nuovo cadere a terra.

«Fuggite» riesco a balbettare «la missione... Isola dei Morti...» poi tutto diviene nero e ogni rumore intorno a me sparisce per sempre. 

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