CAPITOLO 9

Germania

9

Karl Wagner riattaccò. Quella telefonata lo aveva messo di malumore. Fortuna che almeno il furto a Berlino era andato a buon fine, se pur con qualche intoppo.

La Horus.

Ultimamente sembrava non sentire altro che quel nome. Prima i loro agenti gli avevano soffiato il diario del Corvo a Monaco, nella casa di Cornelius, e adesso avevano quasi mandato all'aria la faccenda alla Alte Nationalgalerie di Berlino. La situazione si stava complicando troppo rischiando di inficiare tutto ciò che con molta meticolosità aveva imbastito nel corso del tempo.

Si accese il sigaro passeggiando nervosamente per lo studio.

Fra poco avrebbe dovuto incontrare un importante membro del Bundestag, ma non aveva la mente lucida a sufficienza per gestire al meglio la riunione. Continuava a pensare a ciò che il suo contatto gli aveva riferito su quell'organizzazione guidata da Margot Labouche e la tensione saliva. Di quella donna non conosceva per adesso assolutamente nulla, ma sapeva per esperienza che, se dietro alla Horus c'era la mente di Astrid Legrand, allora non doveva per nessun motivo sottovalutarne i membri.

Era ormai chiaro che anche loro si erano messi sulle tracce del tesoro perduto del Führer. Ciò però che lui si stava domandando era: quanto sapevano realmente? Quante nuove informazioni si trovavano in quelle pagine di cui lui non poteva disporre? Scosse la testa. Di una cosa era certo: se anche la Horus aveva sentito l'esigenza di esaminare la copia del quadro esposta a Berlino, probabilmente era giunta alla sua medesima conclusione, ovvero che quelle tele dovevano in qualche modo contenere gli indizi per arrivare al luogo in cui il Corvo aveva nascosto le casse con le opere d'arte.

Lui sapeva che Hitler, nel 1933, aveva dato ordine di acquistare tutte e cinque le riproduzioni fatte da Böcklin, e che, intorno al 1942, le aveva poi nascoste in diversi luoghi con l'intenzione di recuperarle alla fine della guerra. Peccato che non ci fosse più riuscito. La Germania era stata sconfitta e Berlino quasi del tutto distrutta dai bombardamenti e dall'invasione americana e sovietica. Lui stesso si era suicidato all'interno di un bunker a duecento metri dall'attuale Alte Nationalgalerie e dei quadri se erano perse del tutto le tracce fino a circa quindici anni più tardi quando erano cominciati piano piano a riapparire.

Squillò l'interfono.

Wagner schiacciò il pulsante. «L'ospite è arrivato» fece una voce di donna.

«Lo faccia accomodare nella sala riunioni» le rispose distrattamente «lo raggiungerò appena possibile.»

Spense il sigaro e afferrò il cellulare. Adesso aveva altro a cui pensare, ma prima di incontrare Olaf Lübke doveva sincerarsi di un'ultima cosa. Erano infatti le otto di mattina e i suoi agenti avrebbero dovuto già essere a Wewelsburg. Compose un numero.

«Dove siete?» domandò.

«Quasi a destinazione.»

«Problemi?»

«No, solo il traffico.»

«Bene. Appena arrivate lasciate il pacco nel mio studio. Io sarò in riunione e non voglio essere disturbato. Riceverete il vostro compenso come da accordi.»

Riattaccò.

Adesso era più sereno, ma la strada da percorrere era ancora molto lunga e non certi priva di ostacoli. Sapeva esattamente dove si trovavano tutte le altre copie, ma prima di agire doveva essere sicuro che in quel dipinto ci fosse realmente un messaggio nascosto, di qualunque cosa si trattasse.

Si strinse la cravatta e si diresse verso la sala riunioni. Ci avrebbe pensato dopo, ora era tempo di gestire la sua ascesa al potere.

***

«E così ha intenzione di candidarsi come Cancelliere, eh?» fece Lübke sorseggiando un bicchiere di whiskey. Il suo volto era una maschera rugosa, indecifrabile.

Wagner gli sorrise e annuì. «Non è certo una novità, Olaf. Se non erro, l'attuale capo del Governo non gode più della maggioranza e so per certo che il Bundestag sta valutando di avvalersi dell'articolo 67.»

«Sfiducia costruttiva» fece eco Lübke poggiando il bicchiere sul tavolo. «Sì, l'ho sentito dire anche io. Ma lei non ha ancora raggiunto il cinquanta per cento dei voti, o forse mi sbaglio?»

«Vero» rispose Wagner con aria tranquilla «ma se ben ricorda il Presidente ha fatto il mio nome nell'ultima assemblea e da allora sono passati solamente otto giorni. Da regolamento ne ho altri sei per ottenere la maggioranza assoluta e prendere il potere. E le assicuro che sono molto vicino all'obiettivo.»

«Conosco la procedura, mi creda» la voce di Olaf non tradiva la minima paura «e so anche che, se non si dovesse arrivare alla sua elezione nei tempi previsti, allora noi del parlamento avremmo piena facoltà di nominare un nuovo Cancelliere. Ovviamente in quel caso penso proprio che ci orienteremmo verso una persona che più in linea, come dire, con le nostre proposte» la sua bocca assunse una leggera increspatura molto simile a un ghigno di soddisfazione. «Lei non è il solo è essere in lizza, Wagner, se lo ricordi.»

«Ne sono consapevole.»

«Mi fa piacere. E, visto che siamo in vena di confidenze, mi dica, cosa le fa pensare di riuscire a scavalcare gli altri?»

Karl abbozzò un sorriso. «Il Presidente è dalla mia parte e le idee che ho messo in piazza anche se possono sembrare reazionarie sono ciò di cui il Paese ha bisogno. E lei lo sa benissimo. Lo spirito indomito della nazione non è sopito, Olaf, e io intendo fare leva proprio su questo sentimento per riportare la Germania ai fasti di un tempo.»

«Cioè, vuole essere un moderno dittatore?» sogghignò spostandosi una ciocca di capelli argentati dalla fronte. «Ha visto cosa è successo l'ultima volta?»

Wagner alzò le spalle. «Conosco la storia molto bene, Olaf, ed è proprio per questo che non intendo commettere gli errori del passato. Sappiamo tutti che sono la scelta più sensata in un momento di crisi come quello che la Germania sta attraversando, ma alcuni di voi ancora non riescono ad ammetterlo.»

«Lei è un solo un altro fanatico della supremazia della razza, tutto qui. Non finirà bene. Mi spiace, ma non avrà il mio voto» e fece per alzarsi.

«Lo sapeva che il Cancelliere attuale ha effettuato giusto ieri la richiesta per la fiducia?» disse Wagner con estrema calma fissandolo con gli occhi di ghiaccio «e che non ha ottenuto l'approvazione della maggioranza dei membri del Bundestag?»

Olaf si fermò. Eccome se ne era a conoscenza.

«Vedo che ho di nuovo la sua attenzione.»

Lübke si rimise a sedere.

«In una situazione del genere» riprese Karl con un sorrisetto «il Presidente ha facoltà, entro ventuno giorni, di sciogliere il Parlamento. È questo che vuole, Olaf? Gettare paglia sul fuoco? Non sarebbe meglio eleggere subito un nuovo leader?»

Lui rimase in silenzio.

«Mi stia a sentire. Io non le piaccio, è chiaro, ma entrambi sappiamo che vincerò. Se l'ho fatta venire qui è solo per dimostrale quanto possa essere prodigo nei confronti di chi nutre fiducia nei miei confronti. L'articolo 65 del resto parla chiaro. È il Cancelliere a determinare le direttive politiche e ad assumersene la responsabilità. Entro tali direttive ogni ministro federale dirige autonomamente e sotto la propria responsabilità gli affari di sua competenza» fece una leggera pausa fissando i suoi occhi in quelli semichiusi di Olaf. «Adesso sta a lei decidere, Lübke. Su quale carro vuole salire?»

***

L'incontro era andato bene. Ancora una settimana e sarebbe diventato il nuovo Cancelliere della Germania, il primo vero passo verso il raggiungimento del suo ambizioso progetto. Il secondo risiedeva nel quadro che aveva davanti, appoggiato adesso su un supporto di legno improvvisato al centro del suo studio.

Lo fissò con ammirazione.

Suo nonno aveva fatto un lavoro egregio organizzando il trasporto delle casse dalla miniera di Altaussee al sito di destinazione. Adesso toccava a lui portarlo a compimento recuperandone il contenuto, dovunque esso fosse.

Si avvicinò al dipinto che fino a quel momento aveva visto solamente in foto sfiorandone la tela e cercando di penetrarne i segreti. Era da troppo tempo che non provava un'emozione così forte. L'idea di possedere quello che era stato il quadro prediletto da Hitler e che lui stesso aveva tenuto appeso a una parete del Berghof, lo riempiva di orgoglio.

Fissò lo sguardo in quell'immagine oscura che evocava sinistri presagi, non faticando a credere come mai avesse così ammaliato il Führer da portarlo ad acquistare tutte le copie. Lui non era un grande esperto d'arte, non lo era mai stato, ma, nonostante ciò, non poté non notare alcuni dettagli inquietanti, come per esempio l'isola stessa che pareva emergere come un monolite al centro di uno specchio d'acqua scura e totalmente immobile. Poi le alte pareti di roccia, disseminate di sepolcri scavati verso l'interno come se fossero degli ingressi senza fine, o i cipressi alti e minacciosi che si innalzavano sinistri verso il cielo, oscuro presagio di morte.

Si passò una mano fra i capelli puntando per un momento lo sguardo ammaliato sulla piccola barca al centro del dipinto e sulla sagoma in piedi a prua, avvolta da un sudario bianco lungo tutto il corpo in netto contrasto con un cielo scuro come lo specchio d'acqua. Il cuore accelerò i battiti e fu costretto a sedersi, la mente avvolta da un turbinio di pensieri.

Gli venne in mente il nonno, il diario che aveva scritto e il resoconto che i sopravvissuti all'impresa avevano fatto a suo padre. Ripensò con intensità a quelle parole, alla sua impresa, a ciò che doveva aver provato in quel freddo dicembre del '44 quando si trovava a bordo di uno dei camion diretti nella Slesia Polacca.

Chiuse gli occhi e con un sospiro si lasciò trasportare da quei bei ricordi, ritornando per un momento a quelle nevose giornate invernali, a quando la Germania si trovava ormai sull'orlo del baratro e la guerra stava rapidamente volgendo verso la sua amara conclusione.

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